Rivista Anarchica Online
Una domanda d'anarchia?
di Emilio Cipriano
Fare previsioni in Italia è difficile, ma fare previsioni sui risultati elettorali, da qualche anno, è
addirittura imbarazzante. I risultati si prendono ironicamente beffe dei ponderosi sondaggi delle
accreditate agenzie demoscopiche. Non era ancora del tutto sopita l'ilarità suscitata dagli errori previsionali dell'ultima consultazione
politica - nessuno aveva previsto la batosta democristiana - che arrivano i risultati delle elezioni
amministrative del 20 novembre a confermare la neo-imprevedibilità dell'elettore italiano: il
Movimento sociale di Almirante, per esempio, non ha affatto conquistato Napoli. L'imbarazzo degli
opinion makers dovrebbe essere enorme, ma, come tutti sappiamo, questa gente ha la più
impenetrabile faccia di bronzo: gli errori macroscopici non li inducono a cambiare mestiere - con
indubbio beneficio per l'orticultura da sempre necessitante di nuove braccia - ma continuano
imperterriti a battere sui tasti delle loro macchine da scrivere o a propinarci i loro mezzi sorrisi
beoti dai pollici casalinghi. Napoli, nonostante gli allarmati e allarmanti servizi sul possibile trionfo di Almirante, non è
diventata una città fascista. Molto più ragionevolmente dei commentatori politici, i napoletani
hanno aumentato il loro disinteresse verso una farsa che coinvolge sempre meno. La trama e il
finale sono già conosciuti: loro sgovernano e il popolo subisce. Così alla recente chiamata del
potere verso i suoi sudditi, più del 20% non ha risposto: i votanti sono stati solo il 79,7%. Un calo
sensibile e crescente visto che solo pochi mesi prima, alle politiche di giugno, si era presentato alle
urne l'84% degli elettori (e alle comunali del 1980 l'85%). Oggi, al contrario di ieri, sono sempre in meno coloro che si azzardano a definire qualunquista
l'astensione dal voto. La furbizia di screditare l'unica vera opposizione presente in Italia non
funziona più. Il crescere delle astensioni è un segno inequivocabile di un mutato atteggiamento
della gente nei confronti del palazzo, sia quando è verniciato di bianco sia quando si ammanta del
rosso sedicente proletario. A Napoli Almirante non ha vinto, è rimasto attorno al 20%, il Pci ha perso più del 4% e la Dc ha
guadagnato un misero 2,5% rispetto alle politiche di quest'anno, ma ha perso un punto percentuale
rispetto alle comunali del 1980. Guadagnano una manciata di punti, socialisti e repubblicani. Ma è
il sistema di potere nel suo complesso che esce screditato dal responso delle urne. L'Italia degli anni ottanta, l'Italia ormai alle porte di quell'anno profetico e minaccioso che si
chiama 1984, è una società sempre più disincantata che non reagisce agli stimoli delle sirene
politiche. Come novello Ulisse, la gente sa trovare i mezzi per resistere a quel canto che, diciamolo
francamente, non è affatto ammaliatore. Anche a Reggio Calabria l'astensionismo è stato rilevante,
il 16,8%, mentre solo il 9,9% degli altoatesini non è andato a votare. Tre situazioni che sono così differenti geograficamente e socialmente non permettono facili
generalizzazioni. Ma è pur sempre possibile riconoscere questo mutato atteggiamento della gente
verso le istituzioni siano esse centrali o locali. La politica è in crisi, e questo ormai non è certo una
novità. Il vero problema è che la continua verifica di questa eclissi non ha ancora generato nessuna
seria riflessione all'interno del movimento anarchico, cioè di quel soggetto sociale che più di
qualsiasi altra forza dovrebbe trarre indicazioni dalla nuova e positiva realtà. Non riusciamo ad andare oltre il generico plauso per il discredito delle istituzioni della società del dominio. Alla montante marea di astensionisti riproponiamo i nostri slogan, certo sempre validi,
ma un po' troppo eterei per potersi tradurre in efficace azione sociale antagonista. E pensare che la crisi di credibilità dello stato e dei governanti tocca indici elevatissimi, forse
ancora più elevati di quando sembrava che la rivoluzione fosse alle porte. Con il senno del poi non
è difficile oggi comprendere che la contestazione degli anni sessanta era più in sintonia con la
logica della politica ufficiale che non l'attuale distaccato disincanto. Il militante sessantottino o
settantasettino era, nonostante tutto, un politico che si scontrava, o credeva di scontrarsi, con altri
politici. Un minimo comun denominatore li racchiudeva nello stesso spazio socio-culturale. Oggi
non è più così. L'antagonismo sociale assume, o sta assumendo, forme non più riconducibili ai modelli fissati nelle
nostre menti e per questo motivo non riusciamo a comprenderli nella loro effettiva portata. Il
mercato sociale sta richiedendo una merce che il produttore ufficiale non sa accontentare: c'è una
richiesta di anarchia che non corrisponde al prodotto che il movimento anarchico è in grado di
fornire. Situazione ironica e triste al tempo stesso. Perché non basta cambiare la confezione al nostro
prodotto-anarchia, bisogna cambiarne anche alcuni elementi che solo a noi sembrano importanti,
ma che invece hanno fatto il loro tempo e che probabilmente rendono invendibile anche quel1a
parte che è sempre fresca e vitale. Anzi che è l'unica risposta valida per passare da una società del
dominio ad una società della libertà. Ma all'irriverente lettore che mi chiedesse di essere un po' più esplicito dovrei con imbarazzo
rispondere con un mesto: «Non lo so».
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