Rivista Anarchica Online
Fuori dal cerchio della ragione
di Elena Petrassi
Il migliore dei mondi possibili, anzi l'unico mondo possibile. E' quello che noi
occidentali abitiamo. O meglio,
un coro incessante di voci ci dice che noi abitiamo questo mondo così perfetto. I mass media per primi,
e tra
questi la televisione che domina ogni aspetto sociale e comunicativo della nostra vita. Anche i nostri politici
alzano le loro voci a difendere questa società, questo modello di vita, questo modello di consumi. Poco
importa
che la televisione ci mostri immagini devastanti di guerre combattute altrove, di ingiustizie perpetrate altrove. Di
tanto in tanto la televisione ci porta i visi disperati di esseri umani che hanno perduto tutto o che non hanno
più
nulla da perdere se non la vita. E a volte ci mostra come il confine tra l'inclusione e l'esclusione sociale sia sottile
e labile. Gli immigrati "sans papiers" francesi sono la dimostrazione che il diritto di cittadinanza non è
dato per
sempre. Basta che una qualsiasi legge venga cambiata e poco importa il numero di anni trascorsi in un
qualsivoglia territorio nazionale a lavorare, pagare le tasse, cercare di costruire qualcosa. Le leggi cambiano e
quale che sia il senso di giustizia di cui esse sono portatrici, le donne e gli uomini si devono piegare. Se per legge
e per accordo i governanti decidono che l'unione europea si farà solo a patto del raggiungimento di alcuni
parametri economico-finanziari, mi riferisco all'accordo di Maastricht, niente può essere cambiato, il costo
in
termini sociali è trascurabile. In Europa sappiamo esserci circa venti milioni di disoccupati destinati forse
a
crescere. Le categorie e le garanzie del lavoro dipendente cambiano e i sindacati, nel mare sempre più
grosso della
deregolamentazione del mercato del lavoro, appaiono impotenti a gestire il cambiamento. Un cambiamento
strutturale, culturale e immaginario trascinato dalle potenti innovazioni tecnologiche, gestito dalla finanza virtuale
internazionale attraverso il controllo dei mass-media ormai già avvenuto. Il mercato e le sue regole sono
l'imperativo dominante in un mondo in cui ormai il luogo del potere si è interamente trasferito dall'ambito
politico e sociale a quello economico. Questo cambiamento ha trovato il ceto politico quale comprimario del
cambiamento, anzi forse impotente a far si che le cose andassero diversamente. La divisione del potere economico
da quello politico e legislativo è una divisione formale di cui sono forse coscienti gli studiosi di quella
che a
questa punto è diventata una sorta di archeologia della scienza politica occidentale. I fondamenti degli
stati
nazionali e delle democrazie occidentali vacillano perché il potere economico ha assunto una portata
transnazionale. Inutile pensare che sia possibile cambiare qualcosa, questo è quanto i chierici della nuova
ideologia dominante vanno ripetendoci instancabilmente. Per fortuna ogni tanto qualche voce dissonante si alza
e grida che le cose non stanno proprio così, che questo processo non è irreversibile e che chi si
sente "impelagato,
invischiato in questa dottrina appiccicosa che avviluppa impercettibilmente qualsiasi ragionamento ribelle, lo
inibisce, lo offusca, lo paralizza e finisce per soffocarlo" deve contribuire alla fondazione di un pensiero critico
capace di opporsi al Pensiero Unico, questo "furore ideologico che è un moderno dogmatismo". Una delle
prime
voci a essersi levata contro questo modello di società è il direttore di Le Monde
diplomatique, Ignacio Ramonet.
Nel gennaio del 1995 ha presentato la sua concezione del Pensiero Unico dalle colonne del suo giornale. Nel 1996
in un libro collettivo con Fabio Giovannini e Giovanna Ricoveri ha approfondito questi temi e indicato delle vie
possibili di confronto per opporsi allo stato delle cose. Il libro in questione si intitola Il pensiero
unico e i nuovi
padroni del mondo (Edizioni Strategia della Lumaca - Lire 16.000 - Roma 1996). L'analisi di
Ramonet si snoda attraverso le grandi trasformazioni indotte dall'informatica e lo strapotere che la
televisione ha assunto anche in termini di creazione di immaginario soprattutto per i bambini e gli adolescenti.
Delinea poi con grande chiarezza la struttura della finanza internazionale che è comunque in grado di
influenzare
la politica economica di qualsiasi stato attraverso massicci spostamenti di risorse e ci fornisce i concetti chiave
del pensiero unico: "il mercato, la cui mano invisibile mitiga le asperità e le disfunzioni del capitalismo;
la
concorrenza e la competitività che stimolano e dinamizzano le aziende; il libero scambio senza limiti,
quale
fattore di sviluppo; la mondializzazione sia della produzione manifatturiera che dei flussi finanziari; la divisione
internazionale del lavoro, che modera le rivendicazioni salariali e abbassa il costo del lavoro; la moneta forte,
fattore di stabilizzazione; le deregulation, la privatizzazione, la liberalizzazione" e così via. I mass media
e gli
uomini politici, i giornalisti, i centri di ricerca e le università più prestigiose non fanno altro che
ripetere, come
già dicevo sopra, che questo è l'unico mondo possibile: ben consapevoli che nella nostra
società dell'informazione
istantanea "ripetere equivale a dimostrare". Porsi al di fuori di quello che il saggista neo-liberale Alain Minc
chiama "il cerchio della ragione" significa collocarsi tra gli emarginati, i devianti, gli anormali. Un mondo
vasto e variegato aggiungo io, fatto di dissidenti politici, di oppositori, di poveri, di disoccupati, di
anziani e di bambini, di folli. Tanto bello comunque questo mondo governato dal pensiero unico alla fin fine
poi non deve essere se in tutte le
nazioni occidentali, il consumo di ansiolitici e tranquillanti aumenta di anno in anno. D'altronde la nuova
psichiatria di matrice bio-organicista che continua e riprende a curare i sintomi del malessere
psichico come se l'essere umano non fosse un'unità di mente corpo, ma un insieme di parti separate, offre
i suoi
servigi al sistema per far si che tranquilli e caricati, i cittadini di questo mondo nuovo alla Aldous Huxley si
adattino e non escano dalle righe. Leggendo il saggio di Ramonet ho avuto più di una volta
l'impressione che gli anni sessanta e settanta siano
passati come una grande tempesta ma che non abbiano gettato radici solide per un reale cambiamento. Ma
è così
o sono io a essere sconsolata e pessimista? Il saggio di Fabio Giovannini porta l'attenzione sull'arretratezza
culturale della sinistra istituzionale rispetto al mondo del pensiero unico. I suoi strumenti di analisi si rifanno al
pensiero marxista classico, con fondamenta cioè piuttosto lontane da quelle degli anarchici. Ciò
non toglie che
anche per noi questi spunti siano utili per avviare un confronto rispetto all'andamento di questa società
nella quale
volenti o nolenti, viviamo e lavoriamo. Uno degli spunti che trovo importante è quello della
necessità di "capire
meglio l'immaginario, di fronte a un mondo che è sempre più rappresentato dai mezzi di
comunicazione, e quindi
dall'immaginario che veicolano". In questo senso penso ai contributi fondamentali di Eduardo Colombo e
Cornelius Castoriadis. Giovannini dal canto suo cerca le manchevolezze del pensiero critico nel "buco nero
del marxismo", cioè nel
vuoto di elaborazione della sinistra a proposito dei mass-media e si muove interamente in ambito istituzionale
e statuale. Con il quale d'altronde noi, anche nostro malgrado, siamo costretti a confrontarci, vista comunque la
crisi degli AIS, cioè degli apparati ideologici di stato, che sono la scuola, la famiglia, la chiesa, i partiti.
La sua rassegna va dagli studi di Enzensberger a quelli di Marcuse, da quelli di Adorno a quelli di
Horkeimer.
Un altro spunto che ho trovato estremamente interessante è quello dell'individualismo portato dal pensiero
unico:
"Il Pensiero Unico è estremamente individualistico: è il pensiero dell'Uno, in antitesi alla
valorizzazione
dell'incontro con l'altro, il diverso. Anzi, nei confronti del diverso viene sempre più spesso scelta la
violenza.
L'individuo solitario viene contrapposto a tutto ciò che è in comune, e a ogni solidarietà.
L'individuo diventa un
atomo privo di legami sociali, senza appartenenze se non quelle originarie del sangue e del suolo (una metafora
usata dal nazismo, non a caso). E questo individualismo si dota di una sua precisa proposta di felicità:
una felicità
anestetizzante fondata sulla merce". Un individualismo ben lontano da quello di filone anarchico come è
ben
evidente. Giovannini comunque chiude il suo contributo lanciando un invito al "composito universo... sociale
e culturale
estraneo al pensiero unico" di mettere in rete e in comunicazione le proprie esperienze e i propri saperi. Il
terzo e ultimo saggio, quello di Giovanna Ricoveri introduce degli "elementi per una critica ecologica al
pensiero unico". Una delle prime evidenziazioni parte dai legami tra mondializzazione economica e
marginalità
sociale ben delineate da Riccardo Petrella sempre su Le Monde Diplomatique attraverso quelli che
lui stesso
definisce i "nuovi comandamenti o tavole della legge". II mercato è il grande regolatore della vita
economica, la
guida degli uomini e della società...Ci dicono che bisogna aver fede nei meccanismi del mercato...ma la
libertà
che il mercato offre all'uomo è quella di sottomettersi. Se non lo fa...sarà eliminato dal mercato
e dal lavoro...Le
tavole del nuovo ordine mondiale sono sei, e in estrema sintesi si possono così rappresentare: 1) nessuno
potrà
evitare il processo di mondializzazione; 2) nessuno potrà sottrarsi alle rivoluzioni scientifica e tecnologica
permanente in atto; 3) nessuno potrà evitare di misurarsi con la competitività, pena l'esclusione
materiale e
sociale; 4) uno spazio unico mondiale, sostitutivo degli stati nazionali, nel quale merci, capitali e servizi circolino
liberamente, è inevitabile; 5) la definizione delle regole non spetta più allo stato, ma alle imprese,
diversamente
la competitività non funziona; 6) la privatizzazione di interi comparti dell'economia e della vita sociale
(ferrovie,
trasporti pubblici, ospedali, istruzione, banche, cultura, acqua, luce, gas) è il complemento obbligato della
nuova
situazione, determinata dalla competitività. "Di fronte a questo scenario anche la sinistra si comporta
come se tutto
ciò fosse un approdo obbligato". A questo la Ricoveri fa risalire anche la crisi del Welfare State, "avendo
cambiato lo stato, a causa della mondializzazione, natura e funzione. Oggi, la sua mediazione sociale non serve,
perché le basi espansive del capitale si sono ridotte e il conflitto sociale viene controllato con la
disoccupazione
e con l'esclusione sociale". Interessante è anche l'analisi della globalizzazione e della segmentazione
territoriale del mercato globale, dove
"lo spazio della globalizzazione non è dunque quello universalistico dell'uguaglianza: anzi, alle vecchie
gerarchie
e diseguaglianze economiche e sociali della precedente fase di accumulazione, temperate dal compromesso
socialdemocratico e dal Welfare, si sostituiscono ora la frammentazione e l'esclusione, senza le mediazioni
istituzionali e sociali, cadute sotto la scure della competitività". Sulla pervasività non solo
economica ma anche
culturale del mercato sono valide le riflessioni introdotte nel paragrafo La deculturazione e le monoculture
della
mente, nella quale viene fatto riferimento agli studi di Serge Latouche e Vandana Shiva. La grande
scommessa
resta comunque quella sul futuro con parole d'ordine quali "rallentare ( i ritmi di vita e di lavoro ) e preservare
le risorse, le città, le persone, sia nel senso ristretto di conservare, sia nel senso ampio di ristrutturare e
ricostruire". Credo che materiale di discussione ce ne sia molto anche per chi non si riconosce nelle parti in
campo ed è con
l'auspicio di aprire un dibattito sulla nostra rivista che vi lascio queste mie righe.
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