Rivista Anarchica Online
Ricordando Franco Coggiola
di Marco Cilloni
È difficile ricostruire il rapporto tra un movimento e la propria memoria,
soprattutto se la riflessione prende
spunto dall' improvvisa dipartita di qualcuno. Questo qualcuno si chiamava Franco Coggiola e, ed è bene
dirlo
subito, non era un anarchico. Era per il direttore dell'istituto Ernesto De Martino, vale a dire del più
grande
archivio sonoro della storia delle classi operaia e contadina del nostro paese. Un luogo, non soltanto fisico, dove
in oltre 4000 ore di registrazioni effettuate sul campo ed anche in studio, è custodita la gran parte di quello
che
è stato il vissuto collettivo di coloro che hanno lottato per l'emancipazione delle classi «non egemoni»
e dunque
anche una parte consistente del percorso del movimento anarchico in Italia. Li dentro ci sono i canti che hanno
costituito un elemento non prescindibile della nostra cultura, e i fogli volanti
che, stampati spesso dalle nostre stesse tipografie, sono stati un elemento formidabile di propaganda in anni in
cui la diffusione delle notizie era affidata, più che ai giornali, ai cantastorie girovaghi, che sulla pubblica
piazza
narravano la storia di Sante Caserio oppure di Sacco e Vanzetti, solo per citare due tra le ballate più note
che
proprio grazie all'istituto e a due sue dirette emanazioni, il Nuovo Canzoniere Italiano e i Dischi del Sole, ci sono
giunte. Parlare dei canti anarchici oggi significa affrontare un tema indubbiamente spinoso: Perché dalla
metà
degli anni '70 in poi si è verificata una vera e propria frattura tra produzione musicale e forme musicali
provenienti dal basso, ed ora se facciamo l'esperimento di eseguire di nuovo queste canzoni, rispettandone
fedelmente la forma, nel migliore dei casi ci si troverà di fronte a facce discretamente basite, se non a
espressioni
di vero e proprio fastidio. Questo succede perché nel corso degli anni il canto di protesta è
stato fortemente decontestualizzato ed anche
perché le nuove generazioni sono cresciute nel falso mito della sottocultura rock come forma espressiva
di un
disagio che è sempre meno politico e sempre più esistenziale. Badate bene che questo lo scrive
uno che è cresciuto
nella sottocultura Punk e che quindi descrive il fenomeno con la coscienza di chi lo ha vissuto dall'interno. I fatto
è che noi dobbiamo riprenderci in mano la nostra memoria per essere di nuovo padroni delle nostre
modalità di
espressione. Perché una ballata può nascere dal nulla ed ha bisogno di un solo strumento di
accompagnamento ( volte basta
solo la voce) per potere essere eseguita ovunque. Mentre un pezzo Rock ha comunque bisogno di strumenti di
mediazione, quali sono il palco, l'amplificazione, il locale ove suonare ed un mercato che lo riceva. Da qui,
da questo assunto dobbiamo ripartire per ricostruire il rapporto con la nostra memoria, almeno quella
musicale. Perché noi siamo ciò che siamo stati e ciò che saremo, e nessuna delle due
tappe può prescindere dall'altra. Per questo ho voluto ricordare Franco Coggiola, che vedevo spesso
con l'inseparabile registratore in mano, fissare
su nastro suoni e rumori di innumerevoli manifestazioni. Perché grazie a lui e a quelli come lui il
meccanismo
bene o male funziona ancora. Chi si ricorderebbe, a parte gli anarchici, di Giuseppe Pinelli, se non fosse per
quella ballata che grazie al lavoro
di quegli operatori del folclore, vide la luce, sull'aria del canto su Bava Beccaris? Non molti penso. Quel corpo
gettato, che poi è IL NOSTRO CORPO GETTATO, sarebbe probabilmente rimasto uno dei tanti
cadaveri di
quegli anni, con una propria storia, come ad esempio Zibecchi e Varalli, ma senza uno strumento che ne fissasse
l'imperitura memoria ai posteri, fino a travalicare gli oceani. Tempo fa mi è capitato di suonare in
pubblico questa
canzone insieme ad una band proveniente dal Quebec, che l'aveva appresa là! Questi sono gli
incredibili percorsi sotterranei della musica e della cultura popolare. Ed è grazie a gente come
Franco Coggiola che siamo riusciti a mantenere saldi in mano i fili di questi tragitti. Rendiamo grazie a lui e a
tutti quelli che hanno dedicato la loro vita a questo per ciò che hanno fatto Sta a noi adesso
continuarne l'opera.
|