Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 143
febbraio 1987


Rivista Anarchica Online

Il male del secolo?
di Carlo Oliva

Non è una cosa simpatica da scrivere, ma, in un certo senso, la cultura di massa aveva un gran bisogno dell'AIDS. Se non si fosse manifestato per cause naturali (sempre ammesso che per cause naturali si sia manifestato), lo si sarebbe dovuto inventare. Basta dare un'occhiata non troppo distratta, di questi giorni, a quotidiani e settimanali vari e seguire, stringendo doverosamente i denti, l'alluvione di articoli, servizi, grafici, riquadri, interviste e disegnini che regolarmente vi affluiscono. Secondo il modello del giornalismo "classico", quello alla Prima pagina, un modello che evidentemente regge, nonostante l'impatto con l'elettronica e le nuove tecnologie, nell'immaginario del pubblico e in quello dei giornalisti, l'AIDS è "la Notizia" per eccellenza. Se la definizione non fosse un pochino usurata, sarebbe già stato battezzato "il male del secolo".
Le poche polemiche che questo furore giornalistico ha suscitato si sono appuntate soprattutto su problemi deontologici e morali, come quello dell'attendibilità scientifica delle informazioni trasmesse, o quello dell'effetto di un certo articolo, o di un certo servizio, sui malati o sui loro familiari. Ma in fondo, salvo qualche episodio sporadico, non sembra che i limiti comunemente accettati in merito siano stati clamorosamente superati. Il problema non è tanto quello classico (appunto) dello "scandalismo" e dell'attendibilità delle notizie. È quello del significato del fenomeno AIDS per tutta la cultura di massa che si riflette sui mezzi d'informazione e da questi viene forgiata, del sistema di valori che evoca, in un modo o nell'altro, per ciascuno di noi. E appunto per questo vale forse la pena di chiedersi perché esattamente questa malattia rappresenti un oggetto tanto ingombrante nella nostra cultura.
L'AIDS, in realtà, non è solo una malattia che si trasmette essenzialmente per via sessuale, e ha poco in comune con la sfera tradizionale delle "malattie veneree" (che pure non sono affatto prive di significato ideologico). È, appunto, il male del secolo, la "nuova peste": un'epidemia che ci coinvolge e ci riguarda tutti, sia per quanto attiene all'esplicarsi della nostra sessualità, al quale prescrive, o fa si che altri prescriva, normative e limitazioni di vario tipo, sia per quanto attiene il nodo cruciale della nostra identità. Nato, culturalmente parlando, come "morbo gay", per di più di origine africana (o haitiana o chissà quale, ma comunque sempre da zone in cui alligna la pelle nera), è stato, ed è, la malattia dei "diversi", anzi di quei diversi dediti alla promiscuità e all'edonismo, verso i quali la disapprovazione dei "normali" non è mai del tutto limpida o esente da punte d'invidia. Era facilissimo farlo diventare, magari senza dirlo, una doverosa punizione, o, a un livello appena un po' sofisticato, un fenomeno doloroso ma in fondo utile per indurre tanta gente a darsi finalmente una regolata, con indubbio vantaggio per tutta la società (una specie di variante biologica provvidenziale del reaganismo).

Fascino perverso
Ma oltre che i gay, i neri, i drogati e altri diversi di minor rilevanza ideologica ma diversi sempre (gli emofiliaci, che chissà cosa sono, ma certo qualcosa di brutto) l'AIDS riguarda anche gli "altri", i normali. Nega, in un certo senso, la loro normalità. A meno, naturalmente, di liberarlo da legami troppo stretti con il sesso, se non con la sodomia e il disordine erotico (il che spiega naturalmente, l'entusiasmo con cui si saluta la presenza del virus nelle lacrime o nel sudore, escrezioni abbastanza rispettabili, e quello con cui si cerca d'altro canto di collegarlo a modalità di rapporto indubitabilmente "diverse", ma esenti, a quanto sembra, da rischio d'infezione come le effusioni tra donne). Da questa tensione tra "normalità" e "non normalità" nasce gran parte del fascino perverso che la tematica dell'AIDS ha sulla gente, e nascono, en passant, tutti i disegnini più o meno osé sulle modalità e i rischi dell'infezione con cui ci deliziano da qualche tempo i principali settimanali.
Ci sono altre tensioni di cui tener conto. L'AIDS ha una pronunciatissima dimensione catastrofica: tende a porsi come possibile Catastrofe Totale (al limite dell'estinzione totale del genere umano a scadenza non troppo remota). Riguardava te, diverso, ieri; riguarda me oggi; potrà riguardare domani tutti noi. Le previsioni in merito, che fino a pochi mesi fa erano monopolio d'eccentrici vari, cominciano a dilagare nei discorsi "seri". Per asseverarle si ricorre sempre più all'impiego di termini, fraseologie e stilemi scientifici (varrebbe la pena di seguire il lento ma sicuro progresso sui media del termine "pandemia": solo la scienza, si sa, può garantire la fine del mondo, o almeno quella dell'umanità. Ma naturalmente questa ipotesi d'estinzione tocca note più profonde di altre, per esempio di quella, che alcuni volonterosi avevano cercato di venderci qualche mese fa senza troppa fortuna, nonostante l'apparato scientifico messo in opera, del buco nella ionosfera, per non dire di quella nucleare classica, ormai usurata e resa poco riconoscibile da troppe concrezioni successive. Un'estinzione legata, in un modo o nell'altro, a forme d'abuso della sessualità propria ed altrui ricorda davvero da vicino la Pioggia di Fuoco sulle Città della Pianura: è la migliore approssimazione del castigo divino cui una cultura irrimediabilmente laica può arrivare. E a questo punto non è illecito supporre che la possibilità di collegare la Punizione immanente con l'esistenza di un gruppo di Responsabili della medesima si affacci irresistibilmente alla coscienza.
I tempi, in un certo senso, sono maturi per l'avvento del Capro Espiatorio. Un Capro Espiatorio collettivo, cui addossare molteplici responsabilità, anche oltre quella della diffusione della nuova peste, capace di assumere su di sé il disagio morale della nostra cultura, il senso del fallimento incombente della variante mercificata e spersonalizzata di "libertà" sessuale offertaci dalla società dei consumi. Un Capro Espiatorio, soprattutto, su cui proiettare, liberandosene definitivamente, la parte oscura di tutti noi, quel quid irriconducibile alla nostra asserita identità di "persone normali". Stando così le cose, a meno che non si corra ai ripari, è lecito aspettarsi, per il popolo gay e per gli altri "soggetti a rischio", tempi molto duri.

Il sonno della ragione
Tutto ciò, naturalmente, non ha a che vedere con il problema di una corretta diffusione di notizie e di consigli di comportamento. Le norme igieniche, notoriamente, non hanno mai fatto male a nessuno e la loro diffusione ha sempre avuto una valenza simpaticamente democratica che non mi sembrerebbe sbagliato cercare di recuperare. Certo, c'è modo e modo: varrebbe la pena di esaminare con un minimo di sistematicità critica le varie campagne d'informazione e prevenzione che varie organizzazioni pubbliche e private stanno svolgendo in parecchi paesi europei (non in Italia, che io sappia) e negli Stati Uniti. Il ventaglio degli atteggiamenti è piuttosto vasto: da quello, tutto sommato "aperto" del ministero della sanità americano, un cui pieghevole è stato tradotto e diffuso anche nelle nostre scuole da un'organizzazione privata, a quello, francamente terrorista, delle organizzazioni sanitarie della repubblica federale tedesca, in cui lo slogan Safer Sex ("sesso sicuro") è accompagnato dall'immagine inquietante di una robusta spilla di sicurezza. Ma non è questa la sede, ovviamente.
Al di là di ogni analisi contingente, di ogni riflessione moralistica, di ogni illecita generalizzazione, forse sarebbe sufficiente ricordare sempre che il "male del secolo" (di qualunque secolo) non è L'AIDS, né alcuna altra malattia: è, sempre e comunque, il sonno della ragione.