Rivista Anarchica Online
Caschi bianchi
di Emanuela Scuccato
Si chiama "I care Sarajevo" ed è il dossier relativo alla missione umanitaria
in Bosnia Herzegovina compiuta
nell'ottobre scorso da un gruppo di obiettori di coscienza italiani. A leggerlo si scopre tutto un mondo, il mondo
dei superstiti di un conflitto già rimosso per lasciar posto ad altri, più attuali, scenari di guerra,
e il mondo di chi
il conflitto ha deciso di abitarlo, di viverlo sulla sua pelle nonostante l'oblio dei media. Basterebbe soltanto
il resoconto di questo viaggio a legittimare la scelta di disobbedienza civile di Daniele
Tramonti, Federico Grione, Mirko Tampieri, Stefano Jones, Matteo Santini ed Emanuele Maropati. Invece i sei
obiettori dell'Associazione Papa Giovanni XXIII che con l'ausilio economico della Campagna OSM, Obiezione
alle Spese Militari, per la Difesa Popolare Nonviolenta - complessivamente £ 3.390.000 di spesa dal 22.9.1997
al 15.10.1997 - hanno potuto redigere "I care Sarajevo" sono stati denunciati dal Distretto di Bologna per
"partenza non autorizzata". E non sono i soli. Il 5 febbraio di quest'anno si è aperto a Modena
il processo ad Enrico Filippi, reo di aver raggiunto nel 1993 la
ex-Yugoslavia senza l'autorizzazione del Ministero della Difesa. Prima di lui, nel 1994, la Procura di Ancona
si era interessata a Pietro Ventura che, recatosi per 10 giorni in un
campo profughi in Croazia ed essendo stato privato per questo dello status di obiettore, si era reso colpevole di
non aver voluto vestire la divisa nella caserma di Ascoli Piceno alla quale era stato assegnato. Stessa sorte,
la revoca dello status di obiettore, e per la stessa ragione, è toccata anche a Maurizio Montipò,
mentre
il 15 maggio 1994 Giovanni Grandi e Gianluca Landini, per "partenza non autorizzata", venivano raggiunti da
avviso di garanzia. Le cifre fornite dagli stessi Caschi Bianchi parlano chiaro. Sono almeno cento gli obiettori
di coscienza che si
sono recati finora in missione umanitaria nella ex-Yugoslavia compiendo un atto di disobbedienza civile. Enrico
Filippi è il primo ad essere rinviato a giudizio. Ma chi sono i Caschi Bianchi italiani? La loro
storia comincia nel 1992, agli albori del conflitto balcanico, quando alcuni giovani, intenzionati a prestare
il servizio civile alternativo e già impegnati in varie attività di volontariato, decidono di superare
la normativa
allora vigente (la legge 772/1972) e di raggiungere le zone di guerra. Il loro obiettivo è duplice:
innanzitutto attuare una serie di interventi non armati e non di supporto alle azioni
militari nelle zone teatro delle ostilità, come per esempio il monitoraggio del rispetto dei diritti umani,
l'osservazione elettorale, il ripristino dei servizi sanitari e socio-assistenziali di base ecc., poi ottenere la riforma
e il miglioramento della stessa legge 772/1972 sull'Obiezione di Coscienza al Servizio Militare. Un primo,
importante, risultato viene raggiunto nell'agosto 1996. Da questo momento, infatti, con la legge 428 lo Stato
italiano consente agli obiettori che ne facciano richiesta,
e sotto la responsabilità degli Enti competenti, di partecipare a missioni umanitarie e di pace. Finalmente
si dà
corso anche nel nostro Paese al progetto relativo al rafforzamento della componente civile "in attività
delle
Nazioni Unite nel campo degli aiuti umanitari, delle attività di ricostruzione del tessuto sociale ed
economico
(reabilitation) e della cooperazione tecnica per lo sviluppo" messo in cantiere dallo stesso segretario generale delle
NU Boutros Ghali ("A/50/203 Ad. 1/27 giugno" 1995). Un progetto al quale l'Italia non ha aderito soltanto
formalmente (insieme ad altri 22 Stati), ma per il quale ha
predisposto in realtà fin dal 6 febbraio 1992 uno stanziamento di fondi in virtù di una legge, la
n.180, che ben si
accorda, almeno sulla carta, all'idea elaborata in sede ONU di una strategia organica soprattutto di prevenzione
dei conflitti. Sembrerebbe tutto a posto, quindi. I numerosi procedimenti penali, civili e militari intentati
contro gli obiettori
in disobbedienza civile sono stati archiviati; la nuova normativa 428/1996 rappresenta un indubbio
riconoscimento del loro importante contributo a diversi livelli nella gestione dei conflitti. Ma non è
così. Dal maggio 1997 le domande presentate dai Caschi Bianchi italiani al competente ufficio del
Ministero della
Difesa hanno avuto esito negativo. La loro richiesta di partire per la ex-Yugoslavia (ma i progetti umanitari dei
diversi Enti riguardano anche Albania, Rwanda e Chiapas), in particolare Sarajevo e Gorazde in quanto zone di
presenza di contingenti italiani, sono rimaste senza risposta. Che cosa è successo al Ministero? Per
quale ragione, dopo le possibilità aperte dal trattato di Dayton agli
interventi civili, dopo tutte le mozioni votate dal Parlamento Europeo in materia di pacificazione, questo
improvviso black-out? È vero che nell'articolo 2 bis della legge 428 si fa esplicito riferimento a "zone
di massima sicurezza" entro le
quali, e soltanto entro le quali, sarebbe consentito operare in missioni umanitarie e di pace - e potrebbe essere
questa, almeno formalmente, la ragione dei permessi negati agli obiettori. Altrettanto vero, però,
è che su quali
siano effettivamente "le zone di massima sicurezza" chi di dovere, e cioè il Comando militare italiano,
non ha mai
voluto fornire indicazioni di sorta nonostante la sua indubbia presenza in Bosnia. Intanto, il 18 dicembre
1997, viene varata ancora una nuova legge. Si tratta della 439, che in materia "di personale
militare impegnato all'estero" riconferma nella sostanza gli assunti della precedente normativa 428/1996. Agli
Enti convenzionati è consentito "inviare all'estero, nell'ambito di missioni dell'ONU e di operazioni per
il
mantenimento della pace o umanitarie, limitatamente alle aree individuate dal comando del contingente militare
italiano [...] obiettori di coscienza che ne facciano richiesta, senza oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato
né interferenze con la missione svolta dal contingente militare e sotto la piena responsabilità degli
stessi enti
presso cui detti obiettori prestano servizio" (Art.3). Come dovrebbe essere interpretato allora, in questo
contesto, il processo contro Enrico Filippi? Che senso ha, dati i presupposti, tra cui un'esplicita dichiarazione
di sostegno del sottosegretario alla Difesa
Massimo Brutti alla missione nella ex-Yugoslavia dei sei dell'Associazione Papa Giovanni XXIII, rinviare oggi
a giudizio un obiettore di coscienza? Mentre si aspetta da dieci anni una revisione della legge 772/1972 che
tenga conto anche delle mutate condizioni
economiche e politiche internazionali principalmente nel senso di un acuirsi delle guerre civili, si ha l'impressione
che a Modena si stia celebrando un processo a dir poco anacronistico. Che, a fronte di una precisa e
continuata assunzione di responsabilità dei Caschi Bianchi "a favore delle
popolazioni colpite dalle guerre e dalle calamità naturali e più in generale per la risoluzione non
violenta dei
conflitti", alla prima seduta è stato subito aggiornato. In aula, guarda caso!, era assente proprio il
Comandante del
Distretto militare.
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