Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 146
maggio 1987


Rivista Anarchica Online

Contro l'energia centralizzata
a cura del Circolo Anarchico "Ponte della Ghisolfa"

Contro il nucleare, certamente: sia quello militare sia quello civile. Ma antinucleare non basta: non si può ridurre la questione energetica al solo dilemma "nucleare si, nucleare no". Anche le energie cosiddette "alternative", "dolci", "pulite", possono risultare estremamente nocive, pericolose, funzionali ad un modello di sviluppo cinico, oppressivo, antiecologico. Una questione fondamentale - ma spesso trascurata - è quella relativa alle dimensioni degli impianti e, più in generale, alle modalità della produzione e della distribuzione energetica. È il modello stesso dell'attuale organizzazione sociale che deve essere messo in discussione.

Ripensare la società

"Solo quando l'ultimo albero sarà stato abbattuto, l'ultimo fiume avvelenato, l'ultimo pesce pescato, vi accorgerete che non si può mangiare il denaro".
Ma allora sarà troppo tardi per tornare indietro. Avremo percorso sino in fondo la buia strada che porta alla distruzione. È proprio questo che vogliamo? Una vita che peggiora di giorno in giorno, rischiosa per noi e per i nostri figli? Un prezzo così alto per cosa? Per qualche oggetto in più, per poter dimostrare di valere più del vicino, per vivere solo per lavorare, produrre, spendere e poi morire?
Sembra il quadro pauroso di un film di Spielberg, ma non sono i nostri incubi notturni, è la realtà. I rapporti che ipotizzano scenari in cui la situazione ecologica mondiale sarà irreversibilmente compromessa in breve tempo sono sempre più numerosi. Non sono i lamenti delle solite Cassandre (e poi Cassandra non era creduta, ma aveva ragione), se vogliamo sopravvivere e soprattutto se vogliamo che i nostri discendenti riescano a vivere dobbiamo muoverci, ora. Presto sarà troppo tardi.
In questo quadro, il fabbisogno energetico e le tecnologie in uso per soddisfarlo sono un punto focale di cui le centrali nucleari sono la punta dell'iceberg. La tecnologia sempre più complessa richiede energie sempre maggiori e la ricerca di nuova energia richiede tecnologie sempre più sofisticate e rischiose. Un circolo vizioso dal quale è difficile uscire, mentre Chernobyl ci ha insegnato che, in certi casi, il pericolo in agguato non conosce frontiere, che le distanze, anche di migliaia di chilometri, possono all'improvviso diventare estremamente piccole, parole senza senso. Le morti tecnologiche colpiscono senza preavviso e senza discriminazioni.
Ma è giusto essere chiari. Non è solo quella nucleare l'energia da bandire. Non sono solo le centrali nucleari i mostri dell'Apocalisse da distruggere. Le centrali a carbone o a petrolio, ma anche le "pulite" centrali idroelettriche, possono essere altrettanto mortifere: dopotutto uno dei più grandi disastri ecologici è stato prodotto dalla diga di Assuan. Pericolose e velenose sono le fabbriche chimiche (Seveso e Bhopal sono solo un esempio), come si possono considerare inquinanti i grandi agglomerati urbani e il nostro stesso modo di vivere. Addirittura, come fa notare nel suo ultimo libro Carlo Rubbia, può essere inquinante anche l'utilizzo delle fonti alternative, le fonti energetiche rinnovabili, che, tra l'altro, in un certo senso, sono poco competitive dal punto di vista economico.
Che fare allora ? Dobbiamo tornare indietro alla lampada ad olio e all'acciarino? Dobbiamo rinunciare all'energia per riutilizzare il motore umano? O accettare fatalisticamente il nostro destino? Oppure controllare strettamente il processo di sviluppo per evitare l'inquinamento anche se ciò volesse dire far pagare costi elevati alla maggior parte della popolazione?
Il problema non è proprio in questi termini. Bisogna considerare un fattore importante che pure nessuno prende in esame: la grandezza. Le energie alternative sono inquinanti se utilizzate su larga scala. La megacentrale solare, eolica o idroelettrica pone problemi, rischi, inquinamento come le altre centrali o poco meno. Allo stesso modo la non-competitività delle fonti rinnovabili vale per le grandi centrali.
Bisogna cambiare misura. Non serve progettare e costruire centrali che usano fonti energetiche alternative di diversi mega-watt (la California, però, è quasi totalmente alimentata da produzioni energetiche alternative): sono i piccoli impianti, magari integrati, i più convenienti, senza rischi, con poca manutenzione. È in questo ordine di grandezza che l'energia alternativa può essere competitiva: è più efficiente ed ha un impatto ambientale minimo.
Cambiare misura, passare dalle centrali, più o meno gigantesche, a piccoli impianti non è solo una scelta di grandezza, è molto di più. Vuol dire rinunciare all'impianto accentrato dove viene prodotta e quindi distribuita l'energia, quindi significa rinunciare a controllarne l'uso, liberarla cosicché ognuno ne possa produrre esattamente quanto gli serve. Vuol dire allargare le conoscenze tecnologiche, lasciare che ognuno decida per sé.
E la difficoltà è qui. Perché questo significa anche rinunciare al potere di dare o non dare energia, significa minare una delle basi dello stato. Come sapevano bene i Cinesi e gli altri antichi imperi in cui il controllo delle acque per l'irrigazione era compito fondamentale e monopolistico dello stato o come dice altrettanto bene U. K. Le Guin nel racconto Antartide: "Lo stato è nostro padrone perché lo stato corporativo ha il monopolio delle fonti energetiche, e non c'è abbastanza energia per muoversi. Ma adesso tutti potrebbero costruire sul proprio tetto un generatore capace di fornire abbastanza energia per illuminare una città... Potremmo decentralizzare completamente industria e agricoltura. La tecnologia potrebbe servire la vita invece di servire il capitale. Ciascuno di noi potrebbe essere padrone della propria vita. L'energia è potere!... Lo stato è una macchina. Potremmo staccare il filo che dà corrente alla macchina, ora".
Energia alla portata di tutti non perché si possa o meno comprarla, ma perché la si può produrre facilmente da soli, con una tecnologia semplice. Sole, vento, acqua, lì a portata di mano, pronti come sempre al nostro servizio e nello stesso tempo controllori severi. Non si usa l'ambiente in maniera indiscriminata perché dell'energia se ne ha bisogno ogni giorno per secoli. Si prende in prestito, con mano leggera: sapendo di dover restituire ciò che si è preso perché deve tornare nel ciclo pronto ad essere riutilizzato domani.
Non vuol dire certamente rinunciare a tutta la nostra tecnologia, non è possibile e non ne saremmo capaci, vuol dire ripensarla profondamente, riconsiderare quello che serve veramente, rivedere i nostri valori e correlare strettamente la tecnologia ad essi. Utilizzare piuttosto che accumulare, riciclare invece di sprecare perché la terra, il sole, l'universo non appartengono a nessuno poiché appartengono a tutti, animali, piante e minerali compresi. Vuol dire anche cambiare profondamente tutta la nostra cultura: non pensarsi più i signori (piuttosto ridicoli nella loro debolezza e insignificanza) dell'universo, ma i suoi abitanti insieme a molti altri.
L'ambiente che ci circonda non è un'entità creata a nostro uso e consumo che l'uomo deve dominare, conquistare, assoggettare, e rendere docile. Un simile concetto è solo la riflessione verso l'esterno (natura) dei rapporti gerarchici che esistono all'interno della nostra società. In fondo il concetto stesso di natura è astratto, la realtà è l'ambiente, l'ecosistema composto da mille e mille specie diverse, da sostanze strettamente correlate e interdipendenti tra loro in cui l'estinzione di una specie può essere la morte di altre oppure viceversa la nascita. Ecco perché ripensare profondamente il rapporto che la nostra società ha istituito con l'ambiente, accettare la realtà dell'uomo non principe della natura, ma specie fra altre specie, vuol dire rivedere anche i rapporti di dominio nella nostra società. Non è pensabile rompere l'uno senza rifiutare anche gli altri.
E questo è il passaggio più arduo, quello che quasi tutti, anche i più sensibili al problema inquinamento, non considerano, sorvolano o cancellano perché è il passaggio che comporta i cambiamenti più radicali, che dimostra quanto la logica del dominio sia incompatibile con l'ecosistema. E senza questo passaggio, logico e fondamentale, si può fare solo dell'ambientalismo.
Si possono certo ottenere risultati, anche a breve termine, magari all'apparenza eclatanti, ma in realtà non si ottiene nulla.
Si possono evitare il fosforo e l'atrazina e forse anche alcune centrali nucleari, si può diminuire parte dell'inquinamento, ma sono solo pezze, rattoppi su un vestito troppo liso, una tinteggiata ad una casa che sta per crollare.
La scelta è solo nostra!


Purché sia dolce

Quando si parla di energia dolce (o soft, o alternativa) ci si chiede spesso se essa possa essere sufficiente a coprire le richieste energetiche attuali e future. Non altrettanto spesso ci si pone il problema di chi chiederà questa energia, quanta, di che tipo e perché. La richiesta di energia non è un dato astratto, ma un fattore strettamente collegato al modello di vita che si sceglie, al tipo di tecnologia che si decide di usare.
L'energia alternativa è possibile a patto che si cambi il tipo di struttura sociale attuale, strettamente legata alla tecnologia e all'energia pesante. Quest'ultima trova le sue basi nelle grandi dimensioni, utilizza pochi ma enormi centri di produzione per servire agglomerati urbani e industriali. Di conseguenza, la tecnologia diventa sempre più specialistica, alla portata di pochi e indifferenziata (cioè non tiene conto dei vari tipi di ambiente in cui viene inserita).
La formula alternativa di produzione si basa su una struttura decentralizzata, su piccola scala, che può essere controllata direttamente sia da chi partecipa al processo di produzione sia da chi fa uso del prodotto e infine riesce a far fronte alle esigenze della comunità pur rispettando l'ambiente.
Economicamente parlando, la scelta dolce è a conti fatti assai più vantaggiosa poiché oltre ad avere costi di gestione più contenuti e più stabili, ha anche un costo iniziale più basso, determinato dalla semplicità tecnica, dalle piccole dimensioni unitarie e dall'eliminazione (o quasi) delle perdite di distribuzione. Non dimentichiamo, inoltre, che i costi di un errore nell'energia dolce sono infinitamente più bassi (sia come conseguenze che come persone colpite) di un guasto ad una grande centrale. Ma vediamo quali sono in pratica queste fonti energetiche.

Tecnologie di transizione. Per un passaggio efficiente dall'energia dura a quella dolce abbiamo bisogno di tecnologie che in questa fase utilizzino il combustibile fossile per breve tempo e con parsimonia. Tra i vari progetti, quello che si è rivelato più efficiente è quello dei letti fluidi che bruciano carbone o qualsiasi altro combustibile.
L'apparecchiatura necessaria è molto semplice: una consistente massa di materiale inerte (sabbia o polvere di ceramica) viene portata al calor rosso e mantenuta in sospensione da una corrente d'aria proveniente dal basso; a questa massa viene poi man mano aggiunto combustibile in piccole dosi. I letti fluidi sono stati impiegati a lungo come reattori chimici e bruciatori per i rifiuti ma si possono utilizzare anche per la produzione di vapore e l'alimentazione di turbine. Con una apparecchiatura di questo tipo, collegata con una rete di riscaldamento di quartiere con pompe di calore, si possono riscaldare tante case quante con un impianto per la gassificazione del carbone del costo di un miliardo di dollari in più. Il consumo di carbone è inoltre di 2/5 rispetto a quest'ultimo.
Ogni corso d'acqua, anche di piccole dimensioni, può venir utilizzato per azionare mulini ad acqua di potenza molto elevata.
Un altro sistema è l'uso delle turbine dotate di speciali palette che sfruttano al massimo l'energia cinetica. L'alta velocità di rotazione rende la turbina idraulica ideale per la produzione di elettricità.
Grandi centrali idroelettriche possono causare notevoli danni all'ambiente, specialmente con la creazione di vasti bacini destinati a fornire l'energia potenziale. È possibile però installare piccole turbine idrauliche lungo i fiumi con una interferenza minima sul loro corso.

Sistemi a bioconversione. La decomposizione dei rifiuti organici (come escrementi umani o animali) ottenuta rinchiudendo i rifiuti in serbatoi privi di ossigeno e leggermente riscaldati, produce gas metano, utilizzabile per usi domestici e per alimentare piccoli motori. Si calcola che ogni ½ Kg di materiale di scarto dovrebbe produrre una quantità di gas tra i 30 e i 120 cm cubici che fornirebbero una potenza di circa ½ KW.

Sistemi a energia solare. L'energia solare può essere utilizzata direttamente per il riscaldamento delle case o indirettamente per generare una fonte di energia elettrica. Il calore alle basse temperature si può ottenere facilmente dall'aria o dall'acqua che si riscalda passando attraverso elementi esposti al sole verniciati di nero.
Il riscaldamento delle case è sicuramente il campo più promettente per lo sfruttamento dell'energia solare. Uno dei primi esempi di riscaldamento solare è la Dover Housek, progettata da Maria Telkes e Eleanor Raymond e costruita nel 1949, in cui l'energia solare viene assorbita da grandi lastre di metallo brunito coperte da doppie lastre di vetro. Il calore, trasportato da aria circolante dietro le lastre di metallo, viene conservato chimicamente ad una temperatura fra i 25° e i 37° in grandi serbatoi contenenti sale di Glauber che trattiene il calore 8 volte e mezzo più dell'acqua. La casa viene riscaldata da aria calda convogliata per mezzo di un ventilatore.
Per la produzione di alte temperature sono stati proposti vari metodi il cui principio generale è analogo a quello per cui si può bruciare un pezzo di carta con una lente di ingrandimento. In Massachusetts, in un forno sperimentale provvisto di una serie di specchi che concentravano i raggi solari, si sono ottenute temperature di 5000°, sufficienti a fondere una sbarra di acciaio.

Energia eolica. L'energia ricevuta dal vento costituisce un'importante fonte di energia meccanica con un minimo di interferenza ambientale. Attualmente fornisce la produzione di energia elettrica. Sono però in fase di studio altri utilizzi del lavoro meccanico ottenuto dal vento, come pompare calore, acqua e comprimere aria. Si calcola che un mulino a vento con un diametro di circa 5,5 metri, in una zona in cui la velocità media del vento sia meno di 20 Km all'ora, potrebbe fornire più dell'ottanta per cento dell'energia necessaria a illuminare l'abitazione di una famiglia media.
La principale difficoltà dell'energia eolica è costituita dall'immagazzinamento, difficoltà alla quale attualmente si tenta di ovviare usando pile da automobile da 6 o 12 volt.

Energia idrica. È possibile sfruttare l'energia idrica senza produrre disastri ecologici come quello della diga di Assuan? Mantenendo il principio delle piccole dimensioni, sì.


LEGGERE L'AMBIENTE

Il numero dei libri e delle pubblicazioni che trattano il problema nucleare, o in senso più lato l'approccio ecologico al problema energetico, è immenso.
Fondamentale sia per l'analisi profonda (è una rivisitazione con approccio storico-filosofico di tutta la nostra cultura), sia per l'ampia trattazione del problema, oltre cinquecento pagine ricchissime di argomenti ecologici e di riferimenti culturali, è certamente L'ecologia della libertà di Murray Bookchin (Eleuthera, Milano 1986, L. 25.000). Un testo imprescindibile per chi voglia affrontare il problema ecologico con un più largo respiro, affrontando anche il nodo della struttura della nostra società. È consigliabile comunque, prima di affrontare il lavoro bookchiniano, consultare qualche testo puramente divulgativo, proprio per l'impegno che richiede il libro di Bookchin. Segnaliamo, a questo proposito, quei manuali ecologici di cui quasi tutte le librerie sono piene. Testi che, anche se non nuovissimi, sono un buon inizio per chi sia completamente digiuno di problematiche ecologiche.
Chi invece avesse voglia di ampliare il problema troverà spunti interessanti da discutere e con cui polemizzare in Verso un'ecologia della mente (Adelphi, Milano 1976, L. 30.000) e Mente e Natura di Gregory Bateson (Adelphi, Milano 1984, L. 20.000), anche se soprattutto il primo risulta limitato e datato malgrado l'approccio interdisciplinare strettamente legata alle sole problematiche ambientaliste, in Il Tao della fisica (Adelphi, Milano 1982, L. 25.000) e Il punto di svolta (Feltrinelli, Milano 1984, L. 38.000) di Fritjof Capra, testi che studiano le interazioni tra scienza e filosofia orientale.
Per il problema della dimensione, rimane fondamentale Piccolo è bello (Mondadori, Milano 1980, L. 5.000) di Ernst Schumacher, approccio cristiano al problema ecologico. Schumacher ha il pregio di aver affrontato per primo il problema della dimensione.
Per chi volesse avere un'informazione sulle bugie delle lobby nucleariste è interessante Lo stato atomico (Einaudi, Torino, L. 12.000) di Robert Jungk, che con un taglio giornalistico e di facile lettura informa con dovizia di particolari. Chi infine volesse approfondire il problema nucleare da un punto di vista scientifico o addirittura affrontare la possibilità di costruzioni di tecnologie alternative, ha a disposizione diversi buoni manuali anche particolarmente interessanti seppure specialistici. Gli impianti nucleari di Carlo Lombardi (Clup, Milano 1982, Lire 28.000) dà le caratteristiche tecniche dei principali impianti nucleari, L'energia eolica (Longanesi, L. 13.500) di Paolo Cella permette la costruzione di mulini eolici. Esistono poi diversi manuali per progettare pannelli solari, tra i quali segnaliamo Energia solare (Tecniche Nuove, L. 14.000) di Hans Rau.


Il prezzo dell'atomo

È possibile costruire una centrale nucleare sicura al 100%? Sì, ma solo dal punto di vista strettamente teorico, visto che il suo costo sarebbe infinito. In pratica è impossibile. In questo articolo si passano in rassegna alcuni dei principali aspetti negativi e rischi conseguenti alla scelta nucleare: dalla radioattività diffusa al problema (irrisolto) delle scorie, dall'aumento delle malattie alla fusione del nocciolo. Il prezzo da pagare è decisamente troppo alto. In nome del progresso? Ma i morti, dopotutto, non hanno bisogno del progresso.

"... la gente che nacque era gente sbagliata. Erano pazzi, volevano fabbricare il mondo. Ma l'unica cosa che riuscirono a fare fu di farlo finire".
U. K. Le Guin, ."Sempre la valle"

In un futuro, non molto lontano, potremmo essere dipinti così dai nostri discendenti fortunosamente sopravvissuti. E come si potrebbe dare loro torto: gente che usa coscientemente tecnologie altamente rischiose, che crea sostanze velenose per millenni, che avvelena il pianeta in cui vive mettendo in pericolo la sopravvivenza della propria e delle altre specie viventi, non può essere che pazza e malvagia.
Tra tutte le tecnologie con cui avveleniamo il nostro pianeta, certamente l'energia nucleare merita un posto particolare. Nata per scopi militari (una bomba dalla potenza incredibile) continua ad uccidere sia che venga utilizzata per la prossima guerra sia che venga contrabbandata come "l'atomo per la pace". Non è facile spiegare in poche parole, possibilmente semplici, tutti i rischi connessi all'uso dell'energia nucleare, ma un po' di chiarezza è fondamentale se non altro per poter essere in grado di decidere in libertà.
L'energia liberata dalle reazioni nucleari è dell'ordine di milioni e decine di milioni di elettronvolt, quando i livelli energetici della nostra vita quotidiana si misurano in centesimi di elettronvolt e l'energia chimica non supera le centinaia di migliaia. Il primo pericolo nell'uso del nucleare è legato proprio alle immense energie liberate, che possono provocare danni enormi e che producono scorie che non siamo in grado di distruggere.
Il principio su cui si basa una centrale nucleare è la reazione a catena: una sufficiente quantità di materiale fissile provoca la rottura (fissione) dei nuclei degli atomi che a loro volta innescano lo stesso processo in altri nuclei seguendo una progressione geometrica. In una centrale nucleare non si deve fissionare tutto il materiale in una volta sola, si deve invece cercare di tenere sotto controllo continuamente la reazione perché il rapporto moltiplicativo non scenda sotto uno (si avrebbe lo spegnimento della centrale) e non salga sopra uno (s'innescherebbe un processo esplosivo). È abbastanza evidente che un simile progetto è una gara di equilibrismo giocata con processi che sviluppano energie incredibili nel giro di poche decine di secondi, liberando anche sostanze altamente tossiche (prodotti radioattivi). Infatti, se non si riesce a controllare in tempo la reazione, questa prosegue il suo corso portando o allo spegnimento del reattore o alla sua fusione in tempi brevi. Le temperature che il nocciolo raggiunge in pochissimo tempo (oltre i 5000 gradi) fondono qualsiasi materiale e ben presto le strutture di contenimento diventano una massa amorfa che brucia a temperature incredibili. Una specie di piccolo sole sulla terra i cui comportamenti nessuno conosce né tantomeno può controllare e che può anche fondere la crosta terrestre aprendosi un varco verso il centro della terra. Esattamente ciò che stava succedendo a Chernobyl. Un incidente che, secondo gli ingegneri nucleari, è talmente improbabile da essere praticamente impossibile. Perché, secondo loro, le centrali nucleari sono sicure o meglio il rischio connesso con il loro utilizzo è minimo.
Ma quanto sono sicure? È possibile costruire una centrale sicura al 100%? Certo, ma solo teoricamente, visto che il suo costo sarebbe infinito. Altrimenti bisogna tenersi il rischio, sperando che l'improbabilità calcolata non si riveli una probabilità nemmeno troppo remota, oppure accettando fatalisticamente la possibilità di morire per il nucleare noi e i nostri discendenti.
Una centrale nucleare non è pericolosa solo per il rischio di incidenti, è pericolosa tutti i giorni. I prodotti secondari della fissione sono infatti elementi radioattivi, isotopi degli elementi esistenti sulla terra, indistinguibili a parte il piccolo particolare di emettere radiazioni letali. E non esiste una centrale a tenuta stagna. C'è sempre almeno una piccola parte (gli atomi sono così minuscoli) che sfugge, finisce nell'atmosfera, si rideposita sul terreno ritornando nel ciclo alimentare giorno dopo giorno, anno dopo anno.
Come già asserivano nel 1962 due noti professori americani, il dottor Terry, primario chirurgo e il dottor Chadwick, primario radiologo: "Non vi è un livello di radioattività al di sotto del quale si possa essere assolutamente certi che non vi saranno effetti dannosi almeno per qualcuno, quando vi è un numero abbastanza grande di persone che vi si espongono".
Nella città di Aliquippa, in Pennsylvania, a sedici chilometri da una centrale nucleare considerata supersicura, ben tre ricerche separate nella prima metà degli anni '70 hanno portato alla conclusione che le minime perdite del solo stronzio 90 radioattivo, strettamente nei limiti di sicurezza, erano le responsabili di una mortalità neonatale raddoppiata, della frequenza della leucemia pure raddoppiata e dell'incidenza di malattie infantili di ogni genere che raggiungeva il 165% della media dello stato. Infatti lo stronzio 90 si concentrava durante il ciclo alimentare tanto che il latte della zona ne conteneva il 75% in più rispetto al resto della regione.
Si potrebbe dire che siamo ancora nell'ambito dei danni locali, ma bisogna tenere presente che uno dei problemi più importanti connessi con il nucleare è il problema delle scorie radioattive che non si possono distruggere. Per cui vanno trasportate dalle centrali nucleari in stabilimenti dove lavorarle per cercare di recuperare il recuperabile (soprattutto uranio e plutonio) utilizzando i normali mezzi di trasporto, ed infine vanno stivate da qualche parte in attesa che compiano il loro ciclo, lungo anche diverse migliaia di anni.
Sono state cercate le strutture geologiche considerate più stabili, vecchie miniere saline non più utilizzate, per riempirle dei contenitori. Ma chi può dire per quanto saranno al sicuro? Per quanto reggeranno i contenitori? Riusciranno a passare indenni gli inevitabili assestamenti geologici? Potremo avvertire la nostra progenie del pericolo?
Devono durare decine di migliaia di anni anche oltre centomila anni. Un tempo lunghissimo, troppo lungo. Centomila anni fa non esisteva ancora la specie umana. Abbiamo pochi resti e non capiamo certo la lingua dei popoli che abitarono la terra solo diecimila anni fa. E stiamo stivando la terra di veleni per i prossimi centomila anni sperando che nel frattempo, sempre che non capiti l'irreparabile, qualcuno trovi la soluzione.
Come se non bastasse, non siamo neppure in grado di smantellare una centrale una volta invecchiata. Dopo venti, trenta anni di funzionamento una centrale va chiusa. È diventata vecchia, i materiali si sono deteriorati (la Dalmine garantisce i tubi utilizzati per le centrali nucleari solo per 12-14 anni), aumenta il rilascio atmosferico di materiale radioattivo, aumentano i rischi di incidente, le fermate per guasti di ogni genere. Non rimane che chiuderla. Purtroppo però non è possibile smantellarla. Non solo perché i costi sono elevatissimi, come al solito, ma anche perché non è mai stato tentato.
Troppi sono i problemi tecnici ancora da risolvere, i rischi, il materiale radioattivo da maneggiare. Per ora ci si limita a chiuderle, ipotizzando di ricoprirle, domani, di metri cubi e metri cubi di terra appellandosi una volta di più al tempo. E nella sola Europa occidentale esistono più di 136 centrali in esercizio che ogni giorno producono veleni, e se ne stanno costruendo altre 53, oltre il 30% delle centrali esistenti al mondo. Siamo pronti a produrre un bel mucchio di rifiuti che spargeranno veleno.
E domani potrebbe essere ancora peggio. I nuovi reattori veloci, autofertilizzanti (come il Super-phoenix che, appena costruito, è già in panne) sono vere e proprie bombe (producono quantità notevoli di plutonio), vengono raffreddati con sodio liquido (altamente esplosivo a contatto con l'acqua). E poi potremmo pensare anche alla fusione che libera energie ancora più alte, che usa trizio altamente radioattivo (ma nei progetti dovrebbe restare in un circuito chiuso e quindi essere sicuro). E forse potremmo pensare qualcosa d'altro.
Per quanto si possa cercare di minimizzare, i rischi rimangono e se questo è il prezzo da pagare per il progresso, lo sviluppo, il benessere, forse vale la pena pensarci un attimo.
Forse è un prezzo troppo alto: la radioattività è insidiosa: non si percepisce, gli elementi radioattivi vengono fissati dal nostro corpo, uccide anche a distanza di anni, porta modificazioni nel patrimonio genetico, può durare anche per periodi lunghissimi di tempo.
È questa l'eredità che vogliamo lasciare ai nostri discendenti? Vogliamo pagarne il prezzo? E ne vale la pena?
Dopotutto i morti non hanno bisogno di progresso.