Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 3 nr. 17
gennaio 1973


Rivista Anarchica Online

La via italiana al riformismo
di Mirko Roberti

Genova 1892 - Genova 1972: ottant'anni di storia del Partito Socialista Italiano segnano il fallimento della "via riformista" al socialismo

Il 9 novembre scorso il Partito Socialista Italiano ha celebrato a Genova, con il suo 39° Congresso i suoi ottant'anni di vita.
La scelta di Genova è stata una scelta voluta perché questa città ottant'anni prima aveva visto la nascita storica di questo partito e la separazione definitiva tra socialisti ed anarchici. Una scelta pertanto che sta ad indicare, nelle intenzioni dei promotori, una continuità storica ed ideale, una coerenza mai venuta meno.
Ne diamo loro atto, perché mai ci passerebbe per la mente di accusare i socialisti italiani di tradimento e di degenerazione: i socialisti di oggi sono gli eredi storici, i figli legittimi e naturali dei socialisti di allora. Non esiste per noi un problema di verifica, in sede storica, del loro vituperato "revisionismo", perché sono nati così. Non indugeremo quindi sul loro "tradimento" verso le masse popolari, rispetto ai propositi di ottant'anni or sono; se questo tradimento c'è stato, esso è marginale a confronto di quello che vogliamo esaminare.
Non c'è per noi una diversità qualitativa tra il socialismo riformista di oggi e quello del 1892. Le due diverse situazioni storiche non ci devono ingannare sul loro contenuto comune di fondo.
Noi vogliamo appunto esaminare e verificare questo sviluppo storico, come sviluppo logico e non degenerativo, del socialismo riformista italiano.
Pensiamo infatti che sia possibile riscontrare una rispondenza logica, fra i propositi di allora e la storia successiva del "socialismo" italiano.
Beninteso, non i propositi "ideali", ma quelli strategico-tattici, che hanno costituito in questi ottant'anni la traccia teorico-ideologica del socialismo marxista riformista.
È stato detto, da più parti, che il nostro discorso storico rivela per l'ennesima volta, il "semplicismo anarchico". Ora, domandiamo: ottant'anni di storia non sono sufficienti per verificare in concreto la bontà di una teoria sociale, della sua strategia, nella sua pratica-inerente, rispetto ad un fine proposto e proclamato?
Ci viene risposto di no, con le motivazioni più complesse e disparate: diversità delle situazioni storiche, brevità del periodo in esame, impossibilità di effettuare un rigoroso ed obiettivo bilancio, ecc..
I "marxisti puri" che non vogliono accettare e vedere uno sviluppo storico e necessario delle loro teorie nei fatti storici accaduti, sostengono l'idea del marxismo ancora "irrealizzato". Altri ancora non accettano invece l'accostamento teoria-storia, sostenendo la tesi di una sfasatura oggettivamente ineliminabile tra questi due termini. Noi, al contrario, pensiamo sia possibile invece dare un giudizio complessivamente sufficiente, utilizzando le indicazioni emergenti dai fatti storici più oggettivamente macroscopici e irreversibili.
Se non è la storia, nei suoi fatti concreti, a essere possibile strumento di giudizio politico, quale altro strumento ci rimane? E quando mai è possibile il giudizio se non è fondato su fatti oggettivi, come quelli storici?
Essi solo ci possono dire fino in fondo quale grado di verità scientifica, di fondatezza reale, avevano le proposte dei "legalitari", e quale era in effetti, ora che è stata provata, la natura del progetto riformista. Svelare fino in fondo tutta la falsità demagogica del suo preteso realismo: in questo modo pensiamo sia possibile capire veramente tutta la portata di fatuità che sta a monte di questo progetto, perché ha dovuto fare i conti con la storia e non con le parole.

il congresso del '92

Il 14 agosto 1892 si apre alla sala Sivori di Genova l'ultimo congresso del Partito Operaio Italiano, destinato a diventare il Congresso costitutivo del Partito dei Lavoratori Italiani.
Di questo famoso e storico congresso non ci interessa, qui, rifare la storia nelle sue particolarità, ma solamente riassumere brevemente i termini teorici, storici e ideologici, quanto cioè separò i marxisti dagli anarchici. Essi si riferivano più in generale alla diversa concezione teorica farà marxismo ed anarchismo ed in particolare alla diversa concezione su come impostare la lotta in Italia.
Il movimento socialista e operaio era stato fino quel momento un insieme composito ed eterogeneo di istanze e tendenze diverse e disparatissime. Occorreva, secondo i "socialisti scientifici", dare ordine e strategia unitaria per razionalizzare le forze e darle un unico fine. E questo comportava la scelta definitiva e storica per la via gradualista, riformista, parlamentare, legalitaria e "politica" (intesa come lotta per la conquista del potere).
Era questa una via già conosciuta dal movimento operaio e socialista tedesco, che si sforzava di applicare gli insegnamenti marxisti. Sotto l'influenza e l'entusiasmo per alcuni successi elettorali, i socialisti tedeschi erano convinti di arrivare al socialismo battendo la via elettorale. Questo entusiasmo e convinzione contagiò definitivamente i socialisti italiani, soprattutto il gruppo milanese guidato da Turati e dalla Kuliscioff e "consigliato", attraverso il Turati, da Antonio Labriola (1). Tutto questo comportava una concezione che metteva al primo posto la lotta condotta dal proletariato operaio urbano (subordinando gli altri strati sociali sfruttati all'azione di questo) e che si riassumeva nella formula del "partito piccolo" (2).
A questa classica concezione marxista si univa una visione particolare della situazione italiana di allora, che vedeva il proletariato meridionale in posizione assai arretrata e frenante. Vale a dire si considerava utopistico, illogico ed avventuristico fondare una lotta che partisse da quelle precise condizioni economiche e geografiche. Per i socialisti scientifici l'emancipazione del Mezzogiorno d'Italia passava in modo obbligato attraverso l'emancipazione prioritaria del proletariato operaio urbano, l'unico in grado di conquistare il potere.
In questo modo i marxisti facevano proprio il modello di sviluppo capitalistico italiano, modo che ha contrassegnato tutta la storia economica italiana fino ai nostri giorni.
Grazie appunto a questa rispondenza e sviluppo delle lotte operaie del settentrione, il capitalismo italiano è riuscito a rendere cronico il sottosviluppo del sud in modo funzionale rispetto allo sviluppo del nord. Infatti solo con l'avvallo indiretto del movimento operaio, il capitalismo e lo stato italiano sono riusciti a mantenere questa divisione all'interno delle masse sfruttate che da economico-geografica è diventata storica.
Questa scelta strategica di fondo, che è stata una delle cause principali di tutte le sconfitte del movimento operaio italiano, lasciava aperto un altro grosso problema. Esso consisteva nella incapacità di rendere omogenee le forze che si riconoscevano in questo programma.
Così il congresso di Genova si illuse di aver liquidato la corrente operaista, mentre essa continuerà ad esistere per vari anni (3). Questa convinzione subirà in seguito continue smentite: agli operaisti faranno seguito i sindacalisti rivoluzionari, ad essi i "massimalisti", poi nel 1921 i comunisti, oggi gli extra-parlamentari. Per non parlare delle scissioni socialiste dal 1945 ad oggi. L'accusa fatta agli anarchici di dividere e disorientare le masse, si ritorcerà tutta intera sulle spalle dei socialisti legalitari.
Gli anarchici avevano previsto già da allora molti di questi futuri errori, ma la preoccupazione maggiore che assillava i libertari era dovuta alla convinzione, purtroppo confermata, che la struttura organizzativa che i marxisti chiamavano "partito", avrebbe subito, nel corso dello sviluppo storico, una metamorfosi decisiva. Il "partito", allora considerato un mezzo, o meglio, il mezzo per la conquista del potere, sarebbe diventato un fine. In virtù della sua struttura piramidale e gerarchica esso avrebbe permesso la formazione di una nuova classe dominante e sfruttatrice.
Scriveva con straordinaria lucidità e chiarezza, qualche mese prima del congresso di Genova, l'anarchico Pietro Gori "... e contro gli anarchici si trovano pur coalizzati nei momenti supremi tutti gli altri partiti sedicenti popolari, democratici, repubblicani, e socialisti legalitari. Bando dunque agli equivoci! E sappiano i lavoratori che i socialisti-anarchici nulla hanno di comune con tutte coteste fazioni, soggette alla volontà ed ai capricci degli avidi di potere e di dominazione in cui l'osservatore sereno sa fin d'ora discernere le stoffe di altrettanti futuri nemici. Di questi ultimi, ora, bisogna che parliamo. Vogliamo dirvi di cotesta gente insidiosa e più pericolosa dei vostri stessi nemici, i ricchi e i potenti, vogliamo mettervi in guardia contro quanti si servono di voi per le loro mire ambiziose di potere. Qualcuno si è lasciato nominare deputato con la speranza di giovare anche dal parlamento alla causa del proletariato. E forse anche per avvicinarsi a quella mostruosità che si chiama socialismo di stato.
Ma essi hanno dimenticato che l'ambiente finisce sempre per corrompere chi ci vive dentro. È lontano il tempo in cui Andrea Costa dichiarava di accettare la candidatura politica come semplice protesta, e poi diceva di andare in parlamento solo per gridare tutti i giorni la sfida del socialismo contro la borghesia! Oggi Andrea Costa è divenuto un socialista legalitario tale, che se nel 1874 gli avessero predetto che sarebbe giunto a tal punto, egli avrebbe considerato tale previsione come il più offensivo degli insulti.... Detto questo, o lavoratori, torno a ribattere ciò che forma il leite-motive della conferenza di questa sera. Occorre che nella battaglia nostra non sorgano altre autorità, che un giorno o l'altro possano sostituirsi alle antiche. È anche per questo che noi combattiamo il socialismo legalitario, per l'organizzazione autoritaria assunta dal partito che lo rappresenta" (4). Il partito politico del proletariato era dunque, per gli anarchici, uno strumento pericolosissimo e di intralcio per una vera unità degli sfruttati. Inoltre veniva sancita in modo ufficiale la separazione della lotta politica dalla lotta economica: la lotta economica doveva servire "come leva" per far avanzare il partito sulla via del potere (5). E cosa promettessero allora i socialisti parlamentari e legalitari agli sfruttati, una volta giunti al potere, chiunque può oggi documentarsi.

lotta economica

Passiamo ora ad esaminare alcune tappe decisive per lo sviluppo storico, non solo del socialismo riformista, ma di tutto il movimento operaio e rivoluzionario. Cercheremo inoltre di verificare alcune delle posizioni più qualificanti della scelta socialista legalitaria e di quella anarchica. Abbiamo detto sopra della divisione tra lotta politica e lotta economica, e della futura formazione di una forza a sinistra del socialismo legalitario: il sindacalismo rivoluzionario.
La sua nascita ai primi del novecento e il suo sviluppo fino al 1915 pensiamo stiano in stretto rapporto con la divisione sopra accennata. Il sindacalismo rivoluzionario era nato, secondo noi, per dare una risposta alla eccessiva importanza data, dal socialismo riformista, alla lotta politica e parlamentare. Una risposta, però, che non risolveva il problema perché altrettanto esclusivista nel riportare tutto alla lotta contro lo stato e lo sfruttamento sul terreno della sola lotta economica.
Questa divisione all'interno del movimento socialista ed operaio si trascinò in modo alterno fino al 1914, anno in cui esso si trovò impreparato ad affrontare il moto popolare della "settimana rossa". E la "settimana rossa" verificò, come sappiamo tutti, l'efficienza di questa divisione e i buoni propositi dei riformisti.
(Al tradimento inaudito della C.G.L., controllata dai socialisti, avrebbe fatto seguito un anno dopo il tradimento di una parte dei sindacalisti rivoluzionari. Essi, in buona o in cattiva fede, dopo il fallimento della "settimana rossa", si illusero di partecipare alla I guerra mondiale, come "rivoluzionari", convinti di trasformare la guerra fra Stati in "guerra sociale" (6).)
Al tradimento dei riformisti nella "settimana rossa", fece seguito la posizione anti-internazionalista assunta da essi, all'entrata in guerra dell'Italia, riassunta nella formula né aderire né sabotare. Tutta una serie di fenomeni storici che a nostro avviso furono una logica conseguenza delle posizioni presenti nella strategia a lungo respiro del riformismo e della concezione marxista.
Con l'anteporre la lotta per la conquista del potere politico (che è sempre una lotta necessariamente anti-internazionalista) alla lotta per la sua distruzione, i socialisti marxisti si ritrovavano sempre, come in seguito, di fronte al "dilemma" mai risolto. Riforme o rivoluzione? Lotta per la conquista del potere all'interno del proprio paese o lotta opposta per la sua distruzione e cioè internazionalista?
Tutta la storia della seconda internazionale si sviluppa su queste contraddizioni, sfociando nella sua crisi ultima: la partecipazione esplicita od implicita, dei vari partiti socialisti, alla I guerra mondiale. Così le buone intenzioni, i buoni "propositi" dei riformisti, nulla potevano contro la logica degli stati e del potere, come purtroppo avevano straordinariamente previsto gli anarchici venti anni prima. Ma soprattutto essi venivano volontariamente od involontariamente ad assumere necessariamente questa logica facendola propria, sotto il pretesto "scientifico" del "realismo politico".
A questa progressiva assunzione della logica statale faceva seguito ovviamente una continua sostituzione della logica socialista, tale che le aspirazioni e gli ideali di essa stavano sempre meno in un rapporto diretto e materiale con l'azione quotidiana del riformismo.
Sotto questa luce interpretativa è possibile capire oggi l'azione di esso durante l'occupazione delle fabbriche nel settembre del 1920. Tutti gli errori accumulati fino ad allora troveranno in quell'anno, che fu la grande occasione storica del proletariato italiano, la verifica concreta, nei fatti e non nelle parole, della famigerata fondatezza "scientifica" della strategia del socialismo marxista.

la scissione continua

La divisione all'interno del Partito Socialista tra "massimalisti" e "riformisti", l'isolamento drammatico della classe operaia del nord rispetto alle masse contadine del sud, la contraddizione permanente tra la "rivoluzione" e la via legalitaria, il distacco reale e materiale e la conseguente sfiducia del "partito" dalla capacità creativa popolare degli sfruttati, la sfasatura oggettiva tra la situazione empirica italiana e la cattedrattica dottrina marxista.... I nodi venivano al pettine, senza possibilità di salvezza (che solo era nella rivoluzione) aprendo la strada alla criminale reazione fascista.
E ancora una volta la possibilità di ripresa data allo stato e alla borghesia veniva dalla divisione del movimento socialista e marxista: la nascita, nel 1921, del Partito Comunista d'Italia. Si consumava a Livorno un'ennesima scissione da quelle forze che, dal 1892 in poi, pretendevano di rappresentare "omogeneamente" gli interessi reali degli sfruttati.
E se il fascismo poté non solo nascere e svilupparsi, ma soprattutto consolidarsi, ciò fu dovuto al persistere e di queste divisioni e della stanchezza e sfiducia delle masse popolari rispetto ai dirigenti marxisti. Per trent'anni avevano predicato a parole la rivoluzione sabotandola ogni giorno inesorabilmente nei fatti! E soprattutto per trent'anni li avevano abituati ad "aspettare", "pazientare", "ubbidire" e non a fare, come diceva Malatesta allora.
Quando gli sfruttati stanchi di "aspettare" passarono ai fatti, con l'occupazione delle fabbriche, i riformisti attuarono il più banditesco sabotaggio della loro "carriera". E tutto questo potè accadere oltre che per la loro cattiva fede, soprattutto per l'aver scelto una strategia, quella marxista, di per sé fallimentare e irreale.
Dopo la Liberazione le forze del socialismo parlamentare e legalitario si ritrovarono nuovamente divise. L'accordo del "fronte popolare" nel 1948 (cui peraltro non partecipava una parte dei socialisti riformisti che con la scissione a destra del 1947, avevano fondato il partito socialdemocratico), fu solo una esperienza elettorale senza una unità di fondo.
La diversità di questi anni, rispetto a quelli del pre-fascismo, consisteva nel fatto che la forza più a "sinistra", vale a dire il Partito Comunista, era venuta a sviluppare negli anni fra le due guerre, una alleanza assai vincolante con la Russia bolscevica. Questa alleanza non veniva e non viene accettata dai socialisti, che ne fanno anzi uno spartiacque decisivo rispetto ai comunisti.
Per il resto la strategia di azione, nei fatti, è assai simile: la via sempre parlamentare, gradualista e legalitaria. Per rendere realista questa via è stata aggiunta esplicitamente una variante importante: l'incontro e l'alleanza storica fra socialisti, comunisti e cattolici.

l'incontro con i cattolici

Grazie anche a questo "incontro" è stata possibile in Italia l'esperienza del centro-sinistra che ha visto finalmente i socialisti al governo. Ma socialisti e socialdemocratici del socialismo ormai non hanno che il nome. Abbiamo visto in questi anni cosa è successo in Italia di diverso con i socialisti al governo. Non è successo niente, se non un graduale passaggio dei mezzi di produzione dalle mani dei privati a quelle dello stato.
Ebbene? Gli sfruttati hanno forse progredito di un passo verso la loro reale emancipazione? Non ci pare, se per emancipazione non intendiamo il benessere, per resto assai relativo, della "società dei consumi".
Dove sono finiti gli ideali di libertà e di eguaglianza dei socialisti genovesi del 1892? Erano delle parole e sono rimaste tali.
Abbiamo avuto "socialisti"-ministri in vari dicasteri da quelli "economici" a quelli più propriamente "statali", come i vari socialdemocratici ministri della "difesa". Abbiamo avuto persino un presidente della repubblica, Saragat, "socialista". E in questi anni oltre allo sfruttamento, che non è cambiato per nulla se non nella sua forma, ci sono stati fatti di una gravità inaudita che tutti conoscono.
Dove sono finiti gli ideali umanitari del socialismo che si esprimevano radicalmente anche nell'anti-militarismo e nell'anti-clericalismo? Abbiamo i nostri bravi socialisti ministri delle forze armate e a braccetto con i preti "progressisti".
Sono cose che farebbero arrossire di vergogna persino Turati e Prampolini, ma non sono cose accidentali o fenomeni degenerativi. Sono fatti storici necessari e conseguenziali rispetto alla linea e alla strategia marxista-legalitaria.
Sono fatti che erano stati anticipati ampiamente con eccezionale chiarezza, dagli anarchici ottant'anni fa, e che si sono puntualmente avverati.

ottant'anni dopo

Leggiamo qualche stralcio preso dalle "tesi" del congresso di Genova del novembre scorso, per fare un consuntivo dell'ipotesi riformista rispetto alla sua storia.
La prima cosa che colpisce nella lettura di queste "tesi" è l'assoluta mancanza dei termini "eguaglianza", "abolizione delle classi" ecc.: termini che in questi anni sono stati progressivamente sostituiti con i termini "democrazia politica", "diverso rapporto fra le classi". Il Partito Socialista da partito "classista" è diventato via via un "partito democratico-progressista". Non solo è stata completamente abbandonata la linea politica classista e la sua strategia inerente, ma anche, in modo esplicito, l'ipotesi "ultima" e "ideale" che sta alla base dell'impianto teorico e programmatico del socialismo: l'abolizione delle classi.
Che cosa rimanga di socialista è per noi un mistero. Ma leggiamo alcune "tesi".
"Il Partito ha tuttavia realizzato in questo periodo storico importanti riforme, che recano nell'ordinamento costituzionale e giuridico del nostro Paese l'impronta socialista: dall'attuazione dell'ordinamento regionale allo statuto dei diritti dei lavoratori, alla legge sulla casa, alla legge sul divorzio".
Per i socialisti-riformisti dunque, tutte queste riforme recherebbero l'impronta socialista! Così, per esempio, l'Inghilterra che ha una legislazione sociale sicuramente più avanzata della nostra, divorzio, assistenza sanitaria gratuita per tutti, case sicuramente migliori delle nostre ecc., sarebbe un Paese con un'impronta socialista! Senza esaminare veramente la portata reale di queste riforme come quella sulla casa, per esempio, dove nella realtà o esistono case popolari (vedi dormitori pubblici e alveari umani, ghetti riservati ai lavoratori manuali) o per avere un minimo di casa decente bisogna pagare un affitto che porta via da un terzo a metà del salario. Per fortuna c'è la legge sulla casa!
"Compito peculiare dei socialisti, quando partecipano alla gestione dello Stato democratico, è quello di rendere reale ed effettiva la democrazia politica, liberandola dalle manifestazioni proprie di una società divisa in classi". Qui, come possiamo constatare, compito dei socialisti-riformisti non è tanto importante liberare la società dalla divisione delle classi, quanto dalle sue "manifestazioni". Vale a dire dai suoi aspetti più vistosi ed aspri. Sono cose che vuole anche la sinistra del Partito Liberale Italiano.
Il Partito Socialista vuole "... una trasformazione graduale della struttura economico-sociale e del rapporto fra le classi"! Vuole insomma un "diverso rapporto" tra le classi, per di più graduale, non l'abolizione di esse. Di abolire le classi, ormai non si parla più.

aberrazioni

Il pensiero dei socialisti-riformisti sugli organi burocratici e polizieschi dello stato è sintetizzato nelle frasi seguenti "Il funzionamento dell'Amministrazione pubblica ha continuato ad essere inefficiente ed in vari settori della burocrazia, delle forze armate, della magistratura si sono accentuate le tendenze autoritarie, miranti non già al consolidamento democratico, ma dell'ordine in quanto tale, con più o meno celate compiacenze con il risorgere del fascismo". E così per i socialisti la polizia, l'esercito, la magistratura, la burocrazia statale, sarebbero suscettibili di "educazione democratica"! Vorrebbero farci credere, i nostri bravi socialisti-riformisti, che sia possibile (ammesso e non concesso che sia socialisticamente accettabile), avere una polizia democratica, un esercito democratico, una burocrazia democratica!!! Non li vogliono più abolire, come ottant'anni fa, il vogliono democratizzare! Certo ci vuole molta fantasia ad immaginare la polizia o l'esercito democratici!
A tale mostruosità è arrivato il pensiero del socialismo riformista.
Queste tesi sono state approvate al 39° congresso del Partito Socialista Italiano, a Genova, celebrando i suoi ottant'anni di storia (7).
Abbiamo detto, all'inizio di questo articolo, che per noi lo sviluppo storico del socialismo riformista e legalitario va interpretato come processo logico e non degenerativo, rispetto alla sua strategia di partenza. Ora, "confrontando" i socialisti di allora con quelli di oggi, constatiamo un abisso di diversità che va dalla serietà morale e intellettuale alla diversità dei propositi e delle aspirazioni. Ma tutto questo è logico se pensiamo che il Partito Socialista di oggi (e, per molti versi, lo stesso Partito Comunista) è il risultato e il prodotto di ottant'anni di strategia marxista-legalitaria applicata concretamente.
L'applicazione progressiva di questa strategia ha comportato, nei fatti, l'allontanamento parallelamente progressivo dei fini ultimi e giustificativi dell'azione socialista. Possiamo infatti osservare che, mentre ottant'anni fa, il partito, la lotta politica-elettorale, la conquista del potere ecc., erano considerati vari mezzi per realizzare il socialismo, ora, questi stessi mezzi sono diventati fini a se stessi. E all'interno di questi mezzi, in virtù della loro struttura e della loro funzione, è venuta via via progressivamente a crescere e svilupparsi una classe dirigente che con i problemi reali e materiali degli sfruttati e con le loro aspirazioni non ha assolutamente nulla da spartire. Così che tutta la carica, tutta la tensione di libertà, eguaglianza ed emancipazione emergente necessariamente dalle lotte degli sfruttati, viene diretta e convogliata per scopi assolutamente opposti e divergenti.
Una nuova classe è nata e si è sviluppata in virtù della spinta oggettiva delle lotte popolari e progressiste. Una classe che si va via via a sostituire alle vecchie classi capitaliste e borghesi, grazie a questi mezzi che nel processo storico si sono trasformati in fine.
La condizione degli sfruttati non cambia per niente.
Cambiano, come ne hanno cambiati tanti in secoli di storia, padrone.
Allo sfruttamento dei capitalisti privati subentra lo sfruttamento dei burocrati e dei tecnocrati di stato.
Ottant'anni fa tutto questo fu previsto lucidamente dagli anarchici, ma furono tacciati di utopismo. La scelta dei socialisti legalitari e riformisti, la scelta della "scientifica" strategia marxista, fu una scelta considerata storica e realistica. E proprio storicamente e realisticamente vogliamo oggi giudicare.
È stato ed è realismo tutto questo? Sì, quello dello sfruttamento e della dominazione di sempre.

Mirko Roberti

1) Vedi G. Manacorda, Il movimento operaio italiano attraverso i suoi congressi, Roma 1963, Ed. Riuniti, pagg. 345-346.
2) Denominazione che stava ad indicare la concezione marxista del partito, fu data da Turati in un suo articolo. Vedi L. Cortesi, La costituzione del partito socialista italiano, Milano 1962, pagg. 152-153.
3) Vedi L. Briguglio, Congressi socialisti e tradizione operaista, Tipografia Antoniana, Padova, 1972.
4) Discorso tenuto a Milano al Consolato Operaio il 4 aprile 1892. Riportato nelle Opere Vol. X pag. II, Ed. La Sociale, La Spezia 1912.
5) Vedi anche la divisione "formale" dei due punti distinti nel programma approvato a Genova il 1892.
6) Gruppo di Corridoni-Rigyer passato in seguito al fascismo. Pubblicò un giornale dal titolo "Guerra Sociale".
7) Tesi per il 39° Congresso Nazionale del PSI. Tipografia Seti, Roma 1972.