Rivista Anarchica Online
Vi confesso che...
Cari compagni,
vi confesso che non mi è
piaciuta troppo la breve nota in calce al mio intervento "A
proposito del caso Sofri", a pagina 15 del numero 158 di "A"
rivista anarchica.
Non perché m'illuda che tutti
siano sempre d'accordo con me, naturalmente (ero il primo a prevedere
che molti non lo sarebbero stati), e neanche perché pretenda
che chi non è d'accordo con me non lo dica: anche quel pezzo
sollecitava il dibattito. Ma una cosa è un dibattito, con
degli interventi articolati e (se nulla lo osta) firmati: un'altra è
una breve nota redazionale di presa di distanza. Note di questo tipo,
tra l'altro, su "A" compaiono molto di rado: anzi, io non me
ne ricordo altri casi. È
proprio questa rarità che aumenta il valore dell'episodio: me
ne fa sentire, se permettete, il significato sottilmente autoritario.
Vedete, non voglio sembrare provocatorio, ma voi scrivete, più
o meno, che se non foste stati affatto d'accordo con il vostro
collaboratore, "francamente", non avreste pubblicato il suo
scritto. Invece eravate in disaccordo solo parziale, e l'avete
pubblicato. Meglio così, certo, ma l'affermazione è un po'
strana.
Significa forse che tutte le volte che
pubblicate uno scritto senza chiose siete assolutamente d'accordo con
l'autore? E quindi che gli autori devono essere assolutamente
d'accordo con voi? lo non me n'ero mai accorto, ma so che una
pubblicazione redatta con criteri del genere non mi piacerebbe
(mentre "A" ovviamente mi piace) e che, francamente, non vi
collaborerei io. Oltretutto sono timido e pochissimo presenzialista,
non assillo mai nessuno con i miei contributi e scrivo per pubblicare
solo quando sono invitato a farlo.
La questione è meno futile di
quanto sembri. Riguarda il senso che annetto alla mia ormai lunga (e
fin qui positiva) esperienza di collaborazione con "A".
Collaborazione a una rivista che non è espressione di un
gruppo, ma è comunque in qualche modo interna al movimento
libertario "reale" (se mi scusate l'espressione, che fa
pensare a cose punto belle, ma non ne ho trovato un'altra), da parte
di uno che ha una storia ideologica e politica abbastanza diversa.
Non ho mai nascosto d'aver frascheggiato con il marxismo e d'aver
fatto parte, appunto, di gruppi più o meno extraparlamentari:
non lo considero contraddittorio con una impostazione libertaria.
Supponevo, anzi, che a suo tempo questo po' di diversità
l'aveste avuta presente anche voi e condivideste con me l'idea che in
essa stesse il bello della faccenda. Una voce in più, non
incompatibile, certo, ma un po' sfasata, tanto per arricchire la
dialettica (o, se non vi piace l'espressione, per insaporire di più
lo stufato). Ciò non vuol dire essere
d'accordo su tutto, ma questo è ovvio. E se è ovvio,
mannaggia, perché scriverlo in nota, in una sussiegosissima
nota redazionale dall'alto? Non siamo in tutto d'accordo con il
nostro collaboratore, ma... Ma cosa? Che in tutto non lo fossimo,
credevo l'avessimo già stabilito una volta per tutte io, voi e
i lettori.
Se c'è da dibattere su qualche
problema succulento, bene, dibattiamone. Ma non in poche righe, che
stabiliscono soltanto una differenza di piani tra "noi" e
"il nostro collaboratore". Il bello è che, poi, sullo
specifico non siamo così in disaccordo. Credo anch'io che
quello che scrivete sulle "organizzazioni extra- parlamentari
marxiste", sul loro "tentativo di mistificare la realtà,
gonfiando le situazioni, presentando se stessi comunque e sempre come
"gli unici" o almeno "i primi", sul loro brutto
vezzo di "falsificare l'identità politica e ideale
altrui", e di coltivare una "cultura dell'esagerazione"
sia verissimo. Anche per Lotta Continua, di cui pure è giusto
dire che aveva una struttura spiacevolmente gerarchica. Forse il
vertice non era così omogeneo come sembrava dal di fuori, ma
vertice sempre era, e si comportava in quanto tale.
Sono tutte brutte contraddizioni in
un'organizzazione che si voleva democratica.
E non importa neppure tanto il fatto
che in LC se ne avesse coscienza (anche al vertice), e che questa
coscienza sia stata concausa determinante del prematuro
autoscioglimento.
So che alcuni lo hanno visto come una
specie di espiazione, ma espiazione è un concetto religioso,
che un po' mi ripugna. Quanto alle varie responsabilità morali
di dirigenti e militanti, ne discuteranno (ne discuteremo) con Chi di
dovere nella valle di Giosafat.
Non è irrilevante, però,
il fatto che LC, proprio perché era un calderone disomogeneo,
a tutti i livelli, abbia saputo riflettere meglio di altri le
esigenze democratiche e di libertà di quegli anni incasinati e
contraddittori. Io credo ancora che il suo progetto di nuovo patto
sociale per una nuova politica (di tipo largamente autogestito dal
basso) pur abbozzato, confuso e venato, ahimè, di
autoritarismo, fosse importante. Discutibilissimo da un punto di
vista marxista ortodosso (e libertario ortodosso, certo...) era un
tentativo di reinventare sui dati concreti certe analisi marxiste e
libertarie. Nel complesso, è stato un contributo importante
alla lotta per la libertà e la democrazia, contro lo stato e
come allora si diceva, contro i padroni. L'argomento del contendere
resta questo.
Ma adesso, che cosa succede? Se non mi
pubblicate questo intervento (lunghetto, fra l'altro) ci resto
davvero male. Se prendete le distanze, ci risiamo da capo. Di
rispondere, magari non avete voglia, o forse vi manca lo spazio...
Che guaio, compagni: le prese di distanza, francamente, non portano
mai a nulla di buono.
Carlo Oliva (Milano)
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