Rivista Anarchica Online
Una conversazione stimolante:
Chomsky e Foucault
di Valerio A. Scrima
Cosa succede quando due tra i massimi pensatori, originali e
spregiudicati, del novecento si incontrano e
conversano tra loro? (Noam Chomsky - Michel Foucault, Giustizia e natura
umana, a cura di Salvo Vaccaro,
La palma/Associate, Palermo/Roma, 1994, pp. 88, L. 23.000). E cosa hanno in comune il
linguista più noto del
mondo e l'autore della "Storia della follia»; il polemista politologo più censurato
d'America, accanito accusatore
delle menzogne di tutti gli inquilini della Casa Bianca e di Capitol Hill, e il filosofo
post-nietzschiano più brillante
e più eretico dell'eclettico pensiero francese contemporaneo? Il libertario ebreo che
cumula in sé due minoranze
facendone un cocktail incredibilmente sovversivo, e l'omosessuale raffinato il cui pensare
è specificamente legato
alle pratiche politiche dei vinti della terra (esclusi, pazzi, detenuti, profughi, ribelli, autori
maledetti. .. )? . Succede quel che e accaduto una sera del 1971 a Eindhoven, di fronte a
un pubblico di studenti e telespettatori
olandesi. Chomsky e Foucault hanno discusso per un paio d'ore, una buona metà
delle quali intorno alla "natura
umana", il primo rivendicandone la fondatezza della ricerca, e il secondo l'elemento di
discorsività storica che
ciascuna epoca ha avuto del concetto di natura umana. Chomsky individua nella
specifica competenza linguistica che caratterizza ogni individuo una base naturale,
sostanzialmente radicata nella mente umana, da cui poter identificare cosa sia naturale e cosa
sia costruito
storicamente dall'umanità. Ciò gli consente di enucleare tappe di
apprendimento e di evoluzione degli individui
nelle fasi di crescita, collegando in un filo ideale Cartesio, von Humboldt, Kropotkin e
Piaget. Foucault non si dimostrò, in quell'occasione, totalmente in disaccordo,
dato che si muoveva lungo un percorso
differenziato di analisi. Il suo interesse, infatti, era quello di scavare le ragioni che
sottostanno all'evidenza di
significato che noi ereditiamo in alcune parole e in alcune cose. Foucault dimostra come il
loro significato sia
riconducibile a specifiche griglie di sapere che innervano il loro senso storico sino a
costituirle in discorsi
dominanti, che hanno trionfato su altri esclusi ma pure plausibili, secondo un gioco che ha
per posta non la
scoperta di una verità eterna, indipendente, che è lì pronta per essere
svelata, verità quindi naturale, bensì la
formazione di regole che designano cosa sia vero e cosa non lo sia in base a procedure di
determinazione rivelate
da Foucault. Passando da questo piano di discussione ad un tavolo politico, proprio
Foucault contesta l'idea di giustizia come
un orizzonte ideale cui approssimarsi e dal cui criterio individuare politiche giuste o ingiuste.
Poiché la giustizia,
afferma in contrasto a Chomsky, non è un discorso neutro rispetto ai criteri ed alle
regole che la producono sia
sul piano concreto (ad esempio, organizzazione della giustizia), sia su quello simbolico (cosa
sia giusto per una
collettività in una data epoca, ad esempio). In altre occasioni, Foucault ha dimostrato
come la semplice
scenografia di un'aula di tribunale indichi il concetto di giustizia che viene affermato
lì dentro, indipendentemente
dai contenuti di giustizia (prove, procedimento, ecc.), poiché, in ultima analisi,
nessun ideale futuro può dirsi
esente dai principi attuali di un'epoca. Da qui lo scontro tra Foucault e Chomsky sulla
nozione di utopia (non di slancio utopico), poiché per Foucault
la prefigurazione di una realtà altra è già inquinata da elementi del
presente che l'utopia intende abbandonare.
D'altro canto, Chomsky riconferma che un criterio di valutazione delle politiche si
rifà immancabilmente ad una
certa idea di giustizia che pre-esiste alle pratiche politiche e a cui tendono quelle correnti
radicali e rivoluzionarie
che si propongono una trasformazione qualitativa, e non meramente sostitutiva, dei sistemi
che organizzano la
realtà in un modo piuttosto che in un altro. Nella sua introduzione, Salvo
Vaccaro, infine, collega i due luoghi teorici degli autori a colloquio, sottolineandone
affinità e differenze, anche in relazione alle rispettive produzioni teoriche che in
quegli anni Foucault e Chomsky
andavano effettuando, ed alla critica che si è soffermata sugli "esiti" di quella ormai
lontana conversazione.
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