Rivista Anarchica Online
A nous la libertè diario a cura di Felice Accame
Il tempo delle mele infilzate sulla spada
Nel 1700, Gatien Courtil de Sandraz pubblica le 1800 pagine delle Memorie di D'Artagnan
(«Mémoires de Mr.
d'Artagnan, capitaine-lieutenant de la première compagnie des Mousquetaires du Roi, contenant
quantité de
choses particuliéres et secrétes qui se sont passées sous le régne de
Louis-le-Grande). A ciò attinge copiosamente
- per non dire che scopiazza allegramente - Alexandre Dumas padre per scrivere i suoi più famosi Tre
moschettieri
(1844), Il visconte di Bragelonne (1845) e Vent'anni dopo (1847). Il primo è ambientato ai tempi del
Richelieu,
il secondo a quelli di Luigi XIV e il terzo torna indietro ai tempi del Mazarino. Giusto ai tempi in cui
Tavernier fa spuntare l'implausibile Eloise, la figlia di D'Artagnan, un film che dal 1993
attende di rovinare la reputazione al suo regista. Per una volta il paratesto (o il contorno, se più vi
garba) è sicuramente più coinvolgente del testo del fikm stesso.
Sembra che Tavernier nutrisse grand'amicizia per Riccardo Freda, regista di cui sarei in difficoltà ad
indicarne
l'opera peggiore che, tuttavia, del proprio palmarès aveva particolarmente in uggia un tragico Il figlio di
D'Artagnan, girato, fra qualche cappa e qualche spada, nel 1949 avvalendosi di un bravo attore come Carlo
Ninchi. Sembra anche che questa amicizia sia sfociata nel progetto comune - riparatore, per Freda - di rimettere
mano alla già stramanipolata materia per riservirla all'apparenza fresca, frizzante di rinnovata
gagliardìa e di
intelligenti ironìe. Come però il Freda si è ritrovato innanzi il musetto imbronciato di
quella Sophie Marceau cui
spiace l'allontanarsi ineluttabile del tempo delle sue mele, sembra che abbia rotto immantinente il sodalizio e
abbia lasciato la patata più bollita che bollente in mano a Tavernier. Che, obtorto collo, ha pertanto
macchiato
una carriera pulita e notevole - illuminata da gioielli come Colpo di spugna o il più recente Legge 627
- con un
imbarazzante ectoplasma. E' così che alla già vasta letteratura dedicata agli eroi invecchiati
e imbolsiti - ma pronti a sborghesirsi nel nome
del primo Bene che capita - si aggiunge anche la modesta avventura di Eloise - la Marceau - che riesce a rimettere
insieme i reumatici moschettieri amici del babbo D'Artagnan - addirittura Philippe Noiret, cui evidentemente,
vengono attribuite proprietà salvifiche - per sventare un improbabilissimo complotto ai danni del cardinale
Mazarino (un Gigi Proietti che, trovandosi lì unico a fare il suo mestiere, si trova a proprio agio) e del
prossimo
Re Sole. Duelli, assalti a monasteri e bevute all'osteria, trasferimenti a cavallo e scorci di «vita quotidiana»
da «nuova
storia» secondo i modelli di Braundel e Le Goff annoiano fino all'epilogo, dove, come nella commedia dell'arte,
i nostri scipiti beniamini respirano di sollievo uno per uno al proscenio. Se si ammettesse - e non si
concedesse - che alla domanda «chi glielo ha fatto fare ?» si sia davvero già risposto,
rimane da considerare il peso di certi sviluppi narrativi che, irrimediabilmente ancorati alle furbizie odierne, non
avrebbero mai e poi mai ottenuto cittadinanza nella narrativa di ieri. Un caso specifico ne è l'arguto
meccanismo
con cui due parti in causa - il Mazarino da una parte e i moschettieri dall'altra - giungono a svelare il mistero del
nobiliare complotto contro il giovane re. Entrambi vi giungono tramite una straordinaria abilità
crittografica,
entrambi scoprono il nome del capo dei congiurati indagando freneticamente su documenti diversi che ritengono
«altro» rispetto a ciò che sembrano, ma, ebbene sì, l'uno ha in mano davvero una pessima poesia
d'amore e l'altro
la lista della lavandaia. A Dumas verrebbe un accidente. Lo schema naturalistico della sua narrazione - fosse
stato anche in vena di far
dello spirito - non avrebbe mai potuto accettare una consimile soluzione. Non certo casualmente si può
risolvere
il medesimo mistero nel medesimo modo da entrambe le parti. Il gusto del paradosso indeterministico, al tempo,
era ben lontano dal profilarsi e ci si affidava a modelli ideologici dalle sembianze più solide. Al massimo
ci si
accontentava di dire che «i tre moschettieri erano quattro».
P.S.: La prolificità si addiceva agli eroi della letteratura popolare. La figlia del corsaro
verde, La figlia di Mata
Hari, Il figlio di Frankestein, Il figlio di Montecristo, Il figlio di Robin
Hood, Il figlio di Tarzan e perfino Il figlio
di Lassi (che, in Italia, solo più tardi si è imparato a scrivere «Lassie») sono soltanto un
modesto campione del
ricco repertorio. Era un moddo sicuro per garantire il seguito. Al giorno d'oggi, preoccupati dai problemi
demografici, nessuno
pensa più ad una "Figlia di Rambo" o ad un "Figlio di James Bond". Il mercato garantisce al padre
mancato la
replica ad libitum di se stesso.
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