Rivista Anarchica Online
Tanto rumore per Internet?
di Filippo Trasatti
Non passa giorno ormai senza che in "TV, alla radio, sui giornali, nei discorsi degli
amici o dei passanti, si senta
parlare di Internet (1), delle meraviglie telematiche ormai a portata di mano e di tasca. Nella mia scuola, che per
tanti aspetti galleggia ancora in pieno fin de siècle scorso, è arrivato da poco il modem, col quale
ci collegheremo
a Internet. Insomma sembra ormai impossibile muovere un passo senza inciampare in qualche rete. È
curioso e
sembra soltanto.uno stupido gioco di parole (ma la lingua registra e conserva dei significati segreti
dell'immaginario collettivo di cui non si ha piena coscienza che dopo molto tempo da che il cambiamento
è
awenuto) che delle reti si tenda a vedere soltanto il lato positivo, de/legame, della connessione e non quello della
cattura, dell'imprigionamento. Inoltre è difficile sfuggire alla netta impressione di trovarsi al centro del
tiro al
bersaglio di una campagna pubblicitaria in grande stile condotta con larghezza di mezzi, campagna che sta dando
i propri frutti. Le prime reazioni sono di stizza e di fasci nazione. La mia idea è che bisogna sforzarsi di
andare
oltre l'una e l'altra e per far questo vi propongo un breve viaggio anche bib/iografico. Partiamo dalla
curiosità"
per finire con la stizza. Non c'è dubbio che le merci, i prodotti, i servizi che si moltiplicano attorno
a noi abbiano un enorme potere di
fascinazione. La novità ci attrae per la sua promessa implicita di un mutamento analogico: ad ogni nuovo
acquisto,
ad ogni nuova esperienza sembra rinnovarsi qualcosa di me. E questo ha a che vedere con la nostra esperienza
del tempo. Inoltre le merci, prodotti e servizi e informazioni, solleticano enormemente il mio senso di
onnipotenza: soni:> estensioni di me e della mia potenza sul mondo delle cose che in se stesso mi appare
ostile.
Il problema si fa più serio in un mondo che cambia così rapidamente da mettere sempre in
discussione ciò che siamo, o per dirla altrimenti che minaccia con
il mutamento irruente la nostra identità. I legami comunitari che sostenevano le identità stabili
di lungo periodo
si sono sgretolati nei processi di modernizzazione che si sono accelerati soprattutto a partire dall'inizio del nostro
secolo. Il Nord del pianeta, soprattutto le grandi metropoli, vivono in modo travolgente l'atomizzazione e
la
scomparsa dei contesti sociali di riferimento stabile. I mass- media rispondono prima di tutto a un bisogno
profondo che annoda insieme atomi sociali e poteri: riunificare ciò che la dinamica di modernizzazione
ha
atomizzato. A che scopo? Ce lo spiegava Alexis de Tocqueville, l'acutissimo teorico liberale, più di un
secolo e
mezzo fa, parlando owiamente del mass-media determinante per l'epoca in America: "Quando gli uomini non
sono più legati tra loro con legami solidi e permanenti, non si può ottenere che una moltitudine
intraprenda
un'azione comune se non persuadendo quelli, la cui cooperazione è necessaria, che il suo interesse
personale lo
obbliga ad unire volontariamente i suoi sforzi con quelli di tutti gli altri. Questo non si può fare
abitualmente e
comodamente, se non con l'aiuto di un giornale: solo un giornale può arrivare ad inculcare in mille teste
lo stesso
pensiero. Il giornale è il consigliere che non si ha bisogno di andare a cercare, ma che si presenta da solo
e vi parla
tutti i giorni brevemente degli affari comuni, senza distogliervi dai vostri affari personali. I giornali si fanno quindi
sempre più necessari a mano a mano che gli uomini diventano più eguali e l'individualismo
più temi bile» (2). La Tv ha moltiplicato e reso più complesso questo effetto: ogni giorno
essa offre una sensazione di com-presenza
con milioni di altre persone: un vero e proprio sentimento panico per procura. Ha però un grave difetto:
non è
interattiva, mentre le reti telematiche promettono soprattutto questo: interattività, possibilità per
gli "utenti» di
scambiarsi informazione, di essere insomma attivi e partecipi. Dunque, al di là della curiosità per
un mondo
sconosciuto, per una novità scintillante e promettente, ci sono bisogni sociali profondi: quello di mettersi
in
comunicazione con altri, il desiderio del legame sociale perduto e della solidarietà, la ricerca di
identificazione
in gruppi per affinità. La telematica ha qualcosa che permette a livello immaginario la soddisfazione
di entrambi i desideri: quello di
onnipotenza ben rappresentato dai computer (3) e quello della comunicazione e del legame con gli altri, promesso
dalla pervasità della comunicazione a distanza nella nostra società sempre più dominata
dai media. Di questi
elementi profondi sia gli apologeti che i critici delle trasformazioni tecnologiche in corso tengono poco conto.
Le nuove tecnologie creano subito una divaricazione netta tra apocalittici e integrati, con netta prevalenza oggi
di questi ultimi. Dal celebre rapporto di Nora e Minc pubblicato in Francia nel 1978 (quasi vent'anni fa)
L'informatizzazione della società (4), pochi hanno dubitato di essere di fronte a una nuova
rivoluzione
tecnologica, destinata a cambiare, nelle parole dei più esaltati, il volto del pianeta. Ma anche gli
osservatori più
sobri si sono espressi con toni solenni: "una seconda ondata di tecnologie elettroniche sta per superare, in termini
di rilievo sociale, l'ondata caratterizzata dalle tecnologie del personal computer: è l'ondata della
telematica. (...)
siamo alle soglie della telematica di massa»- così scriveva Giovanni Lariccia (5), uno dei pionieri in Italia
dell'informatica applicata alla didattica ma non solo, dieci anni dopo il suddetto rapporto francese. Potremmo
citare a iosa le voci più disparate, quasi tutte concordi nell'annunciare le magnifiche sorti e progressive
del mondo
della telematica. Più rare sono le voci di coloro che distolgono per un momento la sguardo dall'
attualità, per
fermarsi a riflettere su ciò che sta accadendo. L'ansia di nuovo ci porta ad enfatizzare le differenze e i
tempi brevi,
a discapito delle analogie e dei tempi lunghi che pur continuano a sussistere. Peppino Ortoleva che è uno
dei pochi
storici nel panorama italiano ad occuparsi di queste tematiche in modo intelligente e stimolante, suggerisce che
per capire e interpretare correttamente la storia dei media bisogna far riferimento al "sistema dei media», piuttosto
che ai singoli media. "È vero che ogni nuovo medium introdotto nella società ingenera, per
così dire, onde
concentriche che si diffondono in tutto l'universo della comunicazione, ma è anche vero che mai (o quasi
maQ
ci troviamo di fronte a singole innovazioni, all'introduzione separata ed isolata di singole tecnologie ( ... )
Tutt'altro che una trasformazione lineare, la storia delle comunicazioni come sistema appare un percorso
accidentato, caratterizzato da processi di cambiamento radicale, a distanza tra loro variabili tra i trenta e i
cinquanta anni, con cicli di trasformazione il cui collegamento con i cicli di trasformazione economica e sociale
sono ancora in gran parte da chiarire» (6). I suggerimenti che la storia puq offrire sono così
sintetizzabili: raffreddare l'awenimento, il qui e ora, per dargli
una dimensione storica; non lasciarsi abbagliare dall'ultima moda dell'ultimo gadget, ma cercare sempre di vedere
la totalità del campo mediatico; infine, ma non da ultimo, togliere la tecnologia dallo splendido
isolamento di cui
la nostra società tecnocratica ama circondarla e rimetterla con i piedi per terra, vale a dire ricollegarla alle
dinamiche sociali, economiche, culturali e politiche. Il rischio è infatti che, abbagliati dallo splendore
tecnologico lo si accetti o lo rifiuti incondizionatamente senza
vederne le relazioni profonde con altri processi e dimensioni. Il cosiddetto "determinsimo tecnologico»,
soprattutto per quello che riguarda le cosiddette tecnologie dell'informazione (11), unisce apocalittici e integrati
in una visione acritica e ideologica della nostra epoca, vista come una "società dell'informazione». I
pericoli di
questo approccio sono così sintetizzati da David Lyon: 1. un impiego in senso ideologico del concetto
contiene il pericolo di sottovalutare gli interessi costituiti insiti
nelle IT, che peraltro contribuiscono in grande misura a delinearne l'orientamento generale. Il concetto di
società
dell'informazione infatti non presenta alcun riferimento alla dimensione del potere, a chi eserciti il potere;(...)
2. il concetto di società dell'informazione può celare il fatto che le disuguaglianze e i conflitti
che appaiono in
superficie sono in realtà connessi a contraddizioni che stanno a livello più profondo; (...) 3.
l'evento della società dell'informazione viene generalmente presentato come un evento del tutto naturale,
il
risultato di tendenze evolutive nelle società occidentali. Per quanto possa essere rivoluzionaria nelle
conseguenze,
rappresentando una nuova era nella storia umana, essa costituirebbe nello stesso tempo l'owio e logico sbocco
del futuro» (7). Qui si toccano due questioni secondo me fondamentali e decisive anche nello scontro politico
dei prossimi anni:
quella del rapporto tra potere e comunicazione sociale e quella della resistenza al cambiamento. E qui si
ritrova la stizza che sopra avevamo abbandonato, perché tanta è la leggerezza con cui si
maneggiano
questi temi scivolosi. Gli entusiasti di Internet gridano alla possibilità di una democrazia informatica
planetaria,
anzi oltre la democrazia, vedono all'opera la mano invisibile dell'anarchia che ordina e disordina poteri e saperi
nel villaggio comunitario telematico. Senza aprire qui un discorso che ci porterebbe assai lontano, si può
osservare
che la tecnologia (8), contrariamente a ciò che molti pensano, non è mai neutra: essa, modificando
il rapporto tra
uomo e ambiente, crea di fatto un nuovo mondo per gli uomini e ricrea una cultura, rimodella l'immaginario
sociale, ridisegna le gerarchie tra poteri e classi. Certo l'ampiezza delle modificazioni cambia in modo decisivo
a seconda dell'impatto sociale della tecnologia e dell'epoca di cui stiamo parlando; ma qui penso alle moderne
técnologie di punta, a quelle dell'informazione ma anche a quelle genetiche, mediche, che tendenzialmente
riguardano l'intero pianeta. Per questo bisogna per quanto possibile cercare di distogliere lo sguardo dalla Medusa
tecnologica, per rivolgerlo alternativamente all'insieme delle modificazioni sociali che caratterizzano questo fine
secolo. Non è di poco conto che si pensi alle macchine come strumenti per la ripartizione del potere, o
per la presa
di decisione o infine per la distribuzione di informazioni che sono essenziali per la gestione collettiva. C'è
una
tendenza in atto all'astrazione e alla smaterializzazione, che sono aspetti parziali della più generale
alienazione
dal mondo comune della vita: la comunicazione si riduce a informazione, lo scambio a interattività,
l'agorà a rete,
gli uomini e le donne a utenti della rete integrata di servizi. Si dice che Internet sia incontrollabile, cosa che
probabilmente è vera se si pensa alla totalità della rete, ma Foucault ci ha insegnato che non
bisogna accontentarsi
della visione del potere come occhio divino che vigila su ogni cosa, che controlla ogni cosa come nel Panopticon.
Il potere è diffuso, capillare, locale, decentrato; non si limita a reprimere e regolamentare, non è
solo negazione
ma anche affermazione, produce effetti positivi a livello del corpo e della conoscenza. Non è detto che
si limiti
a reprimere le forme antagoniste di comunicazione; può ottenere effetti importanti anche incitando a
comunicare
senza sosta, a non lasciare nulla di in-comunicato e incomunicabile. Oltre a reprimere e a regolamentare la
congiunzione tra i corpi umani, può aprire nuovi spazi in cui i corpi si incontrano smaterializzati.
È ancora sul
versante del rapporto tra corpi e saperi che si gioca la partita maggiore con i poteri: tra chi pensa che la
smaterializzazione informatica produca maggiore libertà e chi invece ritiene che essa imprigioni appunto
in una
rete che, come una riserva indiana, ha regole e libertà interne, ma poca influenza sull'esterno, laddove
continua
a pesare la gravità dei corpi, l'impenetrabilità dei muri delle prigioni che aumentano, la fatica del
vivere
quotidiano, tra un collegamento e l'altro. Le automobili, alla fine del secolo scorso considerate poco più
di un
curioso giocattolo, si sa, hanno cambiato radicalmente il mondo in cui viviamo: esse insieme alle autostrade, come
dice il compagno Agnelli, ci hanno dato la libertà di muoverci. Le autostrade dell'informazione, dice il
compagno
Gore, ci daranno la possibilità di muoverci e di fare tutte le esperienze del viaggio stando a casa propria,
magari awolti in un'erotica tuta da realtà virtuale. Bel passo avanti, preferisco il compagno Agnelli.
Ma a parte
la difficoltà o meglio il disgusto, in certe situazioni, di scegliere, resta non di meno vero che il
manicheismo non
aiuta molto a vedere le sfumature del mondo che non chiede il nostro permesso per cambiare, come una macchina
che ci sfreccia davanti mentre facciamo autostop. Il compito è difficile, ma decisivo: dobbiamo acquisire
la
capacità di dire sì e no insieme alla tecnica, di avvicinarci senza lasciarci travolgere dal flusso
del cambiamento;
in altre parole di scegliere e di creare delle aree (o meglio dei percorsi) di rèsistenza che non siano aree
di riserva
o di servizio lungo autostrade che stanno trasformando il paesaggio in cartellone pubblicitario. Una sorta di
nomadismo, sì, ma non dentro le reti.
1) Chi vuole saperne di più, anche operativamente
di Internet, può utilmente leggere il libro di Paolo Attivissimo (pseudonimo), Internet
per tutti, Ed. Apogeo, Milano 1994.
2) Tocqueville, La democrazia in America, cit. in P. Ortoleva, Per
una storia dei media, Anicia, Roma 1992.
3) Si veda l'importante lavoro di uno dei critici più implacabili ed ostracizzati
del computer, Joseph Weizenbaum, Il potere del computer
e la ragione umana, Ed. Gruppo Abele, Torino 1987.
4) P. Nora - A. Minc, Convivere con il calcolatore, tr. it., Bompiani, Milano
1979.
5) Giovanni Lariccia, Le radici dell'informatica, Sanso-ni, Firenze 1988.
6) P. Ortoleva, Per una storia dei media, cit. Sempre di Ortoleva segnalo
La società dell'informazione, Anicia, Roma 1992 e una recente
e interessante intervista concessa alla rivista di Forlì "Una città», n. 39, marzo 1995.
7) D. Lyon, La società dell'informazione, tr. it., Il MuIino, Bologna
1991.
8) Sul tema della mutazione antropologia che le tecnologie comportano si veda il libro
interessante di René Berger, Il nuovo Golem,
Raffaello Cortina Editore, Milano 1992.
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