Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 158
ottobre 1988


Rivista Anarchica Online

Storie di ordinario carcere
di Agostino Manni

"Appena l'ho visto, ho capito subito quello che gli avevano fatto: ho capito subito come l'avevano curato". Dopo le due lettere pubblicate sullo scorso numero, Agostino Manni prosegue la sua testimonianza diretta dall'interno del carcere militare. Ricordiamo che Agostino sta scontando un anno di carcere per il suo rifiuto del servizio militare (e, al contempo, di presentare domanda per essere ammesso a quello civile). È attualmente detenuto nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere.

Appena le guardie hanno aperto la porta della cella, Renzulli mi è venuto incontro, con una faccia diversa dal solito, tesa e nervosa. (Ogni volta che si va a mangiare, o in sala-tv, me lo vedo arrivare in cella: come un amico che ti aspetta sotto casa, con la moto, per andare al mare).
"Hanno portato Silvestro in isolamento" mi ha detto preoccupato. Silvestro è un altro dei "comuni". Un tipo particolare, anche nell'aspetto: ha grandi occhi, e orecchi enormi, e un paio di mani che, se ti molla uno schiaffo, sono capaci di staccarti la testa.
Fa il pizzaiolo ad Avellino e ha già scontato qualche anno di carcere civile per reati contro la proprietà. Ha finito il servizio militare già da un anno; ma i carabinieri l'hanno ripreso, perché deve scontare una condanna a tre mesi di reclusione per aver insultato un superiore quando era ancora soldato.
I primi giorni, stando a quello che diceva, credevamo che avesse davvero rotto il fucile in testa ad un maresciallo: in realtà, mi ha poi confidato di averlo solo offeso con qualche parola di troppo, l'ultima sera di naja, mentre era sotto l'effetto di una sbronza che si era preso con i compagni per festeggiare il congedo.

Un batuffolo di ovatta
Sono due settimane che, ripetutamente, perde sangue da un orecchio. Ha chiesto di essere curato: e, a dire il vero, alcuni giorni fa l'hanno anche portato all'Ospedale militare di Caserta. Ma si sa come vanno queste cose: un'occhiata veloce, e via. Va sempre "tutto bene", quando si tratta della salute di un soldato, e per giunta detenuto.
Così, inevitabilmente, ogni volta che l'orecchio riprende a sanguinare, lui chiama il caporale, il caporale chiama il tenente medico (un semplice laureato in medicina, che distribuisce antibiotici e aspirine per ogni malessere), e quest'ultimo non sa fare altro che dargli un batuffolo di ovatta, perché se lo metta nell'orecchio ed eviti così di sporcarsi. Sempre così da due settimane. E Silvestro, a poco a poco, sta diventando nervoso come una bestia. "Manni, io il militare l'ho fatto" mi ripete continuamente "Cosa vogliono,ancora, questi qui, da me?"
Così stasera, quando Renzulli mi ha detto che lo avevano portato di sotto, in cella d'isolamento, ci ho creduto subito. E stavo già mobilitando gli altri, per farlo tirar fuori, quando l'ho visto arrivare, in fondo al corridoio, accompagnato da un maresciallo e da un paio di guardie, una delle quali mai viste in questo reparto: una specie di armadio che camminava appena dietro a lui.
Appena l'ho visto, ho capito subito quello che gli avevano fatto: ho capito subito come l'avevano "curato".
L'ho capito da come camminava, dal passo pesante, e da quella sua enorme testa che sembrava facesse fatica a tenersi dritta, e per quanto si sforzasse non riuscisse ad esser fiera.
Poiché camminava così anche Loris, quando andammo a trovarlo (io e Carmen) al reparto psichiatrico dell'ospedale Niguarda, a Milano, dopo che ne aveva combinata un'altra delle sue.
Perché era lo stesso passo pesante e trascinato di Salvatore, quando camminavamo al suo fianco, dopo una delle sue "crisi", 4 anni fa, a Venezia, in mezzo agli anarchici di mezzo mondo, e stavamo attenti che non si buttasse di nuovo nella laguna (come aveva fatto una sera, seguendo chissà quale filo mentale lontano dai nostri, obbedendo a chissà quale logica - diversa dalla nostra, e a noi incomprensibile).
Ho saputo poi che Silvestro stava facendo una "saponata" (adesso che è estate, in alcune celle ne fanno anche una alla settimana, per pulire e rinfrescare l'ambiente) quando, sul pavimento bianco di schiuma, ha visto cadere le gocce rosse del suo sangue; ed ha cominciato ad urlare, perché le guardie chiamassero il medico, e a dare colpi con uno sgabello sulla porta, perché qualcuno finalmente gli desse retta e lo curasse.
Non l'hanno portato in isolamento, ma in infermeria: ma, invece di curarlo (perché non sanno come curarlo), gli hanno dato 15 gocce di Valium ed un paio di pillole di Tavor, e gli hanno fatto una "strana" iniezione nel braccio, che l'ha ridotto così.

Quelle enormi mani bagnate
"Se mi toccate con un dito, casco per terra" ci dice. Poi, con gli occhi pieni di odio e di umiliazione, indicando la guardia grande come un armadio: "L'hanno chiamata per me: credono che sia pazzo. Ma, se non mi curano, lo divento davvero". E, come per il bisogno di "sentire" il suo corpo, di controllare che gli hanno lasciato un po' di forza, sferra dei terribili pugni sul muro, e sulle panche della sala.
Gli siamo tutti intorno: io, Enzo, gli altri disertori, e Renzulli. Anche quest'ultimo si è già congedato. Ha un figlio di un anno e mezzo, e ha già passato due anni in carcere per una diserzione ed una tentata evasione. Adesso sta scontando una condanna a 4 anni per una serie di reati commessi durante una "rivolta", fatta con altri detenuti, nel giugno dell'86, in quel posto schifoso che è il carcere militare di Bari-Palese.
Gli sto insegnando a leggere e a scrivere: non sa farlo, non ha mai imparato a farlo, semplicemente perché non ha mai - proprio mai - frequentato una scuola in vita sua. Silvestro ci guarda come un rimbambito: a tratti ride, a tratti stringe i denti (ne sentiamo il rumore), ogni tanto ha degli scatti, come se volesse picchiare qualcuno. Poi, alla fine, si mette la testa tra le mani e piange forte, come un bambino.
Io guardo quelle enormi mani bagnate, e penso che un giorno o l'altro tutto questo schifo dovrà finire.
Poco dopo, mentre andiamo su e giù per il corridoio - e gli altri guardano uno stupido film - mi chiede: "Pensi che, se gliela chiedo, me la danno una licenza?". Gli rispondo che non lo so.
"Non ce la faccio più" mi confida. E scopro che ha altri quattro fratelli in carcere, e uno agli arresti domiciliari; che lui e la sua famiglia, ad Avellino, sono "un po' come le puttane", vittime di una cattiva "fama" della quale non si libereranno più; che vorrebbe vedere qualcuno dei suoi, ma che nessuno di quei pochi che sono liberi può venire a trovarlo, ed è per questo che vorrebbe una licenza.
Scopro che, quando era piccolo, ha dormito per dei giorni "sotto la neve", scacciato da casa; che praticamente è cresciuto in posti come questo - collegi, riformatori, galere; che, quelle poche volte che ne era fuori, ha sempre lavorato; che gli aveva anche chiesto scusa, a quel maresciallo, ma che non è servito a nulla, perché lo hanno condannato lo stesso.
Avrei voglia di abbracciarlo; come fa lui con me, quando ha bevuto qualche bicchiere di più, e mi bacia sulla fronte, con affetto. Ma riesco soltanto a dirgli: "Fa come se fossi uno di quei tuoi fratelli: prima di fare qualche fesseria, dimmelo, e vediamo di risolverli insieme, questi problemi".
Lui mi spalanca sul muso i suoi grandi occhi rossi. (Penso per un attimo allo sguardo di un bisonte infuriato, ma colpito a morte).
E, mentre si fanno lucidi, e sento il rumore dei suoi denti che si serrano, mi stringe la mano, racchiudendola nella sua enorme, pesante e piena di bontà.
"Sono con te - penso - sono con te, fratello". E sento che odia quanto me questi stupidi burattini che ci stanno rubando la vita.