Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 138
giugno 1986


Rivista Anarchica Online

Quando abolimmo lo stato
di Claudio Venza

Le esperienze autogestionarie e libertarie di mezzo secolo fa nel ricordo di alcuni protagonisti di quella esaltante e tragica stagione rivoluzionaria.

Il fenomeno della collettivizzazione nella guerra civile spagnola è conosciuto solo parzialmente e spesso in modo mistificato. Gli storici più noti gli dedicano di solito uno sbrigativo paragrafo fornendo solo indicazioni generiche e non di rado confuse. Anche in questo campo l'uso esclusivo dei documenti scritti, e una certa prevenzione ideologica e politica verso una rivoluzione sociale per lo meno "inopportuna", hanno gravemente condizionato la conoscenza storica. D'altra parte anche i sostenitori dell'esperienza collettivista hanno presentato per lo più un quadro forzatamente ottimista e aproblematico, tutto sommato abbastanza artificiale. Le testimonianze dei protagonisti appaiono molto più significative e rappresentative di certo materiale d'archivio ripetitivo e quasi stereotipato. Naturalmente il dato puramente soggettivo, le vicende storiche vissute e viste dall'interno non possono certamente pretendere di esaurire l'analisi storica del tema. È però realistico sperare di presentare in alcuni frammenti l'ambiente umano e la sua mentalità, gli entusiasmi e le delusioni, le intuizioni e le ingenuità, le aspirazioni e gli errori.
La fonte più importante e più originale qui utilizzata è data da quarantasei interviste registrate da ricercatori dell'Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza di Torino che ha per animatore Paolo Gobetti. Esse sono state realizzate negli ambienti dei militanti spagnoli, quasi tutti anarchici, nel 1976-77 in Francia e in Spagna. Le testimonianze provenivano per lo più da vari gruppi vicini al giornale "Frente Libertario" che rappresentava una tendenza dell'anarchismo spagnolo contraria alla collaborazione con le forze politiche repubblicane durante la guerra civile e favorevole al massimo sviluppo possibile delle trasformazioni rivoluzionarie delle collettivizzazioni. Il tema delle conversazioni era notevolmente ampio e spesso l'intervistato parlava liberamente di tutta la propria esperienza politica e personale con particolare riguardo al periodo del 1936-39.

"Il mio vizio è leggere"
L'argomento esaminato è stato circoscritto alle collettività di tipo agricolo perché esse rappresentano lo sviluppo più caratteristico e avanzato dell'esperienza collettivista, che nel settore industriale risulta maggiormente condizionata dal controllo governativo e dalle strutture sindacali e politiche.
La resistenza e la capacità di autoriproduzione dell'anarchismo spagnolo, che utilizza sapientemente l'assenza di un riformismo statale e riesce a concentrare su di sé le attese di un cambiamento dell'esistente, si manifestano anche durante la Seconda Repubblica, e anzi il movimento si estende e si radicalizza proprio nella prima metà degli Anni Trenta. Del grande rilievo della concezione etica nell'attività militante si ha esplicita conferma nelle interviste. Joaquin García Camarena, che iniziò a lavorare a 6 anni tagliando l'erba in campagna e che divenne militante anarcosindacalista a 18 anni dichiara senza incertezza: "Per me essere anarchico è una cosa molto seria. Leggevo Reclus, leggevo Ricardo Mella, il mio vizio è leggere. Ho pensato che l'anarchico deve avere delle condizioni morali, delle condizioni di comprensione,... una delicatezza e una tolleranza verso il suo simile".
Pedro Adam, anarchico del Levante, ricorda, per spiegare come l'esperienza di una rivoluzione sociale fu possibile nel 1936-39, che "bisogna tenere presente che in Spagna l'organizzazione confederale (la CNT) era una nuova società che si stava creando da anni, prima del Movimiento (dei militari insorti) e fu questo che le permise poi di svilupparsi...". Da un altro punto di vista Andreu Elogio, di Valencia, militante cenetista dall'età di 15 anni, dichiara: "Sempre mi son detto, e ho detto, che il sindacato, se deve servire solo per miglioramenti economici, non vale la pena che esista,... il sindacato deve fare la rivoluzione".
Questa sorta di guida morale che a taluni studiosi ha suggerito un'interpretazione dell'anarchismo spagnolo in chiave di eresia religiosa, moderna e non (Brenan, Hobsbawn..), viene rievocata dagli intervistati anche come un valido criterio di comportamento che ha pure una funzione correttiva di un'esperienza, quella collettivista, inizialmente troppo spinta.
Così Bernabé Esteban, di Villar Quemado (Teruel), rievoca il problema della libertà di scelta: "In alcuni paesi tutto il comune approvò la collettivizzazione, ma si rese conto presto che non dava dei buoni risultati. Bisognava far entrare tutta la popolazione, ma questo presentava dei problemi perché non tutte le persone approvavano il regime collettivistico. E quando in questi casi non si cura il lato etico della cosa si finisce per perdere la produzione e compromettere il buon andamento di tutto. Era più opportuno in casi del genere lasciar fuori tutti quelli che non erano collettivisti e continuare il lavoro soltanto con quelli che lo erano". La perdita in estensione dell'esperimento collettivista, che procurerà vari inconvenienti nella fase dell'organizzazione razionale del lavoro e degli scambi dei prodotti, verrebbe però ampiamente ricompensata dalla qualità della collettivizzazione volontaria.
José Villar Sanchez, di Quitagas, villaggio di montagna vicino a Valencia, inizia a lavorare a 9 anni e a 13 entra nella CNT. Egli ha ben presente le modalità e le conseguenze della separazione degli "individualisti". "Quando quelli se ne andarono, gli vennero restituite le terre, gli attrezzi. E fu proprio a partire da quel momento che la collettività iniziò a svolgere un lavoro maggiormente costruttivo, veramente valido. Anche perché non c'erano più gli ostacoli creati dagli altri".
Una testimonianza molto significativa viene fornita dal maestro libertario Felix Carrasquer, creatore ed animatore di una importante scuola per amministratori di collettività a Monzón, villaggio dell'Aragona. Nelle visite settimanali ai vari paesi, che effettuava con i giovani studenti, aveva osservato le differenze fra le collettività liberamente costituite, specialmente quelle formate da piccoli proprietari con una certa esperienza agricola, e quelle imposte con la forza da una minoranza convinta - ma talora autoritaria -, oppure dalle colonne di miliziani anarcosindacalisti di Barcellona che combattevano sul fronte aragonese. Data la sua esperienza educativa e il senso dell'etica libertaria, Carrasquer fu chiamato a risolvere alcune dispute fra sostenitori ed oppositori del collettivismo. La sua formula era chiara e coerente: "Dovete lasciare in pace la gente affinché decida essa stessa quello che vuole fare". Ad ogni modo, secondo le sue affermazioni, i casi di collettivizzazione totale e imposta sarebbero stati solamente una ventina su molte centinaia di aziende collettivizzate.

Il ruolo dei comunisti
In alcune situazioni gli "individualisti" che volevano continuare a coltivare in proprio erano politicamente neutri o anche appartenenti alla CNT, ma più frequentemente i protagonisti ricordano il sostegno politico offerto dal Partito comunista che stava cercando consensi tra i medi e i piccoli proprietari di tendenza conservatrice. Per Villar Sanchez la federazione comunista di Valencia "si trasformò nel luogo di riunione di tutti i reduci della C.E.D.A." (il partito reazionario che non poteva costituirsi legalmente nella Spagna repubblicana), in quanto "per loro andavano bene tutti. Anzi li fomentavano. Li difendevano a viso aperto".
Gli effetti di questa propaganda contraria si fanno sentire presto: "Così, queste persone di Pedralba (villaggio del Levante) che erano entrate nella collettività, alcune in buona fede (anche se non erano della CNT, erano entrate in buona fede), altre forse per coprirsi le spalle, davanti a questa presa di posizione dei comunisti alzarono la testa e cominciarono a opporre resistenza e a creare difficoltà. Alla fine andarono via dalla collettività portando con sé le loro terre. Il congresso costitutivo della Federación Regional de Colectividades de Aragón tenutosi a Caspe nell'inverno del 1937, e ricordato da Bernabé Esteban, stabilisce che "qualunque proprietario che rimanga fuori della collettività non potrà conservare più terre di quelle che gli è possibile coltivare da solo poiché viene abolito il lavoro salariato. Inoltre, continua Esteban, si approva una norma che applica gli insegnamenti di Bakunin, che consigliava di evitare lo spodestamento violento, mentre la soluzione del problema sta nella soppressione dell'eredità".
Per i collettivisti la valutazione dell'esperienza vissuta è fortemente legata alla difesa di principio della scelta della via rivoluzionaria da seguire nella guerra antifranchista. Ma oltre a tale posizione politico-ideologica la memoria dà spazio a molti aspetti concreti della vita quotidiana e delle necessità economiche.
Bernardo Merino Perez, operaio edile anarchico del Levante, ricorda con evidente orgoglio: "Mai, in nessuna occasione, la terra del Levante, che è molto prodiga nella produzione agricola, giunse a produrre tanto come durante la guerra, malgrado che la maggior parte delle collettività, poiché i compagni si erano incorporati nelle milizie, fossero composte da compagni che avevano più di 35 anni o più di 30, da donne e da ragazzi".
Le urgenze dello scontro bellico e delle scadenze agricole, che entrano in conflitto tra loro fin dalle giornate immediatamente successive al 19 luglio 1936, determinano differenti considerazioni nei testimoni.
Bernabé Esteban afferma che a Utrillas (Teruel), invece di disarmare l'infida Guardia civil e impossessarsi delle armi e della caserma, "i compagni si erano tranquillizzati la coscienza dicendo che la Guardia Civil era una minoranza e avevano preferito organizzare i gruppi di mietitori per raccogliere il grano. Il raccolto era certamente utile, ma era più urgente distruggere il fascismo, perché se avesse trionfato, a cosa ci sarebbe servito accumulare grano?".
José Villar Sanchez riflette sull'aspetto economico dell'esperienza e rileva che in generale la produttività "si mantenne ai livelli medi dell'anteguerra" però andrebbe anche considerato il fatto che "nelle collettività mancava circa il 30% dei giovani (...) perché dalle collettività partivano molti volontari, mentre fra gli "individualisti" ce n'erano pochi".
Ma era soprattutto la nuova organizzazione del lavoro e della vita sociale ad animare ed entusiasmare chi si attendeva molto dall'esperimento collettivista. La testimonianza di Fernando Aragón, della collettività di Angùés (Huesca) è molto esplicita in proposito: "Quando facemmo la raccolta del grano (che fu eccellente perché avevamo lavorato molto e la pioggia era stata favorevole) ci fu la conferma che avevamo ragione: tutto quel grano che si era seminato, raccolto e trebbiato con il nostro lavoro, prima andava a beneficio dei proprietari che non facevano niente. Com'era triste pensare a quello che quei padroni facevano prima, come ci sentivamo felici quando vedevamo che il frutto del nostro lavoro andava a beneficio della collettività, di tutto il paese...".

"Lavorare in comune non è una stupidaggine"
Anche osservatori relativamente estranei o contrari testimoniano tale profondo cambiamento. Juan Martinez, un medio proprietario simpatizzante della lzquierda Republicana, aveva accettato l'espropriazione anche dei magazzini di derrate alimentari attribuendo la principale responsabilità all'emergenza bellica. Egli ricorda comunque il clima amichevole dei gruppi di lavoro e i vantaggi della collaborazione: "Lavorare in comune non è assolutamente una stupidaggine. Significava una grande concentrazione di terra al posto di appezzamenti piccoli e dispersi. In questo modo si risparmiavano tempo e sforzo".
Il principio di solidarietà, da sempre sostenuto dagli anarchici spagnoli quale valore alternativo alla competizione tipica del sistema capitalistico, sembra realizzarsi in modo quasi miracoloso. Un episodio di grande significato si scolpisce indelebilmente nei ricordi di Matilde Escuder, compagna di Felix Carrasquer e collettivista di Mirandel (Teruel). Quando giunge in paese un camion di tessuti, lei teme lo scatenarsi della tradizionale rivalità fra donne, aggravata dalla penuria della guerra. "Ma invece no. Fu impressionante perché, dopo aver disteso gli scampoli, ciascuna compagna si preoccupava dell'altra. Ad esempio, tutte più o meno avevano dei figli, però una diceva "Guarda questo scampolo. Guarda come andrebbe bene per un paio di pantaloni per tuo figlio, non ti sembra?...". C'era un legame di fraternità che io non avevo mai visto...".
La solidarietà dovrebbe far fronte anche ai problemi che la singola collettività non può risolvere con le sue sole forze. L'accordo sottoscritto a Caspe dalle collettività aragonesi viene letto da Bernabé Esteban durante l'intervista. Esso prevede che: "Quando si costituiscono le federazioni di comarca (provincia) e la federazione regionale, bisogna eliminare i limiti tradizionali che esistono tra i paesi; inoltre saranno destinati a uso comune gli strumenti di lavoro e le materie prime, posti indistintamente a disposizione delle collettività che ne abbiano bisogno". Ed è pure previsto uno scambio di manodopera dalle zone di eccedenza a quelle con scarsità di forze lavorative.
Anche sotto l'aspetto solidaristico sono però rammentate varie incongruenze. Gaston Leval, anarchico di lingua francese con vari incarichi di responsabilità , era partito dall'Argentina con l'obiettivo di documentare la rivoluzione in atto perché riteneva che "le esperienze che si vivevano dovessero essere raccolte per il futuro". Aveva già conosciuto la Spagna durante gli Anni Venti e restò interdetto perché "nelle città si mangiava molto: ricordo che a Valencia ero stato turbato (...). Mai la gente aveva mangiato tanti dolci a Valencia", mentre rileva che "i contadini hanno avuto un senso più concreto, più preciso di responsabilità di fronte al futuro che si avvicinava". La sua critica allo spreco e alla scarsa solidarietà delle città è ribadita perfino nei confronti della capitale catalana, la roccaforte dell'anarchismo: "Avevo fatto un viaggio in Aragona e avevo constatato che il grano era cresciuto e che mancava la gente per raccoglierlo. Ed avevamo dei lavoratori che pigliavano il loro salario senza far nulla a Barcellona", dove la disoccupazione edile era diffusa.
José Villar Sanchez resta demoralizzato di fronte al ragionamento di alcuni appartenenti alla collettività di Pedralba, una delle più ricche e meglio amministrate del Levante. "Una volta mi dissero: "Guarda, noi dal punto di vista economico andiamo avanti molto bene, se ci uniamo per esempio con quelli di Marines, certamente loro non miglioreranno la loro situazione, mentre noi peggioreremmo di sicuro".
Varie testimonianze concordano con la documentazione d'archivio sul fatto che al pericolo dell'isolazionismo si cercava di ovviare con organismi di coordinamento regionale in Aragona, nel levante e in Catalogna. Talvolta però i conflitti si spostavano a livello interregionale. Barnabé Esteban dichiara che sorsero dei problemi negli scambi fra l'Aragona contadina e la Catalogna più urbanizzata: "Abbiamo avuto degli scontri duri (...) perché i catalani ci davano abbastanza fastidio su tali questioni". Il fatto non è purtroppo ulteriormente precisato, mentre poi si ricorda che dopo qualche mese "le cose si aggiustarono".
Le difficoltà di funzionamento non sembrano costituire nella memoria dei sopravvissuti dei limiti insuperabili. "Era tutto da maturare in Spagna (...). Bisognava discutere tutto. Naturalmente.". Ricorda Florentia Soler, combattente nella colonna Durruti e dal novembre 1936 collettivista nel suo villaggio di origine in Aragona. "Insomma la situazione era questa: in principio è stato fatto, o meglio improvvisato, com'è stato possibile (...) dopo avrebbe avuto luogo l'unificazione. Invece sono arrivati i ministeri, i comunisti con la loro forza ed hanno distrutto le collettività" sintetizza Gaston Leval.
La repressione compiuta dalle truppe guidate da Enrique Lister viene rievocata da tutti i collettivisti che spesso aggiungono dei particolari ed esprimono tristezza e rabbia miste ad un senso di impotenza. Tali sentimenti sono esemplificati da Matilde Escuder: "vennero i grigi e distrussero tutto e portarono via tutti gli uomini".

Qualsiasi organo di potere...
Questo fatto traumatico induce ovviamente a frequenti riflessioni sulle possibilità di una difesa efficace e di una prevenzione militare dell'operazione di smantellamento. Uno degli intervistati, José Borras, militante della colonna Durruti, coglie l'occasione dell'intervista per esporre il suo pensiero sul consiglio d'Aragona, organo politico composto da esponenti delle varie forze antifranchiste con la prevalenza di anarchici. Tale Consiglio fu "riconosciuto come rappresentante del governo centrale, e di conseguenza, a partire da quel momento non ebbe più il ruolo di organo rivoluzionario". Al contrario la Federazione delle Collettività aragonesi, formata dalle entità produttive di villaggio, avrebbe costituito un'autentica struttura libertaria e rivoluzionaria e in quanto tale, maggiormente resistente alle repressioni. In sostanza secondo José Borras, l'intervento militare di Lister "poté sopprimere ciò che proveniva dall'alto come emanazione e rappresentanza del potere, senza radici e senza base". E polemicamente conclude: "voglio aggiungere, perché questo ci serva di lezione, che il consiglio di Aragona, determinante perché costituito da una maggioranza di compagni, giocò un ruolo che meriterebbe la definizione di controrivoluzionario. Ciò dimostra che qualsiasi organo di potere, anche se retto da libertari, si trasforma in autoritario".
Al contrario, a livello della singola collettività, quasi tutti i protagonisti affermano ripetutamente che si era realizzato uno dei cardini principali della teoria e del movimento anarchico: l'abolizione dell'autorità. José Villar Sanchez, ad esempio, ricostruisce l'organizzazione del lavoro in questi termini: "Il lavoro si svolgeva in brigate. A ciascuna brigata veniva affidato un compito ed alla sua testa veniva nominato un responsabile che però non aveva il potere di decisione: era soltanto responsabile per quanto riguarda il lavoro. In genere questo incarico veniva affidato a colui che dal punto di vista professionale era maggiormente preparato. Ma senza autorità".

La condizione femminile
Si rammenta che talvolta era arduo praticare nei rapporti quotidiani una innovazione tanto radicale. Così il maestro Felix Carrasquer si rendeva conto che "la cosa difficile è arrivare a capire che il maestro è nella scuola soltanto un ragazzo adulto, che però non ha nessuna autorità". Florentia Soler sostiene, in base alla propria esperienza, che era avvenuta una trasformazione rivoluzionaria dell'intera vita sociale: "Con il cambiamento delle strutture della società non c'erano autorità, non c'era nessuno in paese, né tribunale né sindaco, non c'era niente, non c'era altro che il Comitato rivoluzionario". E ancora: "Non ci furono furti. Non ci furono ammazzati né per odio né per niente, la gente andava a lavorare, non avevamo nessuna autorità, nessuna". Eppure i mutamenti nella realtà di ogni giorno sono profondi e in pochi giorni si rompono tradizioni e norme consolidate da tempo. La stessa donna afferma: "Le ragazze che, per esempio, tre mesi prima fossero andate a casa con un ragazzo dicendo: "Questa notte dormiamo insieme", il padre le avrebbe picchiate da ammazzarle. Allora invece era una cosa normale...".
Proprio la condizione femminile sembra quella maggiormente investita dai nuovi valori. Per Matilde Escuder la rottura fu innanzitutto sul piano dell'informazione e della cultura "perché si tenevano conferenze, si leggeva e si discuteva. E la donna era finalmente uscita dal focolare, aveva distrutto i tabù...". "A Monzón, che si trovava nella Sierra..., che aveva cinque o seimila abitanti, il sindacato aveva una grande casa, c'era anche una biblioteca del sindacato, anche grande, ce n'era un'altra dove c'erano Mujeres Libres e davano lezioni di sera per le donne del popolo, per quelle che non sapevano leggere e davano loro lezioni sulla maternità, di pronto soccorso, ecc...".
Suceso Portalez, di famiglia anarchica, mette in evidenza la necessità di un movimento particolare delle donne perché anche negli ambienti libertari "la donna era la compagna del compagno, ma niente di più di questo". Già prima del 1936 "avevamo cominciato a far prendere coscienza alle donne perché potessero lottare assieme agli uomini" e durante la guerra "ci interessava di più far prender coscienza alle donne dei problemi economici, dei problemi sociali, piuttosto che prepararle per la guerra" anche se in ogni modo "aiutavano perché c'era il nemico lì vicino". L'obiettivo principale era "far qualcosa per realizzare un cambiamento totale, sociale e rivoluzionario" e in questo senso era necessario battere i franchisti in quanto "il rombo dei vecchi ferri ci circondava i polsi" ricorda Suceso Portalez citando una poesia della sua amica Lucia Sanchez Saornil.
Ed è ancora una donna che riassume con grande efficacia il sentimento di quasi tutti i collettivisti. All'arrivo nel suo villaggio aragonese dove trova già in funzione la collettività, Florentia Soler prova "l'impressione di vivere in pieno comunismo libertario": le decisioni sono prese dalle assemblee della popolazione, il denaro è abolito, si vive nell'uguaglianza e nella libertà. La rievocazione rinnova le forti emozioni vissute quarant'anni prima e la memoria si confonde con il desiderio: "Nella nostra vita è stato come un sogno... adesso quando lo ricordo è come un sogno". E questo stesso concetto, affiancato da un ragionamento più teso a confermare la validità dell'ideale libertario, è presente nella testimonianza di Saturnino Carod, capo-colonna della CNT: "Forse eravamo dei sognatori, o degli utopisti. Sì, tutti noi: ma perfino il liberalismo fu un'utopia prima di farsi realtà, come del resto il socialismo. Eravamo, e siamo, convinti che un giorno la nostra utopia (forse la più utopistica di tutte) si farà realtà, perché se non è così, l'uomo non sarà contento...".