Rivista Anarchica Online
La via italiana al riformismo
di Mirko Roberti
Genova 1892 - Genova 1972: ottant'anni di storia del Partito Socialista Italiano segnano il
fallimento della "via riformista" al socialismo
Il 9 novembre scorso il Partito Socialista Italiano ha celebrato a Genova,
con il suo 39° Congresso i suoi
ottant'anni di vita. La scelta di Genova è stata una scelta voluta perché questa
città ottant'anni prima aveva visto la nascita
storica di questo partito e la separazione definitiva tra socialisti ed anarchici. Una scelta pertanto che
sta
ad indicare, nelle intenzioni dei promotori, una continuità storica ed ideale, una coerenza mai
venuta
meno. Ne diamo loro atto, perché mai ci passerebbe per la mente di accusare i socialisti
italiani di tradimento
e di degenerazione: i socialisti di oggi sono gli eredi storici, i figli legittimi e naturali dei socialisti di
allora. Non esiste per noi un problema di verifica, in sede storica, del loro vituperato "revisionismo",
perché sono nati così. Non indugeremo quindi sul loro "tradimento" verso le masse
popolari, rispetto
ai propositi di ottant'anni or sono; se questo tradimento c'è stato, esso è marginale a
confronto di quello
che vogliamo esaminare. Non c'è per noi una diversità qualitativa tra il socialismo
riformista di oggi e quello del 1892. Le due
diverse situazioni storiche non ci devono ingannare sul loro contenuto comune di fondo. Noi
vogliamo appunto esaminare e verificare questo sviluppo storico, come sviluppo logico e non
degenerativo, del socialismo riformista italiano. Pensiamo infatti che sia possibile riscontrare
una rispondenza logica, fra i propositi di allora e la storia
successiva del "socialismo" italiano. Beninteso, non i propositi "ideali", ma quelli strategico-tattici,
che hanno costituito in questi ottant'anni
la traccia teorico-ideologica del socialismo marxista riformista. È stato detto, da più
parti, che il nostro discorso storico rivela per l'ennesima volta, il "semplicismo
anarchico". Ora, domandiamo: ottant'anni di storia non sono sufficienti per verificare in
concreto la
bontà di una teoria sociale, della sua strategia, nella sua pratica-inerente, rispetto ad un fine
proposto
e proclamato? Ci viene risposto di no, con le motivazioni più complesse e disparate:
diversità delle situazioni storiche,
brevità del periodo in esame, impossibilità di effettuare un rigoroso ed obiettivo
bilancio, ecc.. I "marxisti puri" che non vogliono accettare e vedere uno sviluppo storico e
necessario delle loro teorie
nei fatti storici accaduti, sostengono l'idea del marxismo ancora "irrealizzato". Altri ancora non
accettano
invece l'accostamento teoria-storia, sostenendo la tesi di una sfasatura oggettivamente ineliminabile tra
questi due termini. Noi, al contrario, pensiamo sia possibile invece dare un giudizio complessivamente
sufficiente, utilizzando le indicazioni emergenti dai fatti storici più oggettivamente macroscopici
e
irreversibili. Se non è la storia, nei suoi fatti concreti, a essere possibile
strumento di giudizio politico, quale altro
strumento ci rimane? E quando mai è possibile il giudizio se non è fondato su fatti
oggettivi, come quelli
storici? Essi solo ci possono dire fino in fondo quale grado di verità scientifica, di
fondatezza reale, avevano le
proposte dei "legalitari", e quale era in effetti, ora che è stata provata, la natura del progetto
riformista.
Svelare fino in fondo tutta la falsità demagogica del suo preteso realismo: in questo modo
pensiamo sia
possibile capire veramente tutta la portata di fatuità che sta a monte di questo progetto,
perché ha
dovuto fare i conti con la storia e non con le parole.
il congresso del '92
Il 14 agosto 1892 si apre alla sala Sivori di Genova l'ultimo congresso del Partito Operaio Italiano,
destinato a diventare il Congresso costitutivo del Partito dei Lavoratori Italiani. Di questo famoso
e storico congresso non ci interessa, qui, rifare la storia nelle sue particolarità, ma
solamente riassumere brevemente i termini teorici, storici e ideologici, quanto cioè
separò i marxisti dagli
anarchici. Essi si riferivano più in generale alla diversa concezione teorica farà marxismo
ed anarchismo
ed in particolare alla diversa concezione su come impostare la lotta in Italia. Il movimento socialista
e operaio era stato fino quel momento un insieme composito ed eterogeneo di
istanze e tendenze diverse e disparatissime. Occorreva, secondo i "socialisti scientifici", dare ordine e
strategia unitaria per razionalizzare le forze e darle un unico fine. E questo comportava la scelta
definitiva e storica per la via gradualista, riformista, parlamentare, legalitaria e "politica" (intesa come
lotta per la conquista del potere). Era questa una via già conosciuta dal movimento operaio
e socialista tedesco, che si sforzava di
applicare gli insegnamenti marxisti. Sotto l'influenza e l'entusiasmo per alcuni successi elettorali, i
socialisti tedeschi erano convinti di arrivare al socialismo battendo la via elettorale. Questo entusiasmo
e convinzione contagiò definitivamente i socialisti italiani, soprattutto il gruppo milanese guidato
da
Turati e dalla Kuliscioff e "consigliato", attraverso il Turati, da Antonio Labriola (1). Tutto questo
comportava una concezione che metteva al primo posto la lotta condotta dal proletariato operaio urbano
(subordinando gli altri strati sociali sfruttati all'azione di questo) e che si riassumeva nella formula del
"partito piccolo" (2). A questa classica concezione marxista si univa una visione particolare della
situazione italiana di allora,
che vedeva il proletariato meridionale in posizione assai arretrata e frenante. Vale a dire si considerava
utopistico, illogico ed avventuristico fondare una lotta che partisse da quelle precise condizioni
economiche e geografiche. Per i socialisti scientifici l'emancipazione del Mezzogiorno d'Italia passava
in modo obbligato attraverso l'emancipazione prioritaria del proletariato operaio urbano, l'unico in grado
di conquistare il potere. In questo modo i marxisti facevano proprio il modello di sviluppo
capitalistico italiano, modo che ha
contrassegnato tutta la storia economica italiana fino ai nostri giorni. Grazie appunto a questa
rispondenza e sviluppo delle lotte operaie del settentrione, il capitalismo italiano
è riuscito a rendere cronico il sottosviluppo del sud in modo funzionale rispetto allo sviluppo
del nord.
Infatti solo con l'avvallo indiretto del movimento operaio, il capitalismo e lo stato italiano sono riusciti
a mantenere questa divisione all'interno delle masse sfruttate che da economico-geografica è
diventata
storica. Questa scelta strategica di fondo, che è stata una delle cause principali di tutte le
sconfitte del movimento
operaio italiano, lasciava aperto un altro grosso problema. Esso consisteva nella incapacità di
rendere
omogenee le forze che si riconoscevano in questo programma. Così il congresso di Genova
si illuse di aver liquidato la corrente operaista, mentre essa continuerà ad
esistere per vari anni (3). Questa convinzione subirà in seguito continue smentite: agli operaisti
faranno
seguito i sindacalisti rivoluzionari, ad essi i "massimalisti", poi nel 1921 i comunisti, oggi gli
extra-parlamentari. Per non parlare delle scissioni socialiste dal 1945 ad oggi. L'accusa fatta agli
anarchici di
dividere e disorientare le masse, si ritorcerà tutta intera sulle spalle dei socialisti
legalitari. Gli anarchici avevano previsto già da allora molti di questi futuri errori, ma la
preoccupazione maggiore
che assillava i libertari era dovuta alla convinzione, purtroppo confermata, che la struttura organizzativa
che i marxisti chiamavano "partito", avrebbe subito, nel corso dello sviluppo storico, una metamorfosi
decisiva. Il "partito", allora considerato un mezzo, o meglio, il mezzo per la conquista del
potere, sarebbe
diventato un fine. In virtù della sua struttura piramidale e gerarchica esso avrebbe permesso la
formazione di una nuova classe dominante e sfruttatrice. Scriveva con straordinaria lucidità
e chiarezza, qualche mese prima del congresso di Genova, l'anarchico
Pietro Gori "... e contro gli anarchici si trovano pur coalizzati nei momenti supremi tutti gli altri
partiti
sedicenti popolari, democratici, repubblicani, e socialisti legalitari. Bando dunque agli equivoci! E
sappiano i lavoratori che i socialisti-anarchici nulla hanno di comune con tutte coteste fazioni,
soggette alla volontà ed ai capricci degli avidi di potere e di dominazione in cui l'osservatore
sereno
sa fin d'ora discernere le stoffe di altrettanti futuri nemici. Di questi ultimi, ora, bisogna che parliamo.
Vogliamo dirvi di cotesta gente insidiosa e più pericolosa dei vostri stessi nemici, i ricchi e i
potenti,
vogliamo mettervi in guardia contro quanti si servono di voi per le loro mire ambiziose di potere.
Qualcuno si è lasciato nominare deputato con la speranza di giovare anche dal parlamento alla
causa
del proletariato. E forse anche per avvicinarsi a quella mostruosità che si chiama
socialismo di stato. Ma essi hanno dimenticato che l'ambiente finisce sempre per corrompere
chi ci vive dentro. È lontano
il tempo in cui Andrea Costa dichiarava di accettare la candidatura politica come semplice protesta,
e poi diceva di andare in parlamento solo per gridare tutti i giorni la sfida del socialismo
contro la
borghesia! Oggi Andrea Costa è divenuto un socialista legalitario tale, che se nel 1874 gli
avessero
predetto che sarebbe giunto a tal punto, egli avrebbe considerato tale previsione come il più
offensivo
degli insulti.... Detto questo, o lavoratori, torno a ribattere ciò che forma il leite-motive della
conferenza di questa sera. Occorre che nella battaglia nostra non sorgano altre autorità,
che un giorno
o l'altro possano sostituirsi alle antiche. È anche per questo che noi combattiamo il
socialismo
legalitario, per l'organizzazione autoritaria assunta dal partito che lo rappresenta" (4). Il partito
politico del proletariato era dunque, per gli anarchici, uno strumento pericolosissimo e di intralcio per
una vera unità degli sfruttati. Inoltre veniva sancita in modo ufficiale la separazione della lotta
politica
dalla lotta economica: la lotta economica doveva servire "come leva" per far avanzare il partito sulla via
del potere (5). E cosa promettessero allora i socialisti parlamentari e legalitari agli sfruttati, una volta
giunti al potere, chiunque può oggi documentarsi.
lotta economica
Passiamo ora ad esaminare alcune tappe decisive per lo sviluppo storico, non solo del socialismo
riformista, ma di tutto il movimento operaio e rivoluzionario. Cercheremo inoltre di verificare alcune
delle posizioni più qualificanti della scelta socialista legalitaria e di quella anarchica. Abbiamo
detto sopra
della divisione tra lotta politica e lotta economica, e della futura formazione di una forza a sinistra del
socialismo legalitario: il sindacalismo rivoluzionario. La sua nascita ai primi del novecento e il suo
sviluppo fino al 1915 pensiamo stiano in stretto rapporto
con la divisione sopra accennata. Il sindacalismo rivoluzionario era nato, secondo noi, per dare una
risposta alla eccessiva importanza data, dal socialismo riformista, alla lotta politica e parlamentare. Una
risposta, però, che non risolveva il problema perché altrettanto esclusivista nel riportare
tutto alla lotta
contro lo stato e lo sfruttamento sul terreno della sola lotta economica. Questa divisione all'interno
del movimento socialista ed operaio si trascinò in modo alterno fino al 1914,
anno in cui esso si trovò impreparato ad affrontare il moto popolare della "settimana rossa". E
la
"settimana rossa" verificò, come sappiamo tutti, l'efficienza di questa divisione e i buoni
propositi dei
riformisti. (Al tradimento inaudito della C.G.L., controllata dai socialisti, avrebbe fatto seguito un
anno dopo il
tradimento di una parte dei sindacalisti rivoluzionari. Essi, in buona o in cattiva fede, dopo il fallimento
della "settimana rossa", si illusero di partecipare alla I guerra mondiale, come "rivoluzionari", convinti
di trasformare la guerra fra Stati in "guerra sociale" (6).) Al tradimento dei riformisti nella
"settimana rossa", fece seguito la posizione anti-internazionalista
assunta da essi, all'entrata in guerra dell'Italia, riassunta nella formula né aderire né
sabotare. Tutta una
serie di fenomeni storici che a nostro avviso furono una logica conseguenza delle posizioni
presenti nella
strategia a lungo respiro del riformismo e della concezione marxista. Con l'anteporre la lotta per la
conquista del potere politico (che è sempre una lotta necessariamente
anti-internazionalista) alla lotta per la sua distruzione, i socialisti marxisti si ritrovavano sempre,
come
in seguito, di fronte al "dilemma" mai risolto. Riforme o rivoluzione? Lotta per la conquista del potere
all'interno del proprio paese o lotta opposta per la sua distruzione e cioè
internazionalista? Tutta la storia della seconda internazionale si sviluppa su queste contraddizioni,
sfociando nella sua crisi
ultima: la partecipazione esplicita od implicita, dei vari partiti socialisti, alla I guerra mondiale.
Così le
buone intenzioni, i buoni "propositi" dei riformisti, nulla potevano contro la logica degli stati e del
potere, come purtroppo avevano straordinariamente previsto gli anarchici venti anni prima. Ma
soprattutto essi venivano volontariamente od involontariamente ad assumere
necessariamente questa
logica facendola propria, sotto il pretesto "scientifico" del "realismo politico". A questa progressiva
assunzione della logica statale faceva seguito ovviamente una continua sostituzione
della logica socialista, tale che le aspirazioni e gli ideali di essa stavano sempre meno in un rapporto
diretto e materiale con l'azione quotidiana del riformismo. Sotto questa luce interpretativa è
possibile capire oggi l'azione di esso durante l'occupazione delle
fabbriche nel settembre del 1920. Tutti gli errori accumulati fino ad allora troveranno in quell'anno, che
fu la grande occasione storica del proletariato italiano, la verifica concreta, nei fatti e non nelle
parole,
della famigerata fondatezza "scientifica" della strategia del socialismo marxista.
la scissione continua
La divisione all'interno del Partito Socialista tra "massimalisti" e "riformisti", l'isolamento
drammatico
della classe operaia del nord rispetto alle masse contadine del sud, la contraddizione permanente tra la
"rivoluzione" e la via legalitaria, il distacco reale e materiale e la
conseguente sfiducia del "partito" dalla
capacità creativa popolare degli sfruttati, la sfasatura oggettiva tra la situazione empirica italiana
e la
cattedrattica dottrina marxista.... I nodi venivano al pettine, senza possibilità di salvezza (che
solo era
nella rivoluzione) aprendo la strada alla criminale reazione fascista. E ancora una volta la
possibilità di ripresa data allo stato e alla borghesia veniva dalla divisione del
movimento socialista e marxista: la nascita, nel 1921, del Partito Comunista d'Italia. Si consumava a
Livorno un'ennesima scissione da quelle forze che, dal 1892 in poi, pretendevano di rappresentare
"omogeneamente" gli interessi reali degli sfruttati. E se il fascismo poté non solo nascere
e svilupparsi, ma soprattutto consolidarsi, ciò fu dovuto al
persistere e di queste divisioni e della stanchezza e sfiducia delle masse popolari rispetto ai dirigenti
marxisti. Per trent'anni avevano predicato a parole la rivoluzione sabotandola ogni giorno
inesorabilmente nei fatti! E soprattutto per trent'anni li avevano abituati ad "aspettare", "pazientare",
"ubbidire" e non a fare, come diceva Malatesta allora. Quando gli sfruttati stanchi di
"aspettare" passarono ai fatti, con l'occupazione delle fabbriche, i
riformisti attuarono il più banditesco sabotaggio della loro "carriera". E tutto questo
potè accadere oltre
che per la loro cattiva fede, soprattutto per l'aver scelto una strategia, quella marxista, di per sé
fallimentare e irreale. Dopo la Liberazione le forze del socialismo parlamentare e legalitario si
ritrovarono nuovamente divise.
L'accordo del "fronte popolare" nel 1948 (cui peraltro non partecipava una parte dei socialisti riformisti
che con la scissione a destra del 1947, avevano fondato il partito socialdemocratico), fu solo una
esperienza elettorale senza una unità di fondo. La diversità di questi anni, rispetto
a quelli del pre-fascismo, consisteva nel fatto che la forza più a
"sinistra", vale a dire il Partito Comunista, era venuta a sviluppare negli anni fra le due guerre, una
alleanza assai vincolante con la Russia bolscevica. Questa alleanza non veniva e non viene accettata dai
socialisti, che ne fanno anzi uno spartiacque decisivo rispetto ai comunisti. Per il resto la strategia
di azione, nei fatti, è assai simile: la via sempre parlamentare, gradualista e
legalitaria. Per rendere realista questa via è stata aggiunta esplicitamente una
variante importante:
l'incontro e l'alleanza storica fra socialisti, comunisti e cattolici.
l'incontro con i cattolici
Grazie anche a questo "incontro" è stata possibile in Italia l'esperienza del centro-sinistra
che ha visto
finalmente i socialisti al governo. Ma socialisti e socialdemocratici del socialismo ormai non hanno che
il nome. Abbiamo visto in questi anni cosa è successo in Italia di diverso con i
socialisti al governo. Non
è successo niente, se non un graduale passaggio dei mezzi di produzione dalle mani dei privati
a quelle
dello stato. Ebbene? Gli sfruttati hanno forse progredito di un passo verso la loro reale
emancipazione? Non ci pare,
se per emancipazione non intendiamo il benessere, per resto assai relativo, della "società dei
consumi". Dove sono finiti gli ideali di libertà e di eguaglianza dei socialisti genovesi del
1892? Erano delle parole
e sono rimaste tali. Abbiamo avuto "socialisti"-ministri in vari dicasteri da quelli "economici" a quelli
più propriamente
"statali", come i vari socialdemocratici ministri della "difesa". Abbiamo avuto persino un presidente della
repubblica, Saragat, "socialista". E in questi anni oltre allo sfruttamento, che non è
cambiato per nulla
se non nella sua forma, ci sono stati fatti di una gravità inaudita che tutti
conoscono. Dove sono finiti gli ideali umanitari del socialismo che si esprimevano radicalmente
anche nell'anti-militarismo e nell'anti-clericalismo? Abbiamo i nostri bravi socialisti ministri delle forze
armate e a
braccetto con i preti "progressisti". Sono cose che farebbero arrossire di vergogna persino Turati
e Prampolini, ma non sono cose accidentali
o fenomeni degenerativi. Sono fatti storici necessari e conseguenziali
rispetto alla linea e alla strategia
marxista-legalitaria. Sono fatti che erano stati anticipati ampiamente con eccezionale chiarezza, dagli
anarchici ottant'anni
fa, e che si sono puntualmente avverati.
ottant'anni dopo
Leggiamo qualche stralcio preso dalle "tesi" del congresso di Genova del novembre scorso, per fare
un
consuntivo dell'ipotesi riformista rispetto alla sua storia. La prima cosa che colpisce nella lettura di
queste "tesi" è l'assoluta mancanza dei termini "eguaglianza",
"abolizione delle classi" ecc.: termini che in questi anni sono stati progressivamente sostituiti con i
termini "democrazia politica", "diverso rapporto fra le classi". Il Partito Socialista da partito "classista"
è diventato via via un "partito democratico-progressista". Non solo è stata
completamente abbandonata
la linea politica classista e la sua strategia inerente, ma anche, in modo esplicito, l'ipotesi "ultima" e
"ideale" che sta alla base dell'impianto teorico e programmatico del socialismo: l'abolizione delle
classi. Che cosa rimanga di socialista è per noi un mistero. Ma leggiamo alcune
"tesi". "Il Partito ha tuttavia realizzato in questo periodo storico importanti riforme, che recano
nell'ordinamento costituzionale e giuridico del nostro Paese l'impronta socialista:
dall'attuazione
dell'ordinamento regionale allo statuto dei diritti dei lavoratori, alla legge sulla casa, alla legge sul
divorzio". Per i socialisti-riformisti dunque, tutte queste riforme recherebbero l'impronta socialista!
Così, per
esempio, l'Inghilterra che ha una legislazione sociale sicuramente più avanzata della nostra,
divorzio,
assistenza sanitaria gratuita per tutti, case sicuramente migliori delle nostre ecc., sarebbe un Paese con
un'impronta socialista! Senza esaminare veramente la portata reale di queste riforme come
quella sulla
casa, per esempio, dove nella realtà o esistono case popolari (vedi dormitori
pubblici e alveari umani,
ghetti riservati ai lavoratori manuali) o per avere un minimo di casa decente bisogna pagare un affitto
che porta via da un terzo a metà del salario. Per fortuna c'è la legge sulla
casa! "Compito peculiare dei socialisti, quando partecipano alla gestione dello Stato democratico,
è quello di
rendere reale ed effettiva la democrazia politica, liberandola dalle manifestazioni proprie di una
società
divisa in classi". Qui, come possiamo constatare, compito dei socialisti-riformisti non è tanto
importante
liberare la società dalla divisione delle classi, quanto dalle sue "manifestazioni". Vale a dire dai
suoi
aspetti più vistosi ed aspri. Sono cose che vuole anche la sinistra del Partito Liberale
Italiano. Il Partito Socialista vuole "... una trasformazione graduale della struttura
economico-sociale e del
rapporto fra le classi"! Vuole insomma un "diverso rapporto" tra le classi, per di più graduale,
non
l'abolizione di esse. Di abolire le classi, ormai non si parla più.
aberrazioni
Il pensiero dei socialisti-riformisti sugli organi burocratici e polizieschi dello stato è
sintetizzato nelle
frasi seguenti "Il funzionamento dell'Amministrazione pubblica ha continuato ad essere inefficiente ed
in vari settori della burocrazia, delle forze armate, della magistratura si sono accentuate le tendenze
autoritarie, miranti non già al consolidamento democratico, ma dell'ordine in quanto tale, con
più o meno
celate compiacenze con il risorgere del fascismo". E così per i socialisti la polizia, l'esercito, la
magistratura, la burocrazia statale, sarebbero suscettibili di "educazione democratica"! Vorrebbero farci
credere, i nostri bravi socialisti-riformisti, che sia possibile (ammesso e non concesso che sia
socialisticamente accettabile), avere una polizia democratica, un esercito democratico, una burocrazia
democratica!!! Non li vogliono più abolire, come ottant'anni fa, il vogliono democratizzare!
Certo ci
vuole molta fantasia ad immaginare la polizia o l'esercito democratici! A tale mostruosità
è arrivato il pensiero del socialismo riformista. Queste tesi sono state approvate al 39°
congresso del Partito Socialista Italiano, a Genova, celebrando
i suoi ottant'anni di storia (7). Abbiamo detto, all'inizio di questo articolo, che per noi lo sviluppo
storico del socialismo riformista e
legalitario va interpretato come processo logico e non degenerativo, rispetto alla sua
strategia di
partenza. Ora, "confrontando" i socialisti di allora con quelli di oggi, constatiamo un abisso di
diversità
che va dalla serietà morale e intellettuale alla diversità dei propositi e delle aspirazioni.
Ma tutto questo
è logico se pensiamo che il Partito Socialista di oggi (e, per molti versi, lo stesso
Partito Comunista) è
il risultato e il prodotto di ottant'anni di strategia marxista-legalitaria applicata
concretamente. L'applicazione progressiva di questa strategia ha comportato, nei fatti,
l'allontanamento parallelamente
progressivo dei fini ultimi e giustificativi dell'azione socialista. Possiamo infatti osservare che, mentre
ottant'anni fa, il partito, la lotta politica-elettorale, la conquista del potere ecc., erano considerati vari
mezzi per realizzare il socialismo, ora, questi stessi mezzi sono diventati fini a se stessi. E all'interno di
questi mezzi, in virtù della loro struttura e della loro funzione,
è venuta via via progressivamente a
crescere e svilupparsi una classe dirigente che con i problemi reali e materiali degli sfruttati e con le loro
aspirazioni non ha assolutamente nulla da spartire. Così che tutta la carica, tutta la tensione di
libertà,
eguaglianza ed emancipazione emergente necessariamente dalle lotte degli sfruttati, viene diretta e
convogliata per scopi assolutamente opposti e divergenti. Una nuova classe è nata e si
è sviluppata in virtù della spinta oggettiva delle lotte popolari e progressiste.
Una classe che si va via via a sostituire alle vecchie classi capitaliste e borghesi, grazie a questi mezzi
che nel processo storico si sono trasformati in fine. La condizione degli sfruttati non cambia per
niente. Cambiano, come ne hanno cambiati tanti in secoli di storia, padrone. Allo sfruttamento
dei capitalisti privati subentra lo sfruttamento dei burocrati e dei tecnocrati di stato. Ottant'anni fa
tutto questo fu previsto lucidamente dagli anarchici, ma furono tacciati di utopismo. La
scelta dei socialisti legalitari e riformisti, la scelta della "scientifica" strategia marxista, fu una scelta
considerata storica e realistica. E proprio storicamente e
realisticamente vogliamo oggi giudicare. È stato ed è realismo tutto questo?
Sì, quello dello sfruttamento e della dominazione di sempre.
Mirko Roberti
1) Vedi G. Manacorda, Il movimento operaio italiano attraverso i suoi congressi,
Roma 1963, Ed.
Riuniti, pagg. 345-346. 2) Denominazione che stava ad indicare la concezione marxista del partito,
fu data da Turati in un suo
articolo. Vedi L. Cortesi, La costituzione del partito socialista italiano, Milano 1962,
pagg. 152-153. 3) Vedi L. Briguglio, Congressi socialisti e tradizione operaista,
Tipografia Antoniana, Padova, 1972. 4) Discorso tenuto a Milano al Consolato Operaio il 4 aprile
1892. Riportato nelle Opere Vol. X pag.
II, Ed. La Sociale, La Spezia 1912. 5) Vedi anche la divisione "formale" dei due punti distinti nel
programma approvato a Genova il 1892. 6) Gruppo di Corridoni-Rigyer passato in seguito al
fascismo. Pubblicò un giornale dal titolo "Guerra
Sociale". 7) Tesi per il 39° Congresso Nazionale del PSI. Tipografia Seti, Roma 1972.
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