Rivista Anarchica Online
Sta natura ognor
verde
di Carlo Oliva
Il pensiero
materialista di Giacomo Leopardi è assolutamente in contrasto
con tutta la tradizione culturale italiana, nella sua versione
scolastica: con quella cattolica e clericale, ma anche con quella
"laica". In questo
contesto il dibattito in corso sulla "contemporaneità"
del poeta di
Recanati, a 150 anni dalla sua morte, appare viziato da luoghi comuni
e banalità interessate. Anche a proposito del suo
atteggiamento verso la Natura.
"... E mi
risolvo a conchiudere che tu sei nemica scoperta degli uomini, e
degli altri animali e di tutte le opere tue; che ora ci insidii ora
ci minacci ora ci assalti ora ci pungi ora ci percuoti ora ci laceri,
e sempre o ci offendi o ci perseguiti; e che, per costume e per
instituto, sei carnefice della tua propria famiglia, de' tuoi
figliuoli e, per dir così, del tuo sangue e delle tue
viscere".
Una volta, questo
celeberrimo brano del Dialogo della natura e di un Islandese, una
delle Operette Morali di Giacomo Leopardi, era praticamente d'obbligo
nel programma dell'ultimo anno delle scuole medie superiori
(personalmente, mi sembra di ricordare d'averlo persino dovuto
tradurre in latino, ma erano altri tempi). Suppongo che lo sia anche
adesso, in modo che anche i paninari più protervi possano aver
occasione di provare un brivido d'ammirazione di fronte all'atto
d'accusa che il desolato Islandese muove alla Natura, e sfiorare
magari la consapevolezza di sé e della propria condizione
grazie alla lapidaria risposta che a quest'atto d'accusa la Natura
impassibile oppone: "Immaginavi tu forse che il mondo fosse
fatto per causa vostra?". Si tratta, in
fondo, di uno dei momenti più suggestivi della riflessione di
colui che tutti indicano come il massimo poeta italiano
dell'Ottocento, e la cui importanza di pensatore, ormai tramontata
l'epoca delle sottovalutazioni di stampo spiritualista e idealistico,
si va sempre più sicuramente affermando. Certo, non si
tratta di un pensiero facile da digerire. È
assolutamente in contrasto, per dirne una, con tutta la tradizione
culturale italiana, nella sua versione scolastica. E non mi riferisco
soltanto alla tradizione cattolica e clericale: anche nella
tradizione laica (che, nonostante tutto, nella scuola ha un certo
peso), spazio per il materialismo ce n'è pochino, e queste
pagine, ovviamente, hanno un solido fondamento materialista. "Tu
mostri di non aver posto mente - dice la Natura - che la vita di
quest'universo è un perpetuo circuito di produzione e
distruzione, collegate ambedue tra sé di maniera che
ciascheduna serve continuamente all'altra... ". Il terreno, dunque,
è piuttosto scottante. Eppure è solo grazie a questa
riaffermata opzione materialista che il Leopardi supera il suo
giovanile roussovismo, la dialettica abbastanza sterile tra rimpianto
di una naturalità perduta e diffidenza verso la civiltà
corruttrice, e s'avvia verso la sua più vertiginosa avventura
spirituale, quella che risuona nei versi melodiosi della Ginestra
("...né gli odii e l'ire / fraterne, ancor più
gravi / d'ogni altro danno accresce / alle miserie sue, l'uomo
incolpando / del suo dolor, ma dà la colpa a quella / che
veramente è rea..."). Su questo passaggio, è noto,
si fonda quell'ideale di fratellanza universale nella lotta alla
Natura matrigna in cui possiamo riconoscere l'eredità
spirituale che rende il poeta di Recanati nostro contemporaneo.
Natta, Cossiga,
Toni Negri
Questo della
contemporaneità del Leopardi è un tasto su cui, a cento
cinquant'anni dalla sua morte, battono in molti. Ne parlano anche i
settimanali in rotocalco: da Panorama numero 1108 si apprende
che "Cesare Luporini ha appena confessato che per lui Giacomo
Leopardi ha preso il posto che era di Karl Marx. Alessandro Natta, a
chi gli chiedeva quale autore avrebbe portato con sé nel
naufragio ha risposto "Devo dire Gramsci, vorrei dire Leopardi".
Francesco Cossiga ha scritto la recensione ai Pensieri di Leopardi
ristampati dal quirinale. Toni Negri ha appena fatto uscire da
SugarCo una sua Lenta ginestra. E, vien fatto d'aggiungere,
scusate se è poco. Sarebbe
interessante, naturalmente, speculare sui giudizi che avrebbe potuto
esprimere, a proposito di questi tardi ammiratori, un pensatore così
ostile a ogni forma di moderatismo e di ottimismo consolatorio.
Probabilmente non avrebbe trovato soverchia affinità
spirituale nelle opere di Luporini né nelle posizioni
pubbliche di Natta e Cossiga. Quanto ai Pensieri ristampati dal
Quirinale, che non è notoriamente una casa editrice né
un istituto di cultura, qualcuno potrebbe lasciarsi attrarre
dall'ipotesi del peculato per distrazione. Più in generale, è
probabile che l'autore dei Paralipomeni non sarebbe stato
entusiasta del livello morale e ideologico della vita politica e
culturale dell'Italia di oggi, Ma queste sono bagatelle, il problema
di fondo, ovviamente, resta quello ideologico. Perché,
insomma, pur riconoscendo a chiunque, e ci mancherebbe altro, il
diritto di celebrare uno dei nostri grandi, siamo proprio sicuri che
il Leopardi sia compatibile con l'ideologia corrente nella nostra
scuola (università inclusa, probabilmente, ma non ne so
molto), negli ambienti politici e nei cenacoli intellettuali? Sì,
certo, ammirare un grande del passato non significa appiattirsi sui
suoi punti di vista. Si può amare e studiare Dante senza
credere alla necessità della monarchia universale e senza
condividere la sua opinione sul trattamento dovuto ai sodomiti
nell'aldilà. Ma una cosa è l'ammirazione dovuta, una
cosa è l'attribuzione di patenti di contemporaneità.
Lasciando a chi di dovere i giudizi di tipo estetico, sembra evidente
che il dibattito sulla contemporaneità del povero Giacomo
dovrebbe essere, per lo meno, riformulato. Parlando così
senza pretese, alla buona, direi che il problema è duplice. È
possibile servirsi oggi di quel pensiero, delle sue
impostazioni e dei suoi risultati, per affrontare dei problemi
nostri? Ed è possibile farlo senza stravolgerlo, senza
costruirci un Leopardi a nostra immagine e somiglianza, storicamente
ingiustificato? L'ultima
precisazione non è superflua. In centocinquanta anni, di
fatto, di stravolgimenti se ne sono avuti parecchi. Ai miei tempi, a
scuola s'insegnava con molta serietà che la sua poesia andava
inquadrata nel romanticismo, anche se lui il romanticismo in fondo lo
combatteva, perché tanto si tratta di una categoria
spirituale, come tale al di sopra delle parti. Qualcuno, credo, ha
sostenuto che le sue dichiarazioni di materialismo adombrino a
contrario un anelito inconscio verso la divinità, in nome
del quale ben si può considerarlo un poeta cristiano (è
un'argomentazione, questa, in base alla quale si può annettere
chiunque e qualunque dottrina, e capita spesso d'incontrarla nelle
sedi più inaspettate. Prodigi della dialettica).
Ambientalista
ante litteram?
Naturalmente c'è
chi non si lascia tentare da facili giochi di parole. Il citato
articolo di Panorarna (che è di Adriano Sofri e che
esprime concetti ben più sensati di quanto l'incipit,
un po' futile, faccia supporre), cita doverosamente gli studi di
Sebastiano Timpanaro, che rappresentarono, negli anni '50 e '60, una
pietra miliare sulla via del recupero dell'autentico pensiero
leopardiano, e che, data l'estraneità dell'autore al mondo
accademico e ai vari cenacoli dotti, restano ancora abbastanza ai
margini della scuola e della cultura "corrente". E centra
tutta la questione sul nodo focale del rapporto uomo-natura.
Problema, di fatto, centrale nel pensiero del Leopardi, soprattutto
nella sua fase più radicale, dopo la crisi del 1823-'24, e
centrale nel dibattito culturale di oggi. Insomma, una volta
rivelatisi un po' artificiosi i tentativi degli anni '60 (Luporini e
altri) per darci un Leopardi "democratico", si potrebbe
tentare l'ipotesi, abbastanza attraente, del Leopardi ambientalista. Personalmente, ho
già scritto di non intendermi affatto d'ambientalismo. Non
credo che il Leopardi, che era uomo del suo tempo, avrebbe compreso
il nostro problema ambientale, ma il concetto secondo cui il problema
della felicità (meglio, della minor infelicità, perché
uno "zoccolo duro" di pessimismo irriducibile nel pensiero
del nostro resta sempre) va affrontato mediante l'impostazione di un
diverso rapporto con la Natura matrigna è certamente molto
"leopardiano" e fecondo anche per noi. Anche nell'idea
secondo cui l'impostazione di questo rapporto è un fine, per
così dire, prioritario, cui bisogna por mano con urgenza,
considerando di relativa importanza le contrapposizioni
sociopolitiche tra gruppi umani, molti ambientalisti di oggi, di
quelli che, per intenderci, non sono né di destra né di
sinistra, potrebbero facilmente ritrovarsi. E allora, perché
no?
Quel falso
umanesimo
L'implicito
paragone non sembri irriverente. "Destra" e "sinistra"
sono termini ideologici, e l'idea secondo cui l'ideologia non deve
far velo quando si tratta di prender coscienza della verità è
pure molto leopardiana. È questo,
naturalmente, il senso della strana citazione evangelica ("E gli
uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce" Giovanni, III,
19) posta in capo alla Ginestra da un autore tanto poco
evangelico. È questa, tra
parentesi, una delle vie mediante la quale si potrebbe tentare
d'apparentare, in un ipotetico quadro "progressivo" del
materialismo ottocentesco, il pensiero del Leopardi e un certo
marxismo, quello, almeno, secondo cui l'ideologia è sempre
"falsa presa di coscienza". Non c'è, ovviamente,
alcun bisogno di farlo, ma stiamo parlando di attualità delle
idee e quella affermazione marxiana è una delle poche sulla
cui attualità non abbia ancora obiettato nessuno, o quasi. Resta un aspetto,
della lezione del Leopardi, su cui probabilmente varrebbe la pena di
meditare. Che il rapporto da stabilire tra uomo e Natura sia espresso
in forma di "guerra" per l'intero genere umano non è,
evidentemente, detto tanto per dire. La natura è nemica
(va combattuta) in quanto è fonte d'infelicità: tutti
gli esseri viventi, uomini compresi, sono per natura infelici. Ma
l'infelicità, naturalmente, non dipende dal fatto che la
natura sia contaminata o violata o negata da un tipo di sviluppo che
non tiene conto delle esigenze ambientali. A tutti può
capitare di sostenere che uno "stato di natura"
incontaminato dal progresso rappresenti una situazione di potenziale
felicità, ma si tenga presente, almeno, che questo è
concetto estraneo ai pensiero del Leopardi maturo: è,
piuttosto, una banalità roussoviana, a forte contenuto
reazionario. La lotta contro la
Natura degli uomini "tutti fra sé confederati",
nella quale colui che ha saputo infrangere le illusioni "tutti
abbraccia / con vero amor, porgendo / valida e pronta ed aspettando
aita / negli alterni perigli e nelle angosce / della guerra comune",
presuppone - appunto - il progresso, ma presuppone anche una qualche
forma (su cui il Leopardi non spende parole e che dobbiamo quindi
definire noi, ma qui sta il bello) di democrazia e di autogestione.
È, in termini moderni, una
prospettiva "verde" tutt'altro che aliena da scelte di
campo. Il sogno di una
natura inviolata... beh, quello è tutt'altra cosa, e più
che al Leopardi riconduce, in un modo o nell'altro, a Virgilio. È
una tipica formazione ideologica in cui è facile farsi
intrappolare, attraverso la quale si recupera tutto il falso
umanesimo caro alla tradizione moderata. Ma è appunto con la
tradizione moderata con cui il poeta della Ginestra non ha nulla a
che fare.
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