Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 13 nr. 115
dicembre 1983 - gennaio 1984


Rivista Anarchica Online

Una domanda d'anarchia?
di Emilio Cipriano

Fare previsioni in Italia è difficile, ma fare previsioni sui risultati elettorali, da qualche anno, è addirittura imbarazzante. I risultati si prendono ironicamente beffe dei ponderosi sondaggi delle accreditate agenzie demoscopiche.
Non era ancora del tutto sopita l'ilarità suscitata dagli errori previsionali dell'ultima consultazione politica - nessuno aveva previsto la batosta democristiana - che arrivano i risultati delle elezioni amministrative del 20 novembre a confermare la neo-imprevedibilità dell'elettore italiano: il Movimento sociale di Almirante, per esempio, non ha affatto conquistato Napoli. L'imbarazzo degli opinion makers dovrebbe essere enorme, ma, come tutti sappiamo, questa gente ha la più impenetrabile faccia di bronzo: gli errori macroscopici non li inducono a cambiare mestiere - con indubbio beneficio per l'orticultura da sempre necessitante di nuove braccia - ma continuano imperterriti a battere sui tasti delle loro macchine da scrivere o a propinarci i loro mezzi sorrisi beoti dai pollici casalinghi.
Napoli, nonostante gli allarmati e allarmanti servizi sul possibile trionfo di Almirante, non è diventata una città fascista. Molto più ragionevolmente dei commentatori politici, i napoletani hanno aumentato il loro disinteresse verso una farsa che coinvolge sempre meno. La trama e il finale sono già conosciuti: loro sgovernano e il popolo subisce. Così alla recente chiamata del potere verso i suoi sudditi, più del 20% non ha risposto: i votanti sono stati solo il 79,7%. Un calo sensibile e crescente visto che solo pochi mesi prima, alle politiche di giugno, si era presentato alle urne l'84% degli elettori (e alle comunali del 1980 l'85%).
Oggi, al contrario di ieri, sono sempre in meno coloro che si azzardano a definire qualunquista l'astensione dal voto. La furbizia di screditare l'unica vera opposizione presente in Italia non funziona più. Il crescere delle astensioni è un segno inequivocabile di un mutato atteggiamento della gente nei confronti del palazzo, sia quando è verniciato di bianco sia quando si ammanta del rosso sedicente proletario.
A Napoli Almirante non ha vinto, è rimasto attorno al 20%, il Pci ha perso più del 4% e la Dc ha guadagnato un misero 2,5% rispetto alle politiche di quest'anno, ma ha perso un punto percentuale rispetto alle comunali del 1980. Guadagnano una manciata di punti, socialisti e repubblicani. Ma è il sistema di potere nel suo complesso che esce screditato dal responso delle urne.
L'Italia degli anni ottanta, l'Italia ormai alle porte di quell'anno profetico e minaccioso che si chiama 1984, è una società sempre più disincantata che non reagisce agli stimoli delle sirene politiche. Come novello Ulisse, la gente sa trovare i mezzi per resistere a quel canto che, diciamolo francamente, non è affatto ammaliatore. Anche a Reggio Calabria l'astensionismo è stato rilevante, il 16,8%, mentre solo il 9,9% degli altoatesini non è andato a votare.
Tre situazioni che sono così differenti geograficamente e socialmente non permettono facili generalizzazioni. Ma è pur sempre possibile riconoscere questo mutato atteggiamento della gente verso le istituzioni siano esse centrali o locali. La politica è in crisi, e questo ormai non è certo una novità. Il vero problema è che la continua verifica di questa eclissi non ha ancora generato nessuna seria riflessione all'interno del movimento anarchico, cioè di quel soggetto sociale che più di qualsiasi altra forza dovrebbe trarre indicazioni dalla nuova e positiva realtà.
Non riusciamo ad andare oltre il generico plauso per il discredito delle istituzioni della società del dominio. Alla montante marea di astensionisti riproponiamo i nostri slogan, certo sempre validi, ma un po' troppo eterei per potersi tradurre in efficace azione sociale antagonista.
E pensare che la crisi di credibilità dello stato e dei governanti tocca indici elevatissimi, forse ancora più elevati di quando sembrava che la rivoluzione fosse alle porte. Con il senno del poi non è difficile oggi comprendere che la contestazione degli anni sessanta era più in sintonia con la logica della politica ufficiale che non l'attuale distaccato disincanto. Il militante sessantottino o settantasettino era, nonostante tutto, un politico che si scontrava, o credeva di scontrarsi, con altri politici. Un minimo comun denominatore li racchiudeva nello stesso spazio socio-culturale. Oggi non è più così.
L'antagonismo sociale assume, o sta assumendo, forme non più riconducibili ai modelli fissati nelle nostre menti e per questo motivo non riusciamo a comprenderli nella loro effettiva portata. Il mercato sociale sta richiedendo una merce che il produttore ufficiale non sa accontentare: c'è una richiesta di anarchia che non corrisponde al prodotto che il movimento anarchico è in grado di fornire.
Situazione ironica e triste al tempo stesso. Perché non basta cambiare la confezione al nostro prodotto-anarchia, bisogna cambiarne anche alcuni elementi che solo a noi sembrano importanti, ma che invece hanno fatto il loro tempo e che probabilmente rendono invendibile anche quel1a parte che è sempre fresca e vitale. Anzi che è l'unica risposta valida per passare da una società del dominio ad una società della libertà.
Ma all'irriverente lettore che mi chiedesse di essere un po' più esplicito dovrei con imbarazzo rispondere con un mesto: «Non lo so».