Rivista Anarchica Online
Contro l'energia centralizzata
a cura del Circolo Anarchico "Ponte della Ghisolfa"
Contro il nucleare, certamente: sia quello militare sia quello civile. Ma antinucleare non basta: non si può ridurre la questione energetica al solo dilemma "nucleare si, nucleare no". Anche le energie cosiddette "alternative", "dolci", "pulite", possono risultare estremamente nocive, pericolose, funzionali ad un modello di sviluppo cinico, oppressivo, antiecologico. Una questione fondamentale - ma spesso trascurata - è quella relativa alle dimensioni degli impianti e, più in generale, alle modalità della produzione e della distribuzione energetica. È il modello stesso dell'attuale organizzazione sociale che deve essere messo in discussione.
Ripensare la
società
"Solo
quando l'ultimo albero sarà stato abbattuto, l'ultimo fiume
avvelenato, l'ultimo pesce pescato, vi accorgerete che non si può
mangiare il denaro". Ma allora sarà
troppo tardi per tornare indietro. Avremo percorso sino in fondo la
buia strada che porta alla distruzione. È proprio questo che
vogliamo? Una vita che peggiora di giorno in giorno, rischiosa per
noi e per i nostri figli? Un prezzo così alto per cosa? Per
qualche oggetto in più, per poter dimostrare di valere più
del vicino, per vivere solo per lavorare, produrre, spendere e poi
morire? Sembra il quadro
pauroso di un film di Spielberg, ma non sono i nostri incubi
notturni, è la realtà. I rapporti che ipotizzano
scenari in cui la situazione ecologica mondiale sarà
irreversibilmente compromessa in breve tempo sono sempre più
numerosi. Non sono i lamenti delle solite Cassandre (e poi Cassandra
non era creduta, ma aveva ragione), se vogliamo sopravvivere e
soprattutto se vogliamo che i nostri discendenti riescano a vivere
dobbiamo muoverci, ora. Presto sarà troppo tardi. In questo quadro,
il fabbisogno energetico e le tecnologie in uso per soddisfarlo sono
un punto focale di cui le centrali nucleari sono la punta
dell'iceberg. La tecnologia sempre più complessa richiede
energie sempre maggiori e la ricerca di nuova energia richiede
tecnologie sempre più sofisticate e rischiose. Un circolo
vizioso dal quale è difficile uscire, mentre Chernobyl ci ha
insegnato che, in certi casi, il pericolo in agguato non conosce
frontiere, che le distanze, anche di migliaia di chilometri, possono
all'improvviso diventare estremamente piccole, parole senza senso. Le
morti tecnologiche colpiscono senza preavviso e senza
discriminazioni. Ma è giusto
essere chiari. Non è solo quella nucleare l'energia da
bandire. Non sono solo le centrali nucleari i mostri dell'Apocalisse
da distruggere. Le centrali a carbone o a petrolio, ma anche le
"pulite" centrali idroelettriche, possono essere
altrettanto mortifere: dopotutto uno dei più grandi disastri
ecologici è stato prodotto dalla diga di Assuan. Pericolose e
velenose sono le fabbriche chimiche (Seveso e Bhopal sono solo un
esempio), come si possono considerare inquinanti i grandi agglomerati
urbani e il nostro stesso modo di vivere. Addirittura, come fa notare
nel suo ultimo libro Carlo Rubbia, può essere inquinante anche
l'utilizzo delle fonti alternative, le fonti energetiche rinnovabili,
che, tra l'altro, in un certo senso, sono poco competitive dal punto
di vista economico. Che fare allora ?
Dobbiamo tornare indietro alla lampada ad olio e all'acciarino?
Dobbiamo rinunciare all'energia per riutilizzare il motore umano? O
accettare fatalisticamente il nostro destino? Oppure controllare
strettamente il processo di sviluppo per evitare l'inquinamento anche
se ciò volesse dire far pagare costi elevati alla maggior
parte della popolazione? Il problema non è
proprio in questi termini. Bisogna considerare un fattore importante
che pure nessuno prende in esame: la grandezza. Le energie
alternative sono inquinanti se utilizzate su larga scala. La
megacentrale solare, eolica o idroelettrica pone problemi, rischi,
inquinamento come le altre centrali o poco meno. Allo stesso modo la
non-competitività delle fonti rinnovabili vale per le grandi
centrali. Bisogna cambiare
misura. Non serve progettare e costruire centrali che usano fonti
energetiche alternative di diversi mega-watt (la California, però,
è quasi totalmente alimentata da produzioni energetiche
alternative): sono i piccoli impianti, magari integrati, i più
convenienti, senza rischi, con poca manutenzione. È
in questo ordine di grandezza che l'energia alternativa può
essere competitiva: è più efficiente ed ha un impatto
ambientale minimo. Cambiare misura,
passare dalle centrali, più o meno gigantesche, a piccoli
impianti non è solo una scelta di grandezza, è molto di
più. Vuol dire rinunciare all'impianto accentrato dove viene
prodotta e quindi distribuita l'energia, quindi significa rinunciare
a controllarne l'uso, liberarla cosicché ognuno ne possa
produrre esattamente quanto gli serve. Vuol dire allargare le
conoscenze tecnologiche, lasciare che ognuno decida per sé. E la difficoltà
è qui. Perché questo significa anche rinunciare al
potere di dare o non dare energia, significa minare una delle basi
dello stato. Come sapevano bene i Cinesi e gli altri antichi imperi
in cui il controllo delle acque per l'irrigazione era compito
fondamentale e monopolistico dello stato o come dice altrettanto bene
U. K. Le Guin nel racconto Antartide: "Lo stato è nostro
padrone perché lo stato corporativo ha il monopolio delle
fonti energetiche, e non c'è abbastanza energia per muoversi.
Ma adesso tutti potrebbero costruire sul proprio tetto un generatore
capace di fornire abbastanza energia per illuminare una città...
Potremmo decentralizzare completamente industria e agricoltura. La
tecnologia potrebbe servire la vita invece di servire il capitale.
Ciascuno di noi potrebbe essere padrone della propria vita. L'energia
è potere!... Lo stato è una macchina. Potremmo staccare
il filo che dà corrente alla macchina, ora". Energia alla
portata di tutti non perché si possa o meno comprarla, ma
perché la si può produrre facilmente da soli, con una
tecnologia semplice. Sole, vento, acqua, lì a portata di mano,
pronti come sempre al nostro servizio e nello stesso tempo
controllori severi. Non si usa l'ambiente in maniera indiscriminata
perché dell'energia se ne ha bisogno ogni giorno per secoli.
Si prende in prestito, con mano leggera: sapendo di dover restituire
ciò che si è preso perché deve tornare nel ciclo
pronto ad essere riutilizzato domani. Non vuol dire
certamente rinunciare a tutta la nostra tecnologia, non è
possibile e non ne saremmo capaci, vuol dire ripensarla
profondamente, riconsiderare quello che serve veramente, rivedere i
nostri valori e correlare strettamente la tecnologia ad essi.
Utilizzare piuttosto che accumulare, riciclare invece di sprecare
perché la terra, il sole, l'universo non appartengono a
nessuno poiché appartengono a tutti, animali, piante e
minerali compresi. Vuol dire anche cambiare profondamente tutta la
nostra cultura: non pensarsi più i signori (piuttosto ridicoli
nella loro debolezza e insignificanza) dell'universo, ma i suoi
abitanti insieme a molti altri. L'ambiente che ci
circonda non è un'entità creata a nostro uso e consumo
che l'uomo deve dominare, conquistare, assoggettare, e rendere
docile. Un simile concetto è solo la riflessione verso
l'esterno (natura) dei rapporti gerarchici che esistono all'interno
della nostra società. In fondo il concetto stesso di natura è
astratto, la realtà è l'ambiente, l'ecosistema composto
da mille e mille specie diverse, da sostanze strettamente correlate e
interdipendenti tra loro in cui l'estinzione di una specie può
essere la morte di altre oppure viceversa la nascita. Ecco perché
ripensare profondamente il rapporto che la nostra società ha
istituito con l'ambiente, accettare la realtà dell'uomo non
principe della natura, ma specie fra altre specie, vuol dire rivedere
anche i rapporti di dominio nella nostra società. Non è
pensabile rompere l'uno senza rifiutare anche gli altri. E questo è
il passaggio più arduo, quello che quasi tutti, anche i più
sensibili al problema inquinamento, non considerano, sorvolano o
cancellano perché è il passaggio che comporta i
cambiamenti più radicali, che dimostra quanto la logica del
dominio sia incompatibile con l'ecosistema. E senza questo passaggio,
logico e fondamentale, si può fare solo dell'ambientalismo. Si possono certo
ottenere risultati, anche a breve termine, magari all'apparenza
eclatanti, ma in realtà non si ottiene nulla. Si possono evitare
il fosforo e l'atrazina e forse anche alcune centrali nucleari, si
può diminuire parte dell'inquinamento, ma sono solo pezze,
rattoppi su un vestito troppo liso, una tinteggiata ad una casa che
sta per crollare. La scelta è
solo nostra!
Purché sia
dolce
Quando si parla di
energia dolce (o soft, o alternativa) ci si chiede spesso se essa
possa essere sufficiente a coprire le richieste energetiche attuali e
future. Non altrettanto spesso ci si pone il problema di chi chiederà
questa energia, quanta, di che tipo e perché. La richiesta di
energia non è un dato astratto, ma un fattore strettamente
collegato al modello di vita che si sceglie, al tipo di tecnologia
che si decide di usare. L'energia
alternativa è possibile a patto che si cambi il tipo di
struttura sociale attuale, strettamente legata alla tecnologia e
all'energia pesante. Quest'ultima trova le sue basi nelle grandi
dimensioni, utilizza pochi ma enormi centri di produzione per servire
agglomerati urbani e industriali. Di conseguenza, la tecnologia
diventa sempre più specialistica, alla portata di pochi e
indifferenziata (cioè non tiene conto dei vari tipi di
ambiente in cui viene inserita). La formula
alternativa di produzione si basa su una struttura decentralizzata,
su piccola scala, che può essere controllata direttamente sia
da chi partecipa al processo di produzione sia da chi fa uso del
prodotto e infine riesce a far fronte alle esigenze della comunità
pur rispettando l'ambiente. Economicamente
parlando, la scelta dolce è a conti fatti assai più
vantaggiosa poiché oltre ad avere costi di gestione più
contenuti e più stabili, ha anche un costo iniziale più
basso, determinato dalla semplicità tecnica, dalle piccole
dimensioni unitarie e dall'eliminazione (o quasi) delle perdite di
distribuzione. Non dimentichiamo, inoltre, che i costi di un errore
nell'energia dolce sono infinitamente più bassi (sia come
conseguenze che come persone colpite) di un guasto ad una grande
centrale. Ma vediamo quali sono in pratica queste fonti energetiche.
Tecnologie di
transizione. Per un passaggio efficiente dall'energia dura a
quella dolce abbiamo bisogno di tecnologie che in questa fase
utilizzino il combustibile fossile per breve tempo e con parsimonia.
Tra i vari progetti, quello che si è rivelato più
efficiente è quello dei letti fluidi che bruciano carbone o
qualsiasi altro combustibile. L'apparecchiatura
necessaria è molto semplice: una consistente massa di
materiale inerte (sabbia o polvere di ceramica) viene portata al
calor rosso e mantenuta in sospensione da una corrente d'aria
proveniente dal basso; a questa massa viene poi man mano aggiunto
combustibile in piccole dosi. I letti fluidi sono stati impiegati a
lungo come reattori chimici e bruciatori per i rifiuti ma si possono
utilizzare anche per la produzione di vapore e l'alimentazione di
turbine. Con una apparecchiatura di questo tipo, collegata con una
rete di riscaldamento di quartiere con pompe di calore, si possono
riscaldare tante case quante con un impianto per la gassificazione
del carbone del costo di un miliardo di dollari in più. Il
consumo di carbone è inoltre di 2/5 rispetto a quest'ultimo. Ogni corso d'acqua,
anche di piccole dimensioni, può venir utilizzato per azionare
mulini ad acqua di potenza molto elevata. Un altro sistema è
l'uso delle turbine dotate di speciali palette che sfruttano al
massimo l'energia cinetica. L'alta velocità di rotazione rende
la turbina idraulica ideale per la produzione di elettricità. Grandi centrali
idroelettriche possono causare notevoli danni all'ambiente,
specialmente con la creazione di vasti bacini destinati a fornire
l'energia potenziale. È possibile però installare
piccole turbine idrauliche lungo i fiumi con una interferenza minima
sul loro corso.
Sistemi a
bioconversione. La decomposizione dei rifiuti organici (come
escrementi umani o animali) ottenuta rinchiudendo i rifiuti in
serbatoi privi di ossigeno e leggermente riscaldati, produce gas
metano, utilizzabile per usi domestici e per alimentare piccoli
motori. Si calcola che ogni ½ Kg di materiale di scarto
dovrebbe produrre una quantità di gas tra i 30 e i 120 cm
cubici che fornirebbero una potenza di circa ½ KW.
Sistemi a
energia solare. L'energia solare può essere utilizzata
direttamente per il riscaldamento delle case o indirettamente per
generare una fonte di energia elettrica. Il calore alle basse
temperature si può ottenere facilmente dall'aria o dall'acqua
che si riscalda passando attraverso elementi esposti al sole
verniciati di nero. Il riscaldamento
delle case è sicuramente il campo più promettente per
lo sfruttamento dell'energia solare. Uno dei primi esempi di
riscaldamento solare è la Dover Housek, progettata da Maria
Telkes e Eleanor Raymond e costruita nel 1949, in cui l'energia
solare viene assorbita da grandi lastre di metallo brunito coperte da
doppie lastre di vetro. Il calore, trasportato da aria circolante
dietro le lastre di metallo, viene conservato chimicamente ad una
temperatura fra i 25° e i 37° in grandi serbatoi contenenti
sale di Glauber che trattiene il calore 8 volte e mezzo più
dell'acqua. La casa viene riscaldata da aria calda convogliata per
mezzo di un ventilatore. Per la produzione
di alte temperature sono stati proposti vari metodi il cui principio
generale è analogo a quello per cui si può bruciare un
pezzo di carta con una lente di ingrandimento. In Massachusetts, in
un forno sperimentale provvisto di una serie di specchi che
concentravano i raggi solari, si sono ottenute temperature di 5000°,
sufficienti a fondere una sbarra di acciaio.
Energia eolica.
L'energia ricevuta dal vento costituisce un'importante fonte di
energia meccanica con un minimo di interferenza ambientale.
Attualmente fornisce la produzione di energia elettrica. Sono però
in fase di studio altri utilizzi del lavoro meccanico ottenuto dal
vento, come pompare calore, acqua e comprimere aria. Si calcola che
un mulino a vento con un diametro di circa 5,5 metri, in una zona in
cui la velocità media del vento sia meno di 20 Km all'ora,
potrebbe fornire più dell'ottanta per cento dell'energia
necessaria a illuminare l'abitazione di una famiglia media. La principale
difficoltà dell'energia eolica è costituita
dall'immagazzinamento, difficoltà alla quale attualmente si
tenta di ovviare usando pile da automobile da 6 o 12 volt.
Energia idrica.
È possibile sfruttare l'energia idrica senza produrre disastri
ecologici come quello della diga di Assuan? Mantenendo il principio
delle piccole dimensioni, sì.
LEGGERE L'AMBIENTE
Il numero dei libri
e delle pubblicazioni che trattano il problema nucleare, o in senso
più lato l'approccio ecologico al problema energetico, è
immenso. Fondamentale sia
per l'analisi profonda (è una rivisitazione con approccio
storico-filosofico di tutta la nostra cultura), sia per l'ampia
trattazione del problema, oltre cinquecento pagine ricchissime di
argomenti ecologici e di riferimenti culturali, è certamente
L'ecologia della libertà di Murray Bookchin
(Eleuthera, Milano 1986, L. 25.000). Un testo imprescindibile per chi
voglia affrontare il problema ecologico con un più largo
respiro, affrontando anche il nodo della struttura della nostra
società. È consigliabile comunque, prima di affrontare
il lavoro bookchiniano, consultare qualche testo puramente
divulgativo, proprio per l'impegno che richiede il libro di Bookchin.
Segnaliamo, a questo proposito, quei manuali ecologici di cui quasi
tutte le librerie sono piene. Testi che, anche se non nuovissimi,
sono un buon inizio per chi sia completamente digiuno di
problematiche ecologiche. Chi invece avesse
voglia di ampliare il problema troverà spunti interessanti da
discutere e con cui polemizzare in Verso un'ecologia della mente
(Adelphi, Milano 1976, L. 30.000) e Mente e Natura
di Gregory Bateson (Adelphi, Milano 1984, L. 20.000), anche se
soprattutto il primo risulta limitato e datato malgrado l'approccio
interdisciplinare strettamente legata alle sole problematiche
ambientaliste, in Il Tao della fisica (Adelphi, Milano 1982,
L. 25.000) e Il punto di svolta (Feltrinelli, Milano 1984, L.
38.000) di Fritjof Capra, testi che studiano le interazioni tra
scienza e filosofia orientale. Per il problema
della dimensione, rimane fondamentale Piccolo è bello
(Mondadori, Milano 1980, L. 5.000) di Ernst Schumacher, approccio
cristiano al problema ecologico. Schumacher ha il pregio di aver
affrontato per primo il problema della dimensione. Per chi volesse
avere un'informazione sulle bugie delle lobby nucleariste è
interessante Lo stato atomico (Einaudi, Torino, L. 12.000) di
Robert Jungk, che con un taglio giornalistico e di facile lettura
informa con dovizia di particolari. Chi infine volesse approfondire
il problema nucleare da un punto di vista scientifico o addirittura
affrontare la possibilità di costruzioni di tecnologie
alternative, ha a disposizione diversi buoni manuali anche
particolarmente interessanti seppure specialistici. Gli
impianti nucleari di Carlo Lombardi (Clup, Milano 1982, Lire
28.000) dà le caratteristiche tecniche dei principali impianti
nucleari, L'energia eolica (Longanesi, L. 13.500) di Paolo
Cella permette la costruzione di mulini eolici. Esistono poi diversi
manuali per progettare pannelli solari, tra i quali segnaliamo
Energia solare (Tecniche Nuove, L. 14.000) di Hans Rau.
Il prezzo
dell'atomo
È
possibile costruire una centrale nucleare sicura al 100%? Sì, ma
solo dal punto di vista strettamente teorico, visto che il suo costo
sarebbe infinito. In pratica è impossibile. In questo
articolo si passano in rassegna alcuni dei principali aspetti
negativi e rischi conseguenti alla scelta nucleare: dalla
radioattività diffusa al problema (irrisolto) delle scorie,
dall'aumento delle malattie alla fusione del nocciolo. Il prezzo da
pagare è decisamente troppo alto. In nome del progresso? Ma i
morti, dopotutto, non hanno bisogno del progresso.
"... la
gente che nacque era gente sbagliata. Erano pazzi, volevano
fabbricare il mondo. Ma l'unica cosa che riuscirono a fare fu di
farlo finire". U. K. Le Guin,
."Sempre la valle"
In un futuro, non
molto lontano, potremmo essere dipinti così dai nostri
discendenti fortunosamente sopravvissuti. E come si potrebbe dare
loro torto: gente che usa coscientemente tecnologie altamente
rischiose, che crea sostanze velenose per millenni, che avvelena il
pianeta in cui vive mettendo in pericolo la sopravvivenza della
propria e delle altre specie viventi, non può essere che pazza
e malvagia. Tra tutte le
tecnologie con cui avveleniamo il nostro pianeta, certamente
l'energia nucleare merita un posto particolare. Nata per scopi
militari (una bomba dalla potenza incredibile) continua ad uccidere
sia che venga utilizzata per la prossima guerra sia che venga
contrabbandata come "l'atomo per la pace". Non è
facile spiegare in poche parole, possibilmente semplici, tutti i
rischi connessi all'uso dell'energia nucleare, ma un po' di chiarezza
è fondamentale se non altro per poter essere in grado di
decidere in libertà. L'energia liberata
dalle reazioni nucleari è dell'ordine di milioni e decine di
milioni di elettronvolt, quando i livelli energetici della nostra
vita quotidiana si misurano in centesimi di elettronvolt e l'energia
chimica non supera le centinaia di migliaia. Il primo pericolo
nell'uso del nucleare è legato proprio alle immense energie
liberate, che possono provocare danni enormi e che producono scorie
che non siamo in grado di distruggere. Il principio su cui
si basa una centrale nucleare è la reazione a catena: una
sufficiente quantità di materiale fissile provoca la rottura
(fissione) dei nuclei degli atomi che a loro volta innescano lo
stesso processo in altri nuclei seguendo una progressione geometrica.
In una centrale nucleare non si deve fissionare tutto il materiale in
una volta sola, si deve invece cercare di tenere sotto controllo
continuamente la reazione perché il rapporto moltiplicativo
non scenda sotto uno (si avrebbe lo spegnimento della centrale) e non
salga sopra uno (s'innescherebbe un processo esplosivo). È
abbastanza evidente che un simile progetto è una gara di
equilibrismo giocata con processi che sviluppano energie incredibili
nel giro di poche decine di secondi, liberando anche sostanze
altamente tossiche (prodotti radioattivi). Infatti, se non si riesce
a controllare in tempo la reazione, questa prosegue il suo corso
portando o allo spegnimento del reattore o alla sua fusione in tempi
brevi. Le temperature che il nocciolo raggiunge in pochissimo tempo
(oltre i 5000 gradi) fondono qualsiasi materiale e ben presto le
strutture di contenimento diventano una massa amorfa che brucia a
temperature incredibili. Una specie di piccolo sole sulla terra i cui
comportamenti nessuno conosce né tantomeno può
controllare e che può anche fondere la crosta terrestre
aprendosi un varco verso il centro della terra. Esattamente ciò
che stava succedendo a Chernobyl. Un incidente che, secondo gli
ingegneri nucleari, è talmente improbabile da essere
praticamente impossibile. Perché, secondo loro, le centrali
nucleari sono sicure o meglio il rischio connesso con il loro
utilizzo è minimo. Ma quanto sono
sicure? È possibile costruire una centrale sicura al 100%?
Certo, ma solo teoricamente, visto che il suo costo sarebbe infinito.
Altrimenti bisogna tenersi il rischio, sperando che l'improbabilità
calcolata non si riveli una probabilità nemmeno troppo remota,
oppure accettando fatalisticamente la possibilità di morire
per il nucleare noi e i nostri discendenti. Una centrale
nucleare non è pericolosa solo per il rischio di incidenti, è
pericolosa tutti i giorni. I prodotti secondari della fissione sono
infatti elementi radioattivi, isotopi degli elementi esistenti sulla
terra, indistinguibili a parte il piccolo particolare di emettere
radiazioni letali. E non esiste una centrale a tenuta stagna. C'è
sempre almeno una piccola parte (gli atomi sono così
minuscoli) che sfugge, finisce nell'atmosfera, si rideposita sul
terreno ritornando nel ciclo alimentare giorno dopo giorno, anno dopo
anno. Come già
asserivano nel 1962 due noti professori americani, il dottor Terry,
primario chirurgo e il dottor Chadwick, primario radiologo: "Non
vi è un livello di radioattività al di sotto del quale
si possa essere assolutamente certi che non vi saranno effetti
dannosi almeno per qualcuno, quando vi è un numero abbastanza
grande di persone che vi si espongono". Nella città
di Aliquippa, in Pennsylvania, a sedici chilometri da una centrale
nucleare considerata supersicura, ben tre ricerche separate nella
prima metà degli anni '70 hanno portato alla conclusione che
le minime perdite del solo stronzio 90 radioattivo, strettamente nei
limiti di sicurezza, erano le responsabili di una mortalità
neonatale raddoppiata, della frequenza della leucemia pure
raddoppiata e dell'incidenza di malattie infantili di ogni genere che
raggiungeva il 165% della media dello stato. Infatti lo stronzio 90
si concentrava durante il ciclo alimentare tanto che il latte della
zona ne conteneva il 75% in più rispetto al resto della
regione. Si potrebbe dire
che siamo ancora nell'ambito dei danni locali, ma bisogna tenere
presente che uno dei problemi più importanti connessi con il
nucleare è il problema delle scorie radioattive che non si
possono distruggere. Per cui vanno trasportate dalle centrali
nucleari in stabilimenti dove lavorarle per cercare di recuperare il
recuperabile (soprattutto uranio e plutonio) utilizzando i normali
mezzi di trasporto, ed infine vanno stivate da qualche parte in
attesa che compiano il loro ciclo, lungo anche diverse migliaia di
anni. Sono state cercate
le strutture geologiche considerate più stabili, vecchie
miniere saline non più utilizzate, per riempirle dei
contenitori. Ma chi può dire per quanto saranno al sicuro? Per
quanto reggeranno i contenitori? Riusciranno a passare indenni gli
inevitabili assestamenti geologici? Potremo avvertire la nostra
progenie del pericolo? Devono durare
decine di migliaia di anni anche oltre centomila anni. Un tempo
lunghissimo, troppo lungo. Centomila anni fa non esisteva ancora la
specie umana. Abbiamo pochi resti e non capiamo certo la lingua dei
popoli che abitarono la terra solo diecimila anni fa. E stiamo
stivando la terra di veleni per i prossimi centomila anni sperando
che nel frattempo, sempre che non capiti l'irreparabile, qualcuno
trovi la soluzione. Come se non
bastasse, non siamo neppure in grado di smantellare una centrale una
volta invecchiata. Dopo venti, trenta anni di funzionamento una
centrale va chiusa. È diventata vecchia, i materiali si sono
deteriorati (la Dalmine garantisce i tubi utilizzati per le centrali
nucleari solo per 12-14 anni), aumenta il rilascio atmosferico di
materiale radioattivo, aumentano i rischi di incidente, le fermate
per guasti di ogni genere. Non rimane che chiuderla. Purtroppo però
non è possibile smantellarla. Non solo perché i costi
sono elevatissimi, come al solito, ma anche perché non è
mai stato tentato. Troppi sono i
problemi tecnici ancora da risolvere, i rischi, il materiale
radioattivo da maneggiare. Per ora ci si limita a chiuderle,
ipotizzando di ricoprirle, domani, di metri cubi e metri cubi di
terra appellandosi una volta di più al tempo. E nella sola
Europa occidentale esistono più di 136 centrali in esercizio
che ogni giorno producono veleni, e se ne stanno costruendo altre 53,
oltre il 30% delle centrali esistenti al mondo. Siamo pronti a
produrre un bel mucchio di rifiuti che spargeranno veleno. E domani potrebbe
essere ancora peggio. I nuovi reattori veloci, autofertilizzanti
(come il Super-phoenix che, appena costruito, è già in
panne) sono vere e proprie bombe (producono quantità notevoli
di plutonio), vengono raffreddati con sodio liquido (altamente
esplosivo a contatto con l'acqua). E poi potremmo pensare anche alla
fusione che libera energie ancora più alte, che usa trizio
altamente radioattivo (ma nei progetti dovrebbe restare in un
circuito chiuso e quindi essere sicuro). E forse potremmo pensare
qualcosa d'altro. Per quanto si possa
cercare di minimizzare, i rischi rimangono e se questo è il
prezzo da pagare per il progresso, lo sviluppo, il benessere, forse
vale la pena pensarci un attimo. Forse è un
prezzo troppo alto: la radioattività è insidiosa: non
si percepisce, gli elementi radioattivi vengono fissati dal nostro
corpo, uccide anche a distanza di anni, porta modificazioni nel
patrimonio genetico, può durare anche per periodi lunghissimi
di tempo. È
questa l'eredità che vogliamo lasciare ai nostri discendenti?
Vogliamo pagarne il prezzo? E ne vale la pena? Dopotutto i morti
non hanno bisogno di progresso.
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