Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 13 nr. 114
novembre 1983


Rivista Anarchica Online

Donne in lotta
di Maria Teresa Romiti

Sì, ci sono anche dei bambini, tre credo in questo momento: uno è nato proprio da poco nel campo. La ragazza parla con voce piana, potrebbe sembrare la solita chiacchierata tra amiche, ma non lo è. Siamo a 2.000 chilometri da Milano, è una bella giornata autunnale. Londra stamane ci ha regalato anche un po' di sole e noi (sì, perché siamo sempre noi, le solite scimmie) stiamo intervistando due ragazze di Greenham Common. Anche se a ranghi ridotti, complice una gita, siamo riuscite a parlare con le mitiche donne di Greenham Common (che di mitico come sempre hanno ben poco) nella loro sede londinese, al numero 5 di Leonard Street, in una tipica casa vittoriana.
Le donne, in questi giorni, a Greenham sono circa una quarantina: d'inverno le condizioni si fanno più difficili e per molte, studentesse, inizia la scuola.
Quello che a noi interessa sono le motivazioni di un campo solo femminile: perché solo donne?
A Greenham ci sono due regole fondamentali: 1) Gli uomini non possono restare, possono solo visitare il campo; 2) Greenham è un campo di azione diretta nonviolenta - ci spiega la ragazza di prima, di cui alla fine ci accorgeremo di non aver capito il nome -. L'azione delle donne da sole è più forte, riesce meglio. Gli uomini sono violenti, tendono a rispondere violentemente alla polizia, facendo aumentare la tensione. All'inizio Greenham era un campo misto. C'erano soprattutto uomini del movimento pacifista inglese che vengono quasi tutti dalla tradizione socialista, molto differente da noi. Perdevamo un sacco di tempo e di energia a spiegarci vicendevolmente e non riuscivamo mai a trovarci d'accordo. Inoltre gli uomini prevaricavano, intimidivano molte di
noi, alla fine si doveva fare come volevano. Non ci sentivamo libere di esprimere le nostre capacità. In fondo è una questione di egoismo, stiamo meglio senza uomini, riusciamo a lavorare molto più liberamente. E' importante vedere quello che riusciamo a fare da sole. Quantificare le nostre capacità.
Forse non siamo preparate a questo approccio così empirico, siamo quasi disorientate. Non sono le solite motivazioni femministe alle quali siamo abituate. E' l'empirismo che domina: hanno provato, hanno avuto dei problemi. Forse è la forte presenza di uomini di tradizione marxista, forse è la profonda disaffinità o la focalizzazione sulla nonviolenza o forse come ci confessano candidamente: Le donne hanno punti di vista diversi dagli uomini. Vedono le cose in modo diverso. Non so perché, forse per ragioni culturali o forse storiche, ma questa diversità esiste. Ci troviamo molto più a nostro agio senza uomini, ci capiamo più in fretta. Perché mai dovremmo sprecare le energie di cui abbiamo bisogno per lottare per cercare di comprendere gli uomini. Non siamo completamente separatiste. Sappiamo bene che non si può generalizzare, ma abbiamo bisogno di tutta la nostra energia. Pensiamo che gli uomini debbano trovare da soli cosa c'è che non va. Si devono trovare, devono parlare, crescere. Anche le donne di Greenham vogliono che il mondo cambi, tutto il mondo, ma non possiamo investire ora energie per cambiare gli uomini. Molte volte vengono qui degli uomini, guardano quello che abbiamo fatto, dicono che bello, aiutateci a farlo anche noi. Ma non possiamo, abbiamo bisogno di tutta la nostra forza.
Intanto scopriamo che in Gran Bretagna ci sono dodici campi per la pace intorno ad altrettante basi, tutti nonviolenti. Greenham ha fatto notizia anche per essere il solo campo composto da donne e l'unico in fondo conosciuto anche all'estero da una fascia abbastanza ampia di persone. Ma qui in Gran Bretagna il movimento pacifista ha salde radici e il C.N.D. (Comitato per il disarmo nucleare) può raccogliere 250.000/300.000 persone per una manifestazione, con uno spirito ben diverso da quello a cui siamo abituati in Italia. Il comitato fa da supporto organizzativo e basta, non ha colorazioni politiche e non ne vuole avere, è solo un appoggio, un coordinamento dell'organizzazione. Saranno poi i vari gruppi a caratterizzarsi, a partecipare in modo diverso. Tutto questo permette di coinvolgere gruppi eterogenei fra loro, legati solo dall'azione comune.
Così Greenham, che in momenti di maggior tensione raccoglie 30.000 donne, è un movimento composito in cui si ritrovano pacifiste, donne della sinistra, socialiste, anarchiche, madri, casalinghe, ragazze qualunque. E' anche per questo che le nostre interlocutrici tengono sempre a sottolineare che non parlano a nome di nessuno, che quelle sono solo le loro idee. Il solo punto in comune è la nonviolenza che del resto, per alcune, è solo una tattica. Non comunque per la ragazza che stiamo intervistando: Per me la nonviolenza è una filosofia di vita. Io voglio combattere tutte le forme di violenza. Uso il mio corpo per fermare la violenza. Devo anche dire che vivendo in Inghilterra, dove la polizia è relativamente tranquilla (non può portare armi, deve rispettare certe regole) sono favorita, probabilmente in un paese diverso (per esempio in Sud America) sarei costretta ad agire in modo diverso. Fino ad oggi la polizia non ha mai usato armi a Greenham. Siamo state strattonate, abbiamo ricevuto spintoni, qualche calcio, ma niente di più. I poliziotti si bloccano di fronte alle persone sdraiate davanti ai cancelli.
Sembra tutto fin troppo bello, quasi quasi non torniamo più a casa: ci fermiamo qui tra le nebbie del canale a lottare anche noi a Greenham. Ma chi sono queste donne che si ritrovano via via a Greenham, che si fermano, lottano, fanno azione diretta nonviolenta, vengono arrestate, hanno ricostruito per ben 5 volte il campo distrutto dalla polizia?
Alcune sono venute già politicizzate (gruppi femministi, sinistra, movimento pacifista), ma per molte la motivazione è stata molto più semplice: volevano vivere e volevano che i loro figli potessero vivere. E' stato poi, vivendo, lavorando, discutendo insieme a Greenham che sono venuti fuori altri problemi, che sono cresciute, si sono accorte di molte implicazioni.
Queste ragazze sembrano convinte, sanno o sembrano sapere dove vogliono arrivare. Stanno cambiando tutto, molto tranquillamente, il modo tradizionale di fare politica, l'organizzazione, la loro vita.
Un piccolo gruppo di donne nella dolce campagna inglese ben decise a non mollare, a continuare per una strada che appare difficile e nuova. Hanno cambiato tutto, non è solo la nonviolenza, punto cardine della loro azione, non è soltanto l'azione diretta, così cara ai nostri occhi. Le decisioni vengono prese da tutte - si affrettano a spiegarci - all'unanimità. Quando ci riuniamo ognuna di noi esprime la propria opinione, sono tante e tutte diverse, ma con il procedere della discussione si avvicinano, finché ci troviamo tutte d'accordo. Nessuna partecipa ad un'azione se non è profondamente convinta, se non crede in ciò che fa ed è felice di farlo, se non se la sente.
Ma le sorprese per noi continuano: nonostante che a Greenham ci siano molte posizioni diverse, secondo le nostre interlocutrici, molte donne si rendono ben conto che lottare per i Cruise è combattere il militarismo e che ciò equivale a combattere lo Stato.
Hanno continuato dal 1981 anche se nel primo anno nessun giornale ha fatto parola di ciò che facevano: anche nei momenti di maggior tensione, tra dicembre e aprile, quando la notizia del campo si è sparsa per l'Europa, la televisione e la maggior parte dei quotidiani le hanno ignorate. Ma le notizie hanno strani modi di girare e le 30.000 che si sono raccolte a Greenham sono arrivate da tutta la Gran Bretagna. Hanno continuato con caparbietà nonostante il campo sia stato sgombrato per cinque volte, nonostante la popolazione intorno le prenda a sassate. Conservatrice e isolata, la gente del paese non le sopporta, come sopporterebbe male qualsiasi cambiamento.
Non che tutto sia bello e positivo, rimangono dei punti oscuri, poco chiari. Forse semplicemente è l'approccio diverso tra noi e loro, che pragmatiche ed empiriche evitano certi problemi che a noi sembrano più centrali. Per esempio il sussidio di disoccupazione, con cui molte di loro si mantengono a Greenham: ci sembra così strano chiedere allo Stato di mantenerci per poterlo combattere. Ma per le ragazze è un modo per poter vivere e la contraddizione non sembra colpire troppo.
Eppure non possiamo non sentirci vicine a queste ragazze che sognano una società in cui ci sia parità tra uomo e donna, una società ecologica che abbia più attenzione sia per l'individuo che per l'ambiente, gli animali, le piante. Una società dove non ci sia posto per la violenza e prevaricazione, dove ci sia la possibilità di realizzare le proprie capacità, il proprio io per tutti donne e uomini.
Si è fatto tardi, dobbiamo proprio andarcene, la conversazione è stata lunga e piacevole, ma abbiamo pochi giorni a disposizione e tante cose da fare, ci resta il tempo solo per un'ultima domanda. Le donne di Greenham sono convinte di poter fermare i Cruise o la loro è più un'azione simbolica?
La maggior parte della nostra azione è simbolica. E' evidente che l'azione nonviolenta è in gran parte simbolica. In realtà non è possibile fermarli fisicamente. Anche se in un certo senso l'abbiamo fatto, abbiamo causato diversi problemi e ritardi nelle installazioni. Ma è chiaro che se la nostra azione è davanti ai cancelli noi parliamo soprattutto a tutte le persone in Inghilterra. Se riuscissimo a coinvolgere moltissima gente, allora potremmo fermarli sul serio.