Rivista Anarchica Online
Ritorna L'ecologia della libertà»/2
di Karl-Ludwig Schibel
È facile riconoscere una grande opera filosofica e politica: si mette da parte per dieci quindici anni e poi si legge.
Se il libro
dopo un decennio dà sempre risposte valide ai problemi attuali importanti si tratta di un'opera promettente. Se poi
in questi
dieci anni il mondo è cambiato profondamente, questa indicazione assume quasi un un valore di certezza.
L'ecologia della
libertà è una di queste opere. Quando uscì all'inizio degli anni ottanta fu giustamente
acclamata come la prima grande
teoria della crisi ecologica. L'allarme era stato lanciato già venti anni prima nel 1962, dallo stesso Murray
Bookchin («Our Synthetic Environment»)
e da Rachel Carson («Silent Spring»). A un pubblico in quei giorni ancora circoscritto Bookchin dichiarava che «i bisogni
delle imprese industriali hanno la precedenza sul bisogno degli uomini di aria pulita» e «le leggi più perniciose
del mercato
hanno la precedenza sulle leggi più vincolanti della natura». Nel 1972, a distanza di altri dieci anni, il «Club of
Rome»
pubblicava 'limiti della crescita» la prima grande analisi scientifica delle dinamiche che minacciano la distruzione
permanente della base naturale della vita umana sul nostro pianeta. Ma solo L'ecologia della
libertà ci ha dato un quadro teorico per comprendere le radici della crisi ecologica e le indicazioni
verso una società ecologica. lo sforzo teorico, la precisione del pensiero caratterizzano quest'opera quanto il
desiderio
sfrenato per una società senza dominio e senza gerarchia. Bookchin inserisce la crisi ecologica della nostra epoca
nella
storia umana per dimostrare con grande rigore teorico e ampiezza di riflessione che solo una trasformazione profonda del
rapporto coproduttivo uomo-natura. La società ecologica si fondera sulla razionalità, sull'immaginazione
e su un
umanesimo illuminato. La crisi ecologica non nasce da qualche inclinazione quasi genetica dell'uomo di distruggere
la natura e neanche dall'ascesa
della civilizzazione e della razionalità, ma al contrario dal fatto che non siamo ancora sufficientemente umani,
razionali
e civilizzati. Da quando è uscito L'ecologia della libertà nel 1982 il mondo è
cambiato profondamente. Il crollo quasi totale dei sistemi
autoritari del «socialismo reale» ha convinto molti spiriti una volta critici che oggi non ci sono alternative qualitative allo
status quo e che viviamo quindi in un'epoca «post-ideologica». Il mercato si è dimostrato il più efficiente,
se non il solo
meccanismo per allocare beni e servizi, il profitto come motore di questo meccanismo, fa girare il mondo, la
proprietà
privata dei mezzi di produzione non si può mettere in nessun modo in discussione. È inutile sognare un
mondo migliore:
si tratta di far funzionare al meglio quello esistente. Murray Bookchin non ha mai fatto la minima concessione a questo
«realismo tecocratico» della Realpolitik verde, come
prevale per esempio fra i grunen in Germania, ne al qualunquismo postmoderno che vuole risolvere la crisi ecologica con
cambiamenti dello stile di vita. Con il tono polemico che gli è proprio ha attaccato non solo questo quietismo
opportunista
ma ha anche dimostrato il suo legame profondo con l'anti-umanesimo, la misantropia e il misticismo che caratterizzano
una parte consisitente del movimento ecologico, non solo in America. Dieci anni dopo la pubblicazione della
L'ecologia della libertà in Italia, molte teorie e mode intellettuali postmoderne che
negli ultimi anni sembravano relegare il potere della ragione alla discarica della storia, stanno sfiorendo. Né il
nichilismo
postmoderno, né la morale dei geni della sociobiologia, e neanche il tradizionalismo nascosto dei discepoli di uno
stile di
vita sostenibile hanno saputo dare delle risposte convincenti alla crisi del rapporto uomo-natura della nostra epoca.
L'insistenza imperturbata di Murray Bookchin sul potere della ragione e della fantasia, della scienza e dell'arte di rendere
la società e l'esperienza umana razionali e liberi si rivelerà negli prossimi anni più attuale che mai
e lo renderà riconoscibile
come uno dei grandi pensatori e attivisti autenticamente radicali di questo secolo.
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