Rivista Anarchica Online
Eros, erotismo e processo pedagogico
di Bell Hooks
La nostra pedagogia è interamente basata sulla scissione tra corpo e mente. Il ruolo delle pressioni
all'interno della
vita di classe
Gli insegnanti parlano raramente del posto che l'eros e l'erotismo hanno nel loro
lavoro in classe. Addestrati nel
contesto filosofico del dualismo metafisico occidentale, molti di noi hanno accettato l'idea che ci sia una
separazione netta tra corpo e mente. Con questa convinzione si entra in classe a insegnare come se solo la mente
fosse presente e il corpo rimanesse fuori della porta.Richiamere l'attenzione sulla presenza del corpo nel processo
pedagogico ä come tradire quell'eredità di repressione e diniego che ci è stato trasmesso
dai nostri insegnanti, di
solito bisechi e maschi. Ma anche gli insegnanti di colore hanno allo stesso modo con forza negato il corpo e i
college a predominanza di studenti di colore sono stati da sempre un bastione della repressione. Il mondo
pubblico dell'insegnamento istituzionale ä sempre stato un luogo in cui il corpo doveva essere cancellato,
o
almeno passare inosservato. Quando diventai insegnante e mi trovai la prima volta ad aver bisogno del bagno
non sapevo come comportarmi: nessuno me l'aveva mai insegnato. Nessuno parlava del corpo in rapporto
all'insegnamento. Che cosa bisognava farci del proprio corpo in classe? Cercavo di rammentare il corpo dei miei
insegnanti, ma non ci riuscivo; sentivo le loro voci, mi ricordavo di alcuni dettagli particolari, ma non riuscivo
a vedere il loro corpo intero. Entrando in classe determinati a cancellare il corpo e riempire la mente, mostravamo
chiaramente quanto in profondità avessimo accettato l'assunto che la passione non ha luogo in classe. La
repressione e il diniego ci permettono di dimenticare la nostra vita interiore, finché siamo in classe, per
ritrovarla
poi all'uscita della scuola, nella nostra vita privata. Ricordo di aver letto mentre frequentavo l'università
un
articolo tratto da «Psychology Today» che riportava uno studio secondo il quale ogni manciata di secondi,
facendo lezione, molti insegnanti maschi pensavano al sesso e avevano pensieri libidinosi sugli studenti e sulle
studentesse. Ero sconvolta. Dopo aver letto l'articolo, che fece molto discutere nel nostro dormitorio, guardavo
gli insegnanti maschi in un modo diverso, cercando di collegare le fantasie che gli attribuivo mentre spiegavano,
con i loro corpi che fino ad allora avevo finto di non vedere. Durante il mio primo semestre di insegnamento al
college, c'era in una delle mie classi uno studente che mi sembrava di vedere e non vedere allo stesso tempo. A
un certo punto fui chiamata dallo psicologo della scuola che voleva discutere con me del modo in cui trattavo
quello studente in classe. Lo psicologo mi disse che lo studente si era lamentato di me con lui perché ero
nei suoi
confronti particolarmente arcigna e molto sgarbata. Al principio non capivo neppure di chi mi stesse parlando,
non riuscivo a rimettere insieme il nome e il suo corpo. Riflettendoci meglio capii che ero attratta eroticamente
da quello studente e che maldestramente col mio comportamento duro verso di lui, avevo cercato di far fronte
ai miei sentimenti che, come mi era stato insegnato, dovevano essere repressi e negati. Diventai consapevole che
quella negazione dei sentimenti poteva portare a ferire gli studenti e decisi perciò che era necessario
affrontare
a viso aperto le passioni che sorgevano in classe, dando loro spazio ed elaborandole. (...) E' fondamentale
che impariamo a entrare in classe interi e non come spiriti disincarnati. Negli entusiasmanti
giorni trascorsi ai corsi del dipartimento dei Women's Studies alla Stanford University, imparai dall'esempio di
alcune coraggiose insegnanti (in particolare Diane Middlebrook) che c'era un posto per le passioni in classe, che
l'eros e l'erotismo non dovevano essere negati per poter insegnare. Uno dei punti fondamentali della pedagogia
critica femminista ä l'insistenza a liberarsi dalla scissione tra corpo e mente e ciò ha reso sovversivi
per
l'accademia i Women's Studies. Recentemente Susan B., una mia studentessa, mi ha raccontato che aveva
parecchi problemi negli altri corsi universitari perché la passione nell'insegnamento vi era del tutto
assente.
Questo suo modo di vedere mi ha indotto a riconsiderare il posto e l'importanza della passione nell'insegnamento:
nei nostri corsi ai Women's Studies cercavamo di darci interamente, di andare oltre la mera trasmissione di
informazioni nelle lezioni. L'educazione femminista alla coscienza critica ä radicata nell'assunto che la
conoscenza e il pensiero critico che hanno luogo in classe dovrebbero informare il nostro modo d'essere e di
vivere anche all'esterno della classe. Poiché la maggior parte degli studenti dei nostri corsi all'inizio erano
donne,
era più facile per noi non essere spiriti disincarnati in classe. Al contrario ci si aspettava proprio da noi
che
avessimo verso le studentesse una particolare cura, quasi una forma di «amore». L'eros era presente nelle nostre
classi come una forza motivazionale. Era parte del nostro insegnamento cercare di insegnare agli studenti un modo
di pensare il genere del tutto diverso e la comprensione che questa conoscenza avrebbe portato a vivere
diversamente. Per comprendere il posto dell'eros e dell'erotismo in classe, dobbiamo andare oltre il modo di
vedere abituale che
li considera solo in termini sessuali, benché questa dimensione sia presente e non debba essere negata.
Sam Keen
nel libro The Passionate Life, spienge i lettori a ricordare che in origine la concezione « della
potenza erotica non
era confinata al potere sessuale ma includeva la forza motrice che spinge ogni forma di vita dallo stato potenziale
all'atto». Dato che la pedagogia critica cerca di rendere consapevoli, di indicare agli studenti una via che permetta
loro di conoscersi meglio e di vivere più pienamente, in una certa misura ä necessario fare
affidamento proprio
sulla presenza dell'erotismo in classe per facilitare il processo di apprendimento. «Quando limitiamo l'erotico
al sessuale- scrive Keen- tradiamo la nostra alienazione dal resto della natura, confessiamo che ci ä del tutto
estranea quella forza che muove gli uccelli a migrare o il soffione a fiorire. Inoltre mostriamo che ogni nostro
sforzo verso il completamento o la realizzazione tende è di natura sessuale, la connessione
romantico-genitale
tra due persone». Capire che l'eros è una forza che esalta i nostri sforzi di autorealizzazione, che esso
può fornirci il terreno
epistemologico in cui si radica ciò che sappiamo e il modo in cui lo sappiamo, tutto ciò fa si che
studenti e
insegnanti possano usare questa energia in classe per rinvigorire le discussioni ed eccitare l'immaginazione critica.
Suggerendo che la nostra cultura è priva di una scienza o di una visione «igeneologica» (orientata alla
salute e al
benessere), Keen si domanda: «Che forma di passione potrebbe renderci interi? A quali passioni possiamo
abbandonarci con la sicurezza che potremmo espandere e non contrarre le nostre vite?». La ricerca della
conoscenza che ci renda capaci di unire teoria e pratica è una di queste passioni. Se come insegnanti
siamo capaci
di portare questa passione che si radica nell'amore per le idee che siamo capaci di ispirare, la classe diviene un
luogo vivo e dinamico dove avvengono concretamente le trasformazioni nelle relazioni sociali e dove la falsa
dicotomia tra il mondo la fuori e il mondo qui dentro scompare. In maniere diverse questo ci terrorizza. Niente
del mio apprendistato mi ha lontanamente preparato ad assistere e seguire questa trasformazione degli studenti.
(...) Tentando di raccogliere i miei pensieri su erotismo e pedagogia ho riletto i diari degli studenti dei miei
corsi
nell'arco di dieci anni. Ovunque trovavo commenti che si potevano considerare «romantici» di studenti e
studentesse che esprimevano il loro amore per me e per la classe. Questa è una studentessa asiatica che
esprime
ciò che pensa della classe: «I bianchi non hanno mai compreso la bellezza del silenzio, delle connessioni,
della
riflessione. Tu ci insegni a parlare e ad ascoltare i suoni del vento. Come una guida ci apri la via attraverso la
foresta, in cui tutto ha un suono, tutto parla... non solo l'uomo bianco. Non fanno parte del sentirsi interi la
capacità di parlare, di non dover tacere, la capacità di essere critici, onesti e aperti? Questa
è la verità che ci hai
insegnato: ogni uomo è degno di parlare». Uno studente di colore dice che mi avrebbe amato per
sempre perché la nostra classe è stata una danza e lui ama
danzare: «Amo danzare. Quand'ero bambino danzavo ovunque. Perché camminare quando puoi balzare
qua e là?
Quando danzavo la mia anima correva libera, ero come un poeta. Da piccolo quando andavo a far la spesa con
mia madre continuavo a balzellare qua e là. Lei mi diceva di star fermo, che i bianchi pensavano che
sapevamo
far solo quello, ma a me non importava nulla di ciò che pensano i bianchi o i neri. Quando danzo la mia
anima
è libera. E' triste leggere di persone che smettono di danzare, di essere folli, di lasciar libera la propria
anima.
Penso che per me rimaner intero significa non smettere mai di danzare». Queste parole sono state scritte da
O'Neal LaRon Clark nel 1987. Abbiamo avuto una relazione
studente-insegnate appassionata. Era molto alto. Ricordo il giorno in cui venne in classe in ritardo. Mi
arrivò di
fronte, mi sollevò in aria e mi fece roteare. La classe rise. Io gli dissi «sei matto», ma risi anch'io. Era il
suo modo
di scusarsi per il ritardo, per aver mancato anche per un momento alla passione della classe e così
riportò il
proprio momento nella classe. Anch'io amavo danzare, così danzammo per le nostre strade come amici
e
compagni legati da tutto ciò che avevamo imparato insieme in classe. Quelli che l'hanno conosciuto
ricordano
le sue imitazioni degli insegnanti. Morì improvvisamente l'anno scorso, continuando a danzare e ad
amarmi per
sempre. Quando l'eros è presente in classe, l'amore è forzato a sbocciare. Le distinzioni
tramandate tra pubblico e privato
ci fanno credere che non ci sia posto per l'amore in classe. Anche se molti hanno applaudito a un film come
L'attimo fuggente e si sono identificati con la passione dell'insegnante e dei suoi studenti, raramente
a una simile
passione viene lasciato spazio nell'istituzione. Ci si aspetta che i docenti producano pubblicazioni, ma nessuno
si preoccupa se amiamo insegnare e in che modo si manifesti questa nostra passione. Gli insegnanti che amano
gli studenti e sono da loro riamati sono sospetti all'accademia. Una delle preoccupazioni è che la presenza
di
sentimenti, passioni possa impedire una valutazione obbiettiva dello studente. Ma questa idea è basata
sulla falsa
assunzione che l'educazione sia neutrale, che ci sia un terreno di emozioni sopra il quale ci ergiamo riuscendo
così a trattare gli studenti con equità e spassionatamente. In realtà legami speciali tra
studenti e insegnanti sono
sempre esistiti, ma sono stati più esclusivi che inclusivi. Permettere al proprio sentimento di cura e alla
volontà
di nutrire individui particolari in classe, di espandersi ed abbracciare tutti, va contro la nozione di passione privata.
Nei diari degli studenti ho colto tante volte le lamentale per il fatto che veniva percepito un legame speciale tra
me e certi studenti. Così mi sembrò necessario affrontare l'argomento e chiesi ai miei studenti:
« Senti che il
riguardo che uso per certi studenti non può essere esteso anche a te? Pensi che non ci siano abbastanza
amore e
cura da abbracciare tutti?». Rispondere a queste domande richiedeva una riflessione profonda sulla società
in cui
viviamo, su come ci è stato insegnato a competere gli unì contro gli altri. Dovevano riflettere sul
capitalismo e
su come esso dà forma al modo in cui concepiamo l'amore e la cura, in cui viviamo il corpo cercando di
tenerlo
ben separato dalla mente. Nell'educazione superiore oggi c'è poco posto per un insegnamento e un
apprendimento appassionati. Anche
quando gli studenti bramano appassionatamente di essere toccati dalla conoscenza, gli insegnanti temono la sfida,
perché in loro la paura di perdere il controllo sovrasta il desiderio di insegnare. Nelle stesso tempo quelli
che
insegnano sempre le stesse cose nello stesso modo sono spesso intimamente e profondamente annoiati, incapaci
di risvegliare quella passione che un tempo forse hanno provato. Se, come Thomas Merton suggerisce nel suo
saggio sulla pedagogia «Imparare a vivere», lo scopo dell'educazione è mostrare agli studenti come
definirsi
«autenticamente e spontaneamente in relazione al mondo», allora un insegnante insegnerà meglio quanto
più sarà
autorealizzato. Merton ci ricorda che «l'idea autentica e originaria di paradiso, nei monasteri e nelle
università,
indicava non soltanto il luogo celestiale delle idee di cui Magistri e Doctores avevano le chiavi, ma anche il si
interiore degli studenti», quel fondamento dell'essere in relazione con se stessi, con i poteri superiori, con la
comunità. « Il frutto dell'educazione era l'attivazione di quel sommo centro». Per riportare e
ravvivare le passioni in classe, gli insegnanti dovrebbero ritrovare il posto dell'eros entro se stessi
e permettere che corpo e mente insieme tornino a sentire e a conoscere il desiderio. Bell Hooks (traduzione
di Filippo Trasatti)
Insegnare che passione
Bell Hooks è una nota e influente femminista americana nera, insegnante in molte università
nei corsi dei
cosiddetti Women's Studies, che si può tradurre imperfettamente come corsi di critica femminista,
applicata ai
più diversi campi. Il testo che qui presentiamo, il cui titolo originale è Eros, Eroticism and
the Pedagogical
Process, è un capitolo del libro Teaching to Transgress, (Routledge, New
York-London 1994). Del testo mi ha subito attirato la verità e la precisione di un'osservazione: la
nostra pedagogia ä interamente
costruita sulla scissione tra corpo e mente. L'insegnante deve con ogni mezzo addomesticare i corpi, legarli e
inchiodarli ai banchi per poter parlare alle loro menti. A mano a mano che si sale con l'età il corpo dei
ragazzi
cresce , diventa più esuberante eppure a scuola più invisibile, perché ormai disciplinato.
La pedagogia ä l'arte di
contenere il corpo incontenibile, di trasformare il corpo in corpo pedagogico. Tutto questo non ä
evidentemente
senza conseguenze. Se col suo sguardo il pedagogo cerca di inchiodare il corpo dei ragazzi per poi disperderlo
in un fiume di parole, decine di sguardi lo inchiodano di rimando alla lavagna, lo ipermaterializzano
cosicché
ogni minimo gesto diventa imbarazzante e pesante, come se si muovesse lentamente in un fluido molto denso.
Hooks racconta della prima esperienza in classe come insegnante: che cosa fare del proprio corpo? come
muoversi? dove sono io, dopo questo processo di scissione e cancellazione? Questo ci porta al secondo tema
centrale proposto da Hooks, l'Eros. Qui si tocca davvero un tema difficile, eppure ineludibile se si vuol ridar
colore alla triste e grigia consuetudine dell'insegnare. Eros ä passione, la forza che ci strappa alla routine,
all'indifferenza delle ore tutte uguali, delle persone tutte uguali. Al suo fuoco le parole ardono e infiammano i
corpi e le menti annoiate dai tristi pedagoghi. Di questo Hooks ci parla, a volte con un accento troppo americano,
addirittura irritante nel suo apparente «volemose tutti bbene». Ma se riusciamo a schivare questa prima
impressione, ci si apre un'altra dimensione, uno sguardo diverso sulla relazione in classe, un campo di riflessione
fertile e tutto da dissodare, possibilmente mettendo da parte ipocrisie e paure.
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