Rivista Anarchica Online
Sul peronismo
di Louis Mercier Vega
La tentazione che si offre è quella di ingegnarsi a comprendere Peron e il peronismo attraverso
il confronto con altri dirigenti o movimenti politici che si suppone di conoscere, e di trovare dei
punti di riferimento nella storia più o meno recente. Tentazione alla quale poche interpretazioni
sfuggono, ma che conduce facilmente - ed è la facilità che la rende attraente - a presentare dei
fenomeni complessi semplificandoli e impoverendoli in maniera tale che possano venire
assimilati ad altri fenomeni, peraltro altrettanto complessi, ma che la pigrizia intellettuale e la
paura dell'incertezza hanno già ridotto a qualche stereotipo. Tra le formule più frequentemente utilizzate per definire il peronismo e, riconosciamolo, una
delle meglio pensate, troviamo quella del bonapartismo. Si tratterebbe dunque di un potere
personale esercitantesi come arbitro e regolatore delle tensioni tra classi sociali in lotta, senza
che nessuna sia in grado di prevalere, e di un potere di carattere carismatico, in grado di
accattivarsi la fiducia di una grande massa di elementi non ancora integrati nella società. E' questa una tesi intelligente, acuta, ma che appartiene alla fisica da un lato e alla psicologia
delle folle dall'altro, piuttosto che alla sociologia e alle scienze politiche. E che, inoltre, elude
uno degli aspetti essenziali del peronismo e precisamente la composizione sociale e la funzione
dell'apparato di potere, quantitativamente numeroso, qualitativamente decisivo. Perché questo
apparato non lascia intatta la società quale l'ha trovata quando si è installato, né nasce col
periodo peronista come non scompare con esso. Cosa che porta a porre la questione di sapere
se il peronismo non sia un primo abbozo, una fase, o la caricatura di una nuova classe dirigente,
differente dalle altre classi e che si impone su di esse. Fenomeno di un'altra natura, meno
circostanziale di ciò che si è convenuto chiamare bonapartismo, perché fenomeno non
transitorio, mentre il bonapartismo non lascia alcuna traccia. La formula del populismo non ci sembra più felice, perché se essa fa entrare le grandi masse,
il «popolo», nel gioco che condiziona il potere e vi conduce, e se essa tiene conto al tempo
stesso dell'accaparramento della forza popolare da parte del potere o dell'influenza delle
rivendicazioni popolari sulle decisioni del potere, non considera particolarmente in nessun modo
la realtà complessa e ambigua di questo «popolo», e non tiene conto dei fattori circostanziali o
congiunturali che rendono possibile la soddisfazione dei desideri operai, delle rivendicazioni
contadine e delle aspirazioni delle «classi medie» in modo che questi strati sociali non mettano
in causa la natura del nuovo potere. Il termine, impreciso, raggruppa e riassume l'insieme delle
contraddizioni, ma non le spiega. L'assimilazione al totalitarismo non regge più ... Certo vi è repressione, pressioni, ma il sistema non è ermetico. Il regime non dispone né di
partito unico, né di una polizia onnipotente. Le formazioni politiche di opposizione non possono
funzionare normalmente, sono sorvegliate, imbavagliate, molestate, ma continuano ad esistere.
Le forze armate mantengono una vita interna propria. Le organizzazioni economiche, sia quelle
dell'agricoltura sia quelle dell'industria e del commercio proseguono le loro attività, anche se
non sono più riconosciute ufficialmente e soggette ad «interventi». (...) Rinunciamo quindi ai
paragoni storici, e accontentiamoci di osservare quanto è successo e succede in Argentina. Non
è certo il materiale che manca.
(Autopsie de Peron, Duculot, Paris 1974, pagg. 119-121)
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