Dal 3 al 6 ottobre si è tenuto a Milano l'ormai
consueto festival "Milanopoesia". Tra le altre
iniziative si è svolto il Forum 1991, dedicato al confronto
interdisciplinare o indisciplinato, sul tema della "costruzione
del bello"
La nozione contemporanea di "estetica" deriva da
quella di "aesthesis", parola che in greco
antico significava - più o meno (con tutta
l'approssimazione del caso) - "sensazione".
Tuttavia, la parola "Estetica", fu usata come nome di
una "scienza del bello" da Baumgarten nel 1735. Baumgarten
intendeva - secondo il rispettoso ma dissenziente resoconto di Kant
- "ridurre a principi razionali il giudizio critico del
bello, ed elevarne le regole a scienza" (Critica della ragion
pura, 1787, ed. it. 1983). Kant ritiene quella di Baumgarten una
"fallita speranza", o uno "sforzo vano",
"Imperocchè - dice - le dette regole e i criteri del
gusto sono per le loro principali fonti, empirici". Non sembri
futile l'osservazione che la parola "principali" venne
aggiunta fra la prima e la seconda edizione del testo. La
titubanza di Kant è emblematica, infatti, di tutta la storia
della filosofia, e trova origine nella difficoltà di
classificare i "dati" esplicitando il criterio di
classificazione (in questo caso, il "bello" - come tanti
altri concetti, quali il giusto, il vero - rimarrebbe conteso dai
regni del "razionale", dell'"empirico"). Sulla
scia di Platone - e di Baumgarten, peraltro - lo stesso Kant non
disprezza la prima soluzione, ad esempio quando dice che, "Il
pittore della natura, sia del pennello che della penna (e sia in
prosa che in versi), non possiede il principio spirituale della
bellezza, perché non fa che imitare; soltanto il pittore di
idee è il maestro dell'arte bella" (Antropologia
pragmatica, 1798, ma raccoglie lezioni precedenti, ed. it. 1985).
Kant preferisce parlare di "Estetica" (con l'aggiunta di
"trascendentale") per designare "una scienza di tutti
i principi a priori della sensibilità". Recuperando il
significato di "aesthesis". E in opposizione alla "logica
trascendentale", che studierebbe "i principi del pensiero
puro". Nonostante la dichiarata "opposizione",
peraltro, le due scienze formerebbero insieme la "dottrina
trascendentale degli elementi" di Kant. Ma non ci interessa
qui analizzare un sistema filosofico particolare, ci interessa,
invece, mostrare la strettissima relazione fra filosofia ed
"estetica". Cioè una disciplina intesa, oggi,
come "scienza del bello"; nonostante le obiezioni di Kant
- ma anche - grazie ad esse e ad altre, risucchiata coi suoi
programmi all'interno della disputa filosofica, come suo "settore"
particolare. Non sembri strano, dunque, sentir parlare di arte
"razionale", o "irrazionale", "astratta"
o "realista-verista", di bellezza "sensuale" o
"fredda". E non sembri strano che i gusti e i piaceri,
legati ai valori del "bello", e ai disvalori del "brutto"
siano - quando fa comodo - sottoposti ai dogmi scetticheggianti ("de
gustibus non est disputandum") e convenzionalisti ("arte è
tutto ciò che chiamiamo arte"), oppure ai dogmi realisti
("questa è vera arte!", "ma come, non ti
piace? Allora non capisci niente!"). E naturalmente non può
stupire che i regimi più dichiaratamente autoritari abbiano
praticato forme di censura nei confronti del fatto artistico,
così come certi artisti hanno messo in atto con il risultato
della propria creatività forme di opposizione ideologica, al
regime e ai canoni dell'arte ufficiale. La tesi dello stesso Platone
in merito a cosa si dovesse considerare "arte" e cosa no
era esplicitamente caratterizzata da considerazioni pedagogiche
rispetto al popolo. Una volta definita come "scienza del
bello", tuttavia, anche l'Estetica - come le altre "scienze
moderne" - ha tentato in certi casi di emanciparsi
dall'originaria impostazione filosofica. Soprattutto, adottando i
canoni sperimentali cari, appunto, alle "scienze
naturalistiche", prese a modello - un po' in tutti gli ambiti
culturali -a partire dall'800. Alle riflessioni degli artisti sul
proprio sapere, e dei filosofi, si sono intersecate le ricerche di
scienziati che, avendo per oggetto di ricerca dei particolari
processi percettivi hanno seguito l'itinerario delle ricerche
psico-neurologiche e, più recentemente, dei tentativi di
meccanizzazione dei processi mentali.
Per conseguire uno studio interdisciplinare dei fenomeni
tradizionalmente etichettati come "estetici" - oggi -
non è ancora sufficiente organizzare un incontro fra i
cultori di queste pratiche o discipline, che pure ambiscono alla
collaborazione reciproca. Lo si è visto - ad esempio -
nell'ultima edizione di "Milanopoesia". All'interno del
festival tenutosi dal 3 al 6 ottobre, per il secondo anno
consecutivo è stato organizzato uno spazio, denominato "Forum
l991" e dedicato al confronto interdisciplinare, o
indisciplinato, sul tema della "costruzione del bello". Il
"Forum" - organizzato in collaborazione con la rivista
"Methodologia - Pensiero Linguaggio Modelli" -, se ha
costituito un valido e apprezzato momento di confronto, ha anche
evidenziato tutte le carenze degli studi, vecchi e nuovi,
sull'estetica. Il tema ("la costruzione del bello") era
ovviamente inteso non tanto nel senso di una riflessione sulla
scelta e sulle tecniche di trasformazione dei materiali, riflessione
legittima ma di scarso interesse da un punto di vista libertario.
Sulla scia del crescente utilizzo, in svariati ambiti, di
riferimenti a paradigmi di tipo "costruttivista", il
tema di Milanopoesia proponeva, invece, una rassegna delle indagini
sulle attività mentali che ci possono far percepire qualcosa
come "bello". Si tratta di un tema innovativo; insolito
nel panorama della cultura (accademica e non) di coloro che si
occupano d'"arte" o, in generale prescindendo da programmi
di consapevolizzazione. Infatti, un'ottica della "costruzione'
del bello richiede necessariamente un'analisi in termini di
comunicazione, e coinvolge perciò democraticamente - cioè,
allo stesso livello di importanza per l'analisi - le responsabilità
di produttori, mercanti e fruitori di "bellezza", od
"opera d'arte". Sia per la natura interdisciplinare,
sia per la natura innovativa di questo Forum non è facile
distinguere qualcosa di raggruppante, nel magmatico succedersi di
opinioni e considerazioni (a volte assai metaforiche e persino
stravaganti), da parte di filosofi, poeti, psicologi, neurologi,
informatici, artisti imprecisati, metodologi operativi, e
indisciplinati vari. Si può provarci, tuttavia, e
discriminare fra quelli che hanno inteso la "costruzione del
bello" nel suo senso di correlazione compiuta - cioè con
una sua identità di significato - e quelli che, invece, lo
hanno inteso nel senso di un vago suggerimento, occupandosi solo di
"costruzione", o solo di "bello", o di altro
(soprattutto dei rapporti fra "arte" e "scienza".) Tra
i primi, Enrico Baj ha sostenuto la necessità di de-costruire
ciò che viene quotidianamente costruito secondo la logica
della produzione e della massificazione. Alcuni studiosi di varia
provenienza disciplinare, come Bruno Bara, Walter Gerbino, Silvio
Ceccato, Marco Bettoni, Carlo Bernardelli hanno proposto un'analisi
del "mentale" (chi in termini di operazioni mentali, chi
di modelli mentali, chi di rapporti fra immagini mentali), che
permetterebbe la "costruzione del bello". Nella
costruzione dei modelli dell'operatore estetico, un ruolo
particolare spetterebbe all'"attenzione" , e ai ritmi,
suoi propri con cui può, applicandosi al funzionamento di
apparati sensoriali, generare una fruizione o produzione estetica.
Marco Margnelli ha presentato una ricerca sperimentale sulla
correlabilità di particolari stimolazioni del sistema nervoso
- anche intervenendo su variazioni naturali come il ciclo del sonno
- con i processi mentali di persone che si dedicano alla produzione
di opere d'arte, confrontando i diversi generi. Possiamo infine
annoverare alcuni spunti, utili alla riflessione che il tema
proponeva. Da molti - fra gli altri Israel Rosenfield - è
stato sottolineato che i risultati delle neuroscienze impongono di
tenere conto (nelle analisi di funzione, o del "mentale")
del carattere processuale dei fenomeni di percezione e memoria.
Soprattutto quando vengono considerati nel contesto della
comunicazione; e a maggior ragione nel contesto di un dominio
comunicativo, come quello estetico, particolarmente vincolato a
significati non consapevolizzati. Sempre in ambito di
neuroscienze, Ennio Mingolla ha riferito della recente ripresa -
sotto il nome di "connessionismo" - delle ricerche
sulla percezione visiva condotte negli anni '50 sotto il nome di
"cibernetica". Da Yarbus, a Lettvin, Mc Culloch, Maturana
e Pitts, a Ceccato, sulla scia delle sperimentazioni della
psicologia della Gestalt, e ancor prima degli studi condotti da
Ernst Mach sulla fisiologia delle sensazioni. Si tratta della
osservazione dei movimenti percettivi - come quelli della pupilla,
ad esempio - e dello studio dei rapporti fra questi movimenti e
gli esiti percettivi indotti, e riferiti dal soggetto. I fenomeni di
guida - linguistica e non linguistica - dei movimenti e delle
percezioni, anche "estetiche", sono forse l'aspetto più
interessante di queste ricerche. Basti pensare alle differenze di
percezione e categorizzazione - cui si può trovare un
parziale corrispettivo nei movimenti dei bulbi oculari, ad esempio -
provocate da frasi come "che bella gente!", "che
gente deliziosa!", "che gente amabile", etc... Frasi
che possono guidare a percezioni e categorizzazioni diverse di una
"medesima" figura disegnata o situazione percettiva
qualsiasi; e che possono -come è ben noto - guidare
l'immaginazione, fino a provocare l'alterazione degli stati di
coscienza.