Rivista Anarchica Online
A nous la libertè diario a cura di Felice Accame
La ritirata strategica
Gli undici volumi del Diario di Samuel Pepys coprono un periodo che intercorre fra il 1 gennaio
1660 e il 31
maggio 1669. Si stufò presto, evidentemente, di tenerlo aggiornato perché lui morì nel
1703. Da essi, oltre a
numerose altre informazioni sulla vita pubblica e sulle private abitudini dei cittadini inglesi, veniamo a sapere
che Pepys possedeva una magnifica sedia stercoraria collocata, perlopiù, in salotto. La cosa non deve
sorprenderci
anche in considerazione del fatto che, nei nove anni di scrupolosa attività diaristica, sua moglie si
è concessa un
solo bagno. Erano altri tempi, ancora lontani dall'ideologia igienista, e l'umanità poteva vantare altri
spessori
morali e altri odori. Dal fondamentale Civiltà in bagno (Milano 1971) di Lawrence Wright
vengo a sapere che,
ancora in pieno Settecento, per le strade peraltro non pulitissime di Edimburgo si aggirava un intraprendente
signore munito di un ampio mantello e di un capace secchio. Per la modica somma di un bawbee - l'equivalente
di un penny e mezzo - metteva i suoi strumenti ed il suo zelo a disposizione delle urgenze di chiunque. Lui
reggeva il mantello e conferiva quel tanto di privatezza che l'epoca riteneva sufficiente alle pratiche liberatorie
del suo cliente. Ciò per dire che la concezione di un cesso stanziale - di quel Luogo Comodo che negli
antichi monasteri veniva
eretto presso la facciata occidentale del dormitorio - non sempre è stata vincente o l'unica alternativa
possibile.
In taluni quadri ideologici, il cesso è stato mobile e, anziché meta agognata al termine di un
cammino spesso
tortuoso, a volte ti veniva amichevolmente incontro. Se le cose fossero rimaste così non si sarebbe giunti
a quelle
tragiche statistiche che, già nel 1930, riferiscono di oltre diecimila vittime all'anno falcidiate da incidenti
occorsi
nelle stanze da bagno (cfr. H. A. J. Lamb, Sanitation: An Historical Survey, in "The Architets
Journal", 4.3.1937). Nel film Segreti e bugìe, Mike Leigh racconta la
striminzita epopea di una famiglia annichilita dalle spicciole
viltà dei suoi componenti. Fratello e sorella che non si vedono per anni pur abitando la stessa
città. Lui ha le sue
gatte da pelare con una moglie che, incattivita da sindromi premestruali e vivendo come una colpa la sua mancata
maternità, sembra incapace di restituirgli integra la sua porzione di quell'amore che pur da qualche parte
c'è e
che li tiene uniti. Lei non si è mai sposata, convive male con una figlia bianca e si è liberata di
quella nera prima
ancora di sapere che è nera (ma le nuove leggi inglesi consentono ai figli di ripresentarsi innanzi agli
occhi dei
genitori - e da qui muove i suoi passi la vicenda cinematografica). Lui fa il fotografo, vive agiatamente; lei fa
l'operaia, la figlia fa la spazzina, più stanno in basso nella gerarchia sociale e più puntano al
ribasso nella vita.
Abitano i propri spazi come quei personaggi dell'artista americano George Segal: forme in gesso o pitturate che
siano esprimono, nei luoghi della socialità fasulla che tocca loro, tutto lo strazio della solitudine e di
un'afasia
intrinseca alla loro modernità. Che stiano in alto o che stiano in basso sono, comunque, torpidi mostri,
ectoplasmi
infingardi. Ci vuole la "pietra dello scandalo" - la figlia nera per caso, l'"errore" più duro da mandar
giù - per far
tornare un barlume di luce nel buio delle loro coscienze e per convincerli, almeno per la durata di un giorno
festivo, che rinunciando a segreti e bugìe - e ritrovando così la propria dignità - si
può, nella vita, anche mettere
in comune qualcosa. Bene, in Segreti e bugìe, il cesso diventa la stanza paradigmatica
della diplomazia domestica. Lui va a trovare la
sorella dopo due anni e, per prima cosa, va a sedersi sul cesso in cortile: lo smozzicato colloquio è
più facile
attraverso una porta chiusa. La soluzione è tanto ovvia che lei gli porge la carta igienica senza che lui dica
neppure
una parola. Sua moglie è aggressiva e tormentata dal metabolismo connesso al flusso mestruale, ma
è soltanto
quando è seduta sulla tazza del cesso che può cominciare il faticoso e lento ripristino di un
sè relazionale.
Arrivano i suoi ospiti e mostra la casa. Ci si sofferma sui bagni, se ne loda colori e arredi, ma lei corre stizzita ad
abbassare i coperchi della tazza, perché quelle voragini aperte conducono simbolicamente ai viscerali
segreti di
famiglia. I coperchi chiusi sono le bugìe, disciplinate e necessarie. Quando la figlia ritrovata, ignorata
come tale
e truccata da ospite, non ce la fa più a reggere lo stress degli inganni e delle ipocrisie, cerca rifugio
nell'unico
posto della casa al quale, pur con mille cautele, l'etichetta del decoro borghese ammette l'accesso. In bagno, dove
è anche lecito chiudersi a chiave. Nel bagno stanziale, insomma, sono custodite le risorse della nostra
convivenza minata. Dietro quella porta si
realizzano fughe altrimenti impossibili, ci si difende, si stempera l'aggressività e si tessono i complicati
fili della
pace, si placano i ritmi forsennati del cuore offeso e dell'intelletto impotente. Entro certi limiti ci si riadatta. Con
l'aiuto di uno specchio che, non a caso, nel luogo dove si tira lo sciacquone, non manca mai.
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