Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 13 nr. 114
novembre 1983


Rivista Anarchica Online

Anarchismo o barbarie
di Andrea Papi

La domenica l'uomo bianco va in chiesa a pregare, e il lunedì va a lavorare e fabbrica pallottole con le stesse mani con cui ha pregato la domenica. Disse la vecchia donna lakota (in «Uomo bianco scomparirai», di Stan Steiner, Jaca Book, pag. 193) fra le lacrime, gridando la disperazione della sua razza a orecchie sorde, capaci ormai di intronarsi solo al fischio delle pallottole. Esprimeva una verità che sembra destinata a riflettersi nelle specchio del tempo, a scandire lo schema machiavellico di fasi storiche dominate dal principe, simbolo perpetuo di un potere logoro che non riesce a tramontare.
La vecchia lakota aveva ragione allora e continua ad aver ragione oggi, a distanza di decenni. L'uomo bianco, razza padrona, nella sua foga sadomasochista, con sempre maggior ansietà, continua a perfezionare le sue costruzioni tecnologiche per perfezionare la sua capacità distruttiva. E proietta la sua esistenza in un'ansia continua di morte, spurgando la sua coscienza per mezzo di riti religiosi che dovrebbero avallare le sue macabre decisioni con una vacua scienza dell'occulto. Così i capi di stato da tutte le parti, per ragioni di stato, assicurano pace ma, sempre per ragioni di stato, preparano e fanno la guera. Il loro inganno continua drammaticamente a trovare consenso, sufficiente a rendere operante il loro disegno, in mezzo a folle incarognite e rincoglionite. D'altra parte sembra sorgere un dissenso destinato, se prende piede, a metter loro molti bastoni fra le ruote, ma per ora solo opinione ancora sotto controllo.
Le parole della vecchia donna pellerossa ripropongono uno degli assunti principali della tesi antimilitarista anarchica. La costruzione di armi serve solo all'uso delle armi, l'uso delle armi serve per fare la guerra e per fare la guerra sono necessari gli eserciti. Finché esisteranno gli eserciti la prospettiva che avremo di fronte sarà la guerra. Per questo la nostra lotta e la nostra proposta, più che indirizzarsi verso una pace generica, si muove contro il militarismo, causa e supporto della logica di guerra. La pace è dunque una conseguenza, non un punto di partenza, ovvero di arrivo. Ma vediamo di fare chiarezza.
Oggi il mondo vive una logica di guerra. La politica internazionale si basa su interrelazioni tra gli stati. Gli stati si relazionano su basi di forza, attraverso i meccanismi della imposizione, sottomissione, supremazia e conflitto. Tra le forze in opposizione si cerca quasi meccanicamente un equilibrio, che si impone col conflitto, la paura del conflitto, la supremazia del conflitto. Quasi mai i rapporti e gli equilibri tra gli stati sono stabili, perché ogni stato per natura intrinseca, tende a ingerire quando si sente forte, a non essere ingerito quando non si sente sufficientemente forte per ingerire. Così gli stati vivono in una continua predisposizione al conflitto bellico e sono strutturati permanentemente in funzione di questa eventualità.
Si può dunque affermare che la pace, collocata nella logica delle relazioni tra gli stati, è mera assenza di guerra fattiva. Il principio attivo in questo caso è la guerra, perché è in funzione di questa che lo stato è organizzato, non in funzione della pace. Per cui la dinamica politica può essere rappresentata nella maniera seguente: guerra, come modo di affrontare e risolvere i conflitti, assenza di guerra fattiva, come fase di preparazione alla guerra.
E la pace? La pace è oggi nel mondo una parola svuotata di senso. Non esiste, come abbiamo visto sopra, se non come assenza di conflitto in armi. Più che di pace, oggi, dobbiamo parlare di assenza di guerra per preparare la guerra. Senza intaccare la logica e il concetto (direi il principio stesso) di stato, non è possibile avvicinarsi alla pace.
Ma a noi non basta questa pace. Perché più che l'assenza di guerra, vogliamo la non preparazione alla guerra. La pace, oggi, è insufficiente a garantirci dalla guerra. E l'obiettivo fondamentale degli anarchici è quello di garantirsi dalla guerra. In questo modo, più che per la pace, noi siamo contro la guerra e rivolgiamo le nostre energie e le nostre lotte per combattere i supporti che permettono il perpetuarsi della struttura guerra.

Dopo Hiroshima e Nagasaki
Lo stato è una struttura burocratizzata di potere. Come ogni struttura di potere, si assicura il dominio per mezzo della forza e si impone attraverso la violenza. Non ammette il diverso da sé, se non riesce a controllarlo, per cui accetta il dissenso soltanto se questo non lo mette in discussione. Per conservarsi, lo stato ha dunque necessità di apparati militari che gli garantiscano il potere. L'esercito è la struttura portante su cui si regge la possibilità di dominio dello stato e, assieme alle polizie, alle galere, ai tribunali, serve a mantenere l'ordine esistente, a reprimere ogni forma di ribellione e dissenso. La sua sopravvivenza si basa perciò sulla repressione, perché in altro modo non potrebbe imporsi.
Una conseguenza dell'esistenza degli eserciti è la continua spinta a cercare strumenti di distruzione sempre più efferati e potenti. Il perfezionamento e la costruzione di armi sempre più efficienti sono una necessità inderogabile per ogni esercito che voglia dirsi degno di tale nome. Attualmente nel mondo la tecnologia più avanzata è quella bellica. Un'enorme quantità di capitali viene quotidianamente investita per la ricerca cosiddetta scientifica e la costruzione di armi. La capacità di dare morte, di distruggere attraverso l'efficienza dei propri apparati di guerra è senz'altro una voce fondamentale nella qualificazione degli stati.
L'esercito mantiene in tal modo l'unica sua funzione essenziale: la sua capacità di morte, di annientare. La sua presenza è un deterrente terroristico che ottiene lo scopo di ricattare e intimorire chiunque si ponga il problema di dissentire dalle scelte dei poteri in atto. Stato e militarismo sono talmente connessi ed essenziali l'uno all'altro, che non è possibile concepire e organizzare l'uno senza l'altro. L'uno e l'altro si sorreggono sulla necessità di guerra, intesa sia nel senso fattivo, sia nel senso di costante preparazione, in tempi cosiddetti di pace, ad essa. Stato ed esercito non possono prescindere dalla realtà della guerra. Gli avvenimenti internazionali stanno a dimostrare come ciò che stiamo dicendo sia veritiero.
Oggi il problema guerra ha fatto un salto di qualità negativo. Non si pone più semplicemente come momento di morte e distruzione in fase di guerra. Attualmente si parla di annientamento totale. Dal momento in cui Hiroshima e Nagasaki furono bombardate con armi atomiche, il mondo è entrato in una nuova fase bellica, quella della distruzione totale della terra. E le bombe oggi in dotazione agli stati che dominano l'assetto mondiale sono migliaia di volte più potenti delle bombe atomiche di allora. La capacità distruttiva potenziale esistente nel mondo, soltanto come armi nucleari, è in grado di distruggere decine di volte l'intero pianeta. Il problema che si pone è dunque quello dell'annientamento del pianeta terra.

Militarismo logica di morte
Gli equilibri politici che permettono alle due superpotenze U.S.A. e U.R.S.S. di non scontrarsi sono molto instabili e precari, e sempre più frequenti sono i campanelli di allarme che mettono in discussione la stabilità di questi equilibri. La logica stessa su cui si reggono è basata sullo scontro più che sull'incontro. Essi si spartiscono aree di influenza e zone di importanza strategica militare e tentano di controllare territori che assicurano la reciproca supremazia mondiale. Questo assetto non è affatto stabile e tende a modificarsi in continuazione, determinando pericoli continui di scontro diretto tra le due superpotenze. Per questa ragione in più parti del mondo sono mantenuti vivi diversi focolai di guerra, in cui le due superpotenze si misurano e tendono ad estendere le proprie aree di influenza.
La politica mondiale è attualmente dominata dalla logica degli stati, basata su una concezione del confronto-scontro militare. Militarismo, per sua stessa natura, vuol dire logica di morte. Il mondo, sorretto dal potere degli stati, sta dunque dirigendosi verso la morte? Nessuno è in grado di esprimere profezie credibili. Certamente l'annientamento è una eventualità tra le più probabili, se continua a rimanere la logica politica dello stato. Comunque, anche se non si avvererà una distruzione globale, come la massiccia presenza di missili a testata nucleare fa presumere, l'avvenire non si prospetta ugualmente roseo. Dove gli stati non riescono ad ottenere il consenso attraverso forme più o meno blande di democrazia parlamentare, regna incontrastato il terrore poliziesco e militare, sorretto politicamente da oligarchie assolutiste e spietate. Il genocidio, l'assassinio, la tortura, sono gli strumenti prediletti dei poteri costituiti dove fame e miseria generano disperazione e rivolta. E la tendenza in atto non sembra stia invertendo la rotta. Ovunque i poteri militari e polizieschi godono di impunità e prestigio istituzionale e rappresentano i reali garanti dei regimi al potere.
Un nuovo realismo si impone.
E' il realismo dell'utopia. Perché il vecchio realismo politico che vuole muoversi all'interno dei meccanismi vigenti ha ormai mostrato tutta la sua incapacità a modificare lo stato di cose presente. Il suo vero volto è sempre più evidente: è il volto della complicità. L'esperienza ha dimostrato nei fatti che il riformismo istituzionale è miseramente fallito. Il presupposto di Andrea Costa di entrare nel parlamento per distruggerlo, dopo un secolo di vicende parlamentari ha dimostrato il suo totale fallimento, perché il parlamento ha distrutto ogni presupposto sinceramente socialista del partito socialista. Il P.S.I. attuale, guidato dalla nuova star della politica, il signor Craxi, è un partito conservatore, che gode buona fiducia del padrone U.S.A. e, soprattutto, ha buoni teorici del militarismo nostrano, come l'ex-ministro della difesa Lagorio.
I fatti stanno dimostrando che l'unico realismo possibile per realizzare una società realmente diversa, umana, basata sulla libertà e sul rispetto degli individui è al di fuori delle istituzioni. Lo stato non si cambia, perché esso cambierà chiunque vuole usarlo.
Lo stato è un mezzo atto a esercitare il potere e non può essere usato per eliminare il potere. L'esercito non si modifica, perché è una struttura rigida, impostata e creata per annientare e distruggere, per procurare morte. Se si vuole organizzare la vita, è indispensabile eliminare gli strumenti che procurano la morte, per cui è necessario eliminare gli eserciti e le armi. L'unico realismo possibile, per uscire dall'impasse dell'annientamento e del terrore militare e poliziesco è quello dell'utopia che prospetta una società senza stato, senza eserciti, senza polizie, senza galere e tribunali. Finché seguiremo il loro realismo ci regaleranno essenzialmente, morte, miseria, carcere.
Rifiutiamo dunque di partecipare, di essere complici. Chi è contro la guerra, deve riconoscere l'unica coerenza pratica possibile, il rifiuto, nel concreto agire, del militarismo, sotto qualsiasi forma si manifesti. Dobbiamo rifiutarci di combattere, di indossare le loro divise, di costruire armi per loro. Dobbiamo sabotare fattivamente il loro piano di annientamento con la diserzione, l'astensione, la presa di coscienza diretta. I compagni obiettori totali, che rifiutano anche il compromesso del servizio civile e pagano la propria scelta col carcere di stato, sono un esempio concreto dell'azione e della propaganda antimilitarista e antibellica proponibile.
Non esistono eserciti di pace. Il portare pace, con cui il governo italiano giustifica il proprio intervento in Libano, è sempre meno credibile. In Libano non esiste pace, nonostante la presenza delle forze multinazionali tra cui l'Italia, ma c'è una situazione di guerra in atto. Parlare di pace è mistificatorio, perché in concreto vuol dire appoggiare l'esercito di stato, governato dai massacratori cristiano-maroniti. Pace vuol dire status quo, cioè preparazione alla guerra e occupazione militare del territorio. Ciò che va rifiutato è il principio dell'esercito in quanto tale.
L'unico realismo possibile è quello dell'utopia, perché l'utopia del vecchio realismo politico su cui si regge il mondo, rischia di portarci all'annientamento o a una società totalitaria talmente grigia e plumbea da assomigliare ad un immenso obitorio esistenziale.