Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 26 nr. 229
estate 1996


Rivista Anarchica Online

Ricordando Franco Coggiola
di Marco Cilloni

È difficile ricostruire il rapporto tra un movimento e la propria memoria, soprattutto se la riflessione prende spunto dall' improvvisa dipartita di qualcuno. Questo qualcuno si chiamava Franco Coggiola e, ed è bene dirlo subito, non era un anarchico. Era per il direttore dell'istituto Ernesto De Martino, vale a dire del più grande archivio sonoro della storia delle classi operaia e contadina del nostro paese. Un luogo, non soltanto fisico, dove in oltre 4000 ore di registrazioni effettuate sul campo ed anche in studio, è custodita la gran parte di quello che è stato il vissuto collettivo di coloro che hanno lottato per l'emancipazione delle classi «non egemoni» e dunque anche una parte consistente del percorso del movimento anarchico in Italia.
Li dentro ci sono i canti che hanno costituito un elemento non prescindibile della nostra cultura, e i fogli volanti che, stampati spesso dalle nostre stesse tipografie, sono stati un elemento formidabile di propaganda in anni in cui la diffusione delle notizie era affidata, più che ai giornali, ai cantastorie girovaghi, che sulla pubblica piazza narravano la storia di Sante Caserio oppure di Sacco e Vanzetti, solo per citare due tra le ballate più note che proprio grazie all'istituto e a due sue dirette emanazioni, il Nuovo Canzoniere Italiano e i Dischi del Sole, ci sono giunte. Parlare dei canti anarchici oggi significa affrontare un tema indubbiamente spinoso: Perché dalla metà degli anni '70 in poi si è verificata una vera e propria frattura tra produzione musicale e forme musicali provenienti dal basso, ed ora se facciamo l'esperimento di eseguire di nuovo queste canzoni, rispettandone fedelmente la forma, nel migliore dei casi ci si troverà di fronte a facce discretamente basite, se non a espressioni di vero e proprio fastidio.
Questo succede perché nel corso degli anni il canto di protesta è stato fortemente decontestualizzato ed anche perché le nuove generazioni sono cresciute nel falso mito della sottocultura rock come forma espressiva di un disagio che è sempre meno politico e sempre più esistenziale. Badate bene che questo lo scrive uno che è cresciuto nella sottocultura Punk e che quindi descrive il fenomeno con la coscienza di chi lo ha vissuto dall'interno. I fatto è che noi dobbiamo riprenderci in mano la nostra memoria per essere di nuovo padroni delle nostre modalità di espressione.
Perché una ballata può nascere dal nulla ed ha bisogno di un solo strumento di accompagnamento ( volte basta solo la voce) per potere essere eseguita ovunque. Mentre un pezzo Rock ha comunque bisogno di strumenti di mediazione, quali sono il palco, l'amplificazione, il locale ove suonare ed un mercato che lo riceva.
Da qui, da questo assunto dobbiamo ripartire per ricostruire il rapporto con la nostra memoria, almeno quella musicale.
Perché noi siamo ciò che siamo stati e ciò che saremo, e nessuna delle due tappe può prescindere dall'altra.
Per questo ho voluto ricordare Franco Coggiola, che vedevo spesso con l'inseparabile registratore in mano, fissare su nastro suoni e rumori di innumerevoli manifestazioni. Perché grazie a lui e a quelli come lui il meccanismo bene o male funziona ancora.
Chi si ricorderebbe, a parte gli anarchici, di Giuseppe Pinelli, se non fosse per quella ballata che grazie al lavoro di quegli operatori del folclore, vide la luce, sull'aria del canto su Bava Beccaris? Non molti penso. Quel corpo gettato, che poi è IL NOSTRO CORPO GETTATO, sarebbe probabilmente rimasto uno dei tanti cadaveri di quegli anni, con una propria storia, come ad esempio Zibecchi e Varalli, ma senza uno strumento che ne fissasse l'imperitura memoria ai posteri, fino a travalicare gli oceani. Tempo fa mi è capitato di suonare in pubblico questa canzone insieme ad una band proveniente dal Quebec, che l'aveva appresa là!
Questi sono gli incredibili percorsi sotterranei della musica e della cultura popolare. Ed è grazie a gente come Franco Coggiola che siamo riusciti a mantenere saldi in mano i fili di questi tragitti. Rendiamo grazie a lui e a tutti quelli che hanno dedicato la loro vita a questo per ciò che hanno fatto
Sta a noi adesso continuarne l'opera.