Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 21 nr. 181
aprile 1991


Rivista Anarchica Online

Questa guerra, secondo me
di AA. VV.

caro Paolo

Caro Paolo ,
penso che siamo venuti su, pressapoco, allo stesso modo. Tu figlio di partigiani socialisti, io di militanti, allora, di Giustizia e Libertà. Con la stessa concezione laica della politica, con gli identici principi ispirati alla tolleranza, al progresso sociale, al libero dibattito delle idee. Poi entrambi abbiamo preso strade diverse da quelle sulle quali ci eravamo incamminati, più radicali e totalizzanti. E questa è ancora la nostra storia.
Penso comunque che sia per te come per me, fin dall'età della ragione, uno dei punti fermi più importanti della nostra formazione sia stata la coscienza che il genocidio del popolo ebraico fosse stato il crimine più grande mai commesso nella storia dell'Umanità.
Penso sia superfluo ricordarci l'un l'altro come abbia influito profondamente, nelle nostre menti, la consapevolezza che quel genocidio avrebbe dovuto rappresentare un punto di non ritorno per il mondo cosiddetto civile, ma anche che tutti i motivi che ne sono stati alla base, che lo hanno permesso, sono purtroppo sempre latenti.
Perché troppi sistemi di potere, bisognosi di consenso, devono periodicamente inventare nuovi, immondi, capri espiatori, inculcando nel fertile terreno dell'emarginazione sociale un odio razziale fatto di ignoranza, di paura, di crudele pregiudizio. E penso di non sbagliare dicendo che, anche se con motivazioni parzialmente differenti, tutti e due riteniamo che il genere umano non finirà mai di pagare il suo immenso debito con il popolo ebraico.
Tutto questo però, a parer mio, non ci deve mai portare a dimenticare, o sottovalutare, anche le gravissime responsabilità dello Stato, e sottolineo Stato, di Israele nell'incancrenirsi della situazione mediorientale. E, di conseguenza, l'inevitabile affermarsi della necessaria solidarietà con un popolo che, da oltre quarant'anni, sta pagando un enorme carico di sofferenze provocate dalla contrapposizione (o coincidenza?) degli interessi delle borghesie arabe, israeliane e occidentali.
Certo, il pacifismo che si incontra sulle piazze troppo spesso ha ben poco a che fare con il coerente e rigoroso antimilitarismo degli anarchici. È un pacifismo dalle mille anime e dalle mille motivazioni, etiche, morali, religiose, politiche e clericali (che vanno puntualmente messe in evidenza e combattute), ciò non di meno è legittima e sincera l'opposizione che larghi strati della popolazione mostrano, con forza, nei confronti di questa, come di tutte le guerre.
Soprattutto perché, nella coscienza di molti, poche guerre come questa sono apparse tanto ingiustificate quanto evitabili. Non credo che si debba essere anarchici, per comprendere in tutta la sua crudezza come la ragion di stato, l'interesse economico, il disprezzo dei diritti umani (in tutti gli angoli del medio-oriente), siano gli unici, esecrabili motivi che ci hanno portato in questa tragica situazione.
E' quindi un grosso errore, soprattutto se da parte anarchica, non denunciare l'ignobile equazione che vorrebbe accostare la sacrosanta opposizione alla guerra a improbabili atteggiamenti filo-iracheni. O, ancora peggio, filo-saddam Hussein. È un gioco pericoloso, che non trova giustificazioni, e che soprattutto non trova nemmeno riscontri nella realtà, a meno che non si vogliano scambiare per realtà le proprie paure. Sono ormai trenta giorni di combattimenti, crudeli e spietati da una parte all'altra, trenta giorni duri e terribili che ci hanno messo tutti a dura prova, ma ancora nessuno ha creduto di dover spendere una sola parola di solidarietà col sanguinario regime di Hussein; piuttosto, per fortuna, sono sempre più le voci che si levano, in tutti i settori sociali, contro quello che si teme debba diventare il massacro generalizzato di tutti i popoli che abitano il medio-oriente. Popoli che hanno la sola colpa di non riuscire a scrollarsi di dosso il giogo dei regimi nati dalle ceneri del precedente "ordine mondiale".
L'anarchismo ha sempre ritenuto fondante la distinzione fra popolo e Stato, e non ha mai accettato il postulato del potere che vorrebbe gli oppressi compartecipi della responsabilità degli oppressori. Ed è per questo che gli anarchici si sono opposti a tutte le guerre fra stati, vedendo in esse solo il cruento tentativo operato dai centri di dominio per ridefinire e razionalizzare le modalità di sfruttamento ed oppressione. E i popoli, tutti i popoli, sono indistintamente le vittime di questo gioco crudele, poiché sono loro ad essere mandati a farsi scannare in nome di falsi principi superiori.
Nessuno Stato è innocente, ognuno porta le proprie responsabilità, ed è di fronte a queste, prima di ogni altra cosa, che noi dobbiamo misurarci ed intervenire. Denunciando, quindi, anche i crimini di una classe dirigente che pretende di difendere il giusto diritto all'esistenza di un popolo martoriato per millenni, martoriando, sfruttando e deportando a sua volta un altro popolo. Facendone così il facile ed esasperato strumento degli interessi economici e politici delle borghesie arabe.
Solo operando in questo senso, solo lottando a fianco dei popoli, di tutti i popoli, e combattendo gli Stati, può trovare un senso il nostro definirci anarchici, può trovare un senso la nostra irriducibile utopia di una società di liberi ed uguali.
Un abbraccio

Massimo Ortalli (Imola)

Caro Massimo

Caro Massimo,
rispondo alla tua bella lettera quando ormai - finalmente - la guerra nel Golfo è finita. Ma non penso che le ragioni di fondo che ti hanno spinto a scriverla - e di cui abbiamo già parlato insieme per telefono - abbiano perso d'attualità né, soprattutto, di valore.
Le tue osservazioni erano state sollecitate dalla lettura di "A" (No alla guerra, a tutti gli imperialismi, al fanatismo religioso e all'antisemitismo, "A" 179, febbraio 1991, primo interno di copertina). Mi hai ulteriormente spiegato a voce che le due tue preoccupazioni principali erano relative:
1) alle dure critiche da noi mosse a tanta parte del movimento pacifista (da noi criticato - tra l'altro - per essersi prontamente mobilitato all' indomani dell'inizio degli attacchi aerei sull'Iraq ma immobili come la Sfinge all'indomani dell'occupazione del Kuwait o dopo il lancio da parte irachena dei primi missili contro le città israeliane);
2) alla non sufficientemente chiara nostra presa di posizione contro lo Stato d'Israele e in solidarietà con il popolo palestinese.
Sul primo punto mi pare siamo stati chiarissimi. Siamo presenti - scrivevamo - e ci sentiamo parte attiva del grande e per tanti aspetti spontaneo movimento per la pace (...) Ciò chiarito, non abbiamo voluto tacere alcune delle ragioni (seppure appena accennate, in un testo di tale forzata brevità) di profondo dissenso con posizioni e opinioni che ampia risonanza hanno avuto in campo pacifista. Il fatto che alcuni di questi nostri rilievi critici fossero utilizzati in quelle settimane anche dal fronte bellicista, dai vari La Malfa, Montanelli, ecc., per screditare il movimento per la pace non mi pare motivo sufficiente per tacere il nostro disagio, a volte davvero acuto, nel ritrovarci fianco a fianco con quei burocrati e burocratelli di una certa sinistra (non solo italiana) "pacifista", "antimperialista" ed ora anche "antimilitarista" ai quali - scrivevamo allora e confermiamo oggi - poco o niente ci accomuna, anche se ci siamo ritrovati insieme sulle strade e nelle piazze, a manifestare ed a vegliare.
E qui si inserisce anche la "questione palestinese". La nostra critica allo stato d'Israele - innanzitutto... in quanto Stato - è implicita nel nostro stesso richiamo all'anarchismo, cioè al socialismo libertario, autogestionario ed antistatale. Così come la solidarietà con tutti coloro - individui, minoranze etniche, popoli, ecc...- che subiscono sulla propria pelle le conseguenze di un'organizzazione sociale e di un ordine mondiale basato sulla violenza e legittimato dagli Stati. Nel nostro editoriale, abbiamo voluto solo evidenziare che la drammatica questione palestinese implica responsabilità sia dello Stato d'Israele sia - non meno grandi - degli stati arabi "fratelli": e lo abbiamo fatto con implicita polemica con quanti addossano solo allo Stato d'Israele (e spesso anche alla sola immigrazione ebraica in Palestina) l'esclusiva responsabilità della diaspora palestinese, dimenticando (in mala fede, per quanto riguarda i succitati burocrati e burocratelli) per esempio che nella sola repressione del Settembre Nero, re Hussein di Giordania - schierato durante la guerra con Saddam Hussein e con Arafat - massacrò molti più palestinesi di quanti ne abbiano assassinati le forze repressive israeliane in tre anni di Intifada.
Nel nostro editoriale, poi, abbiamo voluto denunciare ancora una volta il ruolo dell'OLP, il sostegno alla quale va in genere di pari passo con la solidarietà per la causa palestinese. Per noi le due cose erano e rimangono ben distinte, ed anche su questo terreno la nostra posizione è assolutamente minoritaria nell'ambito del movimento per la pace.
Sulla parte finale della tua lettera, naturalmente, sono d'accordo. E nelle tue enunciazioni di carattere generale, "programmatico", ritrovo le ragioni del nostro comune definirci anarchici e soprattutto dell'impegno quotidiano che ci affratella - nel vero e pieno senso della parola.
Ricambio l'abbraccio e lo estendo a Cristina, senza il cui pungolo - ho appreso - la tua lettera forse non sarebbe stata spedita per la pubblicazione.
Un abbraccio fraterno.

Paolo Finzi (Milano)

Il problema è più complesso

(una risposta ad Arturo Schwarz - Due domande ai pacifisti, "A" 180, pag32/33 - e non solo).

Con te condivido una cosa importante, siamo tra i pochi compagni che parlando di solidarietà al popolo palestinese marchiamo un dato fondamentale per la soluzione del problema: il diritto di Israel ad esistere pienamente.
Il problema viene rimandato, posticipato, ma prima o poi scoppia e deve essere risolto con una soluzione politica e di dialogo e di uguaglianza. Non c'è un'altra soluzione e proprio per questo la guerra è stata inutile, non ha affrontato neppure uno dei problemi del Medio Oriente anzi li ha aggravati: in alternativa a Saddam monta il fondamentalismo islamico, il governo Shamir dichiara i Territori parte essenziale di Israel, non riconosce il valore di una Conferenza Internazionale e solo 8 paesi arabi sono disponibili a parlare, anche a nome dei palestinesi i quali ora hanno ancor meno credibilità per una trattativa, senza parlare dell'OLP.
Che vale quello che si è fatto?
Oppure la nostra impotenza, la nostra fioca voce contro il fascismo e la dittatura di un Saddam Hussein ha trovato "necessariamente" uno sfogo nell'intervento militare? Diciamocelo, anche tu Tiziana, ci siamo accorti della nostra pochezza, che la nostra verità è utopica e quindi non incisiva, neppure pericolosa, anzi convivente... allora? Allora se un cane mi azzanna io spero tantissimo che da lì passi un poliziotto che lo uccida affinché io mi senta più sicuro.
Questa è la logica a cui porta la guerra!
In qualche modo, in un modo che si pensa comunque radicale un problema grave, un pericolo, viene affrontato... visto che altri mezzi non abbiamo. Se ci pensa un altro, foss'anche lo Stato foss'anche l'Esercito, tanto meglio, o comunque meno peggio che la nostra inanità. E noi? E io? Diventa vero che l'io perde di valore, un Uomo è solo un dato statistico e che 167 morti pesano meno che 10.000, quando la mia cultura mi dice che anche uno solo, un solo essere ucciso in guerra vale già di per sé ed è già per me un Valore Assoluto, o c'è qualcosa che vale di più?
Vivendo in campagna conosco il problema dei cani randagi, pericolosi perché non sai cosa hanno, possono azzannare per paura prima che per malattia e non ho scrupoli ad usare un bastone. Ma lo uso io, in prima persona ed uccido io quel nemico lì, non un altro, non un cucciolo, e se posso non lo uccido neppure, lo allontano soltanto o meglio tendo a fargli capire che non sono un nemico. Non delego l'ENPA e non chiamo la stazione dei carabinieri.
Il problema è più complesso e penso che la domanda, Arturo, sia fondamentalmente questa: dove eravamo il 12 agosto del '90 e cosa avremmo fatto contro Hitler? Sì, noi pacifisti, io nonviolento. Il 2 agosto dell'anno scorso è successo ciò che nell'arco di un anno avviene decine di volte nel mondo e per quelle decine di "violazioni del diritto internazionale" la nostra voce, la voce di Amnesty International, la voce di cristiani di base, di missionari, di cooperatori in servizio civile, di enti di solidarietà, grida, urla, denuncia, informa, ma non ha potere. Abbiamo ragione perché sappiamo che abbiamo denunciato, ma non siamo stati ascoltati e quindi la "guerra è inevitabile".
Oltre alle denunce, però, Arturo, Tiziana e non solo, oltre alle denunce si sta facendo strada un'altra logica d'intervento che parla di un altro sviluppo, un'altra qualità della vita e proprio dalle pagine di "A" Rivista, come di AAM Terra nuova e di altri, si parla di un'altra economia dove artigianato e campagna siano alternativa all'industria, dove lo scambio Nord-Sud sia più diretto ed egualitario, dove la disobbedienza attraversi il mercato come il servizio di leva, e la cooperazione, perfino bancaria - vedi il MAG - sia parallela a questa economia.
Lo so che fin quando giustifichiamo e non ci rendiamo operativi verso questo tipo di vita, la "guerra è inevitabile", ed allora la guerra insegna che il male va preso alla radice. Se l'Anarchismo è solo Negazione, è solo SignorNò, hai ragione tu Tiziana, non siamo pericolosi perché non siamo propositivi, ma proprio qui sta il cambiamento che in questi tempi sta avvenendo nel movimento anarchico, vedi il dibattito in "A" rivista, ma vedi anche l'ultimo congresso FAI e le lotte unitarie che anarchici hanno saputo condividere con non-anarchici, trovando "necessariamente" bisogni simili e non solo di fronte alla guerra.
Cosa avremmo fatto contro Hitler?
Non avremmo taciuto sull'accentramento dei poteri, avremmo fatto parte della Resistenza Interna che è stata lasciata marcire proprio in nome della Guerra degli Stati: parlo della resistenza del ghetto di Varsavia, della resistenza polacca, persino della Rosa Bianca, la guerra degli stati non vuole la lotta e l'iniziativa popolare e territoriale. La stessa Resistenza Italiana ha dovuto rinunciare al patrimonio di autogoverno, di federalismo, di democrazia diretta e di partecipazione sociale, per fondare uno Stato come lo volevano gli Alleati anglo-americani, i nuovi padroni. Anche lì gli anarchici, come ogni partigiano sincero, ogni uomo di coscienza (penso a Parri, Salvemini, Lussu...) sono stati vinti, ma questo può giustificare il "meno peggio necessario"?
Saddam, come Hitler, sono figli logici di questo Occidente, di questo Nord.
O è un motivo per lavorare tra noi, dirci meglio cosa fare, unirci di più a chi pensa sia possibile costruire altro e reagire con un senso egualitario, naturale, più responsabile, più libero; ed esistono e dobbiamo riconoscere volentieri - e con senso di ricchezza- che non siamo solo noi anarchici a comportarci e proporre libertà.
La guerra, per lo meno, è stata inutile e non per scelta ideologica lo dico ma per un motivo concreto, reale: per affrontare il problema Medio Oriente stanno tutti correndo a riunire i protagonisti in una Conferenza Internazionale, riconoscendo ora che si è perso tempo prima. A questa, ora, è demandata la soluzione del Medio Oriente, ma ora i problemi scoppiano e alla guerra segue la vendetta; quello che poteva essere risolto con la Conferenza Internazionale prima, si riconosce solo ora. E a tutto questo non c'è giustificazione .
Se mi puzza sentirmi accusato di essere allo stesso fianco del papa o di Formigoni, posso rispondere di sentir la puzza di giustificazione d'intervento tipica di Giuliano Ferrara. Ma sappiamo perfettamente che tu non sei lui e io non sono quelli, che proponendoci per quello che siamo le diversità escono naturalmente fuori, soprattutto tra gente comune e onorevoli Formigoni, tra cristiani di base-obiettori militanti e Pontefice dei cappellani Militari. Da anarchico mi sento bene coi primi, coi secondi non ci sentiamo bene tutti, cristiani compresi.

Antonio Lombardo (Lequio Berria)

Saddam anti-imperialista?

Cari Compagni,
quante picconate all'indietro - scusate il linguaggio, come al solito demenziale - demente, che da qualche tempo almeno, adopero.
Mi riferisco all'interno di copertina di "A" di febbraio. Sono di quelli, forse oramai unico nel movimento libertario, che "continuano ad inneggiare ad Arafat" - ho persino la medaglietta dell'OLP etc.; perché? Per tradizione, forse ma anche per convinzione, ed è quella che tutto un popolo, quello palestinese, soffre da anni (dal '46, almeno; stando alla storia) le angherie del potere sionista, appoggiato dalla plutocrazia imperialista USA; già Ben Gurion, "mitico" fondatore di Israele, in realtà bombarolo - con altri "patres patriae" dello stato più arrogante e sciovinista del Medio Oriente - negli alberghi inglesi e non, diceva che "Israele si estende fin dove può arrivare l'orma del piede di un soldato israeliano" (cito a memoria, ma sono sicuro della citazione) e... immaginatevi un po'.
Non vedo perché "A" debba farsi paladina di uno stato che "progressista" non lo è mai stato, neanche coi "beneamati" (non da me) laburisti, che ora indulge al fondamentalismo religioso, oltre a tutto con una religione che, almeno in parte (Antico Testamento rigorosamente inteso, profeti parzialmente esclusi però), conferma quanto ne diceva Hegel "religione del verme", dell'asservimento dell'uomo ad un Dio totalmente estraneo, totalmente mancante della speranza cristiana dei Vangeli, se si eccettuano certi testi più che stimabili, messi in luce da Ernst Bloch (Ateismo nel cristianesimo) e da Martin Buber - oggi ridotta a banale instrumentum regni di rabbini e politicanti fanatici. Chi dimostra ciò che la redazione di "A" afferma sui presunti coloni che "strozzerebbero" etc. nel Kuwait?
Hussein, Saddam H., voglio dire, non sarà un liberatore, ma è bene o male, volente o nolente, parte di uno schieramento anti-imperialista. Mi assumo la responsabilità di quanto dico, forse condizionato dal leniniano "La libertà ai popoli!" (senza essere io leninista, peraltro, almeno non più consapevolmente) , ma vorrei che questo scritto fosse pubblicato, come viene pubblicata la furia iconoclasta di Papi (in parte condivisibile e condivisa, peraltro) o altre posizioni ben diverse.
Cari saluti, ma...

Eugen Galasso (Bolzano)

Non solo per il petrolio

E' solo grazie all'accettazione acritica dell'impostazione spettacolare che è stata data da governanti e media alla questione del Golfo che, a mio parere, è possibile sostenere posizioni del tipo di quella sostenuta da Arturo Schwarz nel suo intervento sul numero 180 della rivista.
Quanto egli vi afferma si basa su di una visione che, come quella che è stata diffusa dai mass media a livello mondiale, astrae completamente da quella che è la complessità della realtà e soprattutto dalla sua collocazione in una cornice storica. Si ricorre a concetti tanto altisonanti quanto vaghi (legittima difesa, diritto, addirittura il Male con la "m" maiuscola) che impediscono di impegnarsi in un'analisi che dovrebbe essere ben più approfondita. La roboante frase di Elie Wiesel è più che tipica di questo atteggiamento: Saddam Hussein sarà anche il Male, ma perché non chiedersi da dove viene questo male, come mai non è stato fermato prima, aspettando invece il momento in cui reagire avrebbe pagato da un punto di vista della politica di potenza di alcuni Paesi?
Non bisogna dimenticare che prima di invadere il Kuwait, Saddam Hussein aveva già da lungo tempo espresso le proprie mire territoriali, c'erano stati dei negoziati che poi sono falliti e durante tutto questo tempo le diplomazie di Paesi che non mancano mai di intervenire, quasi sempre inopportunamente, nelle faccende altrui, si sono ben guardate dal muoversi, gli USA sono perfino arrivati a dichiarare, per bocca della propria ambasciatrice in Kuwait, che in caso di un'azione militare da parte dell'Iraq contro il Kuwait (che quindi veniva già presa in considerazione) si sarebbero astenuti dall'intervenire. Con il Male non bisogna allearsi, dice Elie Wiesel, ma allora che diritti può vantare una coalizione che, oltre ad avere al suo interno un Assad e oltre a godere dell'appoggio esterno di un Paese come l'URSS, ha alla sua testa gli Stati Uniti guidati da un'amministrazione il cui principale esponente, Bush, è stato capo della CIA a metà anni '70 (sostegno alle dittature sudamericane, della Corea del Sud, delle Filippine, sostegno finanziario e politico allo Scia di Persia, addirittura ai Ceausescu fino alla metà degli anni '80 - tutte cose senza importanza?), è stato vicepresidente con Reagan (tra l'altro: sostegno ai contras tramite la vendita di armi al "Male" allora di turno: l'Iran, complice il governo d'Israele) e ha gestito in prima persona l'invasione di Panama (violazione delle più elementari norme del diritto internazionale con uccisione di alcune centinaia di panamensi, aggravata dal fatto che è stata compiuta per sottrarre alla giustizia del Paese invaso un proprio ex-agente, che difatti non è stato processato. Le truppe americane che si dovevano ritirare immediatamente dopo l'"operazione" si trovano oggi ancora lì). Se gli Stati Uniti si sono limitati ad una sola invasione (che d'altra parte è già di per se stessa sufficiente) è anche perché grazie alla loro posizione di superpotenza hanno potuto far ricorso ad altri, non meno efficaci sanguinari, metodi.
Alla luce di quanto sopra, mi sembra inopinato citare Bobbio quando dice che, "quando la violazione del diritto internazionale è avvenuta con la forza è legittimo ripararla con la forza", perché se così bisognerebbe bombardare, oltre a Baghdad, decine di altre capitali, ma non si troverebbe allo stesso tempo nessuno sufficientemente innocente da potere vantare il diritto di farlo. In questo contesto risulta chiaro che i richiami retorici a Monaco o il paragone Saddam - Hitler (Saddam non è Hitler, è Saddam e mi pare che basti e avanzi) sono assolutamente fuori luogo e vengono fatti proprio per distogliere l'attenzione dai problemi reali, riducendo tutto ad elementi spettacolari. Quanto alla domanda di Wiesel sul perché non si è fatto niente contro Saddam prima, mi chiedo come, ponendosi questa domanda, possa poi sostenere senza esitazioni coloro i quali intervengono solo ora e mi domando allo stesso tempo se ha riflettuto sul fatto che nessuno dei governi alleati contro Saddam ha fatto veramente ammenda, se si eccettuano formulazioni molto generiche, e tanto meno ha espresso la volontà di non ripetere l'errore in futuro (anzi, ci si allea già con il siriano Assad).
Trovo estremamente grave la posizione di Wiesel e, come lui, di centinaia di altri intellettuali (anche di quelli un tempo più coraggiosi, come Wolf Biermann, o come Vaclav Havel che, come presidente della Cecoslovacchia ha persino mandato un contingente militare nel Golfo) perché si basa sulla voluta ignoranza di fatti da tutti conosciuti e perché, proprio per il fatto di appellarsi ipocritamente a valori importanti come giustizia, convivenza e libertà, tende a screditarli ancora di più di quanto già non lo siano.
Mi sono dilungato su questi particolari perché mi sembra si tratti di cose fondamentali che francamente non riesco a capire come possano essere così spesso saltate a pie' pari.
Vorrei fare un'altra osservazione. Pur riconoscendomi in pieno nell'atteggiamento di presa di distanza dalle manifestazioni di pacifismo unilaterale alle quali abbiamo assistito in occasione della guerra e pur ritenendo che una vera presa di posizione contro la guerra debba essere basata innanzitutto sul rifiuto delle logiche di violenza da qualsiasi parte esse vengano, non mi riconosco però in un atteggiamento che si limiti alla pura condanna morale di tutte le parti in causa. Trovo che questa debba solo essere la partenza e che, se è giusto da un lato sottrarsi alla richiesta di schierarci da una parte o dall'altra che in questi casi giunge un po' da tutti i contendenti, non bisogna però limitarsi a questo, rinunciando preventivamente a fare delle analisi più approfondite, che è poi l'unico modo per poter poi veramente comunicare e discutere con gli altri.
In questo caso, per esempio, accanto alla condanna morale delle varie parti in causa, aggiungerei la distinzione tra la portata mondiale dei fini della politica di potenza occidentale e quella regionale del regime iracheno, inserirei la scelta dell'intervento militare nel contesto di una situazione post-guerra fredda, nella quale i Paesi ultra-ricchi e ultra-armati dell'occidente faticano sempre più a muoversi in maniera razionale e ad affrontare la realtà esterna, mentre dall'altra parte sottolineerei la situazione esplosiva di un mondo (come quello islamico) che fatica a trovare una propria strada, cercando troppo spesso una soluzione in personaggi come Hussein o Komeini.
Non mi limiterei a dire che la guerra è stata fatta per il petrolio (che senz'altro è uno dei motivi), visto che in tal caso sarebbe tutto sommato bastata una pace ben concordata, ritengo invece che per tutte e due le parti in guerra si sia trattato di una guerra a tinte fortemente ideologiche e motivata inoltre da questioni interne, nonché dal desiderio di dare un giro di vite ad una situazione mondiale che rischiava di diventare troppo aperta e comportare quindi dei rischi per molte strutture di potere. Queste le mie opinioni, ovviamente discutibili.

Andrea Ferrario (Milano)

La rivoluzione disarmista

"Le guerre hanno i pretesti più vari, ma sempre la medesima causa: l'esistenza delle forze armate. Eliminate le forze armate, e avrete eliminato la guerra".
Victor Hugo

Non ci sono né guerre giuste né guerre sante. La guerra è l'invenzione di una minoranza ricca contro la maggioranza povera dell'umanità.
La guerra serve ai mercanti di armi, ai predatori del sottosviluppo, ai terroristi della Borsa per perpetuare il saccheggio del Terzo e Quarto mondo.
Banche, multinazionali, governi, partiti, eserciti, economie, mass-media... sono il grande affare e il grande crimine della guerra giustificata.
La guerra del golfo Persico è la guerra del petrolio. La guerra tra un dittatore (Hussein) e un guerrafondaio (Bush).
Gli Stati Uniti hanno perso ormai la battaglia telematica con il Giappone e quella economica con la Germania; non vogliono perdere anche il predominio del petrolio (dei prossimi 200 anni) con il mondo arabo.
La guerra del golfo è la guerra dell'America che cerca di cancellare i diritti di autodeterminazione dei palestinesi sulle ceneri degli iracheni.
Solo risolvendo il problema Palestina/Israele (due popoli, due Paesi...) si potrà fermare l'Intifada (La guerra dei sassi) e potranno essere sopite le turbolenze dell'intero Medio Oriente.
La società occidentale continua ad essere una società militarista. Uno Stato-Caserma dove la burocrazia e la gerarchia di pochi gestiscono il consenso mercantile.
Occorre passare dal pacifismo generico all'azione nonviolenta.
Allargare la non-collaborazione, la disobbedienza civile, l'obiezione fiscale, la delegittimazione della parola... opporre una cultura di pace alla cultura di guerra che è alla base della pedagogia occidentale... sabotare con ogni mezzo, strumento e tecniche della nonviolenza il cuore informativo del sistema.
Disertare dunque dai bagni di sangue della civiltà dello spettacolo.
Perché o l'umanità distruggerà gli armamenti o gli armamenti distruggeranno l'umanità (Albert Einstein - Bertrand Russell).
La rivoluzione disarmista auspicata dai libertari di ogni parte della terra... è l'atto più rivoluzionario della storia dell'uomo... il cominciamento radicale di una rivoluzione profondamente anarchica. Abolire lo Stato vuol dire abolire la guerra.
Il comunismo è finito nel letame della storia. I crimini di Lenin, Stalin, Togliatti... sono ormai negli occhi di tutti.. mai più di oggi si è visto che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi (Clausewitz). Disobbedire alla guerra significa rivoltarsi contro l'ingiustizia. Contrapporsi all'oppressione. Una rivoluzione in permanenza contro tutto quanto costringe un uomo a sparare a un altro uomo.
Una razza di demoni si è arrogata il diritto di rappresentare l'umanità con la lingua del cannone. Ha giustificato l'ingiustificabile con la ragione del più armato. Ma è preferibile morire da uomo libero che farsi boia di una minoranza di assassini che hanno legalizzato il genocidio .
Il divenire della libertà si può sviluppare soltanto nella confederazione delle idee, nell'associazionismo, nella crescita proporzionale dell'uguaglianza delle condizioni nella diversità sociale. Conquistare il diritto ad avere diritti (Hannah Arendt).
Il disarmo unilaterale deve costruire il centro di ogni attività della nonviolenza. Azione diretta contro gli armamenti e le leggi che sostengono questo terrorismo di Stato, significa dare inizio alla non collaborazione, alla diserzione, al rifiuto di onorare una sola bandiera: quella della guerra. L'umanità è parte di me .
Ed io mi rifiuto di servire qualsiasi divisa. Perché anche in tempo di pace l'esercito è una macchina da guerra che si prepara alla distruzione.
La resistenza nonviolenta contro i becchini dell'umanità è la rivolta in permanenza che dobbiamo attuare contro la violenza dello Stato.
Sabotare, boicottare, disertare... fare della parola un'arma che disvela gli orrori della guerra e orienta le coscienze delle giovani generazioni verso la fraternità, la solidarietà e il mutuo appoggio.
Così una piccola vittima della seconda guerra mondiale, Anna Frank ha scritto nel suo diario:
"Non credo affatto che la guerra sia soltanto colpa dei grandi uomini, dei governanti e dei capitalisti. No, la piccola gente la fa altrettanto volentieri, altrimenti i popoli si sarebbero rivoltati da tempo. C'è negli uomini un impulso alla distruzione, e fino a quando tutta l'umanità, senza eccezioni, non avrà subito una grande metamorfosi, la guerra imperverserà: tutto ciò che è stato ricostruito o coltivato sarà distrutto e rovinato di nuovo; e l'umanità dovrà ricominciare da capo".
Gli equilibri del terrore sono parte del gioco della guerra. La storia dell'umanità non può continuare ad essere storia di massacri.
Da molte parti, larghi pezzi di popolo lanciano segnali di risveglio della coscienza rivoluzionaria, quella disarmista, che muovendo dalla critica radicale della società, alla disaffezione alla partitocrazia... figurano altri scenari dell'immaginario collettivo.
L'uomo davvero nuovo sarà quello che avrà la capacità di trasformare la società e realizzare un quotidiano senza catene.
Nessuna società può durare a lungo con il terrore, perché il terrore è la scuola dei tiranni. E i tiranni non sono mai piaciuti nemmeno ai bambini che tenevano in braccio per bassa propaganda e sono finiti a piangere nel sangue che loro stessi avevano provocato.
La rivoluzione disarmista è dire la verità contro la menzogna. Fare della pace il centro di ogni attività comunitaria.
Sostituire la società militarista con la società umana.
E una via per salvare l'umanità dalla barbarie, può essere il passaggio dalla democrazia dell'apparenza a quella stagione dell'amore dell'uomo per l'uomo che si chiama Utopia concreta o Anarchia.

Pino Bertelli (Piombino)

Anarchici doc?

Cari amici di "A",
mi ha sorpreso - molto sgradevolmente - il tono ricattatorio del comunicato stampa della F.A.I. a proposito di Ugo Mazzucchelli: mi ha ricordato quello delle esclusioni staliniste.
Dunque, quando un vecchio compagno anarchico esprime un punto di vista non gradito alla F.A.I. diventa un rinnegato rimbambito: la precisazione razzista "ultraottantenne" porta a questa deduzione. Se invece il suo parere fosse stato "ortodosso" la qualifica di ultraottantenne avrebbe cambiato segno diventando da negativo a positivo, l'età da vizio diventa virtù?
Spiace che "A" dichiari di condividere "nella sostanza" questo comunicato - per fortuna queste due parole, "nella sostanza" fanno intuire, spero, una divergenza almeno nella forma. L'anarchia non è forse una corrente di pensiero, una filosofia e una regola di vita, un sistema per pensare e trasformare l'uomo e il mondo? Credevo che il modo di essere anarchico scaturisse da una duplice negazione e da un'affermazione: il rifiuto di ogni autoritarismo e di ogni sopraffazione, l'esigenza di basare i rapporti umani sulla collaborazione anziché sulla competizione selvaggia. Esistono invece chiese e gruppi abilitati a distribuire patenti di "anarchico doc" o/e di anarchico rimbambito o rinnegato.
Forse che l'intera redazione di "A", la compagna Tiziana Ferrero, io stesso, non siamo anarchici perché, come Mazzucchelli, non siamo nella F.A.I.?
Un appunto riguarda il numero di "A" 180. Vi ho cercato invano la risposta alle mie domande o a quelle di Tiziana Ferrero, o anche solamente un'analisi seria delle cause e conseguenze del conflitto del Golfo. Senza voler sminuire l'interesse dei contributi di Maria Teresa Romiti, di Andrea Papi, di Carlo Oliva o di Noam Chomsky, bisogna dire che gli stessi sono troppi ovvi, generici e poco pertinenti. Non sarebbe ora di aggiornare i nostri ragionamenti? Di avere il coraggio di affrontare concretamente le situazioni nelle quali la vita - di una folle complessità - ci mette? Forse è venuto il momento di smettere di riesumare testi (anche nel numero in questione di L.M. Vega e Berneri) che, pur essendo giusti e belli, hanno poco da vedere con l'argomento concreto ivi trattato. Forse è necessario indagare con le nostre menti i problemi della società nella quale viviamo, nel tentativo di trovare le risposte ai terribili interrogativi che questa ci pone. Siamo all'alba del terzo millennio, cerchiamo di non dimenticarlo, e anziché rifugiarsi all'ombra delle antiche o recenti sacre parole, abbiamo l'audacia di inventare quelle che lo diventeranno.
Un fraterno saluto anarchico dal vostro

Arturo Schwarz (Milano)


Schwarz ha intuito giusto: il nostro sottoscrivere nella sostanza il comunicato della Commissione di corrispondenza della FAI evidenziava un dissenso sulla forma e proprio relativamente alla qualifica di Ugo Mazzucchelli come "ultraottantenne". Nel contesto in cui era posta, questa specificazione dell'età suonava a dir poco sgradevole alla nostra sensibilità. Per il resto, però, Schwarz non ci convince. Il comunicato della Cdc della FAI - la quale potrà, se vorrà, meglio precisare il proprio pensiero - prendeva atto del fatto che Mazzucchelli, da tempo, è estraneo alla FAI, per sua stessa dichiarazione. E questo è un dato di fatto incontestabile, che non ha il sapore della scomunica e rispetto al quale ci pare fuori misura evocare i fantasmi dello stalinismo. Per quanto riguarda il parere di Schwarz sullo scorso numero della rivista, ne prendiamo atto. Ma non possiamo nascondere la nostra perplessità di fronte ad un invito ad aggiornare i nostri ragionamenti, quando il dato centrale di questo aggiornamento sembra consistere nell'abbandono dell'antibellicismo, che per noi è una scelta etica irrinunciabile.

Sarebbe un grave errore

Nessun essere ragionevole può volere la guerra, tuttavia credo abbia ragione il compagno Schwarz nel sostenere che il vero pacifismo non consista nel non rispondere mai ad una aggressione. I nostri pacifisti assoluti sembrano ignorare la storia, la giustizia, il diritto internazionale. I fautori alla pace ad ogni costo, nel 1938 consentirono ad Hitler di occupare, dopo l'Austria e la Cecoslovacchia, anche la Polonia. E tutti sappiamo quale prezzo è stato pagato dall'umanità per quella manifestazione di arrendevolezza.
L'attuale movimento pacifista avrebbe dovuto per prima cosa condannare le pretese espansionistiche ed aggressive di Saddam Hussein. E' stato il Rais di Baghdad a portare la crisi del Golfo in un vicolo senza uscita. Solo la sua ostinatezza nel difendere l'invasione del Kuwait e la sua politica di destabilizzazione regionale, il cui unico scopo era il rafforzamento dell'Iraq all'interno del mondo arabo, hanno reso difficile una soluzione di compromesso. Ancora una volta abbiamo invece assistito ad un pacifismo a senso unico, che altro non è se non antiamericanismo esportato dall'Unione Sovietica nel mondo intero negli anni della guerra fredda.
La condanna rituale della politica americana è parte integrante non solo del bagaglio ideologico delle vecchie generazioni comuniste ma soprattutto dei giovani della nuova sinistra che hanno progressivamente identificato le istanze antimperialiste ed anticapitalistiche nelle rivoluzioni del Terzo mondo anche se sono immancabilmente sfociate in regimi autoritari o dittatoriali. Ma le nuove leve del marxismo, nel loro schematico modo di pensare, sono pronte ad accettare di buon grado qualsiasi regime, anche il più brutale e disumano purché antioccidentale ed antiamericano.
I motivi ideologici ispiratori di questi settori sociali e politici tradizionalmente antioccidentali rimangono una serie di luoghi comuni che hanno però il difetto di non essere provati o di essere difficilissimi da provare. Inoltre i nostri pacifisti resterebbero molto sorpresi se scoprissero che buona parte del loro armamentario ideologico (l'opposizione fra nazioni ricche e nazioni proletarie) si deve in particolare al fascismo e al II congresso dell'Internazionale comunista tenutosi nel 1920. Fu in quell'occasione che per la prima volta i dirigenti bolscevichi individuarono nei Paesi coloniali il proprio naturale alleato nel conflitto con l'Occidente capitalistico. L'accordo stipulato nel 192l da Lenin con la Turchia di Mustafa Kemal rientrava in questa logica della lotta antimperialista. Anche allora nessuno si domandò per quale motivo il governo sovietico aiuta un movimento nazionalista borghese che se da un lato si scontrava con le potenze imperialiste dall'altro assassinava i comunisti e reprimeva brutalmente il movimento contadino che lottava per la riforma agraria. Gli interessi della rivoluzione mondiale si identificavano già con la sicurezza dello stato sovietico, e pertanto gli interessi dei movimenti rivoluzionari in ogni Paese venivano subordinati alla ragione di stato sovietica.
Con lo stalinismo e con la guerra fredda questa subordinazione si accentuava e si saldava con le scelte che alla fine degli anni '60 compivano i movimenti studenteschi dell'Occidente. Per opporsi alle sinistre ufficiali e definire la propria identità consistenti settori giovanili sceglievano referenti terzomondisti: la rivoluzione culturale cinese, i vietcong, Cuba ecc. Contemporaneamente nelle aree extra-occidentali scaricare sull'imperialismo, e dunque all'esterno, la responsabilità del sottosviluppo è stato, ad un tempo, un comodo sistema per non fare i conti con i nodi politici ed economici interni e anche un modo di assolvere l'operato di governi corrotti e inefficienti. Anche dietro le vaste simpatie della nostra sinistra per la causa palestinese c'è la circostanza, oltre ad una buona dose di tradizionale antisemitismo, che Israele è uno stato, per molti aspetti, occidentale. Per di più Israele è il principale alleato degli Stati Uniti nel Medio Oriente, per cui l'appoggio va dato comunque al mondo arabo che lotta contro gli U.S.A., lo stato ebraico e il sionismo.
Poco importa che questo mondo arabo sia rappresentato da regimi dittatoriali e sanguinari. Questi sono dettagli ininfluenti, tutto è giustificato dai fini superiori della lotta anticapitalista e antimperialista. Questi i motivi che rendono così poco sincere e apprezzabili certe mobilitazioni dietro alle quali si intravede più il rifiuto della civiltà occidentale che non una reale preoccupazione per i diritti dei popoli. (Tra l'altro anche questo atteggiamento di rifiuto della propria cultura è a sua volta, lo si voglia o no, un fenomeno culturale ben definito, è un atto tipicamente occidentale). Ma è su questo terreno che il pacifismo di matrice comunista si incontra con la cultura cattolico-populista di Comunione e Liberazione e di settori consistenti della Chiesa da sempre avversari dei principi di libertà, uguaglianza,democrazia affermati dall'Illuminismo e dalla Rivoluzione francese (di cui anche il socialismo e l'anarchismo sono figli). Sempre più marcatamente cattolico-comunista il pacifismo è diventato religione, strumento per la riconquista cattolica dello stato e della società civile.
I rivoluzionari del passato non furono mai pacifisti nel senso sentimentale, tolstoiano della parola, e pur rifiutandosi di sposare la causa dell'una o dell'altra parte si guardavano bene dall'assumere atteggiamenti di neutralità passiva e seppero di volta in volta distinguere a quale parte fosse meglio augurare la vittoria. Per amore della pace non si sono mai astenuti dall'attaccare i regimi dittatoriali, di sostenere i boicottaggi a loro riguardo, di denunciare i loro crimini e le loro dottrine infami. L'amore della pace non ha impedito loro di difendere e di combattere per la pace stessa e per le nostre idee. Ma sapevano distinguere tra democrazia, anche se borghese, e dispotismo.
Sarebbe un grave errore dimenticare che non esisterà stabilità nel mondo fino a quando i valori di libertà e democrazia resteranno una eccezione isolata, limitata a ristrette aree geografiche. Solo la fine dei dispotismi di qualsiasi colore e natura è l'indispensabile precondizione per l'inizio di una lunga stagione di pace.

Furio Biagini (Pistoia)

Una medaglia alla stupidità

Cari amici,
ho letto con interesse il n. 180 di "A", interamente dedicato alla guerra del Golfo. Dico subito che l'unico pezzo che condivido è quello di Arturo Schwarz, per l'unica, buona ragione che Schwarz ha la testa sulle spalle. Tutti gli altri sono degli inguaribili romantici, sprofondati nel sonno letargico delle utopie della pace universale e della fratellanza umana. A costoro conviene suggerire un saggio di Isahiah Berlin ("Lettera internazionale", n.16) che dimostra come tutte le utopie abbiano soltanto comportato sacrifici inenarrabili agli uomini e troppo spesso milioni di morti. Nel nostro caso, detto fuori dai denti, il pacifismo piazzaiolo di queste ultime settimane avrebbe solo provocato il seguente risultato: annessione del Kuwait, eliminazione di centinaia di migliaia di kuwaitiani, distruzione di un intero paese, rafforzamento del regime di Saddam, esaltazione fanatica del mondo arabo dietro le bandiere irachene, e, in prospettiva, una guerra di sterminio contro Israele. Bel risultato per il nostro pacifismo!
Si sarebbe trattato, a conti fatti, di un esempio agghiacciante di pacifismo sanguinario. Siamo seri, una volta per tutte, e lasciamo da parte l'antiamericanismo parolaio, preconcetto e immorale di Chomsky. Chi, come Chomsky, ha prefatto un libro come quello del neonazista Faurisson, che nega l'esistenza delle camere a gas e dei forni crematori, sostenendo il buon diritto di Faurisson di esprimere liberamente le proprie idee, dovrebbe vergognarsi di parlare e dovrebbe solo dedicarsi esclusivamente agli studi di linguistica. Viceversa, c'è chi accoglie ancora i suoi scritti di "analisi politica".
È inutile, in questa sede, sforzarsi di spiegare ai nostri pacifisti le ragioni della guerra contro Saddam: è un dialogo tra sordi. Né vale la pena distinguere le varie ragioni del pacifismo che si sono intrecciate in questi giorni, separando i pacifisti "buoni" da quelli "cattivi": si fornirebbero soltanto degli alibi. Chi ha manifestato contro l'intervento alleato nel Golfo ha fatto il gioco di Saddam: questa è l'unica, incontrovertibile verità. Il resto sono chiacchiere. Lo stesso Saddam ha ringraziato più volte i nostri pacifisti, riconoscendo in essi degli utili idioti. Ma, evidentemente, l'antiamericanismo è così forte, l'odio per gli Stati Uniti così irrazionale da giustificare anche l'appoggio ai più sporchi dittatori del Terzo Mondo, purché debitamente antiamericani. Che pena! Oggi che la fede nel comunismo è crollata, ci si aggrappa ai miti del terzomondismo più infantile. Invece di essere romanticamente contro la guerra, suggerisco di iniziare una campagna contro la stupidità: sarebbe un'iniziativa più utile.
Ma, dicono alcuni, occorre essere contro tutte le guerre, battersi per la pace universale, come diceva Kant. Belle frasi! Di fatto, si è solo contro le guerre "americane" e si chiude un occhio (anzi, ambedue) di fronte alle violenze provenienti dai dittatori del terzo Mondo. Evidentemente, le violenze e le guerre che provengono dal Terzo Mondo hanno una loro rispettabilità che non è concessa alle guerre occidentali. Perché non poggiamo i piedi per terra e non apriamo gli occhi? Le guerre, le violenze sono un dato ineliminabile nella storia dell'umanità, passata, presente e futura. Spetta alla politica creare le condizioni della pace e ricrearle quando queste condizioni vengono meno, in un continuo approccio, parziale, instabile e sempre provvisorio, non alla pace universale, che non esiste né esisterà mai, ma agli accordi di pace tra i contendenti. Questa è la politica, la storia degli uomini. E quando una delle parti rifiuta l'accordo e insiste nel sopruso, deve essere riportata alla ragione con la forza. Tutto il resto sono chiacchiere. Nella storia dell'umanità i pacifisti sono stati spesso la causa delle più grandi sciagure. Non parliamo poi dei disarmisti unilaterali!
Ma tutte queste sono parole al vento. Per fortuna, i governi occidentali sono andati avanti sulla loro strada, lasciando che i pacifisti strepitassero alla luna. Essi coltivavano il sogno di una sconfitta e di un'umiliazione americana. Sono rimasti delusi e frustrati; dovranno accontentarsi di una medaglia di Saddam: una medaglia alla stupidità.

Antonio Donno (Lecce)