Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 15 nr. 127
aprile 1985


Rivista Anarchica Online

Arcipelago scuola
di Fausta Bizzozzero / Massimo Panizza

È ora la volta degli studenti. Dopo aver affrontato, sul penultimo munero, alcuni aspetti dell'arcipelago scuola (problematiche dell'insegnamento, "inserimento" degli handicappati) sentiamo alcune voci di studenti. Abbiamo posto una serie di domande a studenti e studentesse estranei all'ambiente anarchico, per cercare di capire quali aspettative in genere sono legate alla scuola, come la si vorrebbe, che grado di insoddisfazione ed eventualmente di volontà di cambiamento ci sono. Con quattro studenti anarchici, invece, abbiamo discusso del senso e delle concrete possibilità di un intervento anarchico nella scuola attuale. Dall'insieme di questo materiale emergono alcuni spunti interessanti, perlopiù solo abbozzati. Il discorso, evidentemente è ancora tutto da sviluppare. A noi interessa portarlo avanti: sarà possibile farlo, sui prossimi numeri, solo se chi dentro la scuola opera, insegna, studia, lotta, ecc., si farà vivo con noi, scriverà la sua esperienza e le sue riflessioni, concorderà i tempi e modi di una collaborazione che riteniamo indispensabile.

La scuola, secondo me

Arcipelago scuola, "A" 125": abbiamo solo lanciato una manciata di sassi, cercando di colpire, di segnalare, di scoprire alcuni punti nevralgici di un argomento enorme, importante, attuale. Anche perché numerosi indigeni della tribù anarchica abitano quell'arcipelago sia come studenti sia come insegnanti.
Vorremmo sottolineare che il dibattito è soltanto aperto, che "A" vuole essere una grande tavola per parlare e per portare esperienze e dubbi. Tutto può servire a farci sentire più forti e più preparati per operare concretamente all'interno o all'esterno di una istituzione che attraversiamo per un po' di anni, tutti quanti. Allontanandoci dall'arcipelago ci era rimasta un po' di amarezza e anche un briciolo di arrabbiatura: purtroppo nessun sasso è finito su quel grande scoglio, rissoso e brulicante, abitato dagli studenti. La nostra mira ha fatto fiasco su di un bersaglio importante e nessuna luce è stata fatta sui reali fruitori della scuola.
Finalmente alcuni studenti delle superiori (scelti perlopiù tra giovani e politicamente non impegnati) si sono decisi a parlarne. Le loro risposte rivelano un'enorme fatica e le parole scorrono trasparenti su stati d'animo vacillanti e incerti, come se ci pensassero per la prima volta. D'altra parte è chiaro che, funzionando da parcheggio, la scuola superiore è a tutti gli effetti un'appendice della scuola dell'obbligo, la scelta è obbligata: non scelta, ma condizione "sine qua non". Perché mai chiedersi sulla sua utilità? Chi si è mai chiesto dell'utilità della mamma dopo essersene allontanato?
Così nella vita di un adolescente la scuola è un percorso obbligato che conduce al "successo" o comunque ne fa intravvedere il miraggio. La si ritrova e la si accetta così com'è, senza grosse pretese, tentando di viverla il meno possibile.
Alla domanda "Perché vai a scuola" Elena risponde seccamente: "Perché devo, perché senza il mio pezzetto di carta non andrei molto lontano". E inoltre afferma: "La scuola oggi non prepara assolutamente al lavoro e del resto non potrebbe, non avendo nessun contatto con esso". In realtà prepara al lavoro più di quello che si pensa, prepara i "factotum" del futuro: che importa essere specializzati quando la coscienza è pronta ad ubbidire. C'è poi chi come Claudia, ha delle incertezze: "Forse perché mi piace imparare, forse per ritardare il problema di non trovare il lavoro, forse perché penso che studiare offra prospettive migliori che non farlo". E l'incertezza è la sensazione che più o meno provano gli studenti degli anni '80. Massimiliano centra involontariamente il problema: "La scuola è il luogo di formazione dei giovani, futuri cittadini del nostro tempo, tutto sta nel modo in cui le istituzioni statali adempiono a tale compito", ma si guarda bene dal mettere in discussione tale funzione.
L'unico che riesce a vedere al di là di un significato di una scuola specializzante o preparatorio alla società è Christopher di 15 anni. Dice: "La scuola per molti giovani è solo un'alternativa al lavoro. In effetti nel primo anno di corso la pensavo anch'io così. Successivamente ho cominciato a vedere la scuola come un'esperienza di vita necessaria che serve per prepararmi al futuro, ma non tanto per quanto riguarda la cultura quanto la preparazione umana. A scuola incontro molte persone, ascolto diverse opinioni e faccio sentire la mia. Una scuola formativa quindi, che dovrebbe fornire una preparazione di base, che dovrebbe preparare alla vita, ma anche al lavoro".
C'è chi sostiene che tutto funziona, a parte qualche piccolo e ridicolo dettaglio, e chi sostiene che non funziona affatto, come Elena: "Io trovo che il problema stia nel fatto che la scuola non è al passo coi tempi. Le materie insegnate, in particolare quelle tecniche, sono "vecchie" nel senso che al di fuori i metodi insegnati non sono più usati. Inoltre gli stessi professori non sempre sono all'altezza del ruolo che occupano". Ricorre il desiderio di una conoscenza più ampia, meno parcellizzata e più qualificata, non affidata solo a professori spesso incompetenti, ma anche ad esperti esterni o anche, come propone Massimiliano, a gruppi di lavoro studenteschi autogestiti.
In modo timido ed impreciso fa comunque capolino dietro alcune risposte il desiderio di una scuola aperta non staccata dalla società e dalla vita, una sorta di scuola-laboratorio dove dovrebbe cambiare anche il rapporto professori-studenti. Dice Claudia: "È un rapporto di dipendenza, il professore è il giudice (..). Io vorrei che questo rapporto diventasse un rapporto di collaborazione che tenesse conto dell'individualità di ogni persona". Anche Elena è d'accordo: "È un rapporto di non-uguaglianza, di paura e di diffidenza (perché in qualunque modo si presenti il professore è sempre visto come la parte avversaria). Io vorrei un rapporto basato sulla stima reciproca, vorrei essere considerata come una persona adulta, capace di imparare e di fare". Christopher è decisamente più scettico sulla possibilità di un rapporto diverso: "Di solito l'alunno ha un certo timore del professore perché in fondo è pur sempre colui che dà i voti. Inoltre sono pochi quegli insegnanti che riescono a suscitare un diverso tipo di interesse negli alunni. Vorrei invece un rapporto più aperto che non si limiti al voto o all'ambito scolastico".
Il problema del voto, della valutazione, è forse il più spinoso, il più bruciante. A parte quelli come Christopher, già perfettamente inquadrati e incapaci persino di immaginarsi una situazione diversa ("Penso sia l'unico metodo possibile"), le posizioni sfumano da Massimiliano che critica la meritocrazia, ma vorrebbe una scuola livellatrice, a Luisa che si domanda: "Su che criterio ci si basa per dare un giudizio? Siamo sempre sicuri che sia giusto? (...) Perché allora non cambiare metodo?". E qui casca l'asino perché Luisa fa marcia indietro e propone, invece di cambiare metodo, di cambiare i professori. Come se servisse a qualcosa! Ma anche a Claudia ed Elena il voto e la valutazione appaiono come insostituibili. Dice Claudia: "Non mi sembra giusto, ma non so proporre metodi alternativi" e ribadisce Elena: "È un'imposizione sbagliata perché ognuno dovrebbe essere premiato per il massimo sforzo che compie nel fare una determinata cosa".
Anche tra le persone più sensibili tra quelle che hanno risposto, quindi, si può arrivare a criticare le basi su cui la scuola è fondata, persino il concetto stesso d'autorità, ma al di là c'è il terreno inesplorato dell'utopia. Ci sono, sì, desideri appena abbozzati, ma presto ricacciati indietro dalla convinzione profonda e radicata che nulla è modificabile. E allora tanto vale non pensarci, non tentare neppure di dar corpo a questi desideri per farli diventare progetti, e accettare oggi, con incertezza e con insoddisfazione, la scuola com'è, per poi accettare domani il lavoro com'è e la società intera così com'è. Non è triste?

Contro la scuola, come?

Michele (18 anni), Pietro e Davide (entrambi sedicenni) sono liceali, mentre Luisa (20 anni) si sta preparando per entrare all'Accademia. Fanno tutti parte del Collettivo Studenti Anarchici di Milano, che si riunisce tutti i lunedì pomeriggio presso la libreria Utopia (via Moscova 57, tel. 652324). Il Collettivo esiste da diversi anni, caratterizzato dall'avvicendamento piuttosto veloce della maggior parte dei suoi componenti. Che cosa pensano della scuola? Come la vivono? Che cosa è possibile fare concretamente? Ecco il resoconto della mini tavola-rotonda.

Voi siete anarchici e in questo periodo della vostra vita siete studenti, quindi trascorrete buona parte della vostra giornata all'interno della struttura scuola. In che cose si esplica il vostro anarchismo in queste ore?

Michele - Esplico il mio essere anarchico nella scuola propagandando i miei ideali in vari modi. Il manifesto anarchico non è mai mancato, come pure la vendita delle riviste e la diffusione saltuaria della letteratura libertaria. Intervengo spesso nelle assemblee e spesso mi impegno personalmente per organizzarne. Purtroppo, però, debbo dire che alcuni anni fa un mio tentativo di formare un gruppo anarchico all'interno della scuola è fallito. Da allora la sensibilizzazione rispetto alle tematiche libertarie è avvenuta nei confronti delle persone che continuativamente hanno comprato la rivista e che pur dall'esterno mostrano interesse per ciò che dico e per quello che leggono. Credo che in questi anni il mio lavoro abbia avuto una funzione culturale più che politica, e comunque quando sono interpellato su notizie storiche del movimento o mi vengono richiesti libri e altre pubblicazioni mi rendo conto di non aver faticato inutilmente.
La vita scolastica quotidiana mi pesa perché sono costretto a sottostare alle regole e alla disciplina imposta. A parte questo, non perdo occasione di manifestare le mie idee nei temi, nelle discussioni, in vari ambiti e in varie materie e devo ammettere di aver avuto a che fare con insegnanti interessati e comunque non prevenuti rispetto al mio pensiero e al mio impegno.

Davide - Mi sembra importante innanzitutto chiarire le idee e i principi anarchici perché troppo spesso mi rendo conto dell'ignoranza esistente sull'argomento. A tale scopo più della divulgazione del manifesto e degli interventi in assemblea mi sembrano importanti le discussioni in classe in presenza degli insegnanti; ii coinvolgimento è meno limitato e la gente si trova a dover giustificare la propria posizione anche se difficilmente ci riesce.

Pietro - Ho iniziato l'attività politica nella scuola da solo in occasione delle ultime elezioni per i Decreti Delegati. Da quel momento ho cercato di portare avanti, parallelamente all'informazione sul movimento, un discorso nuovo sul significato della politica, intesa non come politica ufficiale, istituzionale, ma come modo di vivere della gente. Mi sembra importante parlare di qualità della vita e stimolare la coscienza della gente in modo che il rifiuto di questa società malata avvenga spontaneamente e sia sorretto da reali alternative. Perciò mi impegno molto nelle discussioni individuali con studenti di idee disparate perché sono convinto dell'utilità dello scambio di idee e della libertà d'opinione.

Michele - Sono senza dubbio da rivedere certe metodologie di intervento, senza però voler gettare all'aria quello che è stato un patrimonio conquistato con fatica. Tentare nuove strade senza sapere con chiarezza dove portano può essere pericoloso, perciò deve essere mantenuta una certa continuità con la nostra storia precedente.

In passato, soprattutto nel settore della scuola, si è giustamente distrutto tutto ciò che era da distruggere ma non c'è stata la capacità di costruire nulla. Mi sembra che oggi sia necessario partire da questo presupposto per agire diversamente, perché se non si è in grado di proporre alternative concrete anche i discorsi più belli lasciano il tempo che trovano. Voi fate parte di un collettivo di studenti anarchici. Avete discusso della funzione della scuola, di possibili interventi al suo interno?

Michele - Purtroppo quello che è mancato nei collettivi studenteschi di questi anni è proprio il collegamento con la realtà scolastica. Il luogo dove passiamo molte ore della nostra giornata non è oggetto di discussione a parte alcuni interventi troppo limitati in coincidenza con le elezioni per i decreti delegati. È invece importantissimo portare seri contenuti propositivi prima e dopo le elezioni per cambiare radicalmente quello che non funziona. La pedagogia libertaria è un altro argomento connesso alla scuola che purtroppo viene poco trattato: nonostante a Venezia, nel corso dell'incontro anarchico internazionale, durante il dibattito sulla pedagogia siano emersi molti spunti interessanti da sviluppare, non ne è scaturita nessuna discussione. Credo principalmente per la disomogeneità di interessi all'interno del collettivo: spesso i problemi degli studenti della media superiore sono assai diversi da quelli degli universitari per cui diventa forse più facile trattare temi che riguardano meno la quotidianità e che comunque ci toccano vivamente come l'antimilitarismo o l'antinucleare.

Non può esserci dietro un atteggiamento mentale di rifiuto di occuparsi di qualcosa che viene vissuto come inevitabile e immodificabile?

Pietro - Gli studenti non rifiutano la scuola, ma la critica della scuola. I momenti assembleari sono vissuti in maniera impersonale, difficilmente si parla di politica quotidiana, di cambiamenti della realtà più vicina. Nonostante siano insoddisfatti, gli studenti captano passivamente i riflessi della politica ufficiale e delegano involontariamente al grande apparato statale. E l'inversione di tendenza nella scuola del riflusso non si è certo fatta attendere.
Quando ci siamo preparati per sostenere una assemblea e sviscerare i problemi di tutti i giorni nessuno studente ha partecipato. Infatti lo studente in questi anni è totalmente acritico, pensa allo sport e al successo. La scuola è solo il gradino, il passaggio sgradevole, il pedaggio che bisogna pagare per accedere ai vertici. Unico obiettivo è la realizzazione esteriore. Lo studente è consapevole di ciò che non funziona, ma cambiare è troppo faticoso e sussiste il timore di cambiare in peggio. Inoltre gioca un ruolo importante l'immagine che lo stato è riuscito a proiettare sfruttando degenerazioni dei movimenti rivoluzionari.

Davide - Purtroppo la scuola abitua gli studenti al passivismo. La cultura viene calata dall'alto sovente sotto forma di sterile nozionismo e non avvengono scambi tra studenti e insegnanti. Lo studente si abitua a subire, a parare i colpi, a sopportare.

Michele - Non è da sottovalutare il clima esterno alla scuola, la triste tranquillità a tutti i livelli della società. Non esiste più conflittualità nel terziario; nei quartieri non esiste più l'interesse a creare qualcosa di proprio, per non parlare delle fabbriche; Craxi si dichiara soddisfatto del minimo storico di conflittualità raggiunto durante il suo governo. Tutta la cultura che permea la società è profondamente mutata.

Pensate sia possibile modificare la scuola? E come vi immaginate una scuola diversa che trasmetta le conoscenze?

Michele - Mi sento vicino ai tentativi di scuola sperimentati dagli anarchici. Queste esperienze non sono certo prive di contraddizioni e di errori però sono preziosi esempi di pratica dei principi ispiratori della pedagogia libertaria. È importante che gli studenti imparino le regole necessarie alla convivenza civile ma non in termini impositivi, bensì come conseguenza di una individuale presa di coscienza e di un crescente senso di responsabilità. L'istruzione non dovrebbe servire solo a produrre tecnici, professionisti o professori, ma dovrebbe costituire il tramite per l'acquisizione e la pratica dell'integrazione tra lavoro manuale e intellettuale. Solo utilizzando metodi libertari, non codificabili (perché continuamente ridiscussi e rielaborati) si potrebbero creare individui liberi, non necessariamente anarchici, ma persone capaci di scegliere e di vivere.
Così è significativo un rapporto diverso tra studente e professore nello scambio delle conoscenze e altrettanto significative sono le esperienze extrascolastiche che dovrebbero contribuire a dare vitalità e colore allo studio e alla ricerca. Penso che questo sia lo scheletro per una scuola parallela che in futuro - chissà - potrò magari realizzare con qualcun altro interessato ad un lavoro di questo tipo. Certo, come tutti i tentativi precedenti, comporterebbe difficoltà enormi ma Neill, Ferrer e gli altri ci insegnano che nulla è impossibile anche in questo campo. Per quanto riguarda l'istituzione scuola è necessario far valere la propria presenza cercando di proporre, di cambiare. Ogni cambiamento, anche piccolo, può essere significativo, ogni sollecitazione smuove l'aria pesante che si sta ricreando nella scuola del riflusso.

Secondo voi gli studenti hanno sete di conoscenza?

Luisa - Il desiderio di conoscere esiste ma si scontra con l'imposizione del sapere. Io ho finito il liceo da poco tempo e mi ritrovo a riprendere in mano in maniera completamente diversa cose che per cinque anni ho registrato passivamente, ma ricordo che anche quando ero al liceo quando ero stimolata dall'interesse studiavo solo per me e non per il voto. La scuola è una piccola parte di una struttura molto più grande e quindi non è possibile pensare di cambiarla dall'oggi al domani. Però già nel rapporto che io posso avere con questa struttura posso innescare un processo positivo. Credo che l'importante sia sfruttarla per ciò che può dare rifiutando tranquillamente quello che non va. È chiaro che un tale atteggiamento comporta delle conseguenze. Si tratta di avere il coraggio di accettare.

Michele - Tutti i cambiamenti costano. Ogni volta che ci si trova di fronte una controparte bisogna mettere in conto le ferite prima ancora di intraprendere una lotta. Secondo me, comunque, parallelamente al discorso culturale è necessaria ogni tanto l'azione dimostrativa, il gesto simbolico che scuote l'andamento tranquillo della vita scolastica in modo che tutti gli studenti abbiano almeno la possibilità di sensibilizzarsi.

Luisa - È importante comunque prendere atto di un cambiamento della realtà scolastica piuttosto che rapportarsi al passato rivoluzionario. L'opposizione che si può portare avanti oggi è più difficile perché è individuale e non di massa, perché bisogna agire in prima persona e non si è protetti dagli altri.

Michele - La controinformazione rimane un mezzo importante soprattutto per difenderci dal bombardamento a tappeto dei mass-media. Certo noi coi nostri problemi economici non abbiamo mai potuto permetterci mezzi di informazione adeguati, ma proprio per questo non dobbiamo buttare a mare i "vecchi" mezzi (il volantino, il manifesto, ecc.), né i "vecchi" metodi di lotta, perché questi e quelli conservano una grande dignità e un alto valore umano, perché frutto di una scelta di non-compromesso col sistema.