Rivista Anarchica Online
Swing e barricate
di Cristina Valenti
Sarafina!, il musical
anti-apartheid dei ragazzi di Soweto, che è arrivato in Italia
per un brevissimo tour alla fine dello scorso novembre, avrebbe
meritato un'ospitalità più allargata e una risonanza
maggiore. Viceversa è passato come una meteora, e senza
neppure illuminare di particolari bagliori, con la sua scia di sound
mbaqanga e immagini di rivolta, le cronache teatrali
generalmente refrattarie, come è noto, alle luccicanze del
teatro che tende a infrangere lo schermo della propria convenzione.
Sarafina! rappresenta infatti
uno dei rari casi in cui la rappresentazione, dopo aver assorbito e
trasformato nei propri codici una realtà di brutalità e
violenza che sembra aver superato ogni limite di verosimiglianza, la
restituisce con evidenza e concretezza: denunciando, allargando gli
orizzonti della comprensione ed affiancandosi alla lotta. Un teatro non affatto indegno delle
barricate, mi ero trovata a pensare assistendovi nel luglio dello
scorso anno a New York, e un teatro che sembra perciò
rispondere a distanza al disincanto con cui Judith Malina ammoniva,
durante il maggio francese, a non abbassare la rappresentazione
vivente della rivolta facendo salire il teatro sulle barricate. Ho
provato a spiegarmi le ragioni dell'eccezione (poiché credo
che la regola sia piuttosto l'inadeguatezza del teatro come mezzo di
rivolta: e d'altro canto la storia insegna che i momenti
rivoluzionari sono generalmente quelli più poveri di teatro,
mentre accolgono in abbondanza codici e sistemi di "rappresentazione"
teatrali all'interno delle proprie ritualizzazioni).
Osserva Duma Ndlovu, consulente
drammaturgico dello spettacolo, nello scritto che riportiamo a lato,
che lo spettacolo di una rivolta è diventato, con Sarafina!
, la celebrazione di una musica e che, quando fu messo in scena per
la prima volta a Johannesburg, la partecipazione degli studenti di
Soweto, che erano stati realmente protagonisti delle lotte
rappresentate o evocate sul palcoscenico, fece dello spettacolo un
evento straordinario. Ora questi tre elementi: il riferimento a una
realtà di rivolta, l'uso di materiali rappresentativi
fortemente connotati in termini etnico-culturali e la partecipazione
"straordinaria" (cioè fuori dalle norme "teatrali")
del pubblico, sono componenti intrinseche dello spettacolo e
destinate perciò ad attivarsi indipendentemente dal contesto
specifico della realizzazione. Si tratta di uno spettacolo che porta
con sé la rivolta che rappresenta.
Non uno spettacolo illustrativo, come
nella tradizione agit-prop - concepito per divulgare e propagandare
contenuti - ma uno spettacolo di lotta: ideato e costruito coi
materiali che la lotta ha storicamente prodotto, e destinato a quanti
ne condividono la memoria, le vicende e i valori. Forse questo non potrebbe valere per
uno spettacolo fondato su altre radici etnico-culturali; e forse sono
proprio tali radici a consentire l'eccezione "rivoluzionaria"
del musical anti-apartheid di Mbeni Ngema.
Il palcoscenico uno scenario di
guerra
Racconta il musicista e drammaturgo
sudafricano che nel 1984 la moglie di Nelson Mandela, Winnie, gli
suggerì l'idea di fare uno spettacolo sui ragazzi dei ghetti.
Ngema, che stava pensando da tempo a uno spettacolo per celebrare la
musica delle townships – la trascinante musica che in
zulu è chiamata mbaqanga – capì che le due
idee dovevano confluire, e che la musica e i ragazzi dei ghetti neri
sarebbero stati il soggetto del suo spettacolo. In collaborazione con
con Hugh Masekela, musicista sudafricano, compose ventiquattro
canzoni che alla tradizione mbaqanga fondevano altri stili
musicali: jazz, rock, rhythm&blues, gospel. Riunì quindi una trentina fra
attori e musicisti, di età compresa fra i 15 e i 25 anni,
tutti dilettanti, coi quali lavorò ad un training intensivo di
otto mesi. La storia di Sarafina! segue
le vicende di una classe del Morris Isaacson. Per un concerto di fine
anno gli studenti scelgono di rappresentare il giorno della
liberazione di Nelson Mandela, dopo più di vent'anni di
carcere. Il palcoscenico è uno scenario di guerra: diviso in
due da una rete metallica sormontata da un filo spinato, un grande
carro armato che funge da palco per i musicisti, e i giovani attori
che rivivono o raccontano le storie della loro vita quotidiana e le
vicende dei loro eroi trasformandosi di volta in volta in vittime e
persecutori: l'uccisione di un'avvocatessa, che era riuscita a far
condannare un bianco violentatore di una negra; le incursioni dei
militari che accusano la maestra di filo-comunismo, la picchiano e
scaricano raffiche di mitra sugli studenti; l'arresto e la tortura di
Sarafina; poi la sarabanda finale, con l'esplosione dei colori, della
musica, della danza.
Quello
spettacolo era per loro
A
New York ero l'unica bianca nella galleria del Cort Theatre, dove ero
riuscita miracolosamente a
trovare un posto in piedi, e solo
altri due o tre bianchi ho intravisto in platea. Fino a quel giorno
avevo assistito a molti spettacoli, in e off Broadway,
dove i pochissimi neri presenti erano di quelli "che piacciono
ai bianchi", per dirla con le parole di Malcom X.
Ora l'universo dello spettacolo
americano improvvisamente mi si ribaltava, e mi trovavo quasi unica
bianca in mezzo a un pubblico di neri scarsamente integrati.
Un'umanità proletaria, semplice, rumorosa e colorata, che
tutti i giorni procedeva alla pacifica invasione di un teatro di
Broadway provenendo anche da lontano. Quello spettacolo era per loro:
che si accendevano quando veniva nominato Mandela, che ritmavano il
tempo e battevano le mani, che non riuscivano a tenere a freno i
molti bambini che correvano e ballavano per i corridoi. La loro
presenza lì era un gesto sovversivo nell'America reaganiana
(non importa, in questo caso, se rispondente alle leggi del mercato:
gli spettacoli stanno in cartellone a Broadway se hanno mercato, mi
spiegava, un critico americano, e il Cort Theatre ha comprato
Sarafina! perché gli porta l'enorme mercato dei neri di
tutto il paese).
Gli attori dilettanti, come gli
spettatori, condividono la memoria depositata coralmente nelle
tradizioni del gospel, del jazz, del rhythm&blues, della danza
tribale e rituale. Sono le forme che culturalmente e storicamente
hanno accompagnato drammi e rivolte: diventando una cosa sola con
quelli non riproducendoli ma dando loro corpo e forme. Così
Sarafina! è cosa tutta loro, di quanti la lotta contro
l'apartheid la conoscono nelle radici più profonde, e
assistendo allo spettacolo non ne rivivono semplicemente alcuni
frammenti, ma assieme agli attori continuano a portarla avanti. Ogni
rappresentazione è un momento della lotta, anche se non ad
ogni rappresentazione partecipa il pubblico degli studenti di Soweto.
Olayithi: parole e musica di Mbongeni Ngema
Non c'è cosa al mondo
altrettanto impossibile da imparare per un bambino che la lingua
Afrikaans. Sì solo una cosa signori.
Sì! Ecco, là!!! Non è la storia
Non è la biologia
La mia dea è l'Afrikaans. Una nazione beffata dai ragazzini Sì c'è una sola nazione
beffata dai ragazzini Sì, Signori. Sì! Ecco là! Non sono gli Indiani Non sono i Tedeschi Si Signore, sono i Boeri. Un Boero è
come uno stregone. Noi abbiamo catturato lo
stregone. Montando sulla schiena di una scimmia,
l'Apartheid grida che lui ucciderà la
scimmia Se lo farà, la scimmia lo
perseguiterà. Il Boero è come un grosso toro borioso, che molesta le vacche indifese nei loro ripari, seminando la rovina, di recinto in recinto. Oggi noi abbiamo catturato il toro E abbiamo fatto fuori le sue stolte nazioni. Sì Afrikaaner, borioso tu ti inginocchierai davanti a noi Alright, Alright, Alright Ascolta i ragazzi della Committed Artists Loro hanno preso il toro per le
corna sul terreno, sempre avanti ragazzi Andate e fate loro assaporare il gusto
della loro propria medicina La luce dell'amore non brilla più. L'amore se n'è
andato per te, oh Incantatrice, donna dei Boeri Ascolta la nostra canzone madre La faccenda di cuore è finita, Vai bianca incantatrice, porta la tua Magia lontano da qui Perché Oh, madre l'amore se n'è
andato? L'amore se n'è andato Oh sì madre L'amore se n'è andato, andato Voi piccole bianche incantatrici Voi madri che non state Con noi, i ragazzini, Ascoltate, ascoltate, tutte voi madri che non state con noi, che Vi svendete ai Boeri State fuori dagli affari dei Ragazzi, Vediamo che voi ridete Fino a scrollar via tutto. Quando Voi riceverete le vostre grandi
ricompense Per esservi svendute. Noi stiamo
puntando Un dito verso di voi. Verso tutte voi
madri Che non state con noi. Alright, Alright, Alright Guida la tua scimmia lontano da qui. Tu stregone dell'oscurità.
(da Sarafina!, "Playbill. The
National Theatre Magazine", Cort Theatre, N.Y., luglio 1988.
Trad. di C.V.)
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Contro la scuola dell'apartheid
"Loro vogliono che noi parliamo solo Afrikaans, perché il mondo intero parla inglese come lingua ufficiale e loro non vogliono che noi comunichiamo con il mondo
esterno. Loro vogliono che noi rimaniamo
limitati all'interno del Sud Africa. Loro vogliono che noi rimaniamo limitati all'interno dei loro confini". Thandani Mavimbela, membro del cast
Nel 1954 Hendrick Verwoerd, allora
Ministro degli Affari Indigeni del Sud Africa (poi Primo Ministro),
fissò un sistema di educazione come parte del suo "programma
per l'apartheid", che pose le fondamenta dello "sviluppo
separato". La Bantu Education è un sistema destinato a
"insegnare alla gente di colore a diventare meglio servi dei
bianchi" (La parola "Bantu" è un termine
dispregiativo, pressoché equivalente a "nigger"). Attorno alla metà degli anni
'60, la Bantu Education era divenuta un elemento di persuasione nella
vita sudafricana. I bianchi detenevano il sistema migliore, con
insegnamento libero e mandatario per i ragazzi fino al completamento
della scuola superiore. I Sudafricani classificati come "Indians"
e la gente di razza mista (i cosiddetti "Coloreds") avevano il
secondo miglior sistema di educazione. In fondo alla scala sociale si
trovavano i neri africani, per i quali l'istruzione non era né
mandataria né libera. Meno del 2% degli studenti neri che
iniziavano la scuola proseguivano fino all'università, e una
percentuale molto piccola di questi riusciva ad ottenere la laurea. Con la nascita del Black Consciousness
Movement (Movimento Nero di Coscienza) nei primi anni '70, gli
studenti neri cominciarono a far sentire la loro insoddisfazione. Nel
1971 Abraham Tiro, uno dei fondatori del movimento, fu espulso dalla
Turfloop University per aver criticato il sistema di educazione nel
corso di una cerimonia alla presenza del Ministro dell'Istruzione
Bantu. Gli studenti delle uniche tre università nere del paese
boicottarono le lezioni in solidarietà con Tiro e furono
espulsi allo stesso modo. Tornarono nei quartieri neri, si dedicarono
al mestiere dell'insegnamento nei licei locali, e aiutarono
l'espansione della Black Consciouness all'interno dei sobborghi, fra
gli studenti della scuola superiore. Il primo oggetto di
contestazione fu il programma di governo che stabiliva la lingua
Afrikaans come mezzo di istruzione in tutte le scuole del Sud Africa. Nell'aprile del 1976 i ragazzi di sette
scuole medie inferiori di Soweto decisero di boicottare le lezioni in
segno di protesta. All'inizio di giugno altra scuole medie
e superiori si unirono alle prime. La mattina del 16 giugno 1976 più
di 200.000 studenti si riunirono alla Morris Isaacson High School e
marciarono verso i sobborghi di Soweto. Questo segnò uno dei
giorni più significativi nella storia della lotta politica dei
neri in Sud Africa e si rivelò un evento catalizzatore di
profonda importanza. Alla fine dell'anno la polizia e i soldati
uccisero molte centinaia di studenti. La prima vittima ufficiale fu
un ragazzo di 11 anni, Hector Peterson, e da allora il sistema
educativo non è stato più lo stesso. L'agitazione è continuata e il
suo obiettivo si è esteso al di là della questione
dell'Afrikaans, a tutti gli aspetti della battaglia politica dei
neri. Gli studenti erano diventati una forza potente ed
incontenibile. In fondo, nonostante lo spettacolo
mostri le fasi di una rivolta di popolo, è anche una
celebrazione della musica del popolo. Ma soprattutto è la
celebrazione dello spirito dei ragazzi, i quali, più di
chiunque altro, comunicano la speranza che il cambiamento sia dietro
l'angolo.
(Duma
Ndlovu, "Bantu Education": About South Africa's
Separate School System, in
Sarafina!, cit. trad. di C.V.)
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