Rivista Anarchica Online
La mucca sul computer
di Filippo Trasatti
Erano i primi anni Ottanta, stupiti e contenti molti insegnanti
"visionari» portavano a volte
sottobraccio nelle cantine delle scuole i computer, oggetti considerati un po' osceni e
pericolosi
dall'establishment. Per lo più gloriosi Commodore 64. Passavano mesi a studiare la
programmazione prima di scoprire che non sarebbe servita loro quasi a nulla e che il lato
affascinante della cosa stava altrove. Era il 1984 quando uscì in Italia il libro di
Seymour Papert,
il papà di LOGO, della simpatica tartarughina che lasciando le sue tracce sulle
schermo costruiva
paesaggi, oggetti e altri personaggi. Il titolo Mindstorms non era certo modesto
e il contenuto
garantiva uno scossone sconvolgente nel modo comune di pensare l'apprendimento. A
dieci anni di distanza è uscito il suo nuovo libro I bambini e il
computer (Mondadori, Milano
1994), forse un po' meno esplosivo del primo ma non meno ambizioso. Il fatto è che
certe idee
che dieci anni fa erano all'avanguardia, sono ormai state masticate e rimasticate dai media,
dal
cinema, dalla letteratura. I computer sono diventati molto più friendly di un tempo, ci
siamo
abituati a vederli un po' ovunque e nessuno si sognerebbe di ostacolarne l'accesso nella
scuola.
Perché mai dunque, a dispetto di tante speranze degli anni Ottanta, i computer non
solo non si
sono diffusi come si pensava nella scuola, ma neppure hanno scalfito di molto la pratica
didattica
e il concetto di apprendimento dominante? Ci sono certo ragioni economiche - un
elaboratore di buon livello ancora oggi ha un certo costo
e la scuola pubblica ha dei seri problemi con la carta, anche se poi spreca miliardi per assurdi
corsi d'aggiornamento e per le diarie degli esaminatori di maturità - ma Papert ha
ragione a
pensare che non siano quelle decisive. Bisognerà fare però un passo indietro
per capire le ragioni
di Papert, che voleva e vuole utilizzare il computer come chiave per la trasformazione
dell'intero
sistema scolastico. I punti di riferimento teorici di Papert sono abbastanza chiari: da una
parte l'epistemologia
genetica di Jean Piaget (con cui Papert collaborò per un certo tempo a Ginevra),
dall'altra quella
che lui chiama l'"educazione progressista" da John Dewey a Paulo Freire, con riferimenti
abbastanza chiari anche se non espliciti ad aree dell'educazione libertaria. L'idea
fondamentale
è quella di mettere lo studente al centro del processo di apprendimento, dargli la
responsabilità
del lavoro, la scelta delle direzioni in cui muoversi. Come nel mondo della fabbrica
taylorista,
lo studente lavora su pezzi della conoscenza gerarchizzati e sezionati da altri che non ha mai
la
possibilità di sintetizzare secondo una prospettiva personale. Papert per spiegare
meglio il
concetto usa la suggestiva immagine della cattedrale gotica: "La caricatura di una teoria
gerarchica del sapere e della scuola potrebbe presentarsi come segue: il sapere è
costituito da
frammenti atomici chiamati fatti, concetti e capacità. Ogni buon cittadino deve
possedere 40.000
di questi atomi. I bambini possono acquisire 20 di questi atomi al giorno. Un piccolo calcolo
mostra che basterebbero 180 giorni per 12 anni per fargli assorbire 43.200 atomi, ma
l'operazione
dovrà essere bene organizzata ( ... ). Questa teoria potrebbe paragonarsi alla
costruzione di una
cattedrale gotica di 40.000 blocchi di pietra. È evidente che per un compito di queste
dimensioni
occorre un'organizzazione strettamente coordinata. I singoli operai non possono decidere se
posare una pietra qui piuttosto che là solo perché si sentono ispirati a farlo.
L'istruzione di un
bambino è un processo analogo. Ognuno deve attenersi al piano» (74-5). Si
può notare che c'è
un'analogia, ed è molto importante, tra struttura gerarchica del sapere, tanto nella
fabbrica
taylorista, quanto nella scuola, anche se poi il prodotto di tutta questa coordinazione non sono
certamente delle splendide cattedrali gotiche, ma la miseria che spesso viene chiamata
"formazione culturale e professionale». Questo enorme casermone schiaccia la
curiosità del bambino - si dimentica che per i cuccioli,
anche d'uomo, l'apprendimento naturale è un gioco eccitante - e non da ultimo
contribuisce ad
inculcare la necessità dell'ordine gerarchico. Papert vuole sostituire a questo ordine
gerarchico
quello che chiama una eterarchìa, termine che designa
un'organizzazione in cui ogni elemento
è paritariamente governato da tutti gli altri; una sorta di rete in cui il controllo
è di tutti su tutti,
metafora ripresa dal connessionismo informatico e contrapposta al programma gerarchizzato
ad
albero. In questo cambiamento, megacambiamento secondo Papert, un elemento essenziale
è
l'introduzione del computer nella scuola, per diversi motivi. La macchina, ma soprattutto dei
programmi come LOGO pensati come ambienti di apprendimento in cui i bambini imparano
giocando e muovendosi liberamente verso ciò che più li incuriosisce, cambia
il rapporto tra
discente e sapere. Si potrebbe dire, riprendendo la metafora precedentemente utilizzata ,che
essa
può destrutturare la cattedrale imponente, rendendo disponibili dei percorsi per
visitarla ad ogni
livello, per decostruirla e ricostruirla in modo diverso, per accedere senza problemi ad ogni
singolo mattone. Gli insegnanti saranno le guide indispensabili di questo percorso, ma
appunto
come guide aiuteranno i bambini a muoversi nell'ambiente da loro scelto. L'informatica,
come
la intende Papert, rivoluziona la scuola perché fa saltare la separazione disciplinare, i
programmi
rigidi, ma anche, cosa fondamentale, le griglie orarie. Questa rivoluzione ha alle spalle una
teoria
diversa dell'apprendimento, o meglio - come vuole Papert - un'arte dell'apprendimento che
ancora non ha nome nella nostra cultura e che egli propone di chiamare matetica
(dal greco
mathematikos=predisposto a imparare, mathema=lezione), di cui l'autore tenta di abbozzare
alcuni principi fondamentali. Qui il campo è aperto e il libro di Papert è
stimolante proprio
perché, rispettando i propri presupposti teorici, lascia aperte molteplici direzioni di
ricerca. Molti
altri sono gli spunti interessanti nel libro, ma mi devo limitare a segnalarne un paio. Papert,
riprendendo le tesi di Claude Levi-Strauss ma anche di Piaget, restituisce al cosiddetto
"pensiero
concreto" il giusto valore e un posto essenziale nei processi di apprendimento. Non si deve,
come
hanno fatto molti, limitarsi al concetto di stadi di sviluppo, per cui il bambino superato i
dieci-dodici anni di età si muoverebbe esclusivamente nell'empireo delle operazioni
astratte logico-formali. Il pensiero concreto continua ad esistere nell'età adulta, solo
che è svalutato nella nostra
cultura. Invece di premere sui bambini per farli passare più rapidamente dallo stadio
del pensare
concreto a quello astratto, dovremmo rivolgerci a loro e comprendere quanto sia ricco il
pensiero
concreto e come essi imparino tante cose così rapidamente, pur non essendo dotati
dei nostri
raffinati strumenti formali. Un argomento centrale anche nella discussione attuale imposto ad
esempio dal pensiero femminista sul pensiero a partire dalle radici corporee. Un ultimo
tema è quello che conclude il libro e riguarda ciò che è possibile fare
per cambiare la
scuola. Qui si vede chiaramente che Papert ha ben presente l'educazione libertaria; cita con
entusiasmo Illich e vede come esempio di realizzazione concreta la rete di piccole scuole sul
modello del movimento delle Free schools americane: unità scolastiche decentrate di
piccole
dimensioni, ma collegate tra loro dalla rete telematica, rendono ormai obsoleta la scuola
elefante
con centinaia di ragazzi. A livello locale i genitori, i bambini e gli insegnanti possono agire
all'unisono e creare un ambiente di apprendimento diverso. Ma ogni unità non
sarà più, come un
tempo, isolata provinciale e periferica perché potrà disporre delle cattedrali
della conoscenza che
sono accessibili ovunque attraverso le reti. Tanti piccole scuole diverse tra loro, migliaia,
milioni
che si scambiano messaggi ed esperienze, centrate sui bambini e sui loro bisogni. Qui sta il
limite
di Papert, e di molti contemporanei fanatici della tecnologia che non riescono a vedere le
altre
dimensioni dell'educazione. Nelle piccole e graziose scuole non c'è bisogno soltanto
di computer,
ma di molti altri ambienti di apprendimento; o meglio non è più la scuola il
centro
dell'apprendimento ma la comunità locale, il gruppo che si sposta attraverso la
città, che va a
vedere e a fare. C'è una enorme differenza tra vedere una mucca al computer,
conoscerla nei
minimi particolari e vederla libera con il campanaccio sul prato. Il fare esperienza deve
ritornare il centro focale dell'apprendimento e il computer non esaurisce
certamente il campo delle esperienze. In altre parole Papert dovrebbe, se potessimo dargli un
consiglio, prendere più sul serio quell'educazione libertaria a cui sembra talora far
riferimento
e riprendere concetti importanti come quello dell'educazione integrale, della ricomposizione
della frattura tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, della dimensione decisionale e
assembleare della scuola autogestita, per non citarne che alcuni. Anche senza questo
background
il libro di Papert apre la mente, offre più di una boccata d'aria fresca in questo mondo
asfittico
che non riesce a vedere al di là dei limiti della propria aula.
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