Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 26 nr. 232
dicembre 1996 - gennaio 1997


Rivista Anarchica Online

Quando le strade parlavano antifascista
di Enrique Santos Unamuno

I manifesti politici repubblicani della guerra di Spagna. Una mostra e un'intervista con Carles Fontserè

Si è chiusa il mese scorso la mostra milanese Spagna 1936-1939 Antifascismo, guerra, rivoluzione (13 settembre-13 ottobre), organizzata dal Comune di Milano e dall' Istituto Lombardo per la Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea in collaborazione con l'Istituto Cervantes, che riuniva un'ottantina di manifesti politici antifascisti della guerra civile spagnola. Una scelta certo parziale rispetto ai circa 1500 manifesti sfornati in quei tre anni dai diversi gruppi e associazioni della parte repubblicana, ma che ha potuto se non altro stuzzicare l'attenzione del pubblico italiano, che non poteva avvicinarsi a documenti del genere dal 1976, anno in cui si presentò alla Biennale di Venezia la mostra España: Vanguardia artística y realidad social, 1936-1939 (nel testo di presentazione della mostra, il suo direttore, Roberto Guerri, afferma erroneamente che i cartelloni rivoluzionari vengono presentati «per la prima volta in Italia»). Molti manifesti provenivano dall'Archivo Histórico Nacional di Salamanca, molti altri dalla Biblioteca Universitaria dell'Università di Valencia e dal Centre International de Recherches sur l'Anarchisme di Lausanne. Pochi dal Arxiu Nacional de Catalunya. Dei tre centri principali produttori di manifesti, Barcellona, Valencia e Madrid, il primo è forse sottorappresentato, a favore soprattutto del secondo, che fa la parte del leone. Per quanto riguarda gli autori, ci sono alcuni dei grandi come Carles Fontserè, Arturo Ballester, Josep Renau, Josep Alumà y Jacint Bofarull (purtroppo con un solo bellissimo manifesto per la CNT-FAI). Presenti anche José Bardasano, Siwe, Alex Hinsberger, Manuel Monleón, Vicente Ballester Marco y Ramón Gaya. Per il resto, alcuni anonimi e molti rappresentanti (forse troppi) del manifesto fai da te, un po' ingenui e naif, di scarsa qualità artistica ma non privi di un loro interesse storico.
La mostra era divisa in cinque sezioni tematiche: il fronte antifascista, la rivoluzione, la guerra, la cultura, la vita quotidiana, che permettevano di farsi un'idea delle funzioni del manifesto propagandistico all'interno del contesto bellico. Ottimi i testi didascalici a cura di Claudio Venza (anarchico triestino e direttore della rivista di storia Spagna Contemporanea), rispecchianti le complesse dinamiche ideologiche e politiche della parte repubblicana, appiattite ormai da troppo tempo, sebbene negli ultimi due anni abbiano destato un rinnovato interesse (dinamiche che traspaiono anche dai manifesti, come si evince dalla significativa presenza delle donne soldato nella cartellonistica anarchica o dall'insistenza sul versante militare, autoritario e accentratore della propaganda comunista).
In occasione dell'inaugurazione della mostra abbiamo avuto modo di parlare con Carles Fontserè, di fede anarchica e autore di alcuni dei più bei manifesti antifascisti (4 dei quali presenti alla mostra). Catalano di Barcellona, nato nel 1916, combattè il fascismo nelle Brigate Internazionali. Lasciò la Spagna nel 1939 e visse esiliato in Francia durante e dopo la 2ª Guerra Mondiale, disegnando e lavorando come scenografo, illustratore e pittore. Tra il '49 e il '73 si stabilisce a New York e lì prosegue il suo itinerario artistico. Nel '73 torna in Catalogna, dove abita tuttora. Nel '95 è apparso in catalano il primo volume della sua autobiografia, Memòries d'un cartellista català (1931-1939) (Barcelona, Pòrtic). All'incontro era presente anche Terry, compagna di Fontserè. Ecco alcuni stralci di quella cordiale conversazione.
Come sono stati gli anni della guerra di Spagna?
Avevo 20 anni. Sono nato nel seno di una famiglia di destra, tradizionalista, di classe media. Voglio dire, non ho un background proletario. Ero carlista come mio padre. Bisogna però rammentare che il carlismo in Catalogna era portatore di valori catalanisti prima della guerra civile. Solo dopo, con l'avvento del franchismo, è degenerato. I miei genitori si sono separati nel 1933 e il conseguente malessere familiare è andato di pari passo col malessere politico del paese.
Quest'inquietudine personale si rifletteva nel mio animo. Così, quando gli anarchici sabotavano le industrie o compivano attentati io annuivo intimamente, in opposizione all'opinione della mia famiglia. A quei tempi mi incuriosivano riviste di sinistra come Tierra y libertad o Solidaridad . Ho avuto anche contatti con gruppi anarchici e quando nel '36, anno del golpe franchista, abbiamo fondato il Sindicat de Dibuixants Professionals ho conosciuto altri artisti di sinistra. Poi, nel settembre del '37 sono partito soldato con le Brigate Internazionali e il 5 febbraio del '39 ho attraversato i Pirenei, fuggendo dall'oppressione franchista.
Com'è arrivato al manifesto politico?
A 15 anni ero già un grafico pubblicitario e un caricaturista. A quei tempi disegnavo per la rivista di destra Reacción e per il quotidiano tradizionalista El Correo Catalán ed ero conosciuto in Catalogna come professionista, malgrado la mia giovane età. In questi disegni imitavo un po' lo stile di Helios Gómez. Mesi prima della guerra, nell'aprile del '36, abbiamo organizzato il Sindacato di cui parlavo prima. Dopo il golpe franchista del 18 luglio mi è venuta l'idea di fare un manifesto. Altri due compagni ne fecero un altro. A partire da quel momento abbiamo organizzato un atélier collettivo e un comitato rivoluzionario e abbiamo cominciato a produrre manifesti. All'inizio questi manifesti non avevano sigle. Con un compagno del PSUC [Partito Socialista Unificato Catalano, di ideologia comunista, ndt] portammo dei manifesti alla sede del suo Partito, che li fece editare. Io mi sentivo anarchico e così portai il mio manifesto al sindacato anarchico CNT-FAI. Loro lo stamparono e me ne commissionarono degli altri, suggerendomi i testi. Il Sindacato diventò così una grande agenzia di produzione. Ci tengo a sottolineare che i primi manifesti videro la luce a Barcellona, dove c'era una fiorente industria di arti grafiche. Alla lunga, la quantità di manifesti fatti a Madrid e Valencia è stata più grande, ma soprattutto perché noi di Barcellona eravamo giovani e dopo un po' siamo andati al fronte, mentre i disegnatori della Propaganda del governo centrale hanno continuato a produrre manifesti per tutta la durata del conflitto.
Quali erano le funzioni svolte dalla propaganda grafica antifascista durante la rivoluzione e la guerra civile spagnola?
Dopo l'insuccesso del punch franchista in alcune zone della Spagna repubblicana scoppiò una rivoluzione di carattere libertario. Di moti rivoluzionari ce n'erano stati altri durante la Repubblica, ma per la prima volta cominciarono a comparire manifesti per strada e chi lottava aveva la sensazione che dietro a tutto ciò ci fossero degli intellettuali, una maggioranza di gente di sinistra che appoggiava la rivoluzione. Questa iconografia multicolore che copriva la città scaldava gli animi del popolo, in un'epoca in cui la televisione non esisteva e sui giornali non c'erano quasi illustrazioni. Ogni sede, ogni sindacato, ogni gruppo si disputavano i manifesti. Contemporaneamente, nei paesi stranieri in cui vennero organizzate mostre di manifesti si ebbe la sensazione che non si trattasse di una rivoluzione fugace ma di un movimento destinato ad affermarsi attraverso la lotta. Ecco l'importanza di quei manifesti in quel momento. Era un altro concetto, un'altra epoca, un'altra economia.
Quali sono stati i modelli iconografici cui si sono ispirati gli autori di questi manifesti?
In quel periodo io non ero un professionista formato.
Avevo 20 anni quando feci il primo manifesto e 21 quando ne creai l'ultimo. D'altro canto, ero un autodidatta. La mia idea di manifesto proveniva dalle edicole, dalle riviste sfogliate qua e là, in biblioteca. In quel periodo non c'erano libri specializzati e se c'erano non erano di sicuro alla portata di un ragazzo di 15 anni. Non c'era dietro uno studio rigoroso, una pianificazione. Si trattava di un'ispirazione che veniva dalla strada. Forse potrei fare il nome di John Heartfield [suggerimento di Terry].
Esiste ancora un'arte popolare politicamente impegnata?
Di sicuro il manifesto non ha più una funzione importante dagli anni '50 e '60. Oggi il manifesto politico elettorale ha una funzione diversa, tecnicamente non è un manifesto ma una fotografia ingrandita e attaccata in quantità enormi. La quantità, la massa, diventa più importante della qualità.
Cosa pensa del fenomeno metropolitano dei graffiti?
É vero che sostituisce per certi versi i nostri manifesti. Noi siamo stati in qualche modo dei precursori, ma non sono molto al corrente di questi movimenti. Non capisco se sia della controcultura con un'intenzione politica o solo una facciata, come alcuni hippies che ho visto a New York negli anni sessanta e che adesso siedono dietro a lussuose scrivanie con tanto di cravatta e completo elegantissimo. Non so se ci sia dietro un messaggio politico. É comunque vero che ci sono esempi molto validi e interessanti da un punto di vista artistico e grafico.
Crede che le nuove tecnologie informatiche possano aiutare alla diffusione del libertarismo? Cosa pensa della propaganda anarchica su Internet?
Per la verità non ne so niente. La mia prima reazione è di diffidenza, ma senza una base. Noi non guardiamo quasi mai la tv. [ndt. A questo punto interviene Terry: «Quello che leggiamo è che c'è molta spazzatura. E poi, chi immette tutta quella informazione? É tutto controllato»]. La cosa importante è capire se si tratti solo di informazione scambiata tra piccoli gruppi o se abbia la forza per trasformare le società e le forme di vita. Ma in realtà dovrei essere io a chiederlo a te.
Le sembra concepibile una televisione libertaria?
Credo che la tv sia controllata dal potere politico e soprattutto economico. In Spagna concretamente, la corruzione del PSOE [Partito Socialista Operaio Spagnolo, di centro-sinistra, ndt] è stata mascherata e protetta in modo scandaloso dalla tv di Stato. Sono riusciti ad affondare la sinistra in Spagna. Io non me la sentirei di dire a qualcuno: io sono di sinistra. Hanno distrutto l'idea di una nuova possibilità politica. In Spagna e in Catalogna, oggi come oggi, l'idea di una sinistra non esiste più. Da un punto di vista diciamo ideologico «contro Franco stavamo meglio», anche dal punto di vista catalano.
Una domanda inevitabile: cosa pensa delle polemiche sorte in Spagna e altrove sul film di Ken Loach, Terra e libertà?
Il fatto che sia stato presentato questo film ha significato che molti giovani abbiano scoperto la guerra civile dal punto di vista dei rivoluzionari, l'ha fatta diventare «di moda». Io stesso ho realizzato un manifesto del film (che pure non ho visto) per una rassegna di cinema sulla guerra civile. Se mi avessero chiesto di farne uno per La corazzata Potëmkin non l'avrei fatto di certo. É un fenomeno positivo, sebbene non conosca le polemiche di cui parli. É chiaro che nella Spagna del '36 il Partito Comunista aveva una minima presenza e due anni più tardi aveva in mano le redini dello stato repubblicano. Anche dal punto di vista catalano, quando Franco sospese lo statuto di autonomia della Catalogna pioveva sul bagnato, poiché era già stato azzerato dal governo centrale repubblicano di Negrín.
Una mostra come questa di Milano: è un mero esercizio della memoria o può insegnare a chi non c'era, ai più giovani , qualcosa anche sul presente o sul futuro?
Non ti posso rispondere. Forse dovresti chiederlo a loro.