Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 15 nr. 130
estate 1985


Rivista Anarchica Online

I generali di Baj nel forte di Bard
di Fabio Santin

Il forte di Bard è un brutto complesso di edifici militari ricostruiti nella prima metà dell''800, che si trova all'imboccatura della Valle d'Aosta. Già dall'esterno ricorda in maniera impressionante la "fortezza" descritta da Dino Buzzati nel suo Deserto dei Tartari. Ma è soprattutto entrando e girando per i cortili e le sale che si ha la netta sensazione di rivivere la paranoica quotidiana attesa, da parte del protagonista del romanzo, il tenente Drago, dell'arrivo dell'ipotetico nemico "invasore" che in realtà non arriverà mai. Anche questa "fortezza", da decenni ridotta ad un lento e poco "dignitoso" declino, è all'insegna della più stupida inutilità (tipica di altre imponenti fortificazioni militari moderne). Pare che nemmeno nei suoi momenti di gloria sia stata all'altezza dell'importanza storica ed architettonica attribuitale se, nel maggio del 1800, Napoleone, forte di 40.000 uomini in marcia verso la Padania, riuscì a raggiungere Ivrea aggirando tranquillamente l'imponente "baluardo" a difesa del confine.
Oggi, quasi due secoli dopo Napoleone, sono i generali antimilitaristi di Enrico Baj a prendere possesso della "fortezza". Dal 6 Luglio al 30 Agosto, infatti, parte delle sale sono state invase proprio dai famosi "generali" e dalle loro decorative "dame". Non c'è che dire; il risultato è suggestivo, talmente evidente è il contrasto tra i cupi stanzoni di foggia strana con fessure e finestre tagliate in modo da defilarsi al tiro "nemico", per l'occasione tirati a calce e molto "militari" nella loro inutilità, e la serie di ritratti (termine del tutto improprio, in questi veri e propri collage di tecniche e materiali vari) di generali altrettanto inutili nel loro stupido militarismo.
L'atmosfera che si viene a creare tra il bianco assoluto dei contenitori e l'orgia dei colori e dei materiali dei personaggi è quasi "surreale", il repertorio di frange, medaglie, cimose, mappe, coccarde, bottoni, distintivi, cordoni, spalline, alamari, nastrini, ecc. insomma di tutto il ciarpame dell'iconografia militare, diventa veramente in questo particolare "uso", il simbolo dei miti del potere e della violenza del potere costituito per "grazia divina", dell'aggressività. Certo i generali visti così, con il loro sovraccarico di orpelli, appaiono come delle caricature grottesche, ma è merito di Baj appunto l'aver riproposto in tempi moderni la forza critica della farsa, del burlesco nelle arti figurative. Dietro si intravvedono Grosz, Dubuffet, Picabia, lo stesso Duchamp, non a caso suo amico e, naturalmente Jarry, l'irriverente inventore della Patafisica (vedi "A" 122), della quale Baj è uno dei più vivaci rappresentanti in Italia.
La satira e la comicità non nascondono la profonda serietà delle intenzioni, semmai il contrario se è vero che Baj, come afferma E. Crispolti, "è forse uno degli artisti più critici in Italia e in Europa, negli ultimi anni, verso il volto della società contemporanea". Una funzione critica, quella che Baj si è scelto e costruito da molto tempo, che costituisce un caso quasi unico nel fin troppo variegato panorama dell'arte contemporanea (non fanno testo infatti personaggi come i vari Guttuso, perché veri e propri pittori di partito).
Già alla fine degli anni '50, coi quadri della serie delle "modificazioni" (1959-60) Baj prendeva garbatamente in giro il fanatismo dilagante per i voli spaziali per poi, nella primavera del '59, ironizzare apertamente con gli emblemi e divieti della segnaletica stradale. Seguì la lunga serie dei "Generali", ai quali vanno associate le relative "Dame". Il tema dell'antimilitarismo e dell'aggressività del potere si amplia successivamente con le vaste composizioni sulle "parate militari", i "comizi", per arrivare nel '69 alla rivisitazione di Guernica di Picasso, il primo quadro che esprime un attacco in sede artistica alla violenza. La serie delle rivisitazioni continua nel '71 con "La grande Jatte" e "La double grande Jatte" di Seraut (pittore della fine dell'800, molto vicino agli anarchici, come del resto il movimento dei neo-impressionisti di cui fu l'iniziatore).
Nel 1972 Baj completa il grande collage "I funerali dell'anarchico Pinelli", poi nel '74 la "Nixon's Parade" e, dopo un lungo periodo di riflessione, la monumentale "Apocalisse", opera ancora in corso di aggiunte e variazioni; da cui è stata tratta l'immagine del manifesto di Venezia '84 (di questi ultimi grandi quadri parla lo stesso Baj nell'intervista pubblicata su "A" 121).
Proseguendo nel labirinto delle sale si passa dalla serie dei generali all'altro tema della mostra: le decine e decine di personaggi usciti dalla immaginazione delirante di Jarry e dei suoi compagni di liceo, (trascritti per il dramma "Ubu Re" del 1888 e riportati da Baj per il festival della marionetta di Parigi l'anno scorso). Completano la serie delle marionette una decina di grandi teli illustranti episodi del ciclo di Ubu.
La figura di Ubu, vera e propria reincarnazione del tiranno assassino, del despota onnipotente, dello zar pazzo e sanguinario e lo stuolo di nobili, magistrati, finanzieri, consiglieri che gli restano attorno, furono rappresentati da Jarry mantenendo il crudo linguaggio goliardico col fine dichiarato di scandalizzare (la prima parola del primo atto è "merda") e dissacrare le infinite mostruosità del potere.
Baj reinterpreta questo esasperato linguaggio puerile "costruendo" le sue marionette assemblando gli elementi del gioco di costruzioni "meccano" con ingranaggi e altri materiali. Usa quindi la metafora di un linguaggio tipicamente infantile (il meccano) imitante però una serialità costruttiva da grandi. Il risultato: una serie di simpatici e coloratissimi robot meccanici che diventano feroci ed insolenti, una volta animati nel contesto di una commedia-farsa all'insegna della volgarità e della più gratuita brutalità.
La combinazione accentua ancor più l'aria grottesca ed evidenzia la carica profetica dell'opera di Jarry che prefigura, con mezzo secolo di anticipo, il carattere mostruosamente totalitario delle dittature moderne e la fame di servitù delle masse.
In conclusione, una mostra dove, nonostante la totale mancanza di pannelli o scritte che diano una qualche indicazione al visitatore più sprovveduto, il "ciclo" del potere è ben rappresentato nei suoi due poli: l'arroganza da una parte e la beotaggine dall'altra. Lo stesso Baj ribadisce che ogni generale è in un certo senso un Ubu.
Unica mancanza, a mio parere, in questo contesto di opere dissacranti i miti del potere e della violenza, è un episodio artistico come il "Pinelli" che ne rappresenterebbe (perché di vera e propria "rappresentazione" si tratta) anche il volto quotidiano e democratico.