Rivista Anarchica Online
Per l'anarco-capitalismo
di Guglielmo Piombini
In Italia non esiste. Negli USA, invece, vi è un Partito Libertario che si ispira ai
teorici dell'anarco-capitalismo, un filone di pensiero sviluppatosi negli ultimi decenni e
duramente criticato dal pur variegato
anarchismo americano. Ora un sostenitore delle tesi anarco-capitaliste ci scrive una lettera e
sollecita il dibattito. Ecco il suo intervento e (a pag. 21) una prima replica che abbiamo
chiesto a Pietro
Adamo
Cari amici della «Rivista Anarchica», vorrei
complimentarmi per la vostra rivista, che spesso acquisto e leggo con estremo interesse.
Personalmente
mi ha sempre affascinato la teoria dell'anarchismo, soprattutto nella sua versione
individualista, sulla quale
sto svolgendo alcune ricerche. Mi rendo conto che questa forma di anarchismo è
sempre stata minoritaria (almeno in Europa) rispetto
all'anarco-socialismo, tuttavia, nelle considerazioni che seguono, vorrei mettere in luce alcuni
caratteri di
maggior coerenza dottrinale, e anche di maggior realismo, propri della prima rispetto alla
seconda. Spero così di contribuire, con la massima pacatezza, al dibattito
teorico, cercando di rendere anche a voi
anarchici collettivisti un po' meno «indigesto» l'anarchismo individualista, soprattutto nelle
sue versioni
moderne, denominate più propriamente anarco-liberismo o anarco-capitalismo. Ho
notato infatti, con
rammarico, che la vostra attenzione per l'anarco-capitalismo e per i libertarians
americani è molto scarsa, e
nei rari casi in cui queste posizioni vengono prese in considerazione, i giudizi sono sempre
estremamente
negativi. Eppure le radici di questa corrente culturale si ricollegano direttamente, oltre che ai
classici autori
liberisti, alla tradizione anarco-individualista americana ottocentesca di Josiah Warren,
Lysander Spooner,
Benjamin Tucker; inoltre, nelle opere dei libertarians statunitensi, riecheggia
spesso quello stesso afflato
libertario presente in certe straordinarie pagine antistataliste di Proudhon, di Godwin o di
Bakunin. Nel breve saggio che segue vorrei quindi brevemente riassumere i punti
fondamentali della dottrina anarco-capitalista, per poi svolgere un confronto su quei punti di
dissidio con l'anarchismo comunistico classico. L'anarco-capitalismo, che negli Stati
Uniti ha raggiunto livelli notevoli di elaborazione teorica grazie
soprattutto a studiosi come Murray Rothbard e David Friedman, si pone, ad un tempo, come
negatore assoluto
dello Stato e come strenuo sostenitore della proprietà privata e del libero mercato.
In ciò possiamo trovare una netta differenza rispetto ad altre forme di
anarchismo individualistico, quali
quelle illegalistiche stirneriane, nietzschiane o stile banda Bonnot, che non riconoscono la
libertà e la
proprietà privata altrui, e che giustificano quindi in qualche modo l'attentato o
l'esproprio violento. Al
contrario, per gli anarchici-liberisti, gli uomini nascono con dei diritti assoluti sulla propria
persona, sui frutti
del proprio lavoro e su tutto ciò che si ottiene, senza violenza e senza frode, per
contratto e dono. Nessun altro
uomo o gruppo di uomini, quand'anche rappresentassero la maggioranza, può
permettersi di violare questi
diritti naturali. Partendo da queste premesse, gli anarchici-capitalisti individuano nello Stato
il principale
violatore di questi diritti, e affermano che esso nella sostanza in nulla si differenzia da una
organizzazione
criminale, essendo tenuto in piedi da un sistema di tasse che altro non sono se non una forma
legalizzata di
estorsione o di furto.
Associazione per delinquere
Per gli anarco-capitalisti lo Stato rappresenta la
più vasta e importante associazione per delinquere di tutti i tempi,
molto più efficiente e pericolosa di qualsiasi altra mafia della Storia; non vi è
infatti ombra di dubbio che il male
e i danni arrecati ai cittadini dalle bande criminali private è qualcosa di irrilevante, se
lo si confronta con gli orrori
provocati dalle classi politiche e governanti: genocidi, bagni di sangue, guerre, crisi
economiche, confische,
schiavitù, carestie, distruzioni massicce (1). Lo Stato, spiega Rothbard, è
solo un'organizzazione di individui che
hanno concordato tra loro di farsi chiamare in questo modo, allo scopo di esercitare sugli altri
il monopolio legale
della violenza e della estorsione dei fondi. Costoro sono gli unici individui della nostra
società che si procurano
le entrate non perché qualcuno li paghi volontariamente per i loro servigi, ma con la
costrizione, ovverosia con
la minaccia della prigione o della fucilazione (2). «Se un privato viene da me e mi dice:
"Ti fornisco certi servizi, che tu li voglia o meno, e quindi mi devi
pagare", parliamo di un tentativo di estorsione», osserva David Friedman, «ma se un governo
si comporta allo
stesso modo, allora parliamo di tassazione. Da un punto di vista etico, non vedo alcuna
differenza tra i due
casi. O li accettiamo entrambi o li respingiamo. Per questo, nessun governo oggi esistente,
compresi quelli
democratici, può essere considerato legittimo, dato che un'azione criminale non cessa
di essere tale solo
perché una maggioranza l'approva o la condanna». Tutte le ideologie sorte fino
ad ora hanno tuttavia cercato di dimostrare il contrario, Il compito di spiegare che
i delitti commessi dagli individui sono esecrabili, mentre quelli identici commessi su larga
scala dallo Stato
sono giusti, è stato svolto, dalle epoche più antiche fino ad oggi, dagli
intellettuali pagati dallo Stato che, nel
corso dei secoli, nella loro veste via via di sacerdoti, ideologi, scienziati, ecc. si sono dedicati
con zelo a
convincere le popolazioni che le depredazioni e le violenze dello Stato sono necessarie e
benefiche per la
società e che quindi vanno perdonate. I pretesti e le ideologie possono cambiare, ma
il contenuto del
messaggio è sempre stato questo. Tutte le ideologie comparse finora, da quelle
teocratiche a quelle
imperialiste, nazionaliste, comuniste, socialiste o democratiche, sono state varianti di grado,
ma non di
principio, di questo comune modello di tirannia statalista, che sacrifica l'individuo ad una
qualche entità
superiore, in base al principio che il Bene è ciò che è bene per la
società (o la razza, o la nazione, o la classe, o
la maggioranza), e gli editti governativi ne sono la manifestazione indubitabile (3).
Invece che da una struttura burocratica monopolistica e coercitiva, tutte le funzioni oggi
esercitate dallo Stato,
comprese l'istruzione, la cura dei malati, la costruzione di strade, la battitura delle monete,
l'assistenza ai
poveri, e perfino le funzioni poliziesche e giudiziarie, possono essere svolte in maniera
infinitamente più
morale ed efficiente da agenzie private in concorrenza tra loro, mediante contratti volontari
stipulati con gli
utenti e i consumatori, fatti osservare da tribunali privati di arbitrato in un libero mercato.
Nessun tutore In una
società siffatta, dunque, non esiste una sfera pubblica, non esiste la politica, non
è ammessa la coercizione.
Tutti i rapporti tra gli individui sono fondati esclusivamente su base contrattuale e volontaria.
«Nella società ideale
non vi sarebbero più regolamenti, servizio di leva obbligatorio, sicurezza sociale,
polizia statale, ragion di stato»,
spiega David Friedman, «tutte le funzioni attualmente devolute all'apparato coercitivo dello
Stato sarebbero
esercitate da un insieme di comunità e imprese private che offrirebbero i loro servizi
su una base contrattuale
(sempre revocabile) nel quadro di un sistema di concorrenza generalizzata tale da garantire a
ognuno la libertà
di scelta ... Chi volesse aiutare il suo prossimo lo farebbe, ma ricorrendo a organizzazioni
contrattuali e volontarie,
e non a superstrutture arbitrarie ed autoritarie ... Chi volesse vivere secondo una concezione
"virtuosa" della
società sarebbe libero di farlo associandosi con altre persone d'accordo con lui, ma
senza per questo imporre la
sua concezione a chi avesse un'idea diversa della morale umana ... Nessuno, infine, avrebbe il
diritto di costringere
chicchessia a fare o pensare qualche cosa, anche in nome di principi "democratici" che spesso
non sono altro che
la negazione della libertà delle minoranze ... » (4). Aggiunge Rothbard: « Noi
rifiutiamo definitivamente l'idea che la gente abbia bisogno di un tutore che la protegga
da se stessa e che le dica ciò che è bene e ciò che è male. In
una società libertaria niente vieterebbe la droga, il
gioco d'azzardo, la pornografia, la prostituzione, le deviazioni sessuali, tutte attività
che non costituiscono delle
aggressioni violente nei confronti degli altri. A differenza di altre correnti di pensiero, siano
esse di sinistra o di
destra, noi rifiutiamo di riconoscere allo Stato il diritto legale di fare ciò che verrebbe
considerato illegale,
immorale o criminale se fatto da qualcun altro. Le tasse, il servizio militare, la guerra ... sono
forme intollerabili
di violenza con cui alcuni gruppi privilegiati impongono agli altri la loro concezione del
mondo. Ciò che noi
difendiamo è il diritto inalienabile e fondamentale di ciascuno alla protezione da ogni
forma di aggressione
esterna, provenga essa da individui privati o dallo Stato» (5). Queste citazioni
dovrebbero dimostrare sufficientemente l'ingenerosità della accuse rivolte dagli
anarchici di
sinistra agli anarchici liberisti di essere reazionari o «poco preoccupati di altre
libertà che non siano quelle del
capitalismo».
Agenzie o governo A ben
guardare poi, l'anarco-capitalismo si rivela, sotto un certo punto di vista, più coerente
dell'anarchismo
collettivistico. Sappiamo che il liberalismo classico sosteneva lo Stato minimo, cioè
assente nel suo lato
strutturale (l'economia) e presente nel suo aspetto sovrastrutturale (la polizia, la giustizia). Lo
Stato guardiano-notturno ideato dai liberali del secolo scorso si sarebbe dovuto limitare alla
protezione delle persone e delle
proprietà degli individui senza intervenire nella sfera economica. Anche l'anarchismo
comunistico classico, in
fin dei conti, propugna una sorta di Stato minimo, sorprendentemente invertito rispetto allo
stato liberale
ottocentesco, e cioè assente dal lato sovrastrutturale, ma presente nella sfera
strutturale. Nell'anarco-comunismo
lo «Stato» (o comunque una qualche autorità collettiva) si astiene dall'esercitare
funzioni poliziesche o giudiziarie,
ma amministra le ricchezze della collettività. Solo l'anarco-capitalismo, con la
massima coerenza, esclude
qualsiasi intervento di governo sia a livello strutturale che sovrastrutturale. E' vero che gli
anarco-comunisti
potrebbero obiettare che le agenzie di protezione della società anarchico-capitalista
svolgono di fatto funzioni
«statali». Vi sono però differenze sostanziali tra queste agenzie e il governo, in
quanto esse non svolgono tale
funzione monopolisticamente, né hanno alcuna legittimazione a finanziarsi
coercitivamente: esse si limitano a
tutelare la persona e i beni di coloro che contrattualmente ne desiderano diventare clienti (6) .
Ad ogni modo, lo scoglio teorico che l'anarchismo collettivistico non è ancora
riuscito del tutto a superare è il
seguente: in assenza di proprietà privata, dove dunque tutto appartiene a tutti, in che
modo si decide sui criteri
di amministrazione e distribuzione delle risorse comuni, se si rifiuta la regolamentazione di
una qualche autorità
pubblica? Le strade possibili sono due: la prima si basa sulla teoria, alquanto irrealistica e
ingenua, dell'uomo
naturaliter buono, una volta cambiate le istituzioni repressive sociali: in una
società di questo tipo, si dice, gli
uomini fraternamente e spontaneamente si dividerebbero i beni con equità e senza
alcuna coazione. In verità ipotesi di anarchia collettivista le possiamo ritrovare
anche oggi in talune situazioni tipiche riguardanti
la proprietà dei mari, dei fiumi, dei laghi, dell'atmosfera, delle spiagge, di alcune
specie di animali in via di
estinzione. Tutti questi beni si caratterizzano per l'assenza di diritti di proprietà
privati su di essi e per la loro
appartenenza alla collettività nel suo complesso. Posto che la regolamentazione
statale risulta di fatto inesistente,
inapplicabile o in applicata, questi beni si trovano in uno stato giuridico di comunismo
anarchico, in quanto tutti
ne possono usufruire a piacimento, ma il risultato è totalmente e
drammaticamente inefficiente.
Vacche e bisonti Questi beni
collettivi sono inquinati proprio perché, essendo di tutti, nessuno ha interesse a
sforzarsi per
mantenerli puliti e in ordine. Il fatto che i mari appartengano a tutti spiega il progressivo
spopolamento ittico:
nessun pescatore ha interesse ad autolimitarsi nella quantità pescata, a fare
investimenti di ripopolazione, o a
dedicarsi a colture idriche, perché non è detto che sarà lui a
beneficiare di tali sforzi. La razzia rapida e
indiscriminata, compiuta prima del sopraggiungere di altri pescatori, rappresenta
inevitabilmente, in una
situazione di comunismo anarchico dei mari, la condotta più razionale. Il
comportamento dei pescatori diverrebbe molto più responsabile e socialmente
benefico se ad essi fossero attribuiti, similmente ai contadini
e agli allevatori, diritti di proprietà su determinate aree marittime o su determinati
branchi di pesci. La
sorveglianza dei proprietari costituirebbe anche un ottimo deterrente contro il disastroso
inquinamento delle
acque provocato, ad esempio, dalle petroliere (si è mai vista una fabbrica scaricare
impunemente i propri
rifiuti in un giardino o in un terreno privato altrui?). Nei confronti degli oceani oggi ci
troviamo nella stessa
situazione in cui si trovava l'Uomo di Neanderthal rispetto al suo territorio: non abbiamo
ancora compiuto la
rivoluzione neolitica, quella che sostituì, ad un sistema economico preistorico basato
sulla caccia e sulla
raccolta dei frutti spontanei, altamente inefficiente e devastante per l'ambiente circostante, un
sistema molto
più civilizzato fondato sull'allevamento e l'agricoltura. Le medesime conclusioni
valgono per la scomparsa di altre specie animali: rischiano l'estinzione tutte e solo
quelle specie animali di proprietà pubblica, massacrate dai bracconieri. Al contrario,
bovini e suini non si
estingueranno mai, malgrado l'altissimo consumo delle loro carni perché gli allevatori
proprietari hanno tutto
l'interesse a mantenere inalterato il valore futuro del proprio capitale. La diversa sorte
capitata durante il
secolo scorso negli Stati Uniti alle vacche (in proprietà privata) e ai bisonti (di
proprietà collettiva), oggi
pressoché scomparsi, dovrebbe essere d'esempio. Si può ricordare un altro
caso significativo, meno noto ma
più recente: mentre in Kenya gli elefanti, protetti nelle riserve statali, stanno
pressoché estinguendosi, nello
Zimbabwe, dove si è scelto di attribuirli in proprietà alle tribù, il loro
numero è notevolmente aumentato. In
breve, è inquinato e va in rovina ciò che è di tutti, mentre i beni che
appartengono a qualcuno vengono curati,
migliorati e incrementati nel loro valore.
Homo oeconomicus Rifiutando
aprioristicamente la proprietà privata, la seconda via che gli anarchici collettivisti
possono proporre
per venire a capo e risolvere queste «tragedie dei beni collettivi», è quella di
attribuire un potere di
regolamentazione delle risorse ad una qualche autorità pubblica. Tuttavia, se queste
decisioni non sono prese
all'unanimità, occorrerà decidere a maggioranza, ed ecco ricomparire il
Leviatano statale. Le contraddizioni in cui si dibatte il pensiero anarchico-collettivista
sono ben rese in un brano del romanzo
«The Anarchists» del famoso anarchico John Henry MacKay, dove un
anarchico individualista insiste con un
anarchico comunista perché risponda a questa domanda: «Nel sistema sociale che tu
chiami "libero
comunismo", impediresti a individui di scambiarsi il loro lavoro mediante il loro mezzo di
scambio? E
inoltre: impediresti loro di occupare la terra per uso personale?» Il romanzo continua: «Non
era possibile
aggirare il problema. Se avesse risposto "Sì", avrebbe ammesso che la
società ha diritto al controllo
sull'individuo e avrebbe buttato a mare l'autonomia dell'individuo da lui sempre difesa con
zelo; se, d'altro
canto, avesse risposto "No!" avrebbe ammesso il diritto alla proprietà privata che
aveva appena confutato con
tanta enfasi ... Allora rispose: "Nell'anarchia ogni gruppo di persone deve avere diritto di
formare
un'associazione volontaria, e di attuare così nella pratica le sue idee. E non posso
neppure capire come uno
possa essere secondo giustizia scacciato dalla terra e dalla casa che usa e occupa ... ogni
uomo serio deve
dichiararsi: per il socialismo, e quindi per la forza e contro la libertà, o per l'anarchia,
e quindi per la libertà e
contro la forza"» (7) . Gli anarchici che rifiutano questo dilemma ricadono
inevitabilmente, come si è detto, nella teoria dell'uomo
buono per natura. E qui l'anarchismo liberista sembra segnare un altro punto rispetto a quello
comunista, non
solo sotto il profilo della coerenza, per le ragioni sopra esposte, ma anche sotto quello del
realismo, perché
per funzionare non pretende alcuna modifica della natura umana, non vuole creare l'uomo
nuovo, com'è nella
logica del gulag, e basa tutta la sua analisi sul paradigma scientifico, e non romantico,
dell'homo
oeconomicus, essenzialmente egoistico e razionale.
Confronto fruttuoso Gli
anarchici socialisti dovrebbero quindi ripensare il proprio atteggiamento di condanna nei
confronti della
proprietà privata, riconoscendo il valore liberatorio per l'individuo del libero mercato
entro il quale noi
esprimiamo la maggior parte delle nostre azioni e opzioni esistenziali quotidiane veramente
autonome, cioè
sottratte a controlli esterni. Libero mercato significa infatti sovranità degli individui
in quanto consumatori. In
un plebiscito ripetuto ogni giorno, dove ogni soldo dà diritto ad un voto, i
consumatori decidono chi deve
possedere e gestire le fabbriche, i negozi, le fattorie. Nel libero mercato la ricchezza
può essere acquisita in un solo modo servendo nel miglior modo possibile e a
minor costo i bisogni della gente. Coloro che soddisfano i bisogni di un numero maggiore di
persone ricevono
più voti-denaro di coloro che soddisfano il bisogno di un minor numero di persone. I
capitalisti perdono
immediatamente il loro denaro se lo investono in quelle attività che non soddisfano le
esigenze del pubblico.
Solo nel libero mercato dunque il controllo dei mezzi materiali di produzione è
soggetto al controllo sociale,
cioè alla conferma o alla revoca da parte dei consumatori, nel cui giudizio sono
assolutamente sovrani (8). Rifiutare il libero mercato significa dunque espropriare i
consumatori di questo immenso potere di direzione
della produzione, per conferirlo ad una qualche altra autorità, magari composta dai
produttori stessi, i quali lo
eserciterebbero discrezionalmente, prescindendo dai nostri gusti, dalle nostre preferenze,
dalle nostre scelte
(col rischio di ritrovarsi in un sistema pianificato simile a quello sovietico, nel quale i
consumatori erano poco
più che inermi supplici di fronte a produttori indifferenti non per cattiveria ma
perché privi di qualsiasi
incentivo economico ad assecondare le domande degli acquirenti). Inutile aggiungere
che, con tutta probabilità, in una società anarco-capitalista la povertà
costituirebbe un
problema molto minore di quanto non lo sia adesso, dato che lo sviluppo economico, non
più frenato dalle
intromissioni e dalle regolamentazioni governative, diverrebbe travolgente. Inoltre i
sentimenti di solidarietà e
aiuto reciproco si rivaluterebbero e tornerebbero ad acquisire il loro autentico valore morale
di scelte
volontarie e personali. Oggi, dove l'assistenza è affidata a strutture burocratiche
corrotte, inefficienti e impersonali, la nostra reazione
davanti alla povertà è quella di dire «Perché lo Stato non
interviene?». Nella società veramente libera
immaginata dagli anarchici liberisti non sarà più possibile lavarsi la
coscienza in questo modo, né si potrà
imputare al «sistema» la causa di ogni problema: occorrerebbe invece agire direttamente,
associandosi con
altri uomini che abbiano intenti uguali ai nostri, senza poter delegare la soluzione dei
problemi ad una qualche
«macchina» esterna e coercitiva. Nella società ideale anarchico-capitalista, si
badi bene, il rispetto del principio di base della concorrenza sul
mercato non implica nessuna imposizione e nessuna scelta a priori sul tipo di società
(capitalistica, socialista,
mutualistica, autogestionaria, comunista, religiosa ... ) da edificare: l'importante è
creare una struttura di fondo
in cui chiunque, sia capitalista, socialista, sostenitore del sistema mutualistico, autogestito,
comunista, o
religioso abbia la possibilità di sviluppare il suo modello in concorrenza con quello
degli altri, senza
costringere però nessuno a vivere in un tipo di società non desiderato. E
la base di tutto ciò non può che essere il principio della libertà
contrattuale e della proprietà privata, come
già aveva riconosciuto, con la tipica onestà intellettuale che lo
contraddistingueva, un grande socialista
anarchico come Proudhon, il quale aveva rivisto le proprie idee sulla proprietà
privata, riconoscendone
l'indissolubile nesso con la libertà individuale: «Servire da contrappeso al potere
pubblico, bilanciare lo Stato
e in questo modo assicurare la libertà individuale: tale sarà, dunque, nel
sistema politico la funzione
principale della proprietà. Sopprimete questa funzione .. .imponetele (alla
proprietà) condizioni e dichiaratela
non cedibile e non divisibile: subito essa perde ogni sua forza e non conta più nulla;
essa diventa un semplice
beneficio: un possesso precario, una dipendenza dello Stato senza possibilità di
azioni contrarie» (9). Sono questi gli interrogativi che gli anarchici collettivisti, ai quali
si deve riconoscere la correttezza delle loro
critiche al totalitarismo statolatrico della dottrina marxista, non hanno sufficientemente
approfondito. Un confronto con gli anarchici-capitalisti non potrà che essere
fruttuoso.
1) Ayn Rand, The Virtue of Selfishness,
New
American library, New York, 1964.
2) CFC. l'intervista a Murray N. Rothbard
contenuta in Guy Sorman, I veri pensatori del nostro tempo,
Longanesi, 1990.
3) Ayn Rand, The Virtue of Selfishness, op. cit.
4) David Friedman, The Machinery of
Freedom, Arlington House, New Rochelle, 1978.
5) Murray N. Rothbard, For a
new
Liberty. The Libertarian Manifesto, Collier Books, New York 1978.
6) Riccardo Laconca,
Democrazia, mercato, concorrenza, Sugarco 1988.
7) John Henry
Mackay, The Anarchists, brani tratti da Leonardo Krimmerman e Lewis Perry
curatori, Patterns of Anarchy, Doubleday
Anchor Books, New York,1966.
8) Ludwig Von Mises, La mentalità anticapitalistica,
Armando, 1988.
9) Pierre Joseph Proudhon, La proprietà,
O.E.T., Roma sd. (traduzione de La théorie de la
propriété).
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