Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 160
dicembre 1988 - gennaio 1989


Rivista Anarchica Online

Non ti ha detto nulla la mamma?
di Andrea Papi

Da un decennio a Vignola, nel Modenese, è aperto un centro sociale: Il Lambicco. Il nostro collaboratore Andrea Papi ha intervistato alcuni suoi promotori. Al centro della chiacchierata: autogestione, rapporti con le autorità locali, questione droga, antimilitarismo ed altro ancora.

Dal novembre dell'ottantadue, a Vignola, cittadina importante del modenese, nota soprattutto per le rinomate ciliege esportate in tutto il mondo e fulcro della sua economia, è in atto un'esperienza unica, interessante, condotta rigorosamente e coerentemente attraverso i principi dell'autogestione. È "Il Lambicco", circolo libertario irregolare e non catalogabile, momento di esperienza altra, di fatto in opposizione con la cultura e l'etica dominanti, esempio pulsante di un modo di vivere realmente alternativo alla società dei consumi, del profitto e del mito del denaro.
Sono amico di alcuni dei suoi fondatori da prima che nascesse. Conosco la loro storia e, in parte, ho partecipato alle loro lotte e al loro travaglio. Da anni avevo proposto loro di trasmettere la loro esperienza, dal mio punto di vista estremamente valida e degna di passare in qualche modo "alla storia" perché probabile stimolo a continuare a lottare e sperimentare per una vita e una società emancipate dalla logica del dominio e dalla tirannia del denaro. Ho sempre incontrato reticenza, forse dovuta a una non considerazione ironica della carta stampata, o che so ad altro.
Finalmente, dopo vari tentativi, hanno accettato di parlare di sé al di fuori del proprio ambito. Ne è scaturita questa intervista, che da sola esprime in modo esauriente il loro vissuto e il loro esserci.


Siamo qui, nel centro autogestito "Il Lambicco" di Vignola nel Modenese, assieme a Gianni, Maurizio, Claudia, Ugo, Paolo, Leo, compagni che ne conoscono bene la storia. Sarà più che altro una conversazione sul senso, sulla storia e sul significato di questa esperienza abbastanza unica nel suo genere. Partiamo direttamente da una domanda, poi il discorso si svilupperà da solo, attraverso i pareri dei presenti. Cosa significa veramente "Lambicco"?

Ugo - Lambicco viene dal dialetto modenese "al lambèc" ed esprime un girare attorno, masturbarsi il cervello per qualsiasi motivo. Il nome non è stato scelto per motivi precisi. Anche quando dai il nome a un figlio lo chiami in un certo modo per differenziarlo da qualcosa d'altro, senza motivi particolari o significati reconditi. Però già il fatto di cercare un nome ci impegnò per qualche ora perché ne erano saltati fuori tanti; alla fine scegliemmo questo, più ironico che provocatorio. Oltretutto stavamo usando come sede la sala consiliare.

Voi vi definite centro autogestito. Che senso date alla parola autogestione? C'è un'impostazione unica o ce ne sono diverse?

Gianni - Il fatto che la discussione sul significato della parola "autogestione" sia iniziata fin dal primo giorno dell'occupazione, in un'assemblea molto affollata, presente la controparte, i rappresentanti del potere locale, cioè gli amministratori del comune di Vignola, o non sia ancora finita, dà l'idea di come ci siano modi diversi di vedere e di intendere la cosa.
È sempre emersa durante tutte le assemblee che si sono svolte al Lambicco e continua a riemergere, nella pratica e nelle scelte che via via venivano avanti, la sostanza che sta dietro questa parola per ognuno di noi.
Anche i rappresentanti dell'amministrazione comunale, all'indomani della nostra occupazione, hanno usato questa parola, proponendoci l'autogestione del posto. Ma crediamo che per loro abbia un significato ben diverso da quello che noi, gruppo di occupazione del Lambicco, gli diamo. Per capire meglio: penso che tutti quelli che erano presenti a quella memorabile assemblea, al di là delle differenze e dei contrasti che c'erano al nostro interno, continuino a ricordare che l'assessore alla cultura, per definire il posto dove sistemarci, usò la parola "contenitore". A suo modo di vedere, questi giovani diversi di Vignola volevano semplicemente fare, o consumare, un discorso culturale.
In base all'esperienza, io posso dire come si sviluppa per noi nella pratica l'autogestione. In quanto circolo registrato legalmente, il Lambicco ha un presidente. Una figura che, di nome e di fatto, abbiamo considerato sempre puramente formale. Le tre persone che fino ad oggi hanno svolto questo ruolo non hanno mai avuto nessun potere, né comportamenti, o influenza, o qualsiasi altra cosa che possa far pensare che avessero una carica all'interno. Tutte le cose vengono decise all'interno dell'assemblea, composta dagli aderenti al circolo. Un'assemblea estremamente eterogenea, tanto è vero che vi hanno partecipato anche persone che sono entrate una volta sola, per poi uscirne e nessuno le ha più viste. Anche loro hanno potuto esprimere liberamente la propria opinione.
Abbiamo fatto in modo che tutto ciò che è vita del circolo passi attraverso l'assemblea, così che il numero maggiore di persone ne sia a conoscenza possa discuterne, dire la propria opinione. Nella pratica poi, i rapporti quotidiani interpersonali fanno sorgere una serie di problemi, che sono quelli che ognuno di noi si porta dentro. Questo al di là dei diversi modi di concepire l'autogestione. Però il fatto di decidere insieme quello che vogliamo fare, attraverso lo strumento dell'assemblea, è una pratica abbastanza radicata all'interno del Lambicco, venuta avanti nel corso degli anni. Tante persone per nulla abituate a discutere in mezzo a tanta gente l'hanno fatta propria.

"Nel tempo dunque sono sorti, e forse continueranno a sorgere, una serie di problemi. Mi interessa sapere come hanno inciso nell'ambito della gestione interna, sostanzialmente assemblare (cioè su basi egualitarie) e se il discuterne ha portato a definire meglio, ovviamente se ce n'è stato bisogno, i metodi e le tecniche di gestione per riuscire a rimanere su un piano egualitario?"

Maurizio - Il discorso dell'uguaglianza si è subito presentato come un elemento da realizzare e concretizzare all'interno del progetto di autogestione che volevamo impiantare con questo circolo. Solo che sono nati una serie di problemi, perché abbiamo sulle spalle una cultura autoritaria che abbiamo assorbito dalla realtà che ci sta attorno, la quale fa a pugni con i nostri fini libertari. Succede che chi entra al Lambicco non si spoglia subito di questi abiti, creando a volte meccanismi e situazioni che vanno al di là delle nostre finalità di autogestione.
Per esempio, un grosso problema è stato quello di accettare che anche lavare i gabinetti era funzionale al circolo quanto fare una conferenza. Detta così sembra una cosa molto ovvia. Ma assumere tutti un medesimo atteggiamento rispetto al rapporto tra lavoro manuale e intellettuale, nel senso di dare ad entrambi un egual valore, è stato abbastanza difficile. Tanto è vero che, soprattutto all'inizio, una parte di persone si è allontanata perché non riscontrava nei lavori di manutenzione, nel tenere il bar aperto, o nel pulire i pavimenti, un senso culturale. Altri invece, che ugualmente separavano lavoro intellettuale e manuale, considerando cultura solo quella con la "K", sono rimasti. Col tempo, misurandosi col nostro progetto, hanno verificato che non si può parlare di autogestione se ci si scompone in queste due anime. Chi interviene qui quindi, lo fa per organizzare concerti o conferenze, ma anche per pulire per terra.
Un altro problema è quello della maggioranza e minoranza. Quando arrivano alle nostre assemblee, gli estranei ci vedono un po' come degli UFO. Per un occhio straniero, il fatto che non alziamo mai le mani per votare, dà l'idea che non decidiamo mai nulla. È un concetto difficile da far capire. Qui pensiamo che chi partecipa all'assemblea non debba aver l'idea di essere antagonista e far prevalere la propria opinione, mentre lo fa per misurarsi con gli altri al fine di trovare una soluzione comune. Ciò sconcerta moltissimo e fin dall'inizio è stato piuttosto duro.
Però per cinque anni abbiamo funzionato così e abbiamo deciso molte cose; soprattutto abbiamo deciso la vita e il cuore del Lambicco, riuscendo a fare tutto senza mai dividerci in maggioranze e minoranze. È stato importante perché non si sono create divisioni o partiti presi all'interno. Misurandoci sulle questioni pratiche, anche i contrasti non erano a priori. Volendo tutti contribuire a portare a buon fine i progetti, l'accordo comune è sempre saltato fuori.

Ugo - Vorrei buttare un po' d'acqua sul fuoco. Maurizio ha ragione nel concetto di fondo. Però nella realtà dei gruppi si sono formati lo stesso, si sono disciolti e poi riformati; non per questioni razionali, me per ragioni umane, nel senso che le persone che hanno una vita più o meno simile, che condividono certe situazioni e certe maniere di vivere, tendono a coalizzarsi in gruppi. Ritengo che questo sia normale. La cosa più difficile è sempre la realizzazione coerente di quell'ideale che si ritiene giusto.

Paolo - Volevo un po' approfondire il discorso sull'assemblea, sui metodi di decisione, sul fatto se sia un mezzo egualitario o no. Nella mia esperienza personale ho notato che in assemblea ogni persona si porta il suo bagaglio culturale. Anche senza l'alzata di mano come metodo decisionale, c'è il gruppo di persone più politicizzato, con un particolare bagaglio di esperienza alle spalle, che riesce a proporre il problema in un certo modo. Se vogliamo, crea una divisione tra loro e i non politicizzati, i quali non avevano esperienze precedenti.
Non avendo esperienze su come far vivere un posto in modo autogestito, per molti è tutto da imparare, per cui di fatto tendono ad ascoltare, più che a dire la propria. Anche all'interno del gruppo più politicizzato questo è stato chiaro fin dall'inizio e ha fatto in modo che la cosa crescesse col tempo. Sono d'accordo con Gianni quando dice che il progetto autogestionario è iniziato nel novembre '82 e non è ancora finito. Questo problema velato ci sarà sempre, tra chi tende ad ascoltare e quelli che invece dicono perché hanno già un'idea su come dovrebbero andare le cose.

Leo - Riguardo a quello che ha detto Paolo, sulla differenza tra il gruppo politico e le altre persone che non ne fanno parte. Forse è perché ho sentito così la prima volta che ho partecipato a un'assemblea, la differenza si manifesta nell'aver fatto proprio il concetto di autogestione. Fintanto che non avevo fatto mio questo concetto, che non lo avevo capito, non sono stato in grado di partecipare alle scelte collettive interne al Lambicco. Quando invece ho fatto mio questo metodo di vita, ne sono stato capace.

I problemi posti sono diversi. Il discorso autogestionario diventa operativo perché è un valore di cui ogni individuo si impossessa come metodo di vita. Si crea perciò una tensione comune per realizzare insieme le cose. Ugualmente sorgono delle differenze che hanno portato e portano alla formazione di diversi gruppi che si coalizzano all'interno. Ma queste divisioni non riescono però a intaccare l'unanimità di fondo che vi sostiene, cosicché riuscite a prendere decisioni collettive senza dover ricorrere al classico metodo della maggioranza e minoranza che istituzionalizza la divisione. Siccome sono convinto che ogni esperienza di questo tipo serva alla cultura generale, vi chiedo se pensate che il vostro metodo sia generalizzabile, collegabile al procedere dell'utopia .

Ugo - Personalmente non posso dire se sia generalizzabile o meno. Io lo vivo come fatto personale senza vederlo collegato a un contesto nazionale o internazionale. Qui c'è un rapporto tra amici e in assemblea in genere non si prendono decisioni in senso stretto. Essendoci un accordo di fondo, su certe decisioni si prendono anche delle non decisioni. C'è un'assonanza fondamentale che aiuta.
Così in pratica a volte si prendono decisioni automatiche, forse per mancanza di stimoli altri. Oppure, se su una cosa nessuno ha le idee chiare, questa sul momento decade e lascia il posto alla riflessione, a una progressiva maturazione interiore che darà poi i suoi frutti. Le cose vengono poi fatte in base all'atmosfera che si è venuta a creare nelle assemblee.
Si tratta in realtà di una discussione sempre aperta che supera e supplisce al non decidere. Aggiungo che anche prima di occupare questo posto, si viveva già in modo autogestito.

Com'è avvenuta l'occupazione con cui vi siete impadroniti di questo locale? Credo che sia un elemento fondante di questa vostra esperienza, vissuta a livello umano e collettivo, con importanti implicazioni teoriche.

Gianni - Avvenne il 13 novembre 1982, nella notte tra un venerdì e un sabato verso la mattina. A quell'ora, perché volevamo entrare senza incontrare ostacoli. Una volta dentro avremmo potuto condurre meglio la nostra battaglia. Fu un momento fondamentale della maturazione del movimento qui a Vignola, frutto di situazioni precedenti. Entro più nel merito.
Prima dell'occupazione, a Vignola c'era un gruppo di persone che si incontrava in un bar osteria vecchio stile, oggi scomparso e sostituito da una banca.
Era un punto d'incontro tra persone che si riconoscevano delle affinità nello stile di vita. Alcuni di questi si riconoscevano negli "anarchici e libertari di Vignola". Un gruppo che aveva fatto azioni antimilitariste e dal cui interno era sorta la cooperativa agricola giovanile "La Falce". Per il resto del paese erano le pecore nere, i barboni, gli straccioni. Antimilitarista da sempre, fin da allora, quando ancora non se ne parlava, si poneva il problema ecologico. Avevamo fatto delle belle manifestazioni, momenti vari d'animazione, mezze carnevalate, prese molto sul serio. Mi ricordo il carro armato di cartone dietro la sfilata ufficiale di un 4 novembre, che fece andare in bestia le autorità, al punto che il maresciallo dei carabinieri lo prese a calci.
Già da parecchio tempo in questo gruppo si sentiva la necessità di avere un luogo fisico in cui autogestirsi il proprio tempo libero. Così l'occupazione del Lambicco è avvenuta al culmine di un sentire comune che aveva bisogno di un suo proprio spazio, per vivere direttamente e sperimentare l'autogestione, che tutti noi continuavamo a teorizzare. Un'altra spinta importante è venuta dal dilagare dell'eroina a Vignola, che ha fatto molte vittime nel nostro ambiente. I primi consumatori, divenuti poi piccoli spacciatori, sono sorti proprio nell'osteria "La Pace", di cui parlavo prima. Per molti il problema più grosso era diventato la ricerca della "roba", così si era creato un bisogno generalizzato di avere un posto nostro dove autogestirsi la propria vita. Alle spalle c'era una storia lunghissima di controversie col comune, di attacchi, di scontri, di incontri, di manifestazioni, di luoghi negati, Quindi il momento dell'occupazione è stato un momento di grossa tensione, perché era maturato nel tempo. Occupare era diventata l'unica possibilità, perché tutte le mediazioni e i tentativi di ottenerlo regolarmente non avevano avuto nessun esito. Tuttavia avevamo capito che, per concludere qualcosa, bisognava entrare e basta. Da allora siamo ancora qui.

Maurizio - Anche se eravamo al culmine di un'esperienza, quando decidemmo di occupare, la cultura dell'eroina cominciava ad essere sconfitta e molta gente era uscita da quel tunnel nero, soprattutto quelle persone che erano della nostra area. L'eroina e la sua cultura sono state predominanti, tagliando le gambe al movimento alternativo, intorno al '78 e '79, mentre nell'82 chi era nella nostra area se ne staccava ed aveva bisogno di una situazione viva.
Gianni non ha detto una cosa importante. Che c'erano state delle esperienze d'occupazione nel territorio di Vignola. Dalle comuni agricole, come ad esempio "La Fagiola", che andavano nel senso inverso a quello del consumismo proposto da questa società, le quali furono represse dai carabinieri; che buttarono la gente fuori dalle case, con masserizie, figlioli, ecc... Esperienze che lasciano un segno. Così quando occupammo ci sarebbe andata bene anche se ci fosse andata male, perché in un paese come questo erano anni che si parlava di certe cose. Con l'esperienza storica che avevamo alle spalle, e con le esperienze che c'erano state su tutto il territorio nazionale, sentivamo l'esigenza di trasmettere tutto questo bagaglio culturale in modo non libresco, ma pratico.
Dovevamo trasmettere in termini pratici quello che avevamo vissuto, affinché l'esperienza storica fosse comune a tutti. Non si doveva vivere più in termini schizofrenici la lotta contro il potere, nel senso che questo tipo di lotte, oltre che nelle città, potevano essere fatte anche in un paese come questo. Un atto di ribellione, anche se represso, avrebbe trasmesso coraggio a quelli che l'avevano letto solo sui giornali o sui libri.

Mi ha colpito quello che diceva prima Gianni. Che eravate visti come pecore nere e che forse lo siete ancora oggi. Visti da chi?

Gianni - Quando abbiamo occupato questo posto non avevamo prospettive, né un progetto a medio termine. Lo abbiamo fatto perché dovevamo farlo per le cose dette prima. Uno dei motivi più eclatanti è stato il discorso dell'eroina. Chiaramente, poiché all'inizio l'eroina è arrivata principalmente all'interno della nostra area, abbiamo sempre avuto addosso l'etichetta di contiguità coi drogati, spacciatori e simili. Anche se la battaglia contro l'eroina è stata una delle nostre battaglie principali. Abbiamo cacciato fuori gli spacciatori identificati, in cortei e manifestazioni abbiamo detto a gran voce che eravamo contrari. Ma nonostante tutto questo la popolazione ci ha sempre visto legati al giro dell'eroina.
Inoltre, il fatto di presentarsi per esempio in piazza il 4 novembre con un carro armato di cartone, con cartelli e slogan antimilitaristi, ha fatto sì che, soprattutto la fetta di popolazione legata al PCI, visto che il sindaco è comunista come pure le autorità locali, ci ha sempre visto come "rompiballe", "gente che non lavora", "gente che si droga", e che "dentro al Lambicco chissà cosa fa".

Ugo - Su certe cose sono d'accordo con Gianni. Ma secondo me la cosa c'era da prima per fatti diversi dall'eroina. C'era verso l'individuo e non solo verso la collettività "strana" che si è poi creata con l'occupazione o prima con le azioni come il carro armato.
Già se avevi il capello lungo eri catalogato, eri già in quel cassetto dell'archivio che loro avevano preparato per te. Qui do ragione a Gianni; se sei del PCI, a Vignola, sei un'istituzione, se sei qualcosa al di fuori sei sospettato, se sei democristiano già è meglio perché sei un nemico rispettato, se sei un anarchico, o qualcosa di simile, come me che non lo sono anche se sono fatto in un certo modo, sei una bestia nera. Non essere anarchico, ma comportarsi nello stesso modo per loro è la stessa cosa. Il problema è il rifiuto del diverso.

Maurizio - A livello popolare era ben chiaro che i compagni con l'eroina non avevano nulla a che fare, perlomeno quelli del gruppo anarchico e libertario. La nostra posizione fu ben chiara fin dall'inizio, perché siamo stati l'unica forza che si è opposta in termini politici al discorso dell'eroina. Per questo, rispetto alla gente, abbiamo una certa credibilità. Il problema è un altro.
Qui a Vignola non è come in una città, dove la gente non si conosce nei condomini, dove il droghiere non sa chi sei quando vai a fare la spesa. Qui saluti non solo quelli che abitano lungo la tua scala, ma anche quelli che passano lungo la via. Ci conosciamo tutti. Quindi essere anarchico, baffuto, cappellone, si nota. Il diverso in paese è molto diverso. Paghi dei prezzi altissimi. Non trovi casa o non trovi nemmeno un posto dove andare a bere in un bar una birra perché al limite non te la servono e ti buttano fuori.

Anche per voi, come in tutta l'esperienza postsessantottina, il problema dell'eroina è fondamentale. È presente in tutte le esperienze alternative. In alcuni casi è stato castrante, mentre altri sono sopravvissuti. Voi non solo siete sopravvissuti, ma avete un vissuto in atto che continua ad essere.
Mi interessa sapere come avete risolto il problema, se di soluzione si può parlare, dal momento che siete costretti ancora a confrontarvici?

Paolo - Mi aggancio al discorso di Maurizio sul fatto che, alcuni anni fa, l'eroina aveva colpito alcune persone che lavoravano assieme al gruppo degli anarchici e libertari. Guardando oggi, mi sono accorto che chi fa parte di una certa area ed ha un certo stile di vita non si fa più. Chi si fa oggi a Vignola, sono persone al di fuori del nostro giro, che non conosciamo; da un certo punto di vista si è perso il contatto con loro. Forse perché l'area dei diversi in senso politico si è allontanata dalla cultura dell'eroina. Al di là del fatto che chi è riconoscibile nella nostra area viva o no al Lambicco. È anche successo che alcuni, dopo aver frequentato il Lambicco, abbiano smesso di farsi. Poi hanno smesso di frequentare il Lambicco, ma non hanno ripreso a farsi.

Leo - Per i tossicodipendenti il Lambicco in questi anni ha rappresentato un luogo importantissimo dove passare le proprie serate o i propri pomeriggi.
Un luogo in cui non potevano essere ricattati o tentati dagli spacciatori, in cui potevano venire, essere accolti a braccia aperte, capiti e accettati. Si parlava assieme, si faceva una partita a carte, si beveva un bicchiere di birra insieme. Un ambiente molto diverso da quello di fuori cui erano abituati, in cui si scontravano sempre con una realtà che li vedeva come tossicodipendenti e basta. Là erano sempre alla ricerca di un buco di eroina, quindi di un stereo da rubare per procurarsi i soldi. Qua invece, quasi un porto franco, dove gli spacciatori sono sempre stati tenuti fuori, anche con la forza. Questo è un aspetto di come è stato affrontato il problema all'interno.
Esternamente sono state fatte delle azioni di piazza, delle conferenze, delle manifestazioni, come nel caso di una ragazza, morta in seguito a una dose, che frequentava il posto. In questa occasione, abbiamo fatto una conferenza e una mostra e una manifestazione che penso abbiano inciso molto in paese. Naturalmente l'eroina c'è ancora, ma la nostra azione ha lasciato un segno, tanto è vero che il giro degli spacciatori si è addirittura trasferito a Spilamberto.

Dagli interventi finora fatti è emerso più volte che il Lambicco non è un'esperienza chiusa al suo interno autogestionario, ma ha fatto diverse azioni all'esterno. Questo è importante, perché vuole in qualche modo essere propositivo, svolge cioè un ruolo politico. Quali sono queste esperienze, quale senso è stato dato ad esse e quale ad eventuali future?

Gianni - una delle azioni sociali più importanti che il Lambicco ha svolto verso l'esterno, è stata l'affermazione della sua esistenza, cioè il fatto che a Vignola ci sia un centro autogestito, senza nessuna affiliazione e che vive in pieno al di fuori della legge.
Come circolo gestiamo un bar che vende, senza però essere affiliato a nessuna organizzazione nazionale, come invece ci era stato prospettato subito dopo l'occupazione. Già il fatto di esistere è quindi incontestabilmente un fatto sociale ed ha un significato politico sul territorio. La seconda, come si diceva prima, riguarda il discorso dell'eroina, sulla quale siamo sempre intervenuti fin da prima dell'occupazione.
Per il resto il Lambicco è nato con l'intenzione di essere un laboratorio. Chi vuole produrre interventi sociali su qualsiasi argomento che lo interessi può e deve usare il circolo come posto di riferimento, perché non vogliamo limitarci alle feste del sabato sera o ai concerti. L'antimilitarismo è per esempio un settore d'intervento. Qui si riunisce un gruppo di obiettori fiscali alle spese militari, di cui soltanto due o tre fanno vita di circolo. Gli altri sono persone che si ritrovano su quel discorso, avendo il Lambicco come punto di riferimento, cioè luogo di incontro, di discussione o di preparazione di iniziative. Ci sono poi altri settori, come quello dell'ambiente e dell'ecologia, con le stesse caratteristiche. Questo intendiamo come laboratorio: che chi ha interesse a portare avanti un discorso, usufruisce del Lambicco come spazio, come luogo, come ambiente di incontro e scambio d'idee.

Paolo - Per quanto riguarda il discorso delle azioni sociali, se la memoria non mi tradisce, in assemblea non abbiamo mai posto il problema di che cosa fare verso l'esterno, né mai abbiamo aperto una discussione su questo. Ciò non è casuale, perché rispecchia il fatto che il Lambicco non ha una linea comune sul come proporsi. Ciò che facciamo nasce dall'esigenza di individui o di un gruppo di persone che magari scelgono l'assemblea come momento per esternarla, per sentire il parere degli altri.
Così succede che le cose che si fanno all'esterno rispecchiano molto lo stile di vita delle persone. Ci può essere un momento ludico, ma anche il momento in cui si fa la classica parlata di piazza su un problema d'attualità. È proprio il fatto di non avere una linea comune a costituire l'originalità del come ci si propone. Non si segue un vademecum e si esternano anche i propri errori. Continuiamo ad essere pecore nere anche da questo punto di vista, perché rifiutiamo il discorso della cultura dominante che vuole sempre vedere la posizione unitaria nelle cose che si fanno.

Maurizio - Noi abbiamo sempre preferito l'azione per manifestare la nostra opinione e per creare informazione. Abbiamo fatto varie scelte, il comizio, la mostra, oppure l'intervento teatrale, un po' come si faceva nella commedia dell'arte, nella piazza, con delle farse improvvisate, attraverso un canovaccio che si rifà a situazioni reali, si imbastiscono delle pantomime e si propongono alla gente. Mi viene in mente la contestazione che abbiamo rappresentato il martedì grasso di quest'ultimo carnevale. Dal momento che a noi e ai compagni del circolo libertario "La Scintilla" di Modena erano pervenute delle multe per affissione abusiva, abbiamo attacchinato delle fotocopie delle multe con su scritto "scherzo di carnevale", usando soltanto acqua. Il bluff stava proprio nell'acqua, perché tutti sono capaci di attaccare con la colla, mentre nessuno lo fa con l'acqua. Ma vallo a spiegare a chi porta un cappello in testa senza aver niente sotto. Non ti crederà mai! Reagisce immediatamente da poliziotto e ti accusa di usare la colla.
Si è creata immediatamente una situazione che ci ha procurato simpatia da parte di più un centinaio di persone normali, bambini o anziani, ricchi o poveri che siano. Lo stesso meccanismo per cui, sul grande schermo, tutti hanno simpatia per Charlie Chaplin e non per il poliziotto che lo insegue. Inoltre siamo riusciti a trasmettere il concetto che è ingiusto non poter attaccare manifesti, oppure che a parole ti danno la libertà, poi te la tolgono con una legge amministrativa. In più abbiamo dimostrato la stupidità del potere perché non è capace di accettare uno scherzo di carnevale. Ci hanno sequestrato i manifesti e ci hanno denunciato.
Ciononostante andremo in tribunale, ma non pagheremo le multe a questo potere villanzone. Ci siamo divertiti tutti e non abbiamo avuto assolutamente paura, anche quando sono arrivati i vigili e i carabinieri, ai quali abbiamo gridato "cattivi", seguiti dal centinaio di persone presenti.

Claudia - Perché c'erano un centinaio di persone che gridavano "cattivi"? Perché stavi facendo un'azione contro i vigili e i vigili stanno sul cazzo a tutti.
Questo è importante.

Vorrei chiarire meglio un punto. Siete partiti da un'occupazione, che di per sé è un fatto illegale, ma dopo tanti anni continuate ad esserci. Ciò presuppone che o vi tollerano o vi hanno istituzionalizzato in qualche modo, cioè hanno permesso che esistiate ufficialmente, con tutti i crismi di legge. Per quanto sia difficile, per il fatto stesso che vi muovete, che fate manifestazioni ed agite pubblicamente, vuol dire che avete un rapporto con le istituzioni. Su che piano è?

Maurizio - A livello storico è importante sottolineare che il Lambicco non è stato dato dall'istituzione, mentre è stato preso da un comitato occupante, composto da cinque compagni, i quali non hanno mai trattato con le istituzioni. Ha trattato invece il movimento dei giovani vignolesi che girava attorno al comitato, il quale si è sempre rifiutato di trattare, né ufficialmente né sottobanco, perché non riconosceva più l'autorità d'imperio su quel posto. Dal momento in cui sono entrate e hanno messo le sbarre alla porta, quelle cinque persone hanno accettato come interlocutore solo il movimento dei compagni che stavano fuori e che avevano interesse ad avere uno spazio. Il comitato interloquiva con il movimento e questo ha trattato con le istituzioni.

Spiega meglio cosa vuol dire trattare, perché è poco chiaro.

Maurizio - Il discorso del trattare è venuto così. Nel momento in cui queste cinque persone hanno occupato, non dovevano più avere il posto perché l'avevano già in mano. Al massimo le avrebbero potute buttar fuori o denunciare. Il movimento invece aveva ancora l'esigenza di avere un posto, avendo però alle spalle quell'esperienza dei cinque che erano là dentro e che, con la loro azione, avevano dimostrato che il re era nudo. Così, quando il potere ha deciso di dare ai giovani il posto occupato dai cinque contro la sua volontà, i giovani hanno dovuto parlare col comitato occupante, il quale disse che sarebbe andato via da quel posto perché sapeva che poteva far comodo a loro, alla condizione che, qualora ci fosse stata una qualsiasi azione repressiva da parte del potere, indipendentemente dalle decisioni del movimento, avrebbe rioccupato di nuovo.
Il potere fece quella concessione probabilmente sperando che col tempo, che è una grande macina, l'esperienza del Lambicco avrebbe avuto fine. Che durasse qualche mese per poi magari confluire in una associazione tipo ACLI. Oppure che all'interno si creassero delle situazioni gerarchiche, mandando a monte l'esperienza autogestionaria. Molte esperienze come la nostra sono rimaste fregate nel lungo periodo. Anche noi sapevamo di questa possibilità, per cui non abbiamo tenuto una situazione di barricata, portando il conflitto alle sue estreme conseguenze.

Ugo - Il primo giovedì dopo l'occupazione, giorno di mercato a Vignola, già da quasi una settimana avevamo esposto lo striscione con su scritto "Sala occupata". Abbiamo pensato di mettere fuori le trombe verso il mercato per trasmettere musica e comunicati che spiegavano le motivazioni dell'occupazione. Fu un grande successo. Sta di fatto che due o tre giorni dopo fummo convocati e ci pregarono di sostituire lo striscione con un altro che dicesse "Assemblea Permanente". C'erano dei problemi tra l'amministrazione comunista e l'opposizione democristiana, che aveva presentato delle interrogazioni in consiglio per chiedere l'intervento dei carabinieri. Era un sintomo di come era ridotta l'amministrazione comunale e forse l'esito è dipeso anche da questa debolezza, anche se probabilmente ora si otterrebbe lo stesso risultato avendo la medesima determinazione.

All'interno del Lambicco c'è una componente anarchica dichiarata. Vorrei chiedere ai compagni presenti, sia anarchici che non, che tipo di relazione c'è tra una componente anarchica specifica ed una non anarchica, all'interno di una esperienza che si muove però in una logica nel suo insieme chiaramente libertaria?

Gianni - Ci sono un'area e un movimento, di cui abbiamo parlato prima, che bene o male, per stile di vita, per esperienze personali, sia politiche che sociali, possono essere definiti libertari. All'interno di questa esperienza i compagni anarchici, che sono poi quelli che spingono maggiormente in certe direzioni, si sono trovati più di una volta a dover discutere di certe scelte. La differenza più grossa è questa: che mentre gli anarchici hanno tutti una grossa esperienza politica alle spalle, la stragrande maggioranza del movimento non ce l'ha. Anche nel dibattito sul come porsi nei confronti del potere locale, gli anarchici avevano delle posizioni più smaliziate che tenevano anche conto del significato storico dell'occupazione nell'ambito territoriale. Ma veri e propri contrasti di posizione non ne sono mai sostanzialmente emersi, per il metodo stesso che ci siamo dati nel condurre le assemblee e nel decidere.
I compagni anarchici che vivono questa esperienza, del resto, si sono ben guardati dal dare un carattere specificatamente ideologico a questo circolo. Era nato per le esigenze dette e, nelle intenzioni di tutti gli aderenti, deve mantenere un carattere prevalentemente di intervento sociale. Quando lo concepimmo, l'occupazione era equiparabile a quella di tante altre che avevamo fatto. Non avevamo previsto che prendesse poi una piega di lungo respiro, perché quello che è successo dopo è avvenuto al di fuori del progetto iniziale, modellandosi da sé. Ed è stato positivo, anche perché negli anni è venuta crescendo un diffidenza molto forte nei confronti di coloro che prendono posizioni ideologiche molto nette e precise, compresi gli anarchici.
L'esperienza doveva avere un carattere sociale esteso; non di gruppo specifico, doveva essere un centro di aggregazione, capace di coinvolgere i giovani sul territorio, non un circolo di iniziati anarchici; senza quindi un marchio particolare. Tutti possono parlare, tutti possono entrare dalla porta ed esprimersi liberamente. Per cui direi che, dal punto di vista delle etichette, non ci sono mai stati dei grossi contrasti. Ci sono invece dei problemi che stanno emergendo, nel senso che nel paese e nel territorio il Lambicco viene indicato come un circolo anarchico. Come spesso succede, l'uso di questa parola è improprio e nasconde tutta una serie di malintesi. Ne nasce che ci sono degli aderenti al circolo che si sentono a disagio nel sentirsi etichettati in questo modo; e lo hanno manifestato.
D'altra parte, anche in assemblea ho cercato di chiarire che questo succede non tanto per le dichiarazioni o gli intenti, più o meno coperti, dei compagni anarchici, ma per il fatto che il lavoro sociale e politico precedente all'occupazione, come molte altre azioni successive, sono stati portati avanti da persone che in paese erano conosciute e inquadrate in questo modo. Allo stesso modo di come veniamo etichettati come un covo di droga.

Ugo - Sono uno di quelli che ha manifestato questo disagio. Non è un fatto personale, non mi dà fastidio l'etichetta e neppure di essere ritenuto anarchico, perché mi piacerebbe esserlo, mentre non lo sono per tante mie contraddizioni. Ho tirato fuori questo problema in assemblea perché era scaturito parlando con altri che fanno parte del Lambicco e non si riconoscono anarchici. Non mi dà fastidio l'esser catalogato come anarchico, ma il fatto che la gente pensi che si possano fare delle cose solo con l'etichetta.
C'è il problema di affermare che c'è chi ragiona aldilà di avere un partito, perché la gente vede gli anarchici come un partito, così come i comunisti; che poi non lo sia, è un altro discorso.
Noi abbiamo fatto la scelta di non associarci né all'ARCI, né all'AICS, quindi mi va bene che ci sia questa componente anarchica, anche perché è trainante. Do atto ai compagni anarchici che qui dentro han lavorato bene e non hanno imposto degli schemi, cosa che in qualsiasi altro circolo in cui entrasse una componente trainante, avrebbe comportato un marchio vero e proprio, così come è stato per altri circoli con cui abbiamo avuto rapporti. Adesso non ci interpellano nemmeno più, perché diamo solo fastidio portando la componente dei diversi.

Maurizio - C'è una cosa significativa. In uno studio della regione, in cui si parla di tutti i circoli che sono in provincia di Modena, in cui li si definisce di questo o quell'altro gruppo e se ne mette il nome e quanti componenti ci sono, parlando di Vignola, oltre all'ARCI, quando arrivano a noi non si parla del Lambicco, ma di un circolo non definito. Sono anche venuti qui per fare la statistica.

Per finire, è interessante chiarire quali sono i rapporti interni tra la comunità e l'individuo, qual è il modo di finanziamento.

Leo - Fino adesso abbiamo parlato del come è nato e su che cosa si basa il Lambicco. Io volevo un po' accennare agli aspetti tecnici, cioè alla quotidianità che si vive qua dentro. Un aspetto è rappresentato dal fatto che per molti è quasi una seconda casa, perché ci passano molte ore e si fermano anche a mangiare. Un altro aspetto è da dove traiamo i finanziamenti per fare ciò che facciamo. Questi finanziamenti avvengono attraverso il bar e la cucina. Ognuno di noi, consumando qualcosa al bar, o partecipando alle cene, partecipa a creare quei fondi che servono a fare spettacoli, concerti o altre iniziative culturali, ma anche a comprare attrezzature necessarie. Non abbiamo nessuno che ci copra le spalle finanziariamente, né enti comunali, né altre organizzazioni o circuiti. È stata una nostra scelta e continuiamo a portarla avanti. Già mettendoci dietro al bar, o in cucina a lavare i piatti e a far da mangiare, partecipiamo alla vita interna.
Questo aspetto pratico è molto importante, perché inizialmente si possono avere delle difficoltà a confrontarsi in assemblea con altre persone, mentre lavare i piatti o i bicchieri è una cosa che sanno fare tutti e rappresenta un primo momento di contatto. Per il bar e la cucina c'è un comitato di gestione del quale tutti possono far parte, che si occupa di organizzare il lavoro e i rifornimenti. Nessuno ne fa parte in pianta stabile, chiunque ne può far parte saltuariamente, anche solo per organizzare una cena.
Un altro aspetto che ci contraddistingue da tutti i circoli della zona è che in qualunque momento, in qualunque giorno, per entrare non si deve pagare il biglietto. L'entrata è gratis anche ai concerti o agli spettacoli, che pure ci vengono a costare. La gente che viene a vederli, se li paga bevendo un bicchiere di vino. Solo una volta abbiamo organizzato un'iniziativa in cui si pagava il biglietto, però l'incasso è stato destinato ai detenuti politici. Qualsiasi persona che voglia organizzare queste cose può farlo, in quanto l'assemblea ha stabilito che chi organizza ha a disposizione trecentomila lire.

Paolo - Quello che è importante è che all'interno del circolo l'individuo ha un ruolo determinante. L'assemblea è valida come momento in cui si discute cosa decidere, però non ha né il potere della decisione né quello dell'azione. Vi si affrontano i problemi e li si sviscerano, si cercano delle soluzioni, ma all'interno di questo spazio c'è anche la possibilità di agire in termini individuali su delle iniziative personali. In poche parole non è necessaria l'omogeneità tra gli individui, ma vige una pluralità di interessi e di argomenti. Fin dall'inizio ci eravamo proposti che quando uno entra da quella porta non deve abbandonare i propri vestiti, ma rimanere quello che è; deve solo confrontarsi con gli altri senza paura di perdere la propria identità. Il Lambicco è uno spaziò di libertà per tutti, libertà di rimanere tali e quali a come si è entrati, come di non partecipare alla vita del circolo.
Nessuno qui è tenuto a fare delle cose e, quando qualcuno le fa, è perché ha scelto di farle. Forse il comune ha vinto perché è riuscito a farci accettare dei compromessi, perché abbiamo accettato un contratto, ma sulle pratiche della vita quotidiana e dell'autogestione siamo vincenti noi, finché continueremo a sperimentarle. Non abbiamo la sicurezza totale che queste piccole rotelline siano l'ingranaggio dell'autogestione, però queste piccole rotelline possono contribuire a creare un buon ingranaggio dell'autogestione.
Ugo - Sono tutti colpettini d'ala.

Cos'è un colpettino d'ala? M'incuriosisce molto.

Ugo - Il colpettino d'ala può sembrare irrilevante, ma fa parte della cultura dei colpettini; ovverossia ci sono i colpettieri, che sono coloro che portano i colpettini, che sono le cose dimenticate dalla zia. Anche la nonna, ma in genere la zia è colpettofora, portatrice di colpettini. Il colpettino è una cultura che sta scomparendo, forse rimane a S. Marino, a Venezia, a Portofino...