Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 27 nr. 234
marzo 1997


Rivista Anarchica Online

A nous la libertè
diario a cura di Felice Accame

La ritirata strategica

Gli undici volumi del Diario di Samuel Pepys coprono un periodo che intercorre fra il 1 gennaio 1660 e il 31 maggio 1669. Si stufò presto, evidentemente, di tenerlo aggiornato perché lui morì nel 1703. Da essi, oltre a numerose altre informazioni sulla vita pubblica e sulle private abitudini dei cittadini inglesi, veniamo a sapere che Pepys possedeva una magnifica sedia stercoraria collocata, perlopiù, in salotto. La cosa non deve sorprenderci anche in considerazione del fatto che, nei nove anni di scrupolosa attività diaristica, sua moglie si è concessa un solo bagno. Erano altri tempi, ancora lontani dall'ideologia igienista, e l'umanità poteva vantare altri spessori morali e altri odori. Dal fondamentale Civiltà in bagno (Milano 1971) di Lawrence Wright vengo a sapere che, ancora in pieno Settecento, per le strade peraltro non pulitissime di Edimburgo si aggirava un intraprendente signore munito di un ampio mantello e di un capace secchio. Per la modica somma di un bawbee - l'equivalente di un penny e mezzo - metteva i suoi strumenti ed il suo zelo a disposizione delle urgenze di chiunque. Lui reggeva il mantello e conferiva quel tanto di privatezza che l'epoca riteneva sufficiente alle pratiche liberatorie del suo cliente.
Ciò per dire che la concezione di un cesso stanziale - di quel Luogo Comodo che negli antichi monasteri veniva eretto presso la facciata occidentale del dormitorio - non sempre è stata vincente o l'unica alternativa possibile. In taluni quadri ideologici, il cesso è stato mobile e, anziché meta agognata al termine di un cammino spesso tortuoso, a volte ti veniva amichevolmente incontro. Se le cose fossero rimaste così non si sarebbe giunti a quelle tragiche statistiche che, già nel 1930, riferiscono di oltre diecimila vittime all'anno falcidiate da incidenti occorsi nelle stanze da bagno (cfr. H. A. J. Lamb, Sanitation: An Historical Survey, in "The Architets Journal", 4.3.1937).
Nel film Segreti e bugìe, Mike Leigh racconta la striminzita epopea di una famiglia annichilita dalle spicciole viltà dei suoi componenti. Fratello e sorella che non si vedono per anni pur abitando la stessa città. Lui ha le sue gatte da pelare con una moglie che, incattivita da sindromi premestruali e vivendo come una colpa la sua mancata maternità, sembra incapace di restituirgli integra la sua porzione di quell'amore che pur da qualche parte c'è e che li tiene uniti. Lei non si è mai sposata, convive male con una figlia bianca e si è liberata di quella nera prima ancora di sapere che è nera (ma le nuove leggi inglesi consentono ai figli di ripresentarsi innanzi agli occhi dei genitori - e da qui muove i suoi passi la vicenda cinematografica). Lui fa il fotografo, vive agiatamente; lei fa l'operaia, la figlia fa la spazzina, più stanno in basso nella gerarchia sociale e più puntano al ribasso nella vita. Abitano i propri spazi come quei personaggi dell'artista americano George Segal: forme in gesso o pitturate che siano esprimono, nei luoghi della socialità fasulla che tocca loro, tutto lo strazio della solitudine e di un'afasia intrinseca alla loro modernità. Che stiano in alto o che stiano in basso sono, comunque, torpidi mostri, ectoplasmi infingardi. Ci vuole la "pietra dello scandalo" - la figlia nera per caso, l'"errore" più duro da mandar giù - per far tornare un barlume di luce nel buio delle loro coscienze e per convincerli, almeno per la durata di un giorno festivo, che rinunciando a segreti e bugìe - e ritrovando così la propria dignità - si può, nella vita, anche mettere in comune qualcosa.
Bene, in Segreti e bugìe, il cesso diventa la stanza paradigmatica della diplomazia domestica. Lui va a trovare la sorella dopo due anni e, per prima cosa, va a sedersi sul cesso in cortile: lo smozzicato colloquio è più facile attraverso una porta chiusa. La soluzione è tanto ovvia che lei gli porge la carta igienica senza che lui dica neppure una parola. Sua moglie è aggressiva e tormentata dal metabolismo connesso al flusso mestruale, ma è soltanto quando è seduta sulla tazza del cesso che può cominciare il faticoso e lento ripristino di un sè relazionale. Arrivano i suoi ospiti e mostra la casa. Ci si sofferma sui bagni, se ne loda colori e arredi, ma lei corre stizzita ad abbassare i coperchi della tazza, perché quelle voragini aperte conducono simbolicamente ai viscerali segreti di famiglia. I coperchi chiusi sono le bugìe, disciplinate e necessarie. Quando la figlia ritrovata, ignorata come tale e truccata da ospite, non ce la fa più a reggere lo stress degli inganni e delle ipocrisie, cerca rifugio nell'unico posto della casa al quale, pur con mille cautele, l'etichetta del decoro borghese ammette l'accesso. In bagno, dove è anche lecito chiudersi a chiave.
Nel bagno stanziale, insomma, sono custodite le risorse della nostra convivenza minata. Dietro quella porta si realizzano fughe altrimenti impossibili, ci si difende, si stempera l'aggressività e si tessono i complicati fili della pace, si placano i ritmi forsennati del cuore offeso e dell'intelletto impotente. Entro certi limiti ci si riadatta. Con l'aiuto di uno specchio che, non a caso, nel luogo dove si tira lo sciacquone, non manca mai.