Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 26 nr. 232
dicembre 1996 - gennaio 1997


Rivista Anarchica Online

L'inquisitore remissivo
di Carlo Oliva

Dopo Galileo la Chiesa "riabilita" Darwin. Troppo tardi? Non è solo quelsto, perchè sotto sotto...

Tempi duri per i laici. Hanno iscritto da sempre nelle loro bandiere la difesa della libertà di pensiero, contro le tentazioni di oscurantismo nascoste, talvolta, nelle visioni trascendentali del mondo, ma i bastioni eretti attorno a questa rispettabile convinzione non sembrano solidi come una volta. Da un lato, capita sempre più spesso di vedersi ritorcere contro quello stesso ideale, utilizzato da chi meno ci si sarebbe aspettato che lo facesse per introdurre nella nostra cittadella ideologica le forme più ambigue di irrazionalismo («Il pensiero è libero, no? E allora perché non posso credere che...»). Dall'altro, ed è peggio, il nemico, quel nemico la cui presenza è sempre tanto tranquillizzante quando si comincia a nutrire qualche problema di identità, si rifiuta di attenersi al ruolo che gli viene assegnato. Il papa, quello stesso papa sul cui solido neomedioevalismo ci sembrava di poter tranquillamente contare, continua a riservarci brutte sorprese. Non pago di aver riabilitato Galileo, adesso ha fatto pace addirittura con Darwin. Ha scritto, in un documento rivolto alla Pontificia Accademia delle Scienze (!), che «oggi le nuove conoscenze conducono a riconoscere nella teoria dell'evoluzione più che un'ipotesi». Per cui, in sostanza, è inutile negare che «il corpo umano ha origine dalla materia vivente ad esso preesistente», e al buon cristiano basterà concentrarsi sulla proposizione successiva, per cui «l'anima spirituale,» comunque, «è creata immediatamente da Dio.» Come a dire che a un certo punto della sua storia biologica, a un qualche tipo di scimmione abbastanza evoluto per essere considerato nostro progenitore sarebbe stata infusa, per intervento divino, l'anima umana. Una soluzione un po' tirata per i capelli, ma accettabile da ambo le parti, che ha spinto i principali organi di stampa a inalberare, con grande rilievo, titoli del genere di «Woytila a Darwin: qua la mano», «La Chiesa riabilita l'evoluzionismo» o anche «Scienza e teologia: due diversità si incontrano sull'uomo», che non andrebbe neanche tanto male se non fosse che le cose hanno, per guisa di dire, due manici, per cui è praticamente inevitabile un simmetrico «Cari scienziati, la ragione non è tutto».
E adesso, noi cosa facciamo? Gli rispondiamo che è troppo tardi, che su dottrine che si presentano come scandalose e innovative, come quella evoluzionista, bisogna schierarsi quando sono, appunto, scandalose e innovative, senza aspettare che siano ormai digerite e assimilate dalla scienza normale e pacificamente insegnate nelle scuole elementari di mezzo mondo? O gli spieghiamo, come ha fatto uno scienziato serio come Alberto Oliverio sul Corriere della sera del 27 ottobre scorso, che la sua ipotesi è troppo facile, magari un po' semplicistica, perché gli sviluppi contemporanei della biologia spingono a postulare un tipo di darwinismo diverso di quello cui pensa lui (il papa, dopotutto, non è obbligato a tenersi aggiornato sui progressi della ricerca), un darwinismo cui quella proposta di mediazione va troppo stretta, visto che l'uomo ci appare sempre di più il risultato di un'evoluzione multipla e incrociata e comunque condivide troppa parte del suo patrimonio genetico con altri organismi animali e vegetali perché si possa parlare di una sua unicità biologica? O facciamo finta di niente, limitandoci a constatare che in quella presa di posizione, in fondo non c'è nulla di nuovo, perché, magari in forma meno esplicita, è la stessa su cui la chiesa si è attestata da tempo, per cui ci faccia il piacere di non rompere le scatole? É quello che gli ha risposto, con tutto il dovuto rispetto, un cattolico «progressista» come il cardinale Martini (intervista a Repubblica del 1° novembre), secondo cui «già alla fine degli anni '40, dai gesuiti di Gallarate, il padre Marcozzi ci insegnava l'evoluzionismo». E anche se nel prosieguo il bravo arcivescovo di Milano preferisce ignorare con eleganza tutte le domande sul perché la Bibbia contenga quell'imbarazzante racconto sull'origine del mondo e dell'uomo, rifugiandosi in eleganti ovvietà del tipo «fondamentalmente la Genesi esprime le verità che il popolo ebraico riteneva fossero all'origine della sua conoscenza di sé», si capisce che dal suo punto di vista nulla impedisce di leggere le Scritture in forma simbolica, anche se le residue speranze che nutre di diventare papa a sua volta non gli permettono di dirlo esplicitamente.
Forse il commento più interessante alla presa di posizione del papa lo ha espresso, quattro anni prima che venisse formulata, Paul Feyerabend. Nella seconda delle sue lezioni trentine del '92, raccolte in volume quest'anno da Laterza sotto lo strano titolo di Ambiguità e armonia, l'autore di Contro il metodo osservava che «persino il Papa, che sa essere molto aggressivo se interpellato sui diritti delle donne o sui meriti della teologia della liberazione, assume un contegno umile, remissivo e decisamente codardo quando si tratta di questioni scientifiche. A quanto pare la scienza è una forza irresistibile» (cit., p. 67). Affermazione che suona debitamente paradossale, ma non lo è più di tanto. In fondo nulla o nessuno costringono il papa, o qualsiasi altro esponente ecclesiastico, a rinunciare al ruolo tradizionale dell'inquisitore per proporre certi complicati compromessi, che avranno forse il merito di chiudere vecchi contenziosi, ma lo fanno a spese della credibilità del magistero (perché i pontefici precedenti, checché se ne dica, avevano su Galileo e Darwin tutt'altre opinioni) e lasciano comunque aperto il fianco a critiche di ogni genere. Chi ha dato ha dato e il passato si può sempre storicizzare: lo stesso Feyerabend, che era notoriamente un ragazzaccio, ha fornito (in Addio alla ragione) fior di elementi con cui giustificare la condanna di Galileo e se non ci avesse prematuramente lasciato ne avrebbe senza dubbio elaborato degli altri per dimostrare che Darwin, nel contesto in cui è apparsa L'origine della specie, aveva torto marcio. E per chi nutra sincere preoccupazioni teoretiche, be', i credenti hanno in mano un potentissimo jolly con cui conciliare la propria fede con qualsiasi scoperta scientifica. Un Dio onnipotente può organizzare la Sua creazione come meglio Gli pare, utilizzando a Suo arbitrio le più singolari strategie cosmiche e biologiche, big bang e selezione casuale compresi. Non sta certo a noi chiederGliene conto. Finché sarà possibile ipotizzare un rapporto speciale e diretto tra il padre eterno e l'umanità, che è in definitiva quello che conta, la religione potrà sopravvivere senza problemi a qualsiasi trasformazione dei paradigmi scientifici. Qualcuno ha ipotizzato, un po' per gioco e un po' no, che l'unico vero guaio potrebbe nascere in una situazione stile Incontri ravvicinati, dal contatto con un'altra «umanità» e suppongo che in Vaticano si seguano i progressi dell'astronomia e dell'astrofisica con le dita debitamente incrociate, ma l'ipotesi è abbastanza lontana, e poi, chissà, non è detto. Anche a degli extaterrestri non troppo simili a quelli di Independence Day potrebbe aprirsi la via di un'assimilazione al rango di nostri fratelli e se per avventura non conoscessero «il vero Dio», offrirebbero comunque occasione di rinverdire la venerata tradizione missionaria... No: chiudere quei contenziosi è facile. A rigore non li sarebbe nemmeno dovuti aprire.
Eppure la Chiesa è periodicamente costretta a condannare e ad assolvere, a pronunciarsi solennemente e a cercare di far dimenticare i suoi pronunciamenti, e non solo in ambito scientifico, come chiunque può verificare con una semplice lettura del Sillabo. Vi è costretta dalla tenace volontà di restare nel mondo, dal rifiuto di accettare un ruolo puramente spirituale. Non a caso il problema, in ambito cristiano, riguarda soprattutto la Chiesa cattolica, che non ha imparato, come hanno dovuto fare i suoi confratelli orientali sotto la Turcocrazia e come hanno parzialmente voluto fare i riformati in nome della modernità, a disinteressarsi, almeno in linea di tendenza, della gestione degli affari terreni. Il papa, per essere tale, deve poter dire la sua su tutto, anche se non può più permettersi di entrare in polemica con il mondo su tutti gli argomenti che la tradizione gli offre. É stato osservato (da Filippo Gentiloni sul Manifesto del 3 novembre) che il pronunciamento su Darwin significa una presa di distanza dai vari fondamentalismi, cristiani e non, che dall'assunzione «alla lettera» dei rispettivi libri sacri traggono consenso popolare e validificazione ideologica. In effetti, sappiamo che proprio su Darwin il fondamentalismo protestante combatte una delle sue battaglie emblematiche. Ma l'esigenza che sta alla base del lento processo di aggiornamento ideologico che l'attuale pontefice, al pari dei suoi predecessori immediati e remoti, conduce è, in sé, abbastanza «fondamentalista»: è quella di mantenere alla propria chiesa il ruolo tradizionale di interprete (e giudice) di ogni possibile ideologia in ogni possibile campo dell'operare umano.
I tempi sono quelli che sono: la Chiesa oggi non gode più il monopolio della validificazione, né quello, ad esso strettamente connesso, delle comunicazioni di massa. Deve saper convivere con altre istituzioni totalizzanti. Il che significa saper venire, se del caso, ad accomodamenti e compromessi di varia natura, saper cedere su Galileo per poter resistere su qualcosa d'altro, per esempio sui temi che cita Feyerabend, quelli su cui, al momento, il papa sa essere «molto aggressivo» (e su cui, tra parentesi, ritrova immediatamente la concordia con tutti i fondamentalisti). Perché il controllo dell'ideologia è fonte massima di potere ed è questa, naturalmente, la posta in palio.