Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 219
giugno 1995


Rivista Anarchica Online

Tanto rumore per Internet?
di Filippo Trasatti

Non passa giorno ormai senza che in "TV, alla radio, sui giornali, nei discorsi degli amici o dei passanti, si senta parlare di Internet (1), delle meraviglie telematiche ormai a portata di mano e di tasca. Nella mia scuola, che per tanti aspetti galleggia ancora in pieno fin de siècle scorso, è arrivato da poco il modem, col quale ci collegheremo a Internet. Insomma sembra ormai impossibile muovere un passo senza inciampare in qualche rete. È curioso e sembra soltanto.uno stupido gioco di parole (ma la lingua registra e conserva dei significati segreti dell'immaginario collettivo di cui non si ha piena coscienza che dopo molto tempo da che il cambiamento è awenuto) che delle reti si tenda a vedere soltanto il lato positivo, de/legame, della connessione e non quello della cattura, dell'imprigionamento. Inoltre è difficile sfuggire alla netta impressione di trovarsi al centro del tiro al bersaglio di una campagna pubblicitaria in grande stile condotta con larghezza di mezzi, campagna che sta dando i propri frutti. Le prime reazioni sono di stizza e di fasci nazione. La mia idea è che bisogna sforzarsi di andare oltre l'una e l'altra e per far questo vi propongo un breve viaggio anche bib/iografico. Partiamo dalla curiosità" per finire con la stizza.
Non c'è dubbio che le merci, i prodotti, i servizi che si moltiplicano attorno a noi abbiano un enorme potere di fascinazione. La novità ci attrae per la sua promessa implicita di un mutamento analogico: ad ogni nuovo acquisto, ad ogni nuova esperienza sembra rinnovarsi qualcosa di me. E questo ha a che vedere con la nostra esperienza del tempo. Inoltre le merci, prodotti e servizi e informazioni, solleticano enormemente il mio senso di onnipotenza: soni:> estensioni di me e della mia potenza sul mondo delle cose che in se stesso mi appare ostile. Il problema si fa più serio in un mondo che
cambia così rapidamente da mettere sempre in discussione ciò che siamo, o per dirla altrimenti che minaccia con il mutamento irruente la nostra identità. I legami comunitari che sostenevano le identità stabili di lungo periodo si sono sgretolati nei processi di modernizzazione che si sono accelerati soprattutto a partire dall'inizio del nostro
secolo. Il Nord del pianeta, soprattutto le grandi metropoli, vivono in modo travolgente l'atomizzazione e la scomparsa dei contesti sociali di riferimento stabile. I mass- media rispondono prima di tutto a un bisogno profondo che annoda insieme atomi sociali e poteri: riunificare ciò che la dinamica di modernizzazione ha atomizzato. A che scopo? Ce lo spiegava Alexis de Tocqueville, l'acutissimo teorico liberale, più di un secolo e mezzo fa, parlando owiamente del mass-media determinante per l'epoca in America: "Quando gli uomini non sono più legati tra loro con legami solidi e permanenti, non si può ottenere che una moltitudine intraprenda un'azione comune se non persuadendo quelli, la cui cooperazione è necessaria, che il suo interesse personale lo obbliga ad unire volontariamente i suoi sforzi con quelli di tutti gli altri. Questo non si può fare abitualmente e comodamente, se non con l'aiuto di un giornale: solo un giornale può arrivare ad inculcare in mille teste lo stesso pensiero. Il giornale è il consigliere che non si ha bisogno di andare a cercare, ma che si presenta da solo e vi parla tutti i giorni brevemente degli affari comuni, senza distogliervi dai vostri affari personali. I giornali si fanno quindi sempre più necessari a mano a mano che gli uomini diventano più eguali e l'individualismo più temi bile» (2).
La Tv ha moltiplicato e reso più complesso questo effetto: ogni giorno essa offre una sensazione di com-presenza con milioni di altre persone: un vero e proprio sentimento panico per procura. Ha però un grave difetto: non è interattiva, mentre le reti telematiche promettono soprattutto questo: interattività, possibilità per gli "utenti» di scambiarsi informazione, di essere insomma attivi e partecipi. Dunque, al di là della curiosità per un mondo sconosciuto, per una novità scintillante e promettente, ci sono bisogni sociali profondi: quello di mettersi in comunicazione con altri, il desiderio del legame sociale perduto e della solidarietà, la ricerca di identificazione in gruppi per affinità.
La telematica ha qualcosa che permette a livello immaginario la soddisfazione di entrambi i desideri: quello di onnipotenza ben rappresentato dai computer (3) e quello della comunicazione e del legame con gli altri, promesso dalla pervasità della comunicazione a distanza nella nostra società sempre più dominata dai media. Di questi elementi profondi sia gli apologeti che i critici delle trasformazioni tecnologiche in corso tengono poco conto. Le nuove tecnologie creano subito una divaricazione netta tra apocalittici e integrati, con netta prevalenza oggi di questi ultimi. Dal celebre rapporto di Nora e Minc pubblicato in Francia nel 1978 (quasi vent'anni fa) L'informatizzazione della società (4), pochi hanno dubitato di essere di fronte a una nuova rivoluzione tecnologica, destinata a cambiare, nelle parole dei più esaltati, il volto del pianeta. Ma anche gli osservatori più sobri si sono espressi con toni solenni: "una seconda ondata di tecnologie elettroniche sta per superare, in termini di rilievo sociale, l'ondata caratterizzata dalle tecnologie del personal computer: è l'ondata della telematica. (...) siamo alle soglie della telematica di massa»- così scriveva Giovanni Lariccia (5), uno dei pionieri in Italia dell'informatica applicata alla didattica ma non solo, dieci anni dopo il suddetto rapporto francese. Potremmo citare a iosa le voci più disparate, quasi tutte concordi nell'annunciare le magnifiche sorti e progressive del mondo della telematica. Più rare sono le voci di coloro che distolgono per un momento la sguardo dall' attualità, per fermarsi a riflettere su ciò che sta accadendo. L'ansia di nuovo ci porta ad enfatizzare le differenze e i tempi brevi, a discapito delle analogie e dei tempi lunghi che pur continuano a sussistere. Peppino Ortoleva che è uno dei pochi storici nel panorama italiano ad occuparsi di queste tematiche in modo intelligente e stimolante, suggerisce che per capire e interpretare correttamente la storia dei media bisogna far riferimento al "sistema dei media», piuttosto che ai singoli media. "È vero che ogni nuovo medium introdotto nella società ingenera, per così dire, onde concentriche che si diffondono in tutto l'universo della comunicazione, ma è anche vero che mai (o quasi maQ ci troviamo di fronte a singole innovazioni, all'introduzione separata ed isolata di singole tecnologie ( ... ) Tutt'altro che una trasformazione lineare, la storia delle comunicazioni come sistema appare un percorso accidentato, caratterizzato da processi di cambiamento radicale, a distanza tra loro variabili tra i trenta e i cinquanta anni, con cicli di trasformazione il cui collegamento con i cicli di trasformazione economica e sociale sono ancora in gran parte da chiarire» (6).
I suggerimenti che la storia puq offrire sono così sintetizzabili: raffreddare l'awenimento, il qui e ora, per dargli una dimensione storica; non lasciarsi abbagliare dall'ultima moda dell'ultimo gadget, ma cercare sempre di vedere la totalità del campo mediatico; infine, ma non da ultimo, togliere la tecnologia dallo splendido isolamento di cui la nostra società tecnocratica ama circondarla e rimetterla con i piedi per terra, vale a dire ricollegarla alle dinamiche sociali, economiche, culturali e politiche.
Il rischio è infatti che, abbagliati dallo splendore tecnologico lo si accetti o lo rifiuti incondizionatamente senza vederne le relazioni profonde con altri processi e dimensioni. Il cosiddetto "determinsimo tecnologico», soprattutto per quello che riguarda le cosiddette tecnologie dell'informazione (11), unisce apocalittici e integrati in una visione acritica e ideologica della nostra epoca, vista come una "società dell'informazione». I pericoli di questo approccio sono così sintetizzati da David Lyon:
1. un impiego in senso ideologico del concetto contiene il pericolo di sottovalutare gli interessi costituiti insiti nelle IT, che peraltro contribuiscono in grande misura a delinearne l'orientamento generale. Il concetto di società dell'informazione infatti non presenta alcun riferimento alla dimensione del potere, a chi eserciti il potere;(...)
2. il concetto di società dell'informazione può celare il fatto che le disuguaglianze e i conflitti che appaiono in superficie sono in realtà connessi a contraddizioni che stanno a livello più profondo; (...)
3. l'evento della società dell'informazione viene generalmente presentato come un evento del tutto naturale, il risultato di tendenze evolutive nelle società occidentali. Per quanto possa essere rivoluzionaria nelle conseguenze, rappresentando una nuova era nella storia umana, essa costituirebbe nello stesso tempo l'owio e logico sbocco del futuro» (7).
Qui si toccano due questioni secondo me fondamentali e decisive anche nello scontro politico dei prossimi anni: quella del rapporto tra potere e comunicazione sociale e quella della resistenza al cambiamento.
E qui si ritrova la stizza che sopra avevamo abbandonato, perché tanta è la leggerezza con cui si maneggiano questi temi scivolosi. Gli entusiasti di Internet gridano alla possibilità di una democrazia informatica planetaria, anzi oltre la democrazia, vedono all'opera la mano invisibile dell'anarchia che ordina e disordina poteri e saperi nel villaggio comunitario telematico. Senza aprire qui un discorso che ci porterebbe assai lontano, si può osservare che la tecnologia (8), contrariamente a ciò che molti pensano, non è mai neutra: essa, modificando il rapporto tra uomo e ambiente, crea di fatto un nuovo mondo per gli uomini e ricrea una cultura, rimodella l'immaginario sociale, ridisegna le gerarchie tra poteri e classi. Certo l'ampiezza delle modificazioni cambia in modo decisivo a seconda dell'impatto sociale della tecnologia e dell'epoca di cui stiamo parlando; ma qui penso alle moderne técnologie di punta, a quelle dell'informazione ma anche a quelle genetiche, mediche, che tendenzialmente riguardano l'intero pianeta. Per questo bisogna per quanto possibile cercare di distogliere lo sguardo dalla Medusa tecnologica, per rivolgerlo alternativamente all'insieme delle modificazioni sociali che caratterizzano questo fine secolo. Non è di poco conto che si pensi alle macchine come strumenti per la ripartizione del potere, o per la presa di decisione o infine per la distribuzione di informazioni che sono essenziali per la gestione collettiva. C'è una tendenza in atto all'astrazione e alla smaterializzazione, che sono aspetti parziali della più generale alienazione dal mondo comune della vita: la comunicazione si riduce a informazione, lo scambio a interattività, l'agorà a rete, gli uomini e le donne a utenti della rete integrata di servizi. Si dice che Internet sia incontrollabile, cosa che probabilmente è vera se si pensa alla totalità della rete, ma Foucault ci ha insegnato che non bisogna accontentarsi della visione del potere come occhio divino che vigila su ogni cosa, che controlla ogni cosa come nel Panopticon. Il potere è diffuso, capillare, locale, decentrato; non si limita a reprimere e regolamentare, non è solo negazione ma anche affermazione, produce effetti positivi a livello del corpo e della conoscenza. Non è detto che si limiti a reprimere le forme antagoniste di comunicazione; può ottenere effetti importanti anche incitando a comunicare senza sosta, a non lasciare nulla di in-comunicato e incomunicabile. Oltre a reprimere e a regolamentare la congiunzione tra i corpi umani, può aprire nuovi spazi in cui i corpi si incontrano smaterializzati. È ancora sul versante del rapporto tra corpi e saperi che si gioca la partita maggiore con i poteri: tra chi pensa che la smaterializzazione informatica produca maggiore libertà e chi invece ritiene che essa imprigioni appunto in una rete che, come una riserva indiana, ha regole e libertà interne, ma poca influenza sull'esterno, laddove continua a pesare la gravità dei corpi, l'impenetrabilità dei muri delle prigioni che aumentano, la fatica del vivere quotidiano, tra un collegamento e l'altro. Le automobili, alla fine del secolo scorso considerate poco più di un curioso giocattolo, si sa, hanno cambiato radicalmente il mondo in cui viviamo: esse insieme alle autostrade, come dice il compagno Agnelli, ci hanno dato la libertà di muoverci. Le autostrade dell'informazione, dice il compagno Gore, ci daranno la possibilità di muoverci e di fare tutte le esperienze del viaggio stando a casa propria,
magari awolti in un'erotica tuta da realtà virtuale. Bel passo avanti, preferisco il compagno Agnelli. Ma a parte la difficoltà o meglio il disgusto, in certe situazioni, di scegliere, resta non di meno vero che il manicheismo non aiuta molto a vedere le sfumature del mondo che non chiede il nostro permesso per cambiare, come una macchina che ci sfreccia davanti mentre facciamo autostop. Il compito è difficile, ma decisivo: dobbiamo acquisire la capacità di dire sì e no insieme alla tecnica, di avvicinarci senza lasciarci travolgere dal flusso del cambiamento; in altre parole di scegliere e di creare delle aree (o meglio dei percorsi) di rèsistenza che non siano aree di riserva o di servizio lungo autostrade che stanno trasformando il paesaggio in cartellone pubblicitario. Una sorta di nomadismo, sì, ma non dentro le reti.

1) Chi vuole saperne di più, anche operativamente di Internet, può utilmente leggere il libro di Paolo Attivissimo (pseudonimo), Internet per tutti, Ed. Apogeo, Milano 1994.

2) Tocqueville, La democrazia in America, cit. in P. Ortoleva, Per una storia dei media, Anicia, Roma 1992.

3) Si veda l'importante lavoro di uno dei critici più implacabili ed ostracizzati del computer, Joseph Weizenbaum, Il potere del computer e la ragione umana, Ed. Gruppo Abele, Torino 1987.

4) P. Nora - A. Minc, Convivere con il calcolatore, tr. it., Bompiani, Milano 1979.

5) Giovanni Lariccia, Le radici dell'informatica, Sanso-ni, Firenze 1988.

6) P. Ortoleva, Per una storia dei media, cit. Sempre di Ortoleva segnalo La società dell'informazione, Anicia, Roma 1992 e una recente e interessante intervista concessa alla rivista di Forlì "Una città», n. 39, marzo 1995.

7) D. Lyon, La società dell'informazione, tr. it., Il MuIino, Bologna 1991.

8) Sul tema della mutazione antropologia che le tecnologie comportano si veda il libro interessante di René Berger, Il nuovo Golem, Raffaello Cortina Editore, Milano 1992.