Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 20 nr. 170
febbraio 1990


Rivista Anarchica Online

Swing e barricate
di Cristina Valenti

Sarafina!, il musical anti-apartheid dei ragazzi di Soweto, che è arrivato in Italia per un brevissimo tour alla fine dello scorso novembre, avrebbe meritato un'ospitalità più allargata e una risonanza maggiore. Viceversa è passato come una meteora, e senza neppure illuminare di particolari bagliori, con la sua scia di sound mbaqanga e immagini di rivolta, le cronache teatrali generalmente refrattarie, come è noto, alle luccicanze del teatro che tende a infrangere lo schermo della propria convenzione.
Sarafina! rappresenta infatti uno dei rari casi in cui la rappresentazione, dopo aver assorbito e trasformato nei propri codici una realtà di brutalità e violenza che sembra aver superato ogni limite di verosimiglianza, la restituisce con evidenza e concretezza: denunciando, allargando gli orizzonti della comprensione ed affiancandosi alla lotta.
Un teatro non affatto indegno delle barricate, mi ero trovata a pensare assistendovi nel luglio dello scorso anno a New York, e un teatro che sembra perciò rispondere a distanza al disincanto con cui Judith Malina ammoniva, durante il maggio francese, a non abbassare la rappresentazione vivente della rivolta facendo salire il teatro sulle barricate. Ho provato a spiegarmi le ragioni dell'eccezione (poiché credo che la regola sia piuttosto l'inadeguatezza del teatro come mezzo di rivolta: e d'altro canto la storia insegna che i momenti rivoluzionari sono generalmente quelli più poveri di teatro, mentre accolgono in abbondanza codici e sistemi di "rappresentazione" teatrali all'interno delle proprie ritualizzazioni).
Osserva Duma Ndlovu, consulente drammaturgico dello spettacolo, nello scritto che riportiamo a lato, che lo spettacolo di una rivolta è diventato, con Sarafina! , la celebrazione di una musica e che, quando fu messo in scena per la prima volta a Johannesburg, la partecipazione degli studenti di Soweto, che erano stati realmente protagonisti delle lotte rappresentate o evocate sul palcoscenico, fece dello spettacolo un evento straordinario. Ora questi tre elementi: il riferimento a una realtà di rivolta, l'uso di materiali rappresentativi fortemente connotati in termini etnico-culturali e la partecipazione "straordinaria" (cioè fuori dalle norme "teatrali") del pubblico, sono componenti intrinseche dello spettacolo e destinate perciò ad attivarsi indipendentemente dal contesto specifico della realizzazione. Si tratta di uno spettacolo che porta con sé la rivolta che rappresenta.
Non uno spettacolo illustrativo, come nella tradizione agit-prop - concepito per divulgare e propagandare contenuti - ma uno spettacolo di lotta: ideato e costruito coi materiali che la lotta ha storicamente prodotto, e destinato a quanti ne condividono la memoria, le vicende e i valori.
Forse questo non potrebbe valere per uno spettacolo fondato su altre radici etnico-culturali; e forse sono proprio tali radici a consentire l'eccezione "rivoluzionaria" del musical anti-apartheid di Mbeni Ngema.

Il palcoscenico uno scenario di guerra
Racconta il musicista e drammaturgo sudafricano che nel 1984 la moglie di Nelson Mandela, Winnie, gli suggerì l'idea di fare uno spettacolo sui ragazzi dei ghetti. Ngema, che stava pensando da tempo a uno spettacolo per celebrare la musica delle townships – la trascinante musica che in zulu è chiamata mbaqanga – capì che le due idee dovevano confluire, e che la musica e i ragazzi dei ghetti neri sarebbero stati il soggetto del suo spettacolo. In collaborazione con con Hugh Masekela, musicista sudafricano, compose ventiquattro canzoni che alla tradizione mbaqanga fondevano altri stili musicali: jazz, rock, rhythm&blues, gospel.
Riunì quindi una trentina fra attori e musicisti, di età compresa fra i 15 e i 25 anni, tutti dilettanti, coi quali lavorò ad un training intensivo di otto mesi.
La storia di Sarafina! segue le vicende di una classe del Morris Isaacson. Per un concerto di fine anno gli studenti scelgono di rappresentare il giorno della liberazione di Nelson Mandela, dopo più di vent'anni di carcere. Il palcoscenico è uno scenario di guerra: diviso in due da una rete metallica sormontata da un filo spinato, un grande carro armato che funge da palco per i musicisti, e i giovani attori che rivivono o raccontano le storie della loro vita quotidiana e le vicende dei loro eroi trasformandosi di volta in volta in vittime e persecutori: l'uccisione di un'avvocatessa, che era riuscita a far condannare un bianco violentatore di una negra; le incursioni dei militari che accusano la maestra di filo-comunismo, la picchiano e scaricano raffiche di mitra sugli studenti; l'arresto e la tortura di Sarafina; poi la sarabanda finale, con l'esplosione dei colori, della musica, della danza.

Quello spettacolo era per loro
A New York ero l'unica bianca nella galleria del Cort Theatre, dove ero riuscita miracolosamente a
trovare un posto in piedi, e solo altri due o tre bianchi ho intravisto in platea. Fino a quel giorno avevo assistito a molti spettacoli, in e off Broadway, dove i pochissimi neri presenti erano di quelli "che piacciono ai bianchi", per dirla con le parole di Malcom X.
Ora l'universo dello spettacolo americano improvvisamente mi si ribaltava, e mi trovavo quasi unica bianca in mezzo a un pubblico di neri scarsamente integrati. Un'umanità proletaria, semplice, rumorosa e colorata, che tutti i giorni procedeva alla pacifica invasione di un teatro di Broadway provenendo anche da lontano. Quello spettacolo era per loro: che si accendevano quando veniva nominato Mandela, che ritmavano il tempo e battevano le mani, che non riuscivano a tenere a freno i molti bambini che correvano e ballavano per i corridoi. La loro presenza lì era un gesto sovversivo nell'America reaganiana (non importa, in questo caso, se rispondente alle leggi del mercato: gli spettacoli stanno in cartellone a Broadway se hanno mercato, mi spiegava, un critico americano, e il Cort Theatre ha comprato Sarafina! perché gli porta l'enorme mercato dei neri di tutto il paese).
Gli attori dilettanti, come gli spettatori, condividono la memoria depositata coralmente nelle tradizioni del gospel, del jazz, del rhythm&blues, della danza tribale e rituale. Sono le forme che culturalmente e storicamente hanno accompagnato drammi e rivolte: diventando una cosa sola con quelli non riproducendoli ma dando loro corpo e forme. Così Sarafina! è cosa tutta loro, di quanti la lotta contro l'apartheid la conoscono nelle radici più profonde, e assistendo allo spettacolo non ne rivivono semplicemente alcuni frammenti, ma assieme agli attori continuano a portarla avanti. Ogni rappresentazione è un momento della lotta, anche se non ad ogni rappresentazione partecipa il pubblico degli studenti di Soweto.

 

Olayithi: parole e musica di Mbongeni Ngema

Non c'è cosa al mondo altrettanto impossibile da imparare per un bambino che la lingua Afrikaans. Sì solo una cosa signori.
Sì! Ecco, là!!!
Non è la storia
Non è la biologia
La mia dea è l'Afrikaans.
Una nazione beffata dai ragazzini
Sì c'è una sola nazione beffata
dai ragazzini
Sì, Signori.
Sì! Ecco là!
Non sono gli Indiani
Non sono i Tedeschi
Si Signore, sono i Boeri. Un Boero è come
uno stregone. Noi abbiamo catturato lo stregone.
Montando sulla schiena di una scimmia, l'Apartheid
grida che lui ucciderà la scimmia
Se lo farà, la scimmia lo perseguiterà.
Il Boero è come un grosso
toro borioso, che molesta
le vacche indifese nei loro
ripari, seminando la rovina,
di recinto in recinto.
Oggi noi abbiamo catturato il
toro
E abbiamo fatto fuori le sue
stolte nazioni.
Sì Afrikaaner, borioso tu
ti inginocchierai davanti a noi
Alright, Alright, Alright
Ascolta i ragazzi della
Committed Artists
Loro hanno preso il toro per le
corna sul terreno, sempre avanti
ragazzi
Andate e fate loro assaporare il gusto della
loro propria medicina
La luce dell'amore non brilla
più. L'amore se n'è andato per te, oh
Incantatrice, donna dei Boeri
Ascolta la nostra canzone madre
La faccenda di cuore è finita,
Vai bianca incantatrice, porta la tua
Magia lontano da qui
Perché Oh, madre l'amore se n'è andato?
L'amore se n'è andato
Oh sì madre
L'amore se n'è andato, andato
Voi piccole bianche incantatrici
Voi madri che non state
Con noi, i ragazzini,
Ascoltate, ascoltate, tutte voi madri
che non state con noi, che
Vi svendete ai Boeri
State fuori dagli affari dei
Ragazzi, Vediamo che voi ridete
Fino a scrollar via tutto. Quando
Voi riceverete le vostre grandi ricompense
Per esservi svendute. Noi stiamo puntando
Un dito verso di voi. Verso tutte voi madri
Che non state con noi.
Alright, Alright, Alright
Guida la tua scimmia lontano da
qui.
Tu stregone dell'oscurità.

(da Sarafina!, "Playbill. The National Theatre Magazine", Cort Theatre, N.Y., luglio 1988. Trad. di C.V.)

 

Contro la scuola dell'apartheid

"Loro vogliono che noi parliamo
solo Afrikaans, perché il mondo
intero parla inglese come lingua
ufficiale e loro non vogliono
che noi comunichiamo con il mondo esterno.
Loro vogliono che noi rimaniamo limitati
all'interno del Sud Africa. Loro
vogliono che noi rimaniamo limitati
all'interno dei loro confini".
         Thandani Mavimbela, membro del cast

Nel 1954 Hendrick Verwoerd, allora Ministro degli Affari Indigeni del Sud Africa (poi Primo Ministro), fissò un sistema di educazione come parte del suo "programma per l'apartheid", che pose le fondamenta dello "sviluppo separato". La Bantu Education è un sistema destinato a "insegnare alla gente di colore a diventare meglio servi dei bianchi" (La parola "Bantu" è un termine dispregiativo, pressoché equivalente a "nigger").
Attorno alla metà degli anni '60, la Bantu Education era divenuta un elemento di persuasione nella vita sudafricana. I bianchi detenevano il sistema migliore, con insegnamento libero e mandatario per i ragazzi fino al completamento della scuola superiore. I Sudafricani classificati come "Indians" e la gente di razza mista (i cosiddetti "Coloreds") avevano il secondo miglior sistema di educazione. In fondo alla scala sociale si trovavano i neri africani, per i quali l'istruzione non era né mandataria né libera. Meno del 2% degli studenti neri che iniziavano la scuola proseguivano fino all'università, e una percentuale molto piccola di questi riusciva ad ottenere la laurea.
Con la nascita del Black Consciousness Movement (Movimento Nero di Coscienza) nei primi anni '70, gli studenti neri cominciarono a far sentire la loro insoddisfazione. Nel 1971 Abraham Tiro, uno dei fondatori del movimento, fu espulso dalla Turfloop University per aver criticato il sistema di educazione nel corso di una cerimonia alla presenza del Ministro dell'Istruzione Bantu. Gli studenti delle uniche tre università nere del paese boicottarono le lezioni in solidarietà con Tiro e furono espulsi allo stesso modo. Tornarono nei quartieri neri, si dedicarono al mestiere dell'insegnamento nei licei locali, e aiutarono l'espansione della Black Consciouness all'interno dei sobborghi, fra gli studenti della scuola superiore. Il primo oggetto di contestazione fu il programma di governo che stabiliva la lingua Afrikaans come mezzo di istruzione in tutte le scuole del Sud Africa.
Nell'aprile del 1976 i ragazzi di sette scuole medie inferiori di Soweto decisero di boicottare le lezioni in segno di protesta.
All'inizio di giugno altra scuole medie e superiori si unirono alle prime. La mattina del 16 giugno 1976 più di 200.000 studenti si riunirono alla Morris Isaacson High School e marciarono verso i sobborghi di Soweto. Questo segnò uno dei giorni più significativi nella storia della lotta politica dei neri in Sud Africa e si rivelò un evento catalizzatore di profonda importanza. Alla fine dell'anno la polizia e i soldati uccisero molte centinaia di studenti. La prima vittima ufficiale fu un ragazzo di 11 anni, Hector Peterson, e da allora il sistema educativo non è stato più lo stesso.
L'agitazione è continuata e il suo obiettivo si è esteso al di là della questione dell'Afrikaans, a tutti gli aspetti della battaglia politica dei neri. Gli studenti erano diventati una forza potente ed incontenibile.
In fondo, nonostante lo spettacolo mostri le fasi di una rivolta di popolo, è anche una celebrazione della musica del popolo. Ma soprattutto è la celebrazione dello spirito dei ragazzi, i quali, più di chiunque altro, comunicano la speranza che il cambiamento sia dietro l'angolo.

(Duma Ndlovu, "Bantu Education": About South Africa's Separate School System, in Sarafina!, cit. trad. di C.V.)