Rivista Anarchica Online
Questa guerra, secondo me
di AA. VV.
caro Paolo
Caro Paolo , penso che siamo venuti su, pressapoco, allo
stesso modo. Tu figlio di partigiani socialisti, io di militanti,
allora, di Giustizia e Libertà. Con la stessa concezione
laica della politica, con gli identici principi ispirati alla
tolleranza, al progresso sociale, al libero dibattito delle
idee. Poi entrambi abbiamo preso strade diverse da quelle sulle
quali ci eravamo incamminati, più radicali e totalizzanti. E
questa è ancora la nostra storia. Penso comunque che sia
per te come per me, fin dall'età della ragione, uno dei punti
fermi più importanti della nostra formazione sia stata la
coscienza che il genocidio del popolo ebraico fosse stato il crimine
più grande mai commesso nella storia dell'Umanità. Penso
sia superfluo ricordarci l'un l'altro come abbia influito
profondamente, nelle nostre menti, la consapevolezza che quel
genocidio avrebbe dovuto rappresentare un punto di non ritorno per
il mondo cosiddetto civile, ma anche che tutti i motivi che ne sono
stati alla base, che lo hanno permesso, sono purtroppo sempre
latenti. Perché troppi sistemi di potere, bisognosi di
consenso, devono periodicamente inventare nuovi, immondi, capri
espiatori, inculcando nel fertile terreno dell'emarginazione sociale
un odio razziale fatto di ignoranza, di paura, di crudele
pregiudizio. E penso di non sbagliare dicendo che, anche se con
motivazioni parzialmente differenti, tutti e due riteniamo che il
genere umano non finirà mai di pagare il suo immenso debito
con il popolo ebraico. Tutto questo però, a parer mio, non
ci deve mai portare a dimenticare, o sottovalutare, anche le
gravissime responsabilità dello Stato, e sottolineo Stato, di
Israele nell'incancrenirsi della situazione mediorientale. E, di
conseguenza, l'inevitabile affermarsi della necessaria solidarietà
con un popolo che, da oltre quarant'anni, sta pagando un enorme
carico di sofferenze provocate dalla contrapposizione (o
coincidenza?) degli interessi delle borghesie arabe, israeliane e
occidentali. Certo, il pacifismo che si incontra sulle piazze
troppo spesso ha ben poco a che fare con il coerente e rigoroso
antimilitarismo degli anarchici. È un pacifismo dalle mille
anime e dalle mille motivazioni, etiche, morali, religiose,
politiche e clericali (che vanno puntualmente messe in evidenza e
combattute), ciò non di meno è legittima e sincera
l'opposizione che larghi strati della popolazione mostrano, con
forza, nei confronti di questa, come di tutte le guerre. Soprattutto
perché, nella coscienza di molti, poche guerre come questa
sono apparse tanto ingiustificate quanto evitabili. Non credo che si
debba essere anarchici, per comprendere in tutta la sua crudezza
come la ragion di stato, l'interesse economico, il disprezzo dei
diritti umani (in tutti gli angoli del medio-oriente), siano gli
unici, esecrabili motivi che ci hanno portato in questa tragica
situazione. E' quindi un grosso errore, soprattutto se da parte
anarchica, non denunciare l'ignobile equazione che vorrebbe
accostare la sacrosanta opposizione alla guerra a improbabili
atteggiamenti filo-iracheni. O, ancora peggio, filo-saddam Hussein.
È un gioco pericoloso, che non trova giustificazioni, e che
soprattutto non trova nemmeno riscontri nella realtà, a meno
che non si vogliano scambiare per realtà le proprie paure.
Sono ormai trenta giorni di combattimenti, crudeli e spietati da una
parte all'altra, trenta giorni duri e terribili che ci hanno messo
tutti a dura prova, ma ancora nessuno ha creduto di dover spendere
una sola parola di solidarietà col sanguinario regime di
Hussein; piuttosto, per fortuna, sono sempre più le voci che
si levano, in tutti i settori sociali, contro quello che si teme
debba diventare il massacro generalizzato di tutti i popoli che
abitano il medio-oriente. Popoli che hanno la sola colpa di non
riuscire a scrollarsi di dosso il giogo dei regimi nati dalle
ceneri del precedente "ordine mondiale". L'anarchismo
ha sempre ritenuto fondante la distinzione fra popolo e Stato, e non
ha mai accettato il postulato del potere che vorrebbe gli
oppressi compartecipi della responsabilità degli
oppressori. Ed è per questo che gli anarchici si sono
opposti a tutte le guerre fra stati, vedendo in esse solo il cruento
tentativo operato dai centri di dominio per ridefinire e
razionalizzare le modalità di sfruttamento ed oppressione. E
i popoli, tutti i popoli, sono indistintamente le vittime di questo
gioco crudele, poiché sono loro ad essere mandati a farsi
scannare in nome di falsi principi superiori. Nessuno Stato è
innocente, ognuno porta le proprie responsabilità, ed è
di fronte a queste, prima di ogni altra cosa, che noi dobbiamo
misurarci ed intervenire. Denunciando, quindi, anche i crimini
di una classe dirigente che pretende di difendere il giusto
diritto all'esistenza di un popolo martoriato per millenni,
martoriando, sfruttando e deportando a sua volta un altro popolo.
Facendone così il facile ed esasperato strumento degli
interessi economici e politici delle borghesie arabe. Solo
operando in questo senso, solo lottando a fianco dei popoli, di
tutti i popoli, e combattendo gli Stati, può trovare un
senso il nostro definirci anarchici, può trovare un senso la
nostra irriducibile utopia di una società di liberi ed
uguali. Un abbraccioMassimo Ortalli (Imola)
Caro Massimo
Caro Massimo, rispondo alla tua bella lettera quando ormai -
finalmente - la guerra nel Golfo è finita. Ma non penso che
le ragioni di fondo che ti hanno spinto a scriverla - e di cui
abbiamo già parlato insieme per telefono - abbiano perso
d'attualità né, soprattutto, di valore. Le tue
osservazioni erano state sollecitate dalla lettura di "A"
(No alla guerra, a tutti gli imperialismi, al fanatismo religioso
e all'antisemitismo, "A" 179, febbraio 1991, primo
interno di copertina). Mi hai ulteriormente spiegato a voce che le
due tue preoccupazioni principali erano relative:
1) alle dure critiche da noi mosse a tanta parte del movimento
pacifista (da noi criticato - tra l'altro - per essersi
prontamente mobilitato all' indomani dell'inizio degli attacchi
aerei sull'Iraq ma immobili come la Sfinge all'indomani
dell'occupazione del Kuwait o dopo il lancio da parte irachena dei
primi missili contro le città israeliane);
2) alla non sufficientemente chiara nostra presa di posizione
contro lo Stato d'Israele e in solidarietà con il popolo
palestinese. Sul primo punto mi pare siamo stati
chiarissimi. Siamo presenti - scrivevamo - e ci
sentiamo parte attiva del grande e per tanti aspetti spontaneo
movimento per la pace (...) Ciò chiarito, non abbiamo
voluto tacere alcune delle ragioni (seppure appena accennate, in un
testo di tale forzata brevità) di profondo dissenso con
posizioni e opinioni che ampia risonanza hanno avuto in campo
pacifista. Il fatto che alcuni di questi nostri rilievi critici
fossero utilizzati in quelle settimane anche dal fronte bellicista,
dai vari La Malfa, Montanelli, ecc., per screditare il movimento per
la pace non mi pare motivo sufficiente per tacere il nostro disagio,
a volte davvero acuto, nel ritrovarci fianco a fianco con quei
burocrati e burocratelli di una certa sinistra (non solo
italiana) "pacifista", "antimperialista" ed ora anche
"antimilitarista" ai quali - scrivevamo allora e
confermiamo oggi - poco o niente ci accomuna, anche se ci siamo
ritrovati insieme sulle strade e nelle piazze, a manifestare ed a
vegliare. E qui si inserisce anche la "questione
palestinese". La nostra critica allo stato d'Israele -
innanzitutto... in quanto Stato - è implicita nel nostro
stesso richiamo all'anarchismo, cioè al socialismo
libertario, autogestionario ed antistatale. Così come la
solidarietà con tutti coloro - individui, minoranze etniche,
popoli, ecc...- che subiscono sulla propria pelle le conseguenze di
un'organizzazione sociale e di un ordine mondiale basato sulla
violenza e legittimato dagli Stati. Nel nostro editoriale, abbiamo
voluto solo evidenziare che la drammatica questione palestinese
implica responsabilità sia dello Stato d'Israele sia - non
meno grandi - degli stati arabi "fratelli": e lo
abbiamo fatto con implicita polemica con quanti addossano solo allo
Stato d'Israele (e spesso anche alla sola immigrazione ebraica in
Palestina) l'esclusiva responsabilità della diaspora
palestinese, dimenticando (in mala fede, per quanto riguarda i
succitati burocrati e burocratelli) per esempio che nella sola
repressione del Settembre Nero, re Hussein di Giordania - schierato
durante la guerra con Saddam Hussein e con Arafat - massacrò
molti più palestinesi di quanti ne abbiano assassinati le
forze repressive israeliane in tre anni di Intifada. Nel nostro
editoriale, poi, abbiamo voluto denunciare ancora una volta il ruolo
dell'OLP, il sostegno alla quale va in genere di pari passo con la
solidarietà per la causa palestinese. Per noi le due
cose erano e rimangono ben distinte, ed anche su questo terreno
la nostra posizione è assolutamente minoritaria nell'ambito
del movimento per la pace. Sulla parte finale della tua lettera,
naturalmente, sono d'accordo. E nelle tue enunciazioni di carattere
generale, "programmatico", ritrovo le ragioni del nostro
comune definirci anarchici e soprattutto dell'impegno quotidiano che
ci affratella - nel vero e pieno senso della parola. Ricambio
l'abbraccio e lo estendo a Cristina, senza il cui pungolo - ho
appreso - la tua lettera forse non sarebbe stata spedita per la
pubblicazione. Un abbraccio fraterno.Paolo Finzi (Milano)
Il problema è più complesso
(una risposta ad Arturo Schwarz - Due domande ai
pacifisti, "A" 180, pag32/33 - e non solo).
Con te condivido una cosa importante, siamo tra i pochi compagni
che parlando di solidarietà al popolo palestinese marchiamo
un dato fondamentale per la soluzione del problema: il diritto di
Israel ad esistere pienamente. Il problema viene rimandato,
posticipato, ma prima o poi scoppia e deve essere risolto con una
soluzione politica e di dialogo e di uguaglianza. Non c'è
un'altra soluzione e proprio per questo la guerra è stata
inutile, non ha affrontato neppure uno dei problemi del Medio
Oriente anzi li ha aggravati: in alternativa a Saddam monta il
fondamentalismo islamico, il governo Shamir dichiara i Territori
parte essenziale di Israel, non riconosce il valore di una
Conferenza Internazionale e solo 8 paesi arabi sono disponibili a
parlare, anche a nome dei palestinesi i quali ora hanno ancor meno
credibilità per una trattativa, senza parlare dell'OLP. Che
vale quello che si è fatto? Oppure la nostra impotenza, la
nostra fioca voce contro il fascismo e la dittatura di un Saddam
Hussein ha trovato "necessariamente" uno sfogo
nell'intervento militare? Diciamocelo, anche tu Tiziana, ci siamo
accorti della nostra pochezza, che la nostra verità è
utopica e quindi non incisiva, neppure pericolosa, anzi
convivente... allora? Allora se un cane mi azzanna io spero
tantissimo che da lì passi un poliziotto che lo uccida
affinché io mi senta più sicuro. Questa è la
logica a cui porta la guerra! In qualche modo, in un modo che si
pensa comunque radicale un problema grave, un pericolo,
viene affrontato... visto che altri mezzi non abbiamo. Se ci
pensa un altro, foss'anche lo Stato foss'anche l'Esercito, tanto
meglio, o comunque meno peggio che la nostra inanità. E noi?
E io? Diventa vero che l'io perde di valore, un Uomo è solo
un dato statistico e che 167 morti pesano meno che 10.000, quando la
mia cultura mi dice che anche uno solo, un solo essere ucciso in
guerra vale già di per sé ed è già per
me un Valore Assoluto, o c'è qualcosa che vale di
più? Vivendo in campagna conosco il problema dei cani
randagi, pericolosi perché non sai cosa hanno, possono
azzannare per paura prima che per malattia e non ho scrupoli ad
usare un bastone. Ma lo uso io, in prima persona ed uccido io quel
nemico lì, non un altro, non un cucciolo, e se posso non lo
uccido neppure, lo allontano soltanto o meglio tendo a fargli capire
che non sono un nemico. Non delego l'ENPA e non chiamo la stazione
dei carabinieri. Il problema è più complesso e
penso che la domanda, Arturo, sia fondamentalmente questa: dove
eravamo il 12 agosto del '90 e cosa avremmo fatto contro Hitler? Sì,
noi pacifisti, io nonviolento. Il 2 agosto dell'anno scorso è
successo ciò che nell'arco di un anno avviene decine di volte
nel mondo e per quelle decine di "violazioni del diritto
internazionale" la nostra voce, la voce di Amnesty
International, la voce di cristiani di base, di missionari, di
cooperatori in servizio civile, di enti di solidarietà,
grida, urla, denuncia, informa, ma non ha potere. Abbiamo ragione
perché sappiamo che abbiamo denunciato, ma non siamo stati
ascoltati e quindi la "guerra è inevitabile". Oltre
alle denunce, però, Arturo, Tiziana e non solo, oltre alle
denunce si sta facendo strada un'altra logica d'intervento che
parla di un altro sviluppo, un'altra qualità della vita e
proprio dalle pagine di "A" Rivista, come di AAM Terra
nuova e di altri, si parla di un'altra economia dove artigianato e
campagna siano alternativa all'industria, dove lo scambio Nord-Sud
sia più diretto ed egualitario, dove la disobbedienza
attraversi il mercato come il servizio di leva, e la cooperazione,
perfino bancaria - vedi il MAG - sia parallela a questa economia. Lo
so che fin quando giustifichiamo e non ci rendiamo operativi verso
questo tipo di vita, la "guerra è inevitabile",
ed allora la guerra insegna che il male va preso alla radice. Se
l'Anarchismo è solo Negazione, è solo SignorNò,
hai ragione tu Tiziana, non siamo pericolosi perché non siamo
propositivi, ma proprio qui sta il cambiamento che in questi tempi
sta avvenendo nel movimento anarchico, vedi il dibattito in "A"
rivista, ma vedi anche l'ultimo congresso FAI e le lotte unitarie
che anarchici hanno saputo condividere con non-anarchici, trovando
"necessariamente" bisogni simili e non solo di fronte alla
guerra. Cosa avremmo fatto contro Hitler? Non avremmo taciuto
sull'accentramento dei poteri, avremmo fatto parte della Resistenza
Interna che è stata lasciata marcire proprio in nome della
Guerra degli Stati: parlo della resistenza del ghetto di
Varsavia, della resistenza polacca, persino della Rosa Bianca, la
guerra degli stati non vuole la lotta e l'iniziativa popolare e
territoriale. La stessa Resistenza Italiana ha dovuto rinunciare al
patrimonio di autogoverno, di federalismo, di democrazia diretta e
di partecipazione sociale, per fondare uno Stato come lo volevano
gli Alleati anglo-americani, i nuovi padroni. Anche lì gli
anarchici, come ogni partigiano sincero, ogni uomo di coscienza
(penso a Parri, Salvemini, Lussu...) sono stati vinti, ma questo può
giustificare il "meno peggio necessario"? Saddam, come
Hitler, sono figli logici di questo Occidente, di questo Nord. O
è un motivo per lavorare tra noi, dirci meglio cosa fare,
unirci di più a chi pensa sia possibile costruire altro e
reagire con un senso egualitario, naturale, più responsabile,
più libero; ed esistono e dobbiamo riconoscere volentieri - e
con senso di ricchezza- che non siamo solo noi anarchici a
comportarci e proporre libertà. La guerra, per lo meno, è
stata inutile e non per scelta ideologica lo dico ma per un motivo
concreto, reale: per affrontare il problema Medio Oriente stanno
tutti correndo a riunire i protagonisti in una Conferenza
Internazionale, riconoscendo ora che si è perso tempo prima.
A questa, ora, è demandata la soluzione del Medio Oriente, ma
ora i problemi scoppiano e alla guerra segue la vendetta; quello che
poteva essere risolto con la Conferenza Internazionale prima, si
riconosce solo ora. E a tutto questo non c'è giustificazione
. Se mi puzza sentirmi accusato di essere allo stesso fianco del
papa o di Formigoni, posso rispondere di sentir la puzza di
giustificazione d'intervento tipica di Giuliano Ferrara. Ma sappiamo
perfettamente che tu non sei lui e io non sono quelli, che
proponendoci per quello che siamo le diversità escono
naturalmente fuori, soprattutto tra gente comune e onorevoli
Formigoni, tra cristiani di base-obiettori militanti e Pontefice dei
cappellani Militari. Da anarchico mi sento bene coi primi, coi
secondi non ci sentiamo bene tutti, cristiani compresi.Antonio
Lombardo (Lequio Berria)
Saddam anti-imperialista?
Cari Compagni, quante picconate all'indietro - scusate il
linguaggio, come al solito demenziale - demente, che da qualche
tempo almeno, adopero. Mi riferisco all'interno di copertina di
"A" di febbraio. Sono di quelli, forse oramai unico nel
movimento libertario, che "continuano ad inneggiare ad Arafat"
- ho persino la medaglietta dell'OLP etc.; perché? Per
tradizione, forse ma anche per convinzione, ed è quella che
tutto un popolo, quello palestinese, soffre da anni (dal '46,
almeno; stando alla storia) le angherie del potere sionista,
appoggiato dalla plutocrazia imperialista USA; già Ben
Gurion, "mitico" fondatore di Israele, in realtà
bombarolo - con altri "patres patriae" dello stato più
arrogante e sciovinista del Medio Oriente - negli alberghi inglesi e
non, diceva che "Israele si estende fin dove può
arrivare l'orma del piede di un soldato israeliano" (cito a
memoria, ma sono sicuro della citazione) e... immaginatevi un
po'. Non vedo perché "A" debba farsi paladina di
uno stato che "progressista" non lo è mai stato,
neanche coi "beneamati" (non da me) laburisti, che ora
indulge al fondamentalismo religioso, oltre a tutto con una
religione che, almeno in parte (Antico Testamento rigorosamente
inteso, profeti parzialmente esclusi però), conferma quanto
ne diceva Hegel "religione del verme", dell'asservimento
dell'uomo ad un Dio totalmente estraneo, totalmente mancante della
speranza cristiana dei Vangeli, se si eccettuano certi testi più
che stimabili, messi in luce da Ernst Bloch (Ateismo nel
cristianesimo) e da Martin Buber - oggi ridotta a banale
instrumentum regni di rabbini e politicanti fanatici. Chi dimostra
ciò che la redazione di "A" afferma sui presunti
coloni che "strozzerebbero" etc. nel Kuwait? Hussein,
Saddam H., voglio dire, non sarà un liberatore, ma è
bene o male, volente o nolente, parte di uno schieramento
anti-imperialista. Mi assumo la responsabilità di quanto
dico, forse condizionato dal leniniano "La libertà ai
popoli!" (senza essere io leninista, peraltro, almeno non più
consapevolmente) , ma vorrei che questo scritto fosse pubblicato,
come viene pubblicata la furia iconoclasta di Papi (in parte
condivisibile e condivisa, peraltro) o altre posizioni ben
diverse. Cari saluti, ma...Eugen Galasso (Bolzano)
Non solo per il petrolio
E' solo grazie all'accettazione acritica dell'impostazione
spettacolare che è stata data da governanti e media alla
questione del Golfo che, a mio parere, è possibile sostenere
posizioni del tipo di quella sostenuta da Arturo Schwarz nel suo
intervento sul numero 180 della rivista. Quanto egli vi afferma
si basa su di una visione che, come quella che è stata
diffusa dai mass media a livello mondiale, astrae completamente
da quella che è la complessità della realtà e
soprattutto dalla sua collocazione in una cornice storica. Si
ricorre a concetti tanto altisonanti quanto vaghi (legittima difesa,
diritto, addirittura il Male con la "m" maiuscola) che
impediscono di impegnarsi in un'analisi che dovrebbe essere ben più
approfondita. La roboante frase di Elie Wiesel è più
che tipica di questo atteggiamento: Saddam Hussein sarà anche
il Male, ma perché non chiedersi da dove viene questo male,
come mai non è stato fermato prima, aspettando invece il
momento in cui reagire avrebbe pagato da un punto di vista della
politica di potenza di alcuni Paesi? Non bisogna dimenticare che
prima di invadere il Kuwait, Saddam Hussein aveva già da
lungo tempo espresso le proprie mire territoriali, c'erano stati dei
negoziati che poi sono falliti e durante tutto questo tempo le
diplomazie di Paesi che non mancano mai di intervenire, quasi sempre
inopportunamente, nelle faccende altrui, si sono ben guardate dal
muoversi, gli USA sono perfino arrivati a dichiarare, per bocca
della propria ambasciatrice in Kuwait, che in caso di un'azione
militare da parte dell'Iraq contro il Kuwait (che quindi veniva già
presa in considerazione) si sarebbero astenuti dall'intervenire. Con
il Male non bisogna allearsi, dice Elie Wiesel, ma allora che
diritti può vantare una coalizione che, oltre ad avere al suo
interno un Assad e oltre a godere dell'appoggio esterno di un
Paese come l'URSS, ha alla sua testa gli Stati Uniti guidati da
un'amministrazione il cui principale esponente, Bush, è stato
capo della CIA a metà anni '70 (sostegno alle dittature
sudamericane, della Corea del Sud, delle Filippine, sostegno
finanziario e politico allo Scia di Persia, addirittura ai Ceausescu
fino alla metà degli anni '80 - tutte cose senza
importanza?), è stato vicepresidente con Reagan (tra l'altro:
sostegno ai contras tramite la vendita di armi al "Male"
allora di turno: l'Iran, complice il governo d'Israele) e ha gestito
in prima persona l'invasione di Panama (violazione delle più
elementari norme del diritto internazionale con uccisione di alcune
centinaia di panamensi, aggravata dal fatto che è stata
compiuta per sottrarre alla giustizia del Paese invaso un proprio
ex-agente, che difatti non è stato processato. Le truppe
americane che si dovevano ritirare immediatamente dopo
l'"operazione" si trovano oggi ancora lì). Se gli
Stati Uniti si sono limitati ad una sola invasione (che d'altra
parte è già di per se stessa sufficiente) è
anche perché grazie alla loro posizione di superpotenza hanno
potuto far ricorso ad altri, non meno efficaci sanguinari,
metodi. Alla luce di quanto sopra, mi sembra inopinato citare
Bobbio quando dice che, "quando la violazione del diritto
internazionale è avvenuta con la forza è legittimo
ripararla con la forza", perché se così
bisognerebbe bombardare, oltre a Baghdad, decine di altre capitali,
ma non si troverebbe allo stesso tempo nessuno sufficientemente
innocente da potere vantare il diritto di farlo. In questo contesto
risulta chiaro che i richiami retorici a Monaco o il paragone Saddam
- Hitler (Saddam non è Hitler, è Saddam e mi pare che
basti e avanzi) sono assolutamente fuori luogo e vengono fatti
proprio per distogliere l'attenzione dai problemi reali, riducendo
tutto ad elementi spettacolari. Quanto alla domanda di Wiesel sul
perché non si è fatto niente contro Saddam prima, mi
chiedo come, ponendosi questa domanda, possa poi sostenere senza
esitazioni coloro i quali intervengono solo ora e mi domando allo
stesso tempo se ha riflettuto sul fatto che nessuno dei governi
alleati contro Saddam ha fatto veramente ammenda, se si eccettuano
formulazioni molto generiche, e tanto meno ha espresso la volontà
di non ripetere l'errore in futuro (anzi, ci si allea già con
il siriano Assad). Trovo estremamente grave la posizione di
Wiesel e, come lui, di centinaia di altri intellettuali (anche di
quelli un tempo più coraggiosi, come Wolf Biermann, o come
Vaclav Havel che, come presidente della Cecoslovacchia ha persino
mandato un contingente militare nel Golfo) perché si basa
sulla voluta ignoranza di fatti da tutti conosciuti e perché,
proprio per il fatto di appellarsi ipocritamente a valori importanti
come giustizia, convivenza e libertà, tende a screditarli
ancora di più di quanto già non lo siano. Mi sono
dilungato su questi particolari perché mi sembra si tratti di
cose fondamentali che francamente non riesco a capire come possano
essere così spesso saltate a pie' pari. Vorrei fare
un'altra osservazione. Pur riconoscendomi in pieno
nell'atteggiamento di presa di distanza dalle manifestazioni di
pacifismo unilaterale alle quali abbiamo assistito in occasione
della guerra e pur ritenendo che una vera presa di posizione contro
la guerra debba essere basata innanzitutto sul rifiuto delle logiche
di violenza da qualsiasi parte esse vengano, non mi riconosco però
in un atteggiamento che si limiti alla pura condanna morale di tutte
le parti in causa. Trovo che questa debba solo essere la partenza e
che, se è giusto da un lato sottrarsi alla richiesta di
schierarci da una parte o dall'altra che in questi casi giunge un
po' da tutti i contendenti, non bisogna però limitarsi a
questo, rinunciando preventivamente a fare delle analisi più
approfondite, che è poi l'unico modo per poter poi veramente
comunicare e discutere con gli altri. In questo caso, per
esempio, accanto alla condanna morale delle varie parti in causa,
aggiungerei la distinzione tra la portata mondiale dei fini della
politica di potenza occidentale e quella regionale del regime
iracheno, inserirei la scelta dell'intervento militare nel contesto
di una situazione post-guerra fredda, nella quale i Paesi
ultra-ricchi e ultra-armati dell'occidente faticano sempre più
a muoversi in maniera razionale e ad affrontare la realtà
esterna, mentre dall'altra parte sottolineerei la situazione
esplosiva di un mondo (come quello islamico) che fatica a trovare
una propria strada, cercando troppo spesso una soluzione in
personaggi come Hussein o Komeini. Non mi limiterei a dire che la
guerra è stata fatta per il petrolio (che senz'altro è
uno dei motivi), visto che in tal caso sarebbe tutto sommato bastata
una pace ben concordata, ritengo invece che per tutte e due le parti
in guerra si sia trattato di una guerra a tinte fortemente
ideologiche e motivata inoltre da questioni interne, nonché
dal desiderio di dare un giro di vite ad una situazione mondiale che
rischiava di diventare troppo aperta e comportare quindi dei rischi
per molte strutture di potere. Queste le mie opinioni, ovviamente
discutibili.Andrea Ferrario (Milano)
La rivoluzione
disarmista
"Le
guerre hanno i pretesti più vari, ma sempre la medesima
causa: l'esistenza delle forze armate. Eliminate le forze armate, e
avrete eliminato la guerra". Victor Hugo
Non ci sono né
guerre giuste né guerre sante. La guerra è
l'invenzione di una minoranza ricca contro la maggioranza povera
dell'umanità. La guerra serve ai mercanti di armi, ai
predatori del sottosviluppo, ai terroristi della Borsa per
perpetuare il saccheggio del Terzo e Quarto mondo. Banche,
multinazionali, governi, partiti, eserciti, economie, mass-media...
sono il grande affare e il grande crimine della guerra
giustificata. La guerra del golfo Persico è la guerra del
petrolio. La guerra tra un dittatore (Hussein) e un guerrafondaio
(Bush). Gli Stati Uniti hanno perso ormai la battaglia telematica
con il Giappone e quella economica con la Germania; non vogliono
perdere anche il predominio del petrolio (dei prossimi 200 anni) con
il mondo arabo. La guerra del golfo è la guerra
dell'America che cerca di cancellare i diritti di
autodeterminazione dei palestinesi sulle ceneri degli
iracheni. Solo risolvendo il problema Palestina/Israele (due
popoli, due Paesi...) si potrà fermare l'Intifada (La
guerra dei sassi) e potranno essere sopite le turbolenze dell'intero
Medio Oriente. La società occidentale continua ad essere
una società militarista. Uno Stato-Caserma dove la burocrazia
e la gerarchia di pochi gestiscono il consenso mercantile. Occorre
passare dal pacifismo generico all'azione nonviolenta. Allargare
la non-collaborazione, la disobbedienza civile, l'obiezione fiscale,
la delegittimazione della parola... opporre una cultura di pace alla
cultura di guerra che è alla base della pedagogia
occidentale... sabotare con ogni mezzo, strumento e tecniche della
nonviolenza il cuore informativo del sistema. Disertare dunque
dai bagni di sangue della civiltà dello spettacolo. Perché
o l'umanità distruggerà gli armamenti o gli armamenti
distruggeranno l'umanità (Albert Einstein - Bertrand
Russell). La rivoluzione disarmista auspicata dai libertari di
ogni parte della terra... è l'atto più
rivoluzionario della storia dell'uomo... il cominciamento
radicale di una rivoluzione profondamente anarchica. Abolire lo
Stato vuol dire abolire la guerra. Il comunismo è finito
nel letame della storia. I crimini di Lenin, Stalin, Togliatti...
sono ormai negli occhi di tutti.. mai più di oggi si è
visto che la guerra è la continuazione della politica con
altri mezzi (Clausewitz). Disobbedire alla guerra significa
rivoltarsi contro l'ingiustizia. Contrapporsi all'oppressione. Una
rivoluzione in permanenza contro tutto quanto costringe un uomo a
sparare a un altro uomo. Una razza di demoni si è arrogata
il diritto di rappresentare l'umanità con la lingua del
cannone. Ha giustificato l'ingiustificabile con la ragione del
più armato. Ma è preferibile morire da uomo libero che
farsi boia di una minoranza di assassini che hanno legalizzato il
genocidio . Il divenire della libertà si può
sviluppare soltanto nella confederazione delle idee,
nell'associazionismo, nella crescita proporzionale dell'uguaglianza
delle condizioni nella diversità sociale. Conquistare il
diritto ad avere diritti (Hannah Arendt). Il disarmo unilaterale
deve costruire il centro di ogni attività della nonviolenza.
Azione diretta contro gli armamenti e le leggi che sostengono questo
terrorismo di Stato, significa dare inizio alla non collaborazione,
alla diserzione, al rifiuto di onorare una sola bandiera: quella
della guerra. L'umanità è parte di me . Ed io mi
rifiuto di servire qualsiasi divisa. Perché anche in tempo di
pace l'esercito è una macchina da guerra che si prepara alla
distruzione. La resistenza nonviolenta contro i becchini
dell'umanità è la rivolta in permanenza che dobbiamo
attuare contro la violenza dello Stato. Sabotare, boicottare,
disertare... fare della parola un'arma che disvela gli orrori della
guerra e orienta le coscienze delle giovani generazioni verso la
fraternità, la solidarietà e il mutuo appoggio. Così
una piccola vittima della seconda guerra mondiale, Anna Frank ha
scritto nel suo diario: "Non credo affatto che la guerra
sia soltanto colpa dei grandi uomini, dei governanti e dei
capitalisti. No, la piccola gente la fa altrettanto volentieri,
altrimenti i popoli si sarebbero rivoltati da tempo. C'è
negli uomini un impulso alla distruzione, e fino a quando tutta
l'umanità, senza eccezioni, non avrà subito una
grande metamorfosi, la guerra imperverserà: tutto ciò
che è stato ricostruito o coltivato sarà distrutto e
rovinato di nuovo; e l'umanità dovrà ricominciare da
capo". Gli equilibri del terrore sono parte del gioco
della guerra. La storia dell'umanità non può
continuare ad essere storia di massacri. Da molte parti,
larghi pezzi di popolo lanciano segnali di risveglio della coscienza
rivoluzionaria, quella disarmista, che muovendo dalla critica
radicale della società, alla disaffezione alla
partitocrazia... figurano altri scenari dell'immaginario
collettivo. L'uomo davvero nuovo sarà quello che avrà
la capacità di trasformare la società e realizzare un
quotidiano senza catene. Nessuna società può durare
a lungo con il terrore, perché il terrore è la scuola
dei tiranni. E i tiranni non sono mai piaciuti nemmeno ai bambini
che tenevano in braccio per bassa propaganda e sono finiti a
piangere nel sangue che loro stessi avevano provocato. La
rivoluzione disarmista è dire la verità contro la
menzogna. Fare della pace il centro di ogni attività
comunitaria. Sostituire la società militarista con la
società umana. E una via per salvare l'umanità
dalla barbarie, può essere il passaggio dalla democrazia
dell'apparenza a quella stagione dell'amore dell'uomo per l'uomo che
si chiama Utopia concreta o Anarchia.Pino Bertelli (Piombino)
Anarchici doc?
Cari amici di "A", mi ha sorpreso - molto
sgradevolmente - il tono ricattatorio del comunicato stampa della
F.A.I. a proposito di Ugo Mazzucchelli: mi ha ricordato quello
delle esclusioni staliniste. Dunque, quando un vecchio compagno
anarchico esprime un punto di vista non gradito alla F.A.I. diventa
un rinnegato rimbambito: la precisazione razzista "ultraottantenne"
porta a questa deduzione. Se invece il suo parere fosse stato
"ortodosso" la qualifica di ultraottantenne avrebbe
cambiato segno diventando da negativo a positivo, l'età da
vizio diventa virtù? Spiace che "A" dichiari di
condividere "nella sostanza" questo comunicato - per
fortuna queste due parole, "nella sostanza" fanno
intuire, spero, una divergenza almeno nella forma. L'anarchia non
è forse una corrente di pensiero, una filosofia e una
regola di vita, un sistema per pensare e trasformare l'uomo e il
mondo? Credevo che il modo di essere anarchico scaturisse da una
duplice negazione e da un'affermazione: il rifiuto di ogni
autoritarismo e di ogni sopraffazione, l'esigenza di basare i
rapporti umani sulla collaborazione anziché sulla
competizione selvaggia. Esistono invece chiese e gruppi abilitati a
distribuire patenti di "anarchico doc" o/e di anarchico
rimbambito o rinnegato. Forse che l'intera redazione di "A",
la compagna Tiziana Ferrero, io stesso, non siamo anarchici perché,
come Mazzucchelli, non siamo nella F.A.I.? Un appunto riguarda il
numero di "A" 180. Vi ho cercato invano la risposta alle
mie domande o a quelle di Tiziana Ferrero, o anche solamente
un'analisi seria delle cause e conseguenze del conflitto del
Golfo. Senza voler sminuire l'interesse dei contributi di Maria
Teresa Romiti, di Andrea Papi, di Carlo Oliva o di Noam Chomsky,
bisogna dire che gli stessi sono troppi ovvi, generici e poco
pertinenti. Non sarebbe ora di aggiornare i nostri ragionamenti? Di
avere il coraggio di affrontare concretamente le situazioni nelle
quali la vita - di una folle complessità - ci mette? Forse è
venuto il momento di smettere di riesumare testi (anche nel numero
in questione di L.M. Vega e Berneri) che, pur essendo giusti e
belli, hanno poco da vedere con l'argomento concreto ivi trattato.
Forse è necessario indagare con le nostre menti i
problemi della società nella quale viviamo, nel tentativo di
trovare le risposte ai terribili interrogativi che questa ci pone.
Siamo all'alba del terzo millennio, cerchiamo di non dimenticarlo, e
anziché rifugiarsi all'ombra delle antiche o recenti sacre
parole, abbiamo l'audacia di inventare quelle che lo
diventeranno. Un fraterno saluto anarchico dal vostroArturo
Schwarz (Milano)
Schwarz ha intuito giusto: il nostro sottoscrivere nella
sostanza il comunicato della Commissione di corrispondenza della
FAI evidenziava un dissenso sulla forma e proprio relativamente alla
qualifica di Ugo Mazzucchelli come "ultraottantenne". Nel
contesto in cui era posta, questa specificazione dell'età
suonava a dir poco sgradevole alla nostra sensibilità. Per
il resto, però, Schwarz non ci convince. Il comunicato della
Cdc della FAI - la quale potrà, se vorrà, meglio
precisare il proprio pensiero - prendeva atto del fatto che
Mazzucchelli, da tempo, è estraneo alla FAI, per sua stessa
dichiarazione. E questo è un dato di fatto incontestabile,
che non ha il sapore della scomunica e rispetto al quale ci pare
fuori misura evocare i fantasmi dello stalinismo. Per quanto
riguarda il parere di Schwarz sullo scorso numero della rivista, ne
prendiamo atto. Ma non possiamo nascondere la nostra perplessità
di fronte ad un invito ad aggiornare i nostri ragionamenti, quando
il dato centrale di questo aggiornamento sembra consistere
nell'abbandono dell'antibellicismo, che per noi è una scelta
etica irrinunciabile.
Sarebbe un grave errore
Nessun essere ragionevole può volere la guerra, tuttavia
credo abbia ragione il compagno Schwarz nel sostenere che il vero
pacifismo non consista nel non rispondere mai ad una aggressione. I
nostri pacifisti assoluti sembrano ignorare la storia, la
giustizia, il diritto internazionale. I fautori alla pace ad ogni
costo, nel 1938 consentirono ad Hitler di occupare, dopo l'Austria e
la Cecoslovacchia, anche la Polonia. E tutti sappiamo quale prezzo è
stato pagato dall'umanità per quella manifestazione di
arrendevolezza. L'attuale movimento pacifista avrebbe dovuto per
prima cosa condannare le pretese espansionistiche ed aggressive di
Saddam Hussein. E' stato il Rais di Baghdad a portare la crisi del
Golfo in un vicolo senza uscita. Solo la sua ostinatezza nel
difendere l'invasione del Kuwait e la sua politica di
destabilizzazione regionale, il cui unico scopo era il rafforzamento
dell'Iraq all'interno del mondo arabo, hanno reso difficile una
soluzione di compromesso. Ancora una volta abbiamo invece assistito
ad un pacifismo a senso unico, che altro non è se non
antiamericanismo esportato dall'Unione Sovietica nel mondo intero
negli anni della guerra fredda. La condanna rituale della
politica americana è parte integrante non solo del bagaglio
ideologico delle vecchie generazioni comuniste ma soprattutto dei
giovani della nuova sinistra che hanno progressivamente identificato
le istanze antimperialiste ed anticapitalistiche nelle rivoluzioni
del Terzo mondo anche se sono immancabilmente sfociate in regimi
autoritari o dittatoriali. Ma le nuove leve del marxismo, nel loro
schematico modo di pensare, sono pronte ad accettare di buon grado
qualsiasi regime, anche il più brutale e disumano purché
antioccidentale ed antiamericano. I motivi ideologici ispiratori
di questi settori sociali e politici tradizionalmente
antioccidentali rimangono una serie di luoghi comuni che hanno però
il difetto di non essere provati o di essere difficilissimi da
provare. Inoltre i nostri pacifisti resterebbero molto sorpresi se
scoprissero che buona parte del loro armamentario ideologico
(l'opposizione fra nazioni ricche e nazioni proletarie) si deve in
particolare al fascismo e al II congresso dell'Internazionale
comunista tenutosi nel 1920. Fu in quell'occasione che per la prima
volta i dirigenti bolscevichi individuarono nei Paesi coloniali il
proprio naturale alleato nel conflitto con l'Occidente
capitalistico. L'accordo stipulato nel 192l da Lenin con la Turchia
di Mustafa Kemal rientrava in questa logica della lotta
antimperialista. Anche allora nessuno si domandò per quale
motivo il governo sovietico aiuta un movimento nazionalista borghese
che se da un lato si scontrava con le potenze imperialiste
dall'altro assassinava i comunisti e reprimeva brutalmente il
movimento contadino che lottava per la riforma agraria. Gli
interessi della rivoluzione mondiale si identificavano già
con la sicurezza dello stato sovietico, e pertanto gli interessi dei
movimenti rivoluzionari in ogni Paese venivano subordinati alla
ragione di stato sovietica. Con lo stalinismo e con la guerra
fredda questa subordinazione si accentuava e si saldava con
le scelte che alla fine degli anni '60 compivano i movimenti
studenteschi dell'Occidente. Per opporsi alle sinistre ufficiali e
definire la propria identità consistenti settori giovanili
sceglievano referenti terzomondisti: la rivoluzione culturale
cinese, i vietcong, Cuba ecc. Contemporaneamente nelle aree
extra-occidentali scaricare sull'imperialismo, e dunque all'esterno,
la responsabilità del sottosviluppo è stato, ad un
tempo, un comodo sistema per non fare i conti con i nodi politici ed
economici interni e anche un modo di assolvere l'operato di governi
corrotti e inefficienti. Anche dietro le vaste simpatie della nostra
sinistra per la causa palestinese c'è la circostanza, oltre
ad una buona dose di tradizionale antisemitismo, che Israele è
uno stato, per molti aspetti, occidentale. Per di più Israele
è il principale alleato degli Stati Uniti nel Medio Oriente,
per cui l'appoggio va dato comunque al mondo arabo che lotta contro
gli U.S.A., lo stato ebraico e il sionismo. Poco importa che
questo mondo arabo sia rappresentato da regimi dittatoriali e
sanguinari. Questi sono dettagli ininfluenti, tutto è
giustificato dai fini superiori della lotta anticapitalista e
antimperialista. Questi i motivi che rendono così poco
sincere e apprezzabili certe mobilitazioni dietro alle quali si
intravede più il rifiuto della civiltà occidentale che
non una reale preoccupazione per i diritti dei popoli. (Tra l'altro
anche questo atteggiamento di rifiuto della propria cultura è
a sua volta, lo si voglia o no, un fenomeno culturale ben definito,
è un atto tipicamente occidentale). Ma è su questo
terreno che il pacifismo di matrice comunista si incontra con la
cultura cattolico-populista di Comunione e Liberazione e di settori
consistenti della Chiesa da sempre avversari dei principi di
libertà, uguaglianza,democrazia affermati dall'Illuminismo e
dalla Rivoluzione francese (di cui anche il socialismo e
l'anarchismo sono figli). Sempre più marcatamente
cattolico-comunista il pacifismo è diventato religione,
strumento per la riconquista cattolica dello stato e della società
civile. I rivoluzionari del passato non furono mai pacifisti nel
senso sentimentale, tolstoiano della parola, e pur rifiutandosi
di sposare la causa dell'una o dell'altra parte si guardavano bene
dall'assumere atteggiamenti di neutralità passiva e seppero
di volta in volta distinguere a quale parte fosse meglio augurare la
vittoria. Per amore della pace non si sono mai astenuti
dall'attaccare i regimi dittatoriali, di sostenere i boicottaggi a
loro riguardo, di denunciare i loro crimini e le loro dottrine
infami. L'amore della pace non ha impedito loro di difendere e di
combattere per la pace stessa e per le nostre idee. Ma sapevano
distinguere tra democrazia, anche se borghese, e dispotismo. Sarebbe
un grave errore dimenticare che non esisterà stabilità
nel mondo fino a quando i valori di libertà e democrazia
resteranno una eccezione isolata, limitata a ristrette aree
geografiche. Solo la fine dei dispotismi di qualsiasi colore e
natura è l'indispensabile precondizione per l'inizio di una
lunga stagione di pace.Furio Biagini (Pistoia)
Una medaglia alla stupidità
Cari amici, ho letto con interesse il n. 180 di "A",
interamente dedicato alla guerra del Golfo. Dico subito che l'unico
pezzo che condivido è quello di Arturo Schwarz, per l'unica,
buona ragione che Schwarz ha la testa sulle spalle. Tutti gli
altri sono degli inguaribili romantici, sprofondati nel sonno
letargico delle utopie della pace universale e della fratellanza
umana. A costoro conviene suggerire un saggio di Isahiah Berlin
("Lettera internazionale", n.16) che dimostra come tutte
le utopie abbiano soltanto comportato sacrifici inenarrabili agli
uomini e troppo spesso milioni di morti. Nel nostro caso, detto
fuori dai denti, il pacifismo piazzaiolo di queste ultime settimane
avrebbe solo provocato il seguente risultato: annessione del Kuwait,
eliminazione di centinaia di migliaia di kuwaitiani, distruzione di
un intero paese, rafforzamento del regime di Saddam, esaltazione
fanatica del mondo arabo dietro le bandiere irachene, e, in
prospettiva, una guerra di sterminio contro Israele. Bel risultato
per il nostro pacifismo! Si sarebbe trattato, a conti fatti, di
un esempio agghiacciante di pacifismo sanguinario. Siamo seri, una
volta per tutte, e lasciamo da parte l'antiamericanismo parolaio,
preconcetto e immorale di Chomsky. Chi, come Chomsky, ha prefatto
un libro come quello del neonazista Faurisson, che nega l'esistenza
delle camere a gas e dei forni crematori, sostenendo il buon diritto
di Faurisson di esprimere liberamente le proprie idee, dovrebbe
vergognarsi di parlare e dovrebbe solo dedicarsi esclusivamente agli
studi di linguistica. Viceversa, c'è chi accoglie ancora i
suoi scritti di "analisi politica". È inutile,
in questa sede, sforzarsi di spiegare ai nostri pacifisti le ragioni
della guerra contro Saddam: è un dialogo tra sordi. Né
vale la pena distinguere le varie ragioni del pacifismo che si sono
intrecciate in questi giorni, separando i pacifisti "buoni"
da quelli "cattivi": si fornirebbero soltanto degli alibi.
Chi ha manifestato contro l'intervento alleato nel Golfo ha fatto il
gioco di Saddam: questa è l'unica, incontrovertibile verità.
Il resto sono chiacchiere. Lo stesso Saddam ha ringraziato più
volte i nostri pacifisti, riconoscendo in essi degli utili idioti.
Ma, evidentemente, l'antiamericanismo è così forte,
l'odio per gli Stati Uniti così irrazionale da giustificare
anche l'appoggio ai più sporchi dittatori del Terzo Mondo,
purché debitamente antiamericani. Che pena! Oggi che la fede
nel comunismo è crollata, ci si aggrappa ai miti del
terzomondismo più infantile. Invece di essere
romanticamente contro la guerra, suggerisco di iniziare una campagna
contro la stupidità: sarebbe un'iniziativa più
utile. Ma, dicono alcuni, occorre essere contro tutte le guerre,
battersi per la pace universale, come diceva Kant. Belle frasi!
Di fatto, si è solo contro le guerre "americane" e
si chiude un occhio (anzi, ambedue) di fronte alle violenze
provenienti dai dittatori del terzo Mondo. Evidentemente, le
violenze e le guerre che provengono dal Terzo Mondo hanno una loro
rispettabilità che non è concessa alle guerre
occidentali. Perché non poggiamo i piedi per terra e non
apriamo gli occhi? Le guerre, le violenze sono un dato ineliminabile
nella storia dell'umanità, passata, presente e futura. Spetta
alla politica creare le condizioni della pace e ricrearle quando
queste condizioni vengono meno, in un continuo approccio, parziale,
instabile e sempre provvisorio, non alla pace universale, che non
esiste né esisterà mai, ma agli accordi di pace tra i
contendenti. Questa è la politica, la storia degli uomini. E
quando una delle parti rifiuta l'accordo e insiste nel sopruso, deve
essere riportata alla ragione con la forza. Tutto il resto sono
chiacchiere. Nella storia dell'umanità i pacifisti sono stati
spesso la causa delle più grandi sciagure. Non parliamo poi
dei disarmisti unilaterali! Ma tutte queste sono parole al vento.
Per fortuna, i governi occidentali sono andati avanti sulla
loro strada, lasciando che i pacifisti strepitassero alla luna.
Essi coltivavano il sogno di una sconfitta e di un'umiliazione
americana. Sono rimasti delusi e frustrati; dovranno accontentarsi
di una medaglia di Saddam: una medaglia alla stupidità.Antonio
Donno (Lecce)
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