Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 217
aprile 1995


Rivista Anarchica Online

La mucca sul computer
di Filippo Trasatti

Erano i primi anni Ottanta, stupiti e contenti molti insegnanti "visionari» portavano a volte sottobraccio nelle cantine delle scuole i computer, oggetti considerati un po' osceni e pericolosi dall'establishment. Per lo più gloriosi Commodore 64. Passavano mesi a studiare la programmazione prima di scoprire che non sarebbe servita loro quasi a nulla e che il lato affascinante della cosa stava altrove. Era il 1984 quando uscì in Italia il libro di Seymour Papert, il papà di LOGO, della simpatica tartarughina che lasciando le sue tracce sulle schermo costruiva paesaggi, oggetti e altri personaggi. Il titolo Mindstorms non era certo modesto e il contenuto garantiva uno scossone sconvolgente nel modo comune di pensare l'apprendimento.
A dieci anni di distanza è uscito il suo nuovo libro I bambini e il computer (Mondadori, Milano 1994), forse un po' meno esplosivo del primo ma non meno ambizioso. Il fatto è che certe idee che dieci anni fa erano all'avanguardia, sono ormai state masticate e rimasticate dai media, dal cinema, dalla letteratura. I computer sono diventati molto più friendly di un tempo, ci siamo abituati a vederli un po' ovunque e nessuno si sognerebbe di ostacolarne l'accesso nella scuola. Perché mai dunque, a dispetto di tante speranze degli anni Ottanta, i computer non solo non si sono diffusi come si pensava nella scuola, ma neppure hanno scalfito di molto la pratica didattica e il concetto di apprendimento dominante?
Ci sono certo ragioni economiche - un elaboratore di buon livello ancora oggi ha un certo costo e la scuola pubblica ha dei seri problemi con la carta, anche se poi spreca miliardi per assurdi corsi d'aggiornamento e per le diarie degli esaminatori di maturità - ma Papert ha ragione a pensare che non siano quelle decisive. Bisognerà fare però un passo indietro per capire le ragioni di Papert, che voleva e vuole utilizzare il computer come chiave per la trasformazione dell'intero sistema scolastico.
I punti di riferimento teorici di Papert sono abbastanza chiari: da una parte l'epistemologia genetica di Jean Piaget (con cui Papert collaborò per un certo tempo a Ginevra), dall'altra quella che lui chiama l'"educazione progressista" da John Dewey a Paulo Freire, con riferimenti abbastanza chiari anche se non espliciti ad aree dell'educazione libertaria. L'idea fondamentale è quella di mettere lo studente al centro del processo di apprendimento, dargli la responsabilità del lavoro, la scelta delle direzioni in cui muoversi. Come nel mondo della fabbrica taylorista, lo studente lavora su pezzi della conoscenza gerarchizzati e sezionati da altri che non ha mai la possibilità di sintetizzare secondo una prospettiva personale. Papert per spiegare meglio il concetto usa la suggestiva immagine della cattedrale gotica: "La caricatura di una teoria gerarchica del sapere e della scuola potrebbe presentarsi come segue: il sapere è costituito da frammenti atomici chiamati fatti, concetti e capacità. Ogni buon cittadino deve possedere 40.000 di questi atomi. I bambini possono acquisire 20 di questi atomi al giorno. Un piccolo calcolo mostra che basterebbero 180 giorni per 12 anni per fargli assorbire 43.200 atomi, ma l'operazione dovrà essere bene organizzata ( ... ). Questa teoria potrebbe paragonarsi alla costruzione di una cattedrale gotica di 40.000 blocchi di pietra. È evidente che per un compito di queste dimensioni occorre un'organizzazione strettamente coordinata. I singoli operai non possono decidere se posare una pietra qui piuttosto che là solo perché si sentono ispirati a farlo. L'istruzione di un bambino è un processo analogo. Ognuno deve attenersi al piano» (74-5). Si può notare che c'è un'analogia, ed è molto importante, tra struttura gerarchica del sapere, tanto nella fabbrica taylorista, quanto nella scuola, anche se poi il prodotto di tutta questa coordinazione non sono certamente delle splendide cattedrali gotiche, ma la miseria che spesso viene chiamata "formazione culturale e professionale».
Questo enorme casermone schiaccia la curiosità del bambino - si dimentica che per i cuccioli, anche d'uomo, l'apprendimento naturale è un gioco eccitante - e non da ultimo contribuisce ad inculcare la necessità dell'ordine gerarchico. Papert vuole sostituire a questo ordine gerarchico quello che chiama una eterarchìa, termine che designa un'organizzazione in cui ogni elemento è paritariamente governato da tutti gli altri; una sorta di rete in cui il controllo è di tutti su tutti, metafora ripresa dal connessionismo informatico e contrapposta al programma gerarchizzato ad albero. In questo cambiamento, megacambiamento secondo Papert, un elemento essenziale è l'introduzione del computer nella scuola, per diversi motivi. La macchina, ma soprattutto dei programmi come LOGO pensati come ambienti di apprendimento in cui i bambini imparano giocando e muovendosi liberamente verso ciò che più li incuriosisce, cambia il rapporto tra discente e sapere. Si potrebbe dire, riprendendo la metafora precedentemente utilizzata ,che essa può destrutturare la cattedrale imponente, rendendo disponibili dei percorsi per visitarla ad ogni livello, per decostruirla e ricostruirla in modo diverso, per accedere senza problemi ad ogni singolo mattone. Gli insegnanti saranno le guide indispensabili di questo percorso, ma appunto come guide aiuteranno i bambini a muoversi nell'ambiente da loro scelto. L'informatica, come la intende Papert, rivoluziona la scuola perché fa saltare la separazione disciplinare, i programmi rigidi, ma anche, cosa fondamentale, le griglie orarie. Questa rivoluzione ha alle spalle una teoria diversa dell'apprendimento, o meglio - come vuole Papert - un'arte dell'apprendimento che ancora non ha nome nella nostra cultura e che egli propone di chiamare matetica (dal greco mathematikos=predisposto a imparare, mathema=lezione), di cui l'autore tenta di abbozzare alcuni principi fondamentali. Qui il campo è aperto e il libro di Papert è stimolante proprio perché, rispettando i propri presupposti teorici, lascia aperte molteplici direzioni di ricerca. Molti altri sono gli spunti interessanti nel libro, ma mi devo limitare a segnalarne un paio. Papert, riprendendo le tesi di Claude Levi-Strauss ma anche di Piaget, restituisce al cosiddetto "pensiero concreto" il giusto valore e un posto essenziale nei processi di apprendimento. Non si deve, come hanno fatto molti, limitarsi al concetto di stadi di sviluppo, per cui il bambino superato i dieci-dodici anni di età si muoverebbe esclusivamente nell'empireo delle operazioni astratte logico-formali. Il pensiero concreto continua ad esistere nell'età adulta, solo che è svalutato nella nostra cultura. Invece di premere sui bambini per farli passare più rapidamente dallo stadio del pensare concreto a quello astratto, dovremmo rivolgerci a loro e comprendere quanto sia ricco il pensiero concreto e come essi imparino tante cose così rapidamente, pur non essendo dotati dei nostri raffinati strumenti formali. Un argomento centrale anche nella discussione attuale imposto ad esempio dal pensiero femminista sul pensiero a partire dalle radici corporee.
Un ultimo tema è quello che conclude il libro e riguarda ciò che è possibile fare per cambiare la scuola. Qui si vede chiaramente che Papert ha ben presente l'educazione libertaria; cita con entusiasmo Illich e vede come esempio di realizzazione concreta la rete di piccole scuole sul modello del movimento delle Free schools americane: unità scolastiche decentrate di piccole dimensioni, ma collegate tra loro dalla rete telematica, rendono ormai obsoleta la scuola elefante con centinaia di ragazzi. A livello locale i genitori, i bambini e gli insegnanti possono agire all'unisono e creare un ambiente di apprendimento diverso. Ma ogni unità non sarà più, come un tempo, isolata provinciale e periferica perché potrà disporre delle cattedrali della conoscenza che sono accessibili ovunque attraverso le reti. Tanti piccole scuole diverse tra loro, migliaia, milioni che si scambiano messaggi ed esperienze, centrate sui bambini e sui loro bisogni. Qui sta il limite di Papert, e di molti contemporanei fanatici della tecnologia che non riescono a vedere le altre dimensioni dell'educazione. Nelle piccole e graziose scuole non c'è bisogno soltanto di computer, ma di molti altri ambienti di apprendimento; o meglio non è più la scuola il centro dell'apprendimento ma la comunità locale, il gruppo che si sposta attraverso la città, che va a vedere e a fare. C'è una enorme differenza tra vedere una mucca al computer, conoscerla nei minimi particolari e vederla libera con il campanaccio sul prato.
Il fare esperienza deve ritornare il centro focale dell'apprendimento e il computer non esaurisce certamente il campo delle esperienze. In altre parole Papert dovrebbe, se potessimo dargli un consiglio, prendere più sul serio quell'educazione libertaria a cui sembra talora far riferimento e riprendere concetti importanti come quello dell'educazione integrale, della ricomposizione della frattura tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, della dimensione decisionale e assembleare della scuola autogestita, per non citarne che alcuni. Anche senza questo background il libro di Papert apre la mente, offre più di una boccata d'aria fresca in questo mondo asfittico che non riesce a vedere al di là dei limiti della propria aula.