Rivista Anarchica Online
A nous la libertè diario a cura di Felice
Accame
I vasi comunicanti della storia
Curiosamente - per la caratteristica più consona al titolo -, Strane storie,
di Sandro Baldoni, è
un film costruito all'insegna della doppia circolarità. La prima è quella, tipica
di certi film a
episodi del passato, della struttura narrativa: un padre, fra il riottoso e la voglia
d'èpater les
bourgeois, passa il tempo in treno raccontando storie alla figlia. Storie di una società
ridotta agli
estremi: ad un tale, pagatore moroso, l'azienda municipale toglie l'aria; a due famiglie
dirimpettaie, per sanare le disparità di classe di cui si sentono portatrici sane, non
rimane che la
guerra (non metaforica, bensì la guerra fatta di mitra, bazooka e carri armati). I
protagonisti
chiamati in causa sono gli stessi viaggiatori che vengono a condividere lo scompartimento,
cui,
il narratore, attribuisce caratteri e comportamenti nei frutti della propria fantasia. L'ultima
storia -
e qui sta la prima circolarità - è quella in cui si trovano coinvolti tutti quanti
nel medesimo treno.
Si finisce, in una stazioncina abbandonata, fra le sterpaglie e fra i vagoni della strage
dell'ltalicus
- lì da anni, in attesa che anche a questa «strana storia» venga assegnato un finale
adeguato. Allo spettatore che abbia scelto il film in ragione del suo manifesto
pubblicitario, quest'ultima
sequenza è nota. Con la differenza che, nel manifesto, nello squarcio più
profondo originato dalla
bomba assassina, ci si è infilato, perpendicolarmente, un grosso cetaceo. Come
fosse caduto dal cielo. Immagine che, nel film, non c'è. È il caso di un
paradosso,
dunque, che, coerente alla logica con cui si sviluppa il film, prosegue oltre il film stesso.
Alimenta il film e, dal film, viene alimentato. Ed ecco la seconda circolarità, che
porta
direttamente ad una riflessione sul rapporto fra testo e paratesto.
Il film è il testo, mentre, come
dice Genette, tutto ciò che ne costituisce la sua confezione - nel senso più
ampio possibile - è il
paratesto. Lo studioso francese fa il caso dei romanzi: c'è sì il romanzo,
ma c'è anche una copertina, una
forma di oggetto, le notizie sull'autore, magari un commento critico, un prezzo, le
pubblicità sui
giornali ... ovvero c'è anche un paratesto. E non è mica detto che, nella nostra
scelta di
consumatori, a guidarci sia solo e soltanto il testo. Anzi ... Il cinema ben conosce l'arte
sopraffina del paratesto. Le stesse notizie «scandalistiche» sulla vita
privata degli attori, spesso, sono da considerarsi un abile paratesto di qualche autore che ci
rimarrà ignoto. Il mercato delle foto di scena, poi, e i manifesti giocano un ruolo
decisivo:
offrono allo spettatore una vicenda supercondensata in un'immagine o nel sovrapporsi di
qualche
brandello di scena, garantiscono un'emozione e promettono la soddisfazione di un bisogno
già
creato ad arte altrove e con altri mezzi - di solito, cioè, altamente socializzato.
Tuttavia, nella gran maggior parte dei casi, proprio a causa della funzione che svolge, il
paratesto
non contraddice mai il testo. Cosa che, invece, non esita a fare Strane storie,
riuscendo
nell'intento di suscitare un'inquietudine in più, magari una riflessioncella ulteriore sul
breve
viaggio che, a volte, si può compiere nel passare dalla consolante fantasia alla cruda
realtà. Due
vasi comunicanti, come, per l'appunto, un testo e il suo paratesto.
P.S.: Strane storie è un'opera prima. Non è gran cosa, ma
segnala buona disponibilità narrativa,
scrupolo e attenzione. Nella gestione dei momenti interazionali sul treno, tuttavia,
Baldoni fa, a mio avviso, una scelta
strana. Avete presente lo scompartimento di un treno? Qui ci sono sei posti e due, quelli
presso
il finestrino, sono già occupati.. Domanda: se entra un viaggiatore, dove si siede?
Secondo la mia
esperienza di studioso delle micro-relazioni sociali, si siede in uno dei due posti vicini al
corridoio; secondo Baldoni si siede in mezzo, cioè accanto ad uno dei due viaggiatori
già seduti.
E così il contrasto di opinioni, fra me e Baldoni, proseguirebbe fino alla quarta
passeggera che,
guarda caso, sceglie anche lei il posto di centro. Non solo il posto di centro significa un
gomito
appoggiato in meno e le gambe accavallate in un verso solo, ma un contatto che, nei giochi
dell'ipocrisia sociale, è usualmente evitato. Immaginatevi al cinema: se c'è la
fila vuota e il nuovo
venuto - a parità di situazioni nella fila davanti - si viene a sedere proprio accanto a
voi, che cosa
siete indotti a pensare?
|