Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 160
dicembre 1988 - gennaio 1989


Rivista Anarchica Online

Razzisti noi?
di Maria Teresa Romiti

"Gli Italiani, lo sappiamo, amano parlare male di sé. È una specie di civetteria, un vezzo nazionale. A noi piace definirci furbi, cinici, voltagabbana, imbroglioni, corruttori (o, a secondo dei casi, corrotti); sprovvisti, comunque, di grandi ideali e di rigorosi principi morali. Certo non possiamo negare l'esistenza, anche in mezzo a noi, di persone che respingono le tentazioni opportunistiche e il servilismo vigliacco, mantenendosi coerenti, costi quello che costi, con i propri valori guida. Ma la sensazione generale è che si tratti di minoranze esigue, alle quali - in fondo - non si riconosce una troppo vivace intelligenza. C'è tuttavia una cosa della quale usiamo vantarci: noi italiani saremmo un popolo "buono", un popolo "umano", meriteremmo, in altri termini, quell'etichetta di "brava gente" che ci è stata concessa. E tra le qualità "buone" ed "umane" che siamo soliti attribuirci, c'è quella di non essere razzisti".
Inizia così il libro di Rosellina Balbi All'erta siam razzisti (Milano, Mondadori 1988, pagg. 112, lire 20.000), un libro non voluminoso, si potrebbe definire anche un lungo articolo, scritto in uno stile giornalistico, chiaro e veloce. Un libro che cerca di fare i conti, e non in maniera superficiale, con il razzismo, che cerca di sgombrare il campo, fin dalle prime pagine, dai triti luoghi comuni, dalle belle favole di un paese non razzista e tollerante.
Si parte da una serie di episodi di cronaca, molti fin troppo tristemente conosciuti, per fare un veloce excursus storico alla ricerca delle radici, della nascita di un fenomeno che non basta definire pericoloso poiché è soprattutto disgustoso: spia di concetti ed ideologie che riducono qualcun altro (e non importa che l'altro sia di volta in volta bianco, nero, giallo, ebreo, donna, handicappato, matto, drogato) a qualcosa di meno che umano, ad oggetto, comunque lo considerano inferiore, al di sotto.
Un fenomeno, come fa notare bene Rosellina Balbi, che coinvolge destra e sinistra, reazionari e progressisti, un fenomeno con cui ognuno di noi deve fare i conti. Non tutto è condivisibile nel discorso di Rosellina Balbi, in alcune parti il libro presenta sbavature, soprattutto nel tentativo, difficile da realizzare, di salvare il marxismo, come teoria pura, dall'accusa di antisemitismo, ma ha il pregio non da poco di non fermarsi agli slogan, di parlare di tutti i razzismi, compreso l'antisemitismo, di riconoscerne la presenza tra la sinistra italiana, di cercarne ragioni e non ragioni, di riconoscere soprattutto che non si può parlare di razzismo, ma di razzismi.
Un libro che sa essere duro anche verso l'antirazzismo di facciata che troppo spesso si ferma ad un generico no, incapace di andare più a fondo e, ancora più grave, troppo spesso contraddetto dalle stesse azioni di chi si proclama, a parole, antirazzista.
"Non che per gli antirazzisti, quand'anche non "citrulli", sia facile "muoversi di lì". Tanto più che il loro nemico è insieme molteplice e sfuggente, la stessa persona che non sopporta i drogati può deprecare l'apartheid in Sudafrica. Vuole le donne "a casa", ma si indigna di fronte ad uno striscione offensivo per i meridionali. La verità è che ciascuno, come ha detto Daniel Sibony "ha la sua costellazione fobica". E da quel "ciascuno" non sono esclusi neppure gli antirazzisti militanti".
E perché poi ci si dovrebbe aspettare il contrario? Non siamo figli della stessa cultura? Non c'è in ognuno di noi la stessa ansia, se non paura per il diverso, ovunque si annidi per noi? Un libro che è quindi un invito a fare i conti con la propria coscienza, a fare esperimenti mentali per cercare di capire, anche sulla propria pelle, il significato della discriminazione. Un invito ad abbandonare schemi ed ideologie per provare a rapportarsi con la vita quotidiana, con il giorno dopo giorno che, troppo spesso, cela il pregiudizio. "Non che non mi piacciano i ..., ma...", "Non che io sia razzista, ma..." e in quelle frasi c'è tutto: la giustificazione non richiesta che equivale in fondo all'ammissione, magari non cosciente, del razzismo strisciante. E se questa, come riconosce la stessa autrice, è "una conclusione che non conclude" è, comunque, un invito a pensare sempre con la propria testa, una cosa certamente che chi parla per frasi fatte, chi accetta pregiudizi, evita di fare.