Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 148
estate 1987


Rivista Anarchica Online

Sta natura ognor verde
di Carlo Oliva

Il pensiero materialista di Giacomo Leopardi è assolutamente in contrasto con tutta la tradizione culturale italiana, nella sua versione scolastica: con quella cattolica e clericale, ma anche con quella "laica". In questo contesto il dibattito in corso sulla "contemporaneità" del poeta di Recanati, a 150 anni dalla sua morte, appare viziato da luoghi comuni e banalità interessate. Anche a proposito del suo atteggiamento verso la Natura.

"... E mi risolvo a conchiudere che tu sei nemica scoperta degli uomini, e degli altri animali e di tutte le opere tue; che ora ci insidii ora ci minacci ora ci assalti ora ci pungi ora ci percuoti ora ci laceri, e sempre o ci offendi o ci perseguiti; e che, per costume e per instituto, sei carnefice della tua propria famiglia, de' tuoi figliuoli e, per dir così, del tuo sangue e delle tue viscere".

Una volta, questo celeberrimo brano del Dialogo della natura e di un Islandese, una delle Operette Morali di Giacomo Leopardi, era praticamente d'obbligo nel programma dell'ultimo anno delle scuole medie superiori (personalmente, mi sembra di ricordare d'averlo persino dovuto tradurre in latino, ma erano altri tempi). Suppongo che lo sia anche adesso, in modo che anche i paninari più protervi possano aver occasione di provare un brivido d'ammirazione di fronte all'atto d'accusa che il desolato Islandese muove alla Natura, e sfiorare magari la consapevolezza di sé e della propria condizione grazie alla lapidaria risposta che a quest'atto d'accusa la Natura impassibile oppone: "Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra?".
Si tratta, in fondo, di uno dei momenti più suggestivi della riflessione di colui che tutti indicano come il massimo poeta italiano dell'Ottocento, e la cui importanza di pensatore, ormai tramontata l'epoca delle sottovalutazioni di stampo spiritualista e idealistico, si va sempre più sicuramente affermando.
Certo, non si tratta di un pensiero facile da digerire. È assolutamente in contrasto, per dirne una, con tutta la tradizione culturale italiana, nella sua versione scolastica. E non mi riferisco soltanto alla tradizione cattolica e clericale: anche nella tradizione laica (che, nonostante tutto, nella scuola ha un certo peso), spazio per il materialismo ce n'è pochino, e queste pagine, ovviamente, hanno un solido fondamento materialista. "Tu mostri di non aver posto mente - dice la Natura - che la vita di quest'universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra sé di maniera che ciascheduna serve continuamente all'altra... ".
Il terreno, dunque, è piuttosto scottante. Eppure è solo grazie a questa riaffermata opzione materialista che il Leopardi supera il suo giovanile roussovismo, la dialettica abbastanza sterile tra rimpianto di una naturalità perduta e diffidenza verso la civiltà corruttrice, e s'avvia verso la sua più vertiginosa avventura spirituale, quella che risuona nei versi melodiosi della Ginestra ("...né gli odii e l'ire / fraterne, ancor più gravi / d'ogni altro danno accresce / alle miserie sue, l'uomo incolpando / del suo dolor, ma dà la colpa a quella / che veramente è rea..."). Su questo passaggio, è noto, si fonda quell'ideale di fratellanza universale nella lotta alla Natura matrigna in cui possiamo riconoscere l'eredità spirituale che rende il poeta di Recanati nostro contemporaneo.

Natta, Cossiga, Toni Negri
Questo della contemporaneità del Leopardi è un tasto su cui, a cento cinquant'anni dalla sua morte, battono in molti. Ne parlano anche i settimanali in rotocalco: da Panorama numero 1108 si apprende che "Cesare Luporini ha appena confessato che per lui Giacomo Leopardi ha preso il posto che era di Karl Marx. Alessandro Natta, a chi gli chiedeva quale autore avrebbe portato con sé nel naufragio ha risposto "Devo dire Gramsci, vorrei dire Leopardi". Francesco Cossiga ha scritto la recensione ai Pensieri di Leopardi ristampati dal quirinale. Toni Negri ha appena fatto uscire da SugarCo una sua Lenta ginestra. E, vien fatto d'aggiungere, scusate se è poco.
Sarebbe interessante, naturalmente, speculare sui giudizi che avrebbe potuto esprimere, a proposito di questi tardi ammiratori, un pensatore così ostile a ogni forma di moderatismo e di ottimismo consolatorio. Probabilmente non avrebbe trovato soverchia affinità spirituale nelle opere di Luporini né nelle posizioni pubbliche di Natta e Cossiga. Quanto ai Pensieri ristampati dal Quirinale, che non è notoriamente una casa editrice né un istituto di cultura, qualcuno potrebbe lasciarsi attrarre dall'ipotesi del peculato per distrazione. Più in generale, è probabile che l'autore dei Paralipomeni non sarebbe stato entusiasta del livello morale e ideologico della vita politica e culturale dell'Italia di oggi, Ma queste sono bagatelle, il problema di fondo, ovviamente, resta quello ideologico.
Perché, insomma, pur riconoscendo a chiunque, e ci mancherebbe altro, il diritto di celebrare uno dei nostri grandi, siamo proprio sicuri che il Leopardi sia compatibile con l'ideologia corrente nella nostra scuola (università inclusa, probabilmente, ma non ne so molto), negli ambienti politici e nei cenacoli intellettuali? Sì, certo, ammirare un grande del passato non significa appiattirsi sui suoi punti di vista. Si può amare e studiare Dante senza credere alla necessità della monarchia universale e senza condividere la sua opinione sul trattamento dovuto ai sodomiti nell'aldilà. Ma una cosa è l'ammirazione dovuta, una cosa è l'attribuzione di patenti di contemporaneità. Lasciando a chi di dovere i giudizi di tipo estetico, sembra evidente che il dibattito sulla contemporaneità del povero Giacomo dovrebbe essere, per lo meno, riformulato.
Parlando così senza pretese, alla buona, direi che il problema è duplice. È possibile servirsi oggi di quel pensiero, delle sue impostazioni e dei suoi risultati, per affrontare dei problemi nostri? Ed è possibile farlo senza stravolgerlo, senza costruirci un Leopardi a nostra immagine e somiglianza, storicamente ingiustificato?
L'ultima precisazione non è superflua. In centocinquanta anni, di fatto, di stravolgimenti se ne sono avuti parecchi. Ai miei tempi, a scuola s'insegnava con molta serietà che la sua poesia andava inquadrata nel romanticismo, anche se lui il romanticismo in fondo lo combatteva, perché tanto si tratta di una categoria spirituale, come tale al di sopra delle parti. Qualcuno, credo, ha sostenuto che le sue dichiarazioni di materialismo adombrino a contrario un anelito inconscio verso la divinità, in nome del quale ben si può considerarlo un poeta cristiano (è un'argomentazione, questa, in base alla quale si può annettere chiunque e qualunque dottrina, e capita spesso d'incontrarla nelle sedi più inaspettate. Prodigi della dialettica).

Ambientalista ante litteram?
Naturalmente c'è chi non si lascia tentare da facili giochi di parole. Il citato articolo di Panorarna (che è di Adriano Sofri e che esprime concetti ben più sensati di quanto l'incipit, un po' futile, faccia supporre), cita doverosamente gli studi di Sebastiano Timpanaro, che rappresentarono, negli anni '50 e '60, una pietra miliare sulla via del recupero dell'autentico pensiero leopardiano, e che, data l'estraneità dell'autore al mondo accademico e ai vari cenacoli dotti, restano ancora abbastanza ai margini della scuola e della cultura "corrente". E centra tutta la questione sul nodo focale del rapporto uomo-natura. Problema, di fatto, centrale nel pensiero del Leopardi, soprattutto nella sua fase più radicale, dopo la crisi del 1823-'24, e centrale nel dibattito culturale di oggi. Insomma, una volta rivelatisi un po' artificiosi i tentativi degli anni '60 (Luporini e altri) per darci un Leopardi "democratico", si potrebbe tentare l'ipotesi, abbastanza attraente, del Leopardi ambientalista.
Personalmente, ho già scritto di non intendermi affatto d'ambientalismo. Non credo che il Leopardi, che era uomo del suo tempo, avrebbe compreso il nostro problema ambientale, ma il concetto secondo cui il problema della felicità (meglio, della minor infelicità, perché uno "zoccolo duro" di pessimismo irriducibile nel pensiero del nostro resta sempre) va affrontato mediante l'impostazione di un diverso rapporto con la Natura matrigna è certamente molto "leopardiano" e fecondo anche per noi. Anche nell'idea secondo cui l'impostazione di questo rapporto è un fine, per così dire, prioritario, cui bisogna por mano con urgenza, considerando di relativa importanza le contrapposizioni sociopolitiche tra gruppi umani, molti ambientalisti di oggi, di quelli che, per intenderci, non sono né di destra né di sinistra, potrebbero facilmente ritrovarsi. E allora, perché no?

Quel falso umanesimo
L'implicito paragone non sembri irriverente. "Destra" e "sinistra" sono termini ideologici, e l'idea secondo cui l'ideologia non deve far velo quando si tratta di prender coscienza della verità è pure molto leopardiana. È questo, naturalmente, il senso della strana citazione evangelica ("E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce" Giovanni, III, 19) posta in capo alla Ginestra da un autore tanto poco evangelico. È questa, tra parentesi, una delle vie mediante la quale si potrebbe tentare d'apparentare, in un ipotetico quadro "progressivo" del materialismo ottocentesco, il pensiero del Leopardi e un certo marxismo, quello, almeno, secondo cui l'ideologia è sempre "falsa presa di coscienza". Non c'è, ovviamente, alcun bisogno di farlo, ma stiamo parlando di attualità delle idee e quella affermazione marxiana è una delle poche sulla cui attualità non abbia ancora obiettato nessuno, o quasi.
Resta un aspetto, della lezione del Leopardi, su cui probabilmente varrebbe la pena di meditare. Che il rapporto da stabilire tra uomo e Natura sia espresso in forma di "guerra" per l'intero genere umano non è, evidentemente, detto tanto per dire. La natura è nemica (va combattuta) in quanto è fonte d'infelicità: tutti gli esseri viventi, uomini compresi, sono per natura infelici. Ma l'infelicità, naturalmente, non dipende dal fatto che la natura sia contaminata o violata o negata da un tipo di sviluppo che non tiene conto delle esigenze ambientali. A tutti può capitare di sostenere che uno "stato di natura" incontaminato dal progresso rappresenti una situazione di potenziale felicità, ma si tenga presente, almeno, che questo è concetto estraneo ai pensiero del Leopardi maturo: è, piuttosto, una banalità roussoviana, a forte contenuto reazionario.
La lotta contro la Natura degli uomini "tutti fra sé confederati", nella quale colui che ha saputo infrangere le illusioni "tutti abbraccia / con vero amor, porgendo / valida e pronta ed aspettando aita / negli alterni perigli e nelle angosce / della guerra comune", presuppone - appunto - il progresso, ma presuppone anche una qualche forma (su cui il Leopardi non spende parole e che dobbiamo quindi definire noi, ma qui sta il bello) di democrazia e di autogestione. È, in termini moderni, una prospettiva "verde" tutt'altro che aliena da scelte di campo.
Il sogno di una natura inviolata... beh, quello è tutt'altra cosa, e più che al Leopardi riconduce, in un modo o nell'altro, a Virgilio. È una tipica formazione ideologica in cui è facile farsi intrappolare, attraverso la quale si recupera tutto il falso umanesimo caro alla tradizione moderata. Ma è appunto con la tradizione moderata con cui il poeta della Ginestra non ha nulla a che fare.