Rivista Anarchica Online
La politica dell'incesto
di Emanuela Scuccato
Un recente convegno promosso dall'Associazione milanese "Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate" ha
puntato l'indice sul crescente fenomeno dell'abuso in ambito domestico
Nel raffigurare per ben due volte le fattezze della figlia a Palazzo Scipione
Borghese, a Monte-cavallo - la
bellissima figlia Artemisia -, Orazio Gentileschi era davvero animato da una sorta di passione incestuosa?
Nessuno può dirlo con certezza. Certo è che quel volto amato, quella donna capace di
accogliere le confidenze di un padre che ai suoi tempi
passava per intrattabile e solitario, soprattutto in grado di comprenderne a fondo il fervore creativo perché
a sua
volta destinata a diventare una famosissima pittrice conosciuta e stimata in tutte le corti del Seicento, per certo
quella donna fu per suo padre più compagna che figlia, a lui unita da un sentimento fortissimo e assai
poco
circoscrivibile. Ma se probabilmente il tabù dell'incesto in questo caso non venne concretamente
infranto e resta, della tribolata
vicenda di Artemisia Gentileschi, uno dei lati più oscuri per gli studiosi della sua opera, che cosa si sa
oggi di
questo fenomeno, l'incesto appunto, di cui poco si parla al di fuori della ristretta cerchia degli addetti ai lavori?
Che è in continuo aumento, per esempio. Lo abbiamo appreso nel corso di un convegno,
"Camminare verso la
libertà", che si è tenuto il 2 dicembre a Milano, al Palazzo delle Stelline, su iniziativa
dell'Associazione milanese
"Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate". Il numero delle segnalazioni di abuso sessuale all'interno delle
famiglie pervenuto alle operatrici del Centro è tra
il 1991-1995 più che raddoppiato. Come leggere questo dato? Sia che si ipotizzi che il fenomeno
è in crescita, sia che, invece, si preferisca credere in un aumentato coraggio
da parte delle donne di denunciare gli abusi, resta il fatto che i dati indicano in maniera inoppugnabile che la
violenza in famiglia continua ad esistere, se pure ignorata dai media che se ne occupano soltanto quando le notizie
sono talmente brutali da rasentare l'orrore. Ma vediamo di mettere in campo qualche altra informazione che
ci aiuti a delineare meglio il fenomeno. Le donne che si sono rivolte al Centro di Accoglienza in quest'ultimo
quinquennio sono in netta maggioranza -
l'82% - donne provenienti da Milano e provincia; il 53% di loro è maggiorenne e non supera i trent'anni,
con un
livello di scolarizzazione mediamente compreso tra il diploma e la laurea. Per quanto riguarda la figura
dell'abusante, nel 64,5% dei casi presi in esame si tratta di un padre; nel 12% del
partner della madre; nell'8,9% di un fratello... fino ad una percentuale di abusi commessi da una donna - la madre
- che si stima dell'1,2%. L'appartenenza sessuale dell'abusante è dunque chiara e inequivocabile:
è quasi sempre un uomo. E un uomo
apparentemente "normale". Secondo le operatrici del Centro, infatti, i casi in cui la figura del violentatore si
presenta con particolari difficoltà,
connesse per esempio con l'alcolismo, la tossicodipendenza o il disturbo mentale, sarebbero marginali rispetto
al numero delle denunce presentate. Denunce che sono, tra l'altro, trasversali a tutte le classi sociali. Se la
famiglia dove vengono consumati gli incesti appare all'esterno come una famiglia "senza problemi", dalla
ricerca emerge il dato spaventoso che oltre il 47% delle giovani donne che chiedono aiuto hanno subito il primo
abuso sessuale addirittura al di sotto dei 10 anni d'età. Ma gli aspetti, e quantitativi e qualitativi del
fenomeno, messi in luce da questa ottima ricerca finanziata dalla
Regione Lombardia e condotta anche in collaborazione con il gruppo di formazione e ricerca "Gender", sono
numerosissimi e di grande interesse per chi, dopo averci riflettuto, voglia anche tentare una analisi politica del
problema nella sua globalità. Che in questa occasione è, a mio avviso, sostanzialmente venuta
a mancare. Tralascio di riferire degli interventi dei rappresentanti delle Istituzioni - Regione, Provincia e
Comune - che si
sono per lo più incentrati sulla necessità di trovare una sinergia che consenta una maggiore
possibilità di
intervento concreto a favore della "Casa di Accoglienza" e una più ampia informazione sul tema a livello
di
opinione pubblica; tralascio anche di riferire i pur interessanti contributi al dibattito dei docenti universitari Silvia
Vegetti Finzi e Fulvio Scaparro sugli aspetti più propriamente psicologici del fenomeno, contributi
peraltro
reperibili, come tutte le altre relazioni degli intervenuti, negli atti del convegno di prossima pubblicazione; mi
soffermo invece su questa incapacità generale, ritengo, di fornire delle chiavi di lettura politicamente
articolate
del problema. Per contro mi torna in mente, per esempio, quell'interessante interpretazione, questa si
squisitamente politica,
dello stupro e dell'incesto, "azzardata" dalla sociologa Giovanna Franca Dalla Costa nel 1978. Il suo saggio,
Un
lavoro d'amore. La violenza fisica componente essenziale del "trattamento" maschile nei confronti delle
donne,
pubblicato dalle Edizioni delle Donne, inquadrava i due fenomeni - stupro e incesto - come "eccessi
disfunzionali", seppure tra loro diversi, "dell'organizzazione del lavoro domestico femminile". "L'uomo, in
quanto diretto destinatario e fruitore del lavoro domestico", scriveva la Dalla Costa, "è il primo
padrone della donna, ed è perciò l'anello mediatore del rapporto di sfruttamento tra donna e
capitale.
Conseguentemente spetta a lui di essere il diretto disciplinatore del lavoro della donna". Come? Attraverso
la violenza, psicologica e fisica. Dall'ideologia dell'amore con cui "il capitale giustifica la mostruosità
del livello di lavoro della donna in cambio
della mera sopravvivenza", fino alle proverbiali e giustificatissime - in quest'ottica! - botte alla moglie. Ma
se lo stupro "è anche incoraggiato dallo stato attraverso l'esaltazione del sesso come violenza,
poiché in certa
misura servirà anche a tenere a bada le donne", ben diverso, e molto più ambiguo, sarebbe invece,
secondo la
sociologa, l'atteggiamento delle istituzioni di fronte al fenomeno dell'incesto. Poiché l'incesto mette
a nudo "la dimensione vistosamente mostruosa della violenza famigliare", infrangendo
quell'organizzazione e ripartizione del lavoro casalingo e sessuale così funzionale agli interessi del
capitale, non
conviene affatto allo stato approfondire più di tanto la questione. "La donna deve stare nella famiglia
con timore dell'uomo sì, ma non terrorizzata al punto da doverne fuggire",
concludeva la Dalla Costa, pena la disgregazione di quella fucina di conservatori dello status quo, che è
stata e
continua ad essere la famiglia comunemente intesa. Vetero-femminismo oggi non più riproponibile?
Tesi superate? Sembrerebbe proprio di no, se dal settembre di quest'anno è disponibile in tutte le
librerie francesi
Hommes-Femmes, l'introuvable égalité (editions de l'Atelier, Parigi), una ricerca
condotta da Alain Bihr e Roland
Pfefferkorn che inaspettatamente si focalizza sul lavoro domestico come roccaforte del dominio maschile. Gli
autori del saggio sostengono senza mezzi termini che sarebbe questo, infatti, il principale ostacolo alla
realizzazione concreta della liberazione della donna, perché, nonostante le conquiste ottenute, è
pur sempre
sull'altra metà del cielo che continua a gravare almeno il 90% del lavoro di cura dei figli e della
casa. Come è possibile che tutto ciò possa continuare ad accadere senza che le protagoniste
di questo vero e proprio
sfruttamento alzino la testa per protestare le loro ragioni? Le organizzatrici del convegno "Camminare
verso la libertà" ci hanno messo di fronte per l'ennesima volta a
quello che continua ad essere uno dei problemi fondamentali delle donne: la loro endemica
povertà. La mancanza di denaro non già per coltivare le proprie passioni e liberare il proprio
essere più profondo, come
auspicava Virginia Woolf nel 1929 quando scrisse quel memorabile saggio che è "Una stanza tutta
per sé", ma,
nella fattispecie, la reale, fisica impossibilità per alcune di noi di sottrarsi a un ambiente famigliare che
le ha
cresciute nell'umiliazione, nella paura e nella vergogna di sé. Sì perché,
paradossalmente ma coerentemente con gli interessi statali, accade che solo il 5% degli abusanti, una
volta denunciati, venga allontanato dalla famiglia. Si preferisce che sia la figlia ad andarsene, per non far
mancare agli altri parenti quel sostegno economico di cui
dovrebbe altrimenti farsi carico la pubblica amministrazione. Ed ecco che anche l'altro dato, sconcertante per
le differenti riflessioni che implica, quello cioé relativo alla
connivenza delle madri con i padri violentatori (avrebbero coscienza dell'incesto ben 60 madri su 100!),
può
trovare in questo modo una qualche spiegazione. Se è vero infatti che spesso la madre dell'abusata
è una figura debole, poco presente, non di rado maltrattata a sua
volta dal compagno, quindi psicologicamente fragile, è altrettanto vero che nella maggior parte dei casi
essa è
soggetto debole anche economicamente e perciò inchiodata a quello che fa comodo a molti ritenere un
destino
ineluttabile. Ma è davvero ineluttabile quel destino? L'affidamento, la relazione tra donne, alla
quale anche le operatrici dell'As-sociazione milanese "Casa delle
Donne Maltrattate" dichiarano di improntare il loro coraggioso e delicato lavoro, potrebbe, a mio avviso, assumere
connotazioni più fortemente politiche. Lasciamo pure che le Istituzioni trovino sinergie e tavoli di
confronto e denaro per sovvenzionare questa e altre
associazioni di donne. Ben venga! Ma si chieda forte che le stesse Istituzioni affrontino una seria politica
per la casa... Intraprendano una seria
politica per l'occupazione... Ancora una volta, in un luogo di donne, mi è sembrato che potesse
arrivare l'eco di quella contraddizione che
tante energie tuttora assorbe e di cui Sibilla Aleramo lucidamente diede conto nel 1906 in poche righe del suo
romanzo "Una donna". Abbozzando il carattere della "buona vecchia mamma", la figura di
"mazziniana fervente" cui si ispirava per la
sua lenta presa di coscienza femminista e socialista, l'Aleramo così scrisse: "...La sua pazienza nel
perseguire
miglioramenti parziali, riforme di istituti benefici, aiuti degli enti pubblici, la sua tenacia nel bussare alle porte
dei ricchi per ottenerne la piccola elemosina, contrastavano stranamente con la sua credenza nella
necessità ultima
di sconvolgere col fuoco e col ferro la massa oppressiva delle istituzioni formate dalle classi superiori".
L'Associazione milanese "Casa delle Donne Maltrattate" ha sede in Via Piacenza 14 (telefono
02-55015519 /
55015638) e si occupa nello specifico della violenza sulle donne all'interno della famiglia. Le operatrici del
Centro - avvocate, psicologhe, sindacaliste... - orientano la loro attività su due fronti: un servizio
di prima accoglienza dell'utenza, che viene garantito assolutamente anonimo e si esplica a più livelli, dalla
consulenza legale ai colloqui di sostegno con psicologhe e psicoterapeute fino agli incontri di orientamento per
la ricerca di lavoro e l'ospitalità, nei casi più gravi, delle donne e dei loro figli minori in una casa
ad indirizzo
segreto. Attiva dal 1986 l'Associazione, che è nata in seno all'U.D.I., si avvale anche della
collaborazione di moltissime
volontarie, addestrate ad affrontare le particolari problematiche delle donne che si rivolgono al Centro, in corsi
di formazione a scadenza annuale. Il progetto "politico" che le 27 socie fondatrici e le 400 socie sostenitrici
dell'Associazione stanno portando avanti
all'insegna dei valori della relazione tra donne, si avvale attualmente di una serie di convenzioni con l'Assessorato
ai Servizi Sociali del Comune di Milano, sia per quanto riguarda alcune attività del Centro di
Accoglienza, sia
per quanto riguarda una parte dei sei posti letto disponibili nella Casa. E' possibile rivolgersi all'Associazione
per richieste di aiuto, informazioni, oppure anche per consultare i
materiali raccolti nel Centro di Documentazione interno, tutti i giorni dalle 9.00 alle 17.30. Nel fine settimana
è invece attiva una segreteria telefonica che, venendo ascoltata più volte, consente in caso di
estrema necessità di essere immediatamente ricontattate.
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