Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 24 nr. 211
estate 1994


Rivista Anarchica Online

Una scuola differente
a cura di Salvo Vaccaro

L'esperienza di Bonaventure, scuola libertaria in Francia, presentata dai suoi promotori. Un dossier curato da Salvo Vaccaro, che nella sua premessa ripropone l'ipotesi di una sfera pubblica non statale.

Bonaventure è l'ultima nata, che io sappia, tra le esperienze pedagogiche libertarie in Europa. Già nel lontano 1988 («A» n. 154) avevamo presentato un dossier sulle esperienze libertarie nel campo della scuola. Proseguiamo così a mettere a disposizione un patrimonio di esperienze e di idee a servizio della libertà di pensiero, di azione e di crescita autocentrata degli individui, specie quelli più deboli e più dipendenti, come i bambini.
Una equipe palermitana sta raccogliendo altri documenti e testimonianze sulle scuole libertarie, nell'intento di offrire una sorta di guida ideale ai temi ed ai problemi posti da esperienze sorte in tutto il continente europeo.
L'Italia non vi figura. Assente.
Non è questa la sede per interrogare le idiosincrasie nostrane verso un approccio alternativo e libertario all'educazione ed all'istruzione. Più che in rapporto a dilemmi teorici pure presenti - già segnalati sin nei termini canonici di «istruzione», «formazione», che recano sottilmente in sé le istanze autoritarie su un «oggetto» da plasmare - le perplessità di compagni e compagne che pure sono attivi nel mondo della scuola attengono a questioni squisitamente politiche e di opportunità storica legata al contesto italiano attuale.
La querelle tra pubblico e privato - da noi già denunciata come falsa anni or sono sulla stampa libertaria (si vedano diversi interventi su «Umanità Nova» nel 1986) - riporta prepotentemente in primo piano il tentativo di forze adesso pervenute al governo, da un lato, di ridimensionare la scuola di stato, peraltro malridotta per via degli scarsi finanziamenti e bilanci ad essa destinati, pure in presenza di personale docente motivato e sufficientemente apprezzabile per dedizione e metodologie, almeno nelle file più giovani e meno «navigate», e dall'altro, di favorire e incentivare l'istruzione privata.
Fermo restando il carattere statuale del controllo ideologico e della disciplina fisica, la querelle riguarda chi deve gestire tale impresa e con quale profitto: se la mano pubblica o il portafoglio privato, che in Italia vuol dire in pratica chiesa e potentati affaristici ed economici (anche a livello locale: i più famelici e rozzi).
La sinistra istituzionale (e quella libertaria?) difende la scuola di stato, ritenendola pubblica nella sua sostanza perché non seleziona per censo, per ragione sociale, è libera e obbligatoria (con paradossale ossimoro). Anche gli anarchici sposano l'obbligatorietà come soluzione (autoritaria) positiva alle esigenze di socializzazione dei saperi? In altri campi, si respinge giustamente la vocazione autoritaria, che si concretizza in altrettante istituzioni (pensiamo al militare, al giuramento di fedeltà alle istituzioni; pensiamo pure a chi respinge la vaccinazione obbligatoria, addirittura .. .).
E poi, siamo sicuri che la scuola di stato è esente da vizi selettivi? Certo, formalmente sì, come peraltro tutto ciò che viene sottoposto a trattamento giuridico: il liberalismo dello stato di diritto si identifica con libertà formali sancite in diritti dell'individuo e della collettività. Ma basta la forma? Siamo ubriacati anche noi di alcol liberaldemocratico? La scuola di stato, in verità, in quanto apparato istituzionale, seleziona in base alla rispondenza astratta del sapere necessario per orientarsi efficacemente, liberamente e criticamente tra le complesse e non sempre coerenti ingiunzioni della società. In altre parole, la scuola di stato non può offrire strumenti critici per saper reggere all'urto della società e delle sue domande (e dei suoi miti: successo, denaro, deresponsabilità, ecc.).
Fallimenti, evasione, ignoranza sono effetti selettivi ben evidenti che, chissà perché, rafforzano piuttosto che compensano altri meccanismi selettivi attivati dal sistema di diseguaglianze.
Chi riesce ad adeguarsi, invece, magari con difficoltà (la gran massa di scolarizzati, esclusi gli estremi espulsi e l'élite di felici integrati destinati ai massimi livelli sociali), è costretto poi a un supplemento di istruzione che, quasi quasi, sta diventando pure obbligatorio e vincolante, complici sindacati e organizzazioni imprenditoriali.
«Gli esami non finiscono mai» è il ritornello che ossessiona piccoli e grandi, dagli asili alla formazione professionale (sic!) permanente e sussidiaria, in un parcheggio scolastico infinito in attesa di una ulteriore selezione nel mondo del lavoro (tramite espulsione altrui). Con i carabinieri dietro l'angolo almeno (prossimamente) sino a116° anno di età.
Criticare oggi la scuola di stato è come sparare sulla Croce Rossa. Si dà vantaggio ai privati che intendono speculare pure sul bisogno di istruzione (come sulla salute, del resto). Ogni bene morale è mercificato, in questa logica (sic!), ridotto a questione monetaria: chi ha è servito, chi non ha peggio per lui.
La mercificazione attiene ogni sfera colpita dal virus del capitale; eppure gli anarchici non hanno mai rinunciato a sognare l'utopia, progettando altri mo(n)di possibili. Ma per la scuola autonominatasi pubblica, vale la pena fare una eccezione? realizza correttamente l'alternativa (realmente, questa volta) pubblica all'istruzione privatizzata? Io non credo. In caso contrario, avrei difficoltà a dichiararmi anarchico.
Si pensa che la scuola libertaria sia una ennesima scuola confessionale. Una scuola-quadri per indottrinare da piccoli i cavalieri della libertà di domani che faranno, così istruiti, la rivoluzione sociale libertaria. Errore madornale! In tal senso, allora, meglio le idiozie e le irrazionalità e le palesi contraddizioni della scuola tradizionale, la quale, quanto meno per sana controreazione, si dimostra fucina di tanti libertari.
L'idea di scuola libertaria vive del progetto di realizzare una sfera pubblica non statale (ne avevo già parlato in «Volontà», n. 1, 1987). Su questo terreno, sarebbe possibile studiare non solo gli elementi pedagogici e sociali che dovrebbero caratterizzare le esperienze libertarie nel mondo della scuola, ma anche i processi politici di destatalizzazione che non coincidono con le privatizzazioni in atto negli apparati statali.
Gli ostacoli politici sono anche normativi (leggi sul personale, legalità del titolo di studio, vincoli ministeriali sui programmi, attività ispettoriali di controllo, autonomia delegata, partnership con imprese, ecc.) e sembrano oltremodo insormontabili per chi non è aduso a lottare per ottenere modifiche legislative: cambiare un sistema di leggi per ritrovarsene un altro. Anche se magari, opportunisticamente, sarebbe più favorevole a progetti di sperimentazione libertaria nell'ambito scolastico. Del resto, in Europa, chi attua queste iniziative gode di un favor legis, o meglio di spiragli utilizzabili in maniera libertaria entro una griglia legislativa.
Qui in Italia, si darà il caso che, a forza di difendere la scuola di stato, restando subordinati a quelle parti politiche e sindacali che su di essa hanno costruito una forza contrattuale e un potere clientelare ed elettorale dai quali siamo distanti anni luce, ci ritroveremo con un dualismo scolastico illibertario e insoddisfacente in entrambi le versioni. Soprattutto, senza spiragli di agibilità politica e immaginifica per sperimentare non solo iniziative autogestionarie dai caratteri fortemente libertari - come rivela il caso di Bonaventure, qui presentato alla riflessione di compagni e operatori del settore - ma anche forme di conflittualità politiche autonome dalle tensioni bipolari poste artificiosamente in campo da diverse formazioni di sovranità.
Corriamo puntualmente il rischio di lottare per difendere l'indifendibile (dal nostro punto di vista) venendo sconfitti dalla nuova destra in ascesa, oppure contribuendo (seppur minimamente) a far resistere un apparato istituzionale che stritola saperi, uomini, donne e bambini con una indifferenza verso la libertà di apprendimento, di socializzazione, di corpi in movimento e di menti senza zavorre, tipiche di ogni espressione di dominio. Anche nella scuola di stato o pubblica che sia.
Vogliamo allora discutere della sana utopia, lasciando ad altri la realpolitik?

Salvo Vaccaro



Un vecchio sogno!
Sì, è vero, creare o partecipare alla creazione di una scuola libertaria è sempre stato per noi un vecchio sogno. Un vecchio sogno di insegnanti perennemente a disagio nella sfera chiusa dell'imbecillità dei programmi, della freddezza della burocrazia, della pignola ossessione poliziesca degli ispettori, della mania corporativa dei sindacati, dell'indifferenza dei «cari colleghi» ... Un vecchio sogno di militanti rivoluzionari accaniti di rivolte e determinati a cambiare il mondo e pure la scuola. Un vecchio sogno confinato al fondo della mente e del cuore, quindi, ma ... Ma la cui realizzazione veniva immancabilmente rinviata al domani a causa della politica fondamentale, dell'organizzazione necessaria e di zavorre di piombo di una certa logica.
Vedrai, vedrai! È forse facile a dirsi anche quando le cose, in effetti, non erano così semplici.
Certo, c'era il nostro «io profondo». Il nostro io di politici, sindacalisti, professionisti della parola, della teoria, del verbo, del sogno ciclostilato ... ; il nostro io di agitatori, di organizzatori della sommossa, di «primi violini» dell'orchestra nera, di maestri della sovversione, di sacerdoti della messa del «Grande Evento»; in fin dei conti, la nostra fede ingenua nella magia di un movimento rivoluzionario insurrezionalista che, dopo aver distrutto tutto, avrebbe spalancato la porta a un mondo nuovo del quale saremmo stati gli architetti e gli ingegneri.
C'era tutto questo. Il sentimento di inutilità a fare cose dimezzate adesso, mentre domani sarebbe stato possibile farle interamente.
Ma non c'era solo questo! C'era altresì lo spettacolo deprimente di (quasi) tutti coloro che, dopo aver bussato alla porta di una rivoluzione mitica ed essere stati sempre respinti all'indomani, si erano precipitati in una fare qui e ora, un fare per il fare, senza disfare ...
Chi entrava in comunità, chi apriva una scuola parallela, la pedagogia tritatutto, il vegetarismo armato, il negozietto, quella cooperativa lì ... e a poco a poco o velocemente si rinchiudevano nell'egocentrismo, nel narcisismo, nell'individualismo, nella centralità corporativa però alternativa, nell'apoliticità e nel riformismo. Messi i fiori nel fucile per cambiare la vita, non facevano altro nella maggior parte di tempo che cambiare di vita.
Certo, si erano allontanati da un mito ma erano ricaduti in un altro. Noi non siamo stati vittime di questa illusione di cambiamento che colpisce e infetta tutti coloro che si nutrono di semolino del cambiamento di illusioni. Giacché il nostro sogno era di un altro ordine. Quello del piacere, senza dubbio, quello di fare, naturalmente, ma anche quello sociale. Politico. Vorremmo al contempo trasformare la scuola per cambiare la società e cambiare la società per trasformare la scuola.
Un bel programma, quindi!
Un programma che è sempre il nostro e che avrebbe potuto ambire a restare perennemente nell'orizzonte dei nostri sogni più folli. Rannicchiato nel calore umido della nostra «radicalità». Nel comfort ovattato dei nostri desideri più fantasmagorici. Che avrebbe potuto ...
Ma la vita e la combinazione degli eventi hanno iniziato a fare in modo che forse sarà altrimenti! La vita e la combinazione degli eventi sono una piccola cosa di «media grandezza» che non finisce di avanzare e di crescere e che ci piacerebbe non spedire a farsi tagliare le ali nei macelli abbruttenti della scuola tradizionale. E il desiderio di continuare con bambini, genitori, amici e compagni una esperienza educativa iniziata nel 1988 con la creazione di un asilo nido genitoriale «L'isola dei ragazzi». È il desiderio sempre più forte, in un contesto di crisi di una certa concezione (bolscevica, para-bolscevica, avanguardista) della rivoluzione, di mettere in atto idee e ideali. E' la volontà sempre più salda, in un contesto di crisi di una certa concezione (egocentrica, corporativa, ambientalista, riformista, politicheggiante) dell'alternativa, di non fare qualunque cosa. E' il sentimento di urgenza che comincia a rodere tutti coloro che si avvicinano alla quarantina.
Tutto questo e altro ancora, tutto sommato, ci ha fatto un giorno esclamare: «allora fondiamo una scuola libertaria!»
Così abbiamo iniziato a sviscerare la questione.
A riflettere. Prima in due, poi in tre, quattro, cinque ... A definire cosa intendiamo per scuola libertaria. Ad avanzare faticosamente nel perché, nel percome e nel quando della scuola. E infine a tracciare le grandi linee del progetto che oggi vi sottoponiamo, sperando che diventi anche il vostro.

Perché fondare una scuola?
Se vogliamo fondare una scuola differente da quella che esiste oggi è perché non ci soddisfa la scuola attuale (laica come quella confessionale o professionale). Non ci soddisfa infatti una scuola che produce il fallimento scolastico in maniera anche massiccia.
Che congiunge il fallimento al tempo esclusivo dell'origine sociale. E che, quindi, si dimostra altresì drammaticamente inutile per coloro che non hanno spesso che la scuola per conseguire una certa quantità di saperi oppure un minimo di sapere.
Ma se vogliamo fondare una scuola differente da quella che esiste oggi non è unicamente perché non ci soddisfa la scuola di classe (la scuola capitalista) che imperversa attualmente e di cui è facile comprendere che è il prodotto della divisione sociale del momento. È anche e forse soprattutto perché siamo alla fine arrivati alla conclusione (in pratica e in teoria) che era impossibile far evolvere e riformare la scuola da cima a fondo. A livello della tendenza a far passare l'infanzia, la sua gioia e creatività, sotto il tornio della noia, della «castra-
zione», dell'omologazione e della rassegnazione. Oppure a livello della profonda logica istituzionale che, al di là del carattere di classe, ne fa la scuola di un certo tipo di società, macchina totalmente centrale nella produzione di divisione sociale.

Scuola capitalista e logica sociale
Se la scuola è normante, alienante, castrante, e se produce tanto facilmente fallimenti e devianza, è sicuramente perché è una scuola di classe e una istituzione statuale. Ma forse anche e soprattutto perché appartiene anima e corpo - come causa ed effetto (e viceversa) - a un certo tipo di società.
Non inganniamoci, il capitalismo, infatti, come sistema economico che genera lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, e lo stato, come istituzione che gestisce, a vantaggio della borghesia o a proprio vantaggio, la divisione sociale determinata dal capitalismo, non sono caduti dal cielo. Se sono nati, se si sono attivati e hanno prosperato, è perché il terreno si prestava, perché la società era già largamente e profondamente divisa. Divisa da oppressioni, dominazioni, gerarchie di ogni sorta: tra giovani e vecchi, uomini e donne, natura e specie umana, città e campagne, industria e agricoltura, intellettuali e operai, burocrati e produttori, e tra uomini e uomini, donne e donne, pseudo razza umana e pseudo razza umana, città e città, campagne e campagne ...
In tali condizioni di coerenza estrema tra un sistema economico, una istituzione parte pregnante dello stato e una società, nessuna meraviglia che la scuola sia in effetti quello che è. In quanto spazio di socializzazione al cui interno si trasmettono (alcuni) saperi ma altrettanto valori (quelli egemoni della sfera sociale), la scuola è in simbiosi perfetta con una struttura economica, politica, sociale e societaria funzionale alla gerarchia, al dominio, all'oppressione. Ne è il prodotto, l'effetto, la conseguenza. E ne è allo stesso modo una delle cause, poiché da quando la scuola esiste in quanto istituzione separata dal corpo sociale, la sua funzione di fondo è quella di preparare al consenso sociale, e dunque all'accettazione di ciò che esiste.
Ogni società, infatti, cerca di perpetuarsi e di plasmare i giovani alla propria immagine. Si tratta di un'invariante strutturale che affonda le radici nella notte dei tempi e che edifica letteralmente l'istruzione. Qualsiasi istruzione. Così, in una società divisa in classi e in gerarchie di ogni sorta, la sfera educativa è uno spazio di confronto tra culture dominanti e culture dominate, le prima alla ricerca di estendere il loro dominio e le seconde alla ricerca di sottrarsi a tale dominio e sopravvivere.
Gli spazi in cui i dominati sono riusciti a conservare una buona parte di autonomia - gli spazi quasi eterni della famiglia, della campagna, del sindacato ... - sono in via avanzata di disintegrazione sotto l'aspro ritmo della mobilità e della precarietà.
La fissità dei rifugi che consentivano loro di mantenersi nel tempo, lascia il posto ad una sfilza intermittente di immagini sempre più evanescenti. Gli individui si ritrovano sempre più soli, sempre più nudi. A contatto immediato con il potere, il padrone, lo stato. Senza possibilità alcuna, grazie ad una mediazione familiare, sociale o «nazionale», a viversi come parte pregnante e agente di una collettività.
E a rafforzare il quadro, la pressione culturale dominante, che non si esercita che in certi luoghi di prima fila in cui certamente vi è la scuola, invade oggi tutta la sfera sociale e, attraverso la televisione, l'informatica, ed i grandi mezzi di comunicazione di massa, occupa la strada, penetra in ogni focolare e si incunea fin dentro la coscienza e l'inconscio degli esseri umani.
In tali condizioni, a fronte di individui orfani di ogni sentimento collettivo, disintegrati, atomizzati, senza stabili riferimenti, sempre più sottomessi a una pressione culturale che occupa la quasi totalità degli spazi-tempi di vita, la scuola capitalista vede accrescere il proprio ruolo e modificare la sua immagine.
A cosa serve allora preservare una dimensione militante o militare quando la pressione culturale è quella che è oggi, quando gli individui, che non arrivano più a pensarsi collettivamente, sono agenti di petizione statuale e istituzionale? A cosa serve fare prova di proselitismo quando le persone non aspirano altro che a essere curate ed assistite da specialisti della gestione del particolare e del globale?
Oggi la scuola è arrivata allo stadio in cui la crescita del proprio ruolo sociale, che si manifesta con la conquista di bambini sempre più piccoli e la loro gestione per un periodo di tempo sempre più lungo (stage giovanili, formazione permanente), va di pari passo con la dislocazione della propria intima essenza istituzionale sotto i colpi del padronato e dei privati.
Infatti è finita l'era della scuola pubblica, laica e obbligatoria, e del suo sponsor, la borghesia industriale. Oggi, l'economia capitalista ha bisogno di una forte minoranza di super-specialisti e di una grande maggioranza di gente poco qualificata ai limiti dell'analfabetismo. Inutile quindi inculcare a forza rudimenti di istruzione nei cervelli di una popolazione già adusa a stereotipi culturali mediatizzati enormemente dagli altoparlanti audiovisivi. Altrettanto inutile ingegnarsi a costituire una base sociale che consente di arrestare l'azione di una chiesa passatista, giacché la chiesa si è facilmente adattata al mondo «moderno» e non rappresenta più un freno allo sviluppo economico.
Inutile, infine, portare in ranghi serrati i piccoli bretoni, baschi o charentesi ... sui banchi della scuola laica per inculcare loro una coscienza nazionale, giacché il momento è avverso, pronto ad uniformarsi al mercato, all'attivazione di una coscienza «internazionale» dominata dall'«american way of life».
Oggi il sistema capitalista occidentale ha bisogno di funzionare, di controllare le popolazioni sfruttate in base alla massima docilità. Questo è il senso del ruolo maggiore dell'istituzione scolastica; e questo è il senso del montante peso della scuola privata, dell'economia e del padronato nell'istituzione scolastica.
In una società in cui gli individui sono sempre più scissi, frammentati e frantumati, lo stato può ormai permettersi di abbandonare i panni grigi, repressivi e propagandistici per indossare quelli bianchi della messa in condizione e del controllo sociale consensuale. La sua scuola si trova nella fase non solo di produrre massicciamente la devianza attraverso il fallimento scolastico, ma anche di gestirlo a proprio vantaggio. In fin dei conti il termine della fine.
In tali condizioni, quelle della combinazione di diverse logiche, è facile comprendere che la scuola capitalista, oggi ancor meno di ieri, è assolutamente immodificabile e irriformabile da capo a piè. La sua natura (di classe, istituzionale e sociale) e la sua funzione di produrre le condizioni psicologiche e culturali di un dato consenso sociale la dotano di una coerenza globale imparagonabile.
Ciò non significa affatto, va precisato, che non succeda niente nella scuola capitalista o che sia impossibile fare qualcosa. Alcuni, a titolo individuale o collettivamente, nel contesto tradizionale della classe o in strutture ai margini delle istituzioni (i licei sperimentali) riescono pure a fare cose interessanti. Tuttavia - e si stupirà solo chi si stupisce sempre di non essersi mai stupito - ciò vuol semplicemente dire che il margine di manovra è stretto. Molto stretto, giacché o una «riforma» può operare all'interno dell'istituzione a patto di non cambiare (quasi) nulla, oppure possiede una grande valenza per intaccare l'essenziale però la si confina nel ghetto della marginalità sperimentale.
Tutti coloro che hanno cercato di smuovere le acque all'interno si sono convinti di ciò: precisamente a non utilizzarla. Così, a poco a poco si ritiene che la scuola possa e debba essere altra cosa di quella che è, quella dell'uguaglianza delle opportunità, dell'accesso ai saperi ed alle culture da parte di una grande maggioranza, e della compiutezza del bambino; si impone la necessità di costruire una alternativa alla scuola capitalista.

Scuola e sistema scolastico
La scuola capitalista interviene a tutti i livelli della scolarizzazione (asilo nido, materna, elementare, media, secondaria, universitaria, formazione permanente) e in un modo perfettamente coerente. Non inganniamoci, al di là di differenze che in effetti possono esistere a destra e a manca la scuola forma una totalità: è un sistema. È il sistema scolastico, questa totalità, a trovarsi nel cuore della coerenza di questo tipo di scuola. Non è affatto un caso se la scuola capitalista - nella forma pubblica o privata - «si prende cura» dell'individuo sin dai primi mesi di vita e fino ad un'età piuttosto avanzata. Non è affatto un caso se ogni livello di intervento è differenziato, se non si mescolano grandi e piccini, intellettuali e professionali, promossi e bocciati. Proprio nel contesto di questa divisione possono operare metodi autoritari e processi di disintegrazione con la massima efficacia.
In breve, la scuola capitalista non è solo un contenuto (cioè principi, metodi, modi di apprendimento, tipi di rapporti), ma anche un contenitore, una forma, e se si intende creare un'alternativa a questa scuola è bene averne consapevolezza. È sufficiente liberare il contenuto della scuola capitalista per farla mutare di «anima»? E possibile fare l'economia di distruzione e ricostruzione della struttura che contiene il contenuto? La scolarizzazione deve essere prolungata? Effettuata in maniera lineare o segmentata in momenti determinati dagli interessati? La divisione spazio-temporale tra piccini, piccoli, bambini, ragazzi, adolescenti, intellettuali, professionali, va conservata, ampliata, ridotta, trasformata o soppressa? E cosa dovrebbe sostituirla?
Comunque, anche se una piccola scuola anti-autoritaria riuscisse a porsi in alternativa alla totalità della scuola capitalista, ciò non risolverebbe il problema. La scuola capitalista, infatti, non è che un elemento tra altri di un sistema educativo comprendente in particolare lo spazio familiare e lo spazio sociale. Meglio, è uno spazio che non potrebbe giocare il proprio ruolo, quello di mettere i bambini delle classi lavoratrici in condizione di accettare l'umiliazione dello sfruttamento e dell'oppressione della loro futura esistenza, se non operasse in maniera simultanea insieme alla sfera familiare e sociale.
Pertanto è evidente che per arrivare a liberare la scuola è opportuno liberare nello stesso tempo la sfera familiare e sociale.
Per esempio abolendo la potestà genitoriale che aliena il bambino psicologicamente ed economicamente, e ponendo gli strumenti giuridici e materiali che consentano ad essi di essere indipendenti dai genitori e pieni cittadini della società, invece di minori sotto tutela come lo sono attualmente. È chiaro che con dei bambini sprofondati nell'alienazione familiare e sociale, una scuola pure libertaria ha scarse possibilità di far tesoro.
Programma vasto, quindi, che pone però chiaramente il problema dell'intreccio tra trasformazione della scuola, cambiamento educativo, cambiamento sociale ed una trasformazione della società, e che, inoltre, distingua un percorso puramente pedagogico da un percorso sociale.

Cambiare la scuola e cambiare la società
Se per cambiare veramente la scuola occorre cambiare ugualmente l'educazione, la realtà sociale e la società nel suo complesso, si può legittimamente porre l'interrogativo sull'interesse a creare oggi una scuola che si suppone essere una alternativa alla scuola capitalista, mentre l'educazione, la realtà sociale e la società sono le stesse. Meglio sarebbe attendere una rilevante rottura sociale o francamente il Grande Evento che in pochi attimi distruggerà un sistema che si riassume nella proprietà privata dei mezzi di produzione.
Dilemma! Poiché se è impossibile creare una vera alternativa alla scuola capitalista senza, al contempo, rivoluzionare l'educazione, la realtà sociale e la società, e se una rivoluzione, che si rifiuta di iniziare a cambiare le cose nel presente in devota attesa di un magico momento insurrezionale, non ha la minima possibilità di cambiare un giorno qualcosa salvo la rappresentazione della divisione sociale, dello sfruttamento e dell'oppressione, sinceramente non c'è soluzione.
Da una parte, per evitare che la rivoluzione non partorisca un cadavere, bisogna agire senza attendere ed il compito si rivela impossibile perché c'è da fare tutto, e dall'altra, bisogna aspettare per far sì che la situazione sia favorevole per fare tutto e mentre si aspetta ci si condanna a non sapere cosa fare il giorno x, o peggio a non fare nient'altro che ciò che si è sempre fatto.
Questo modo di porre i problemi oggi è completamente sorpassato. La contrapposizione tra sostenitori dell'azione qui ed ora, dell'alternativa al cento per cento, ed i sostenitori dell'azione rinviata al momento in cui la rivoluzione avrà sgomberato il terreno, è sopravvissuta per la buona e semplice ragione che entrambi hanno fallito. I primi sono morti di chiusura nel particolarismo, nella tecnica, nel corporativismo, nel localismo, e i secondi di chiusura nella sfera del discorso.
Forse è giunta l'ora di riconsiderare le cose: l'alternativa come rivoluzione!
Bonaventure si colloca in questa prospettiva.
Scuola elementare, micro-struttura, non pretende affatto di essere una alternativa alla scuola capitalista, bensì vuole essere un elemento di costruzione di tale alternativa. In tal modo, reputa fondamentale tessere delle reti ovvero di federarsi con altre alternative anti-autoritarie alla scuola capitalista (sia esterne che interne all'istituzione scolastica) che si sviluppano al suo livello (elementare) o ad altri livelli (asili nido, materne, superiori), intervenendo sul terreno dell'insegnamento generale, della tecnica, ecc.
Da incontri, scambi e confronti, Bonaventure confida che potrà venir fuori la trama complessiva di una alternativa alla scuola capitalista, un piano globale che informa i metodi ed i principi anti-autoritari che si sono già cimentati sia nel campo dell'istruzione che nel campo dello sviluppo della personalità di ciascuno. Inoltre, poiché cambiare la scuola significa cambiare ugualmente l'educazione, la realtà sociale e la società, Bonaventure reputa fondamentale tessere reti o federarsi con altre alternative anti-autoritarie come pure con alternative alla scuola: comunità agricole o urbane, cooperative operaie di produzione, luoghi di vita, gruppi di agricoltori biologici, musicali alternativi, di esperienze o lotte autogestionarie di ogni sorta ...
Bonaventure ha tutto da guadagnare a scambiare e confrontarsi con alternative a questa o quella parte di realtà sociale e sociale capitalista. In breve, Bonaventure non intende confinarsi nel particolarismo pedagogico e nel localismo alternativo. La sua ambizione è d'essere uno spazio e un momento della costruzione di una alternativa alla scuola ed alla società capitalista.
Perciò è parte integrante del movimento rivoluzionario, che non sarebbe più confinato nella dimensione ristretta della politica e del sindacalismo. Un movimento la cui strategia sia allo stesso tempo distruttiva e costruttiva, la cui speranza che reca in sé non esiti di fronte a costanti andirivieni tra discorsi e azioni.
In ultima analisi, ma si sarà già capito, con il modo in cui intende porsi in rapporto alle alternative in atto (scolastiche e non) alla società capitalista ed alla rivoluzione, Bonaventure fa una triplice scommessa: quella di una «politicizzazione» e di una «radicalizzazione» del movimento alternativo; quella di un «radicamento sociale» del movimento rivoluzionario; e quella della loro «congiunzione» e della loro «convergenza» all'interno di un movimento sociale rivoluzionario.

Thyde Rossel e Jean-Marc Raynaud



ISTRUZIONI PER L'USO

Bonaventure: che cosa è
Un centro educativo libertario
Una mini repubblica di bambini e adulti
Uno spazio di apprendimento: sociale (educazione alla libertà, all'uguaglianza, all'autogestione, alla cittadinanza ed alla solidarietà); scolastico (trasmissione di saperi, acquisizione di metodi che consentono l'autonomia nell'accesso ai saperi, cooperazione nella formazione dei saperi); culturale (iniziazione alle arti, agli sport, alle attività manuali, ecc.)

Bonaventure: chi è
Una dozzina di bambini tra i 4 e gli 11 anni
Un/a insegnante
Un animatore/trice
Alcuni genitori
Alcuni collaboratori esterni
Una rete di simpatie, di aiuti, di scambi e di solidarietà
Alcune centinaia di membri dell'associazione "Bout d'Ficelle" che sostengono attivamente il progetto.

Bonaventure: su quali principi si fonda
Il diritto dei bambini a poter scegliersi la vita
Il dovere dei genitori, degli adulti e del corpo sociale ad offrire loro strumenti educativi, scolastici e sociali per tale scelta.
Lo spirito globale (familiare, scolastico, manuale, intellettuale, sociale) dell'istruzione.
La necessità di un'istruzione (la libertà, l'autogestione, la cittadinanza, leggere o far di conto, non cadono dal cielo, si apprendono).
La scelta della libertà, dell'uguaglianza, della solidarietà, dell'autogestione e della cittadinanza quali strumenti di apprendimento della libertà, dell'uguaglianza, della solidarietà, dell'autogestione e della cittadinanza.
Il rispetto dell'autonomia del bambino (che non è un adulto in miniatura).

Bonaventure: coma funziona
Su un piano generale, sul modello di una repubblica educativa integrale formata da cittadini liberi ed eguali per diritto.
Sul piano scolastico, alla maniera di una classe unica mista per età e gruppi di livello.
Alloggio in famiglia con i genitori o presso i membri dell'associazione.
La scolarizzazione si sviluppa al ritmo di cicli di apprendimento fondamentali di 2-3 anni. Ogni ciclo si effettua secondo progetti elaborati congiuntamente da bambini ed insegnanti, che contraggono accordi. Nel corso e alla fine di ogni accordo, c'è una auto-valutazione da parte del bambino e una verifica di gruppo.
Insegnamento di materie tradizionali al mattino (partendo dai desideri espressi dai bambini nel contesto di progetti, accordi, ecc.); corsi, preparazione del pranzo, manutenzione dei locali, dalle 11.30 alle 14.00; attività artistiche, sportive, culturali, ecc. al pomeriggio.
La partecipazione dei bambini alla vita istituzionale (nel contesto del consiglio dei bambini, dei progetti, degli accordi) ed alla gestione del centro (corsi, pasti, locali) fa parte del processo educativo e pertanto è sottoposto a valutazione.
Si organizzano all'uopo, in funzione di progetti pedagogici, viaggi e soggiorni in altre strutture alternative (educative, economiche, agricole, culturali, sociali).
Ogni trimestre, i bambini, i genitori e gli insegnanti definiscono obiettivi enunciati entro un progetto pedagogico.
Nella didattica pedagogica, Bonaventure non rivendica alcuna tecnica o metodo particolare, pescando (passo per passo o in modo coerente) nell'"arsenale" esistente di pedagogie antiautoritarie.

Bonaventure: come funziona a livello istituzionale
ogni anno un congresso riunisce tutti i soggetti diretti (bambini, insegnanti, genitori) e indiretti (sostenitori, simpatizzanti, membri dell'associazione Bout d'Ficelle) del progetto che definiscono i grandi obiettivi e la strategia di Bonaventure.
Nel corso dell'anno, nel quadro di ottemperanza delle decisioni congressuali, i soggetti diretti di Bonaventure autogestiscono la vita quotidiana pedagogica, finanziaria, materiale.
Ogni settimana ha luogo una assemblea generale dei soggetti diretti di Bonaventure. Vi si discute e decide tutto.
Almeno una volta al mese i bambini si riuniscono in un consiglio di bambini.
Almeno una volta al mese gli adulti si riuniscono in un consiglio degli adulti.
Varie commissioni (pedagogica, finanziaria, edilizia), che comprendono bambini e adulti, soggetti diretti e indiretti, si riuniscono a loro piacimento per operare su progetti precisi.
Le commissioni sono istanze propositive che consentono peraltro di integrare nuovi membri di Bonaventure.
Una commissione di verifica esterna, denominata anche "sguardo esteriore", composta da sociologi, psicologi, insegnanti, educatori, sindacalisti, viene nominata ogni anno dal congresso. I componenti, dovendo simpatizzare con il progetto, non ne devono essere soggetti diretti. Il ruolo della commissione è quello di analizzare e valutare (in piena libertà e anche in positivo e in negativo) la realtà di Bonaventure.
Il rapporto steso dalla commissione è pubblico, mentre spetta alle istanze decisionali (il congresso e l'assemblea generale) trarne le debite conclusioni.

Bonaventure: come si gestiscono i conflitti
Bonaventure non intende mascherare o sopprimere i conflitti che nascono all'interno. I conflitti risultano infatti da tensioni e contraddizioni relativi alla vita sociale e sono inevitabili. Il problema consiste "semplicemente" nel gestirli al meglio degli interessi particolari e dell'interesse generale.
Il consiglio dei bambini e quello degli adulti, che costituiscono spazi di discussione, devono permettere di individuare i conflitti. Una volta identificato, se non viene disinnescato e se persiste, il conflitto viene portato all'assemblea generale settimanale che deve sforzarsi di trovare un consenso. Se non ci si riesce, si rinvia il conflitto ad una commissione di "saggi" nominati dal congresso, che dà allora un parere.
Se il parere non ha effetto per mancanza di consenso, il conflitto allora viene affrontato in occasione del congresso, ove si prende una decisione.
Oltre a una procedura articolata in merito all'individuazione ed all'autonomia (i conflitti di bambini, di adulti, hanno una specificità che è opportuno affrontare nel consiglio specifico), alla discussione ed alla ricerca del consenso, Bonaventure intende sviluppare, in relazione ai conflitti, una etica della solidarietà e del risarcimento.

Bonaventure: qual è il ruolo e il posto dei genitori
I genitori sono naturalmente tenuti a partecipare alla vita istituzionale di Bonaventure. Quando sono portati ad intervenire davanti ai bambini per condividere o fare conoscere un saper-fare, lo fanno in quanto individui dotati di competenze, non in quanto genitori.

Bonaventure: come si entra
L'ingresso di un nuovo elemento in Bonaventure si effettua attraverso un padrino e una madrina. Un bambino accoglie un nuovo bambino diventando suo padrino o sua madrina. Lo stesso avviene per gli adulti. La fase di ingresso dura un mese: il tempo del periodo di prova alla fine del quale il nuovo elemento e Bonaventure decidono o meno di proseguire l'avventura.

Bonaventure: quali sono i rapporti con l'esterno
L'istituto Bonaventure, nella ricerca di convergenze e sulla base di scambi e di aiuti, cerca di allacciare e di stabilizzare relazioni con movimenti pedagogici, associazioni, gruppi alternativi (educativi, economici, sindacali, politici, sociali, culturali). La ricerca di rapporti stabili con l'esterno tesi a costituire una rete non si effettua in qualunque direzione esterna.
L'esterno con cui Bonaventure cerca di annodare relazioni più che contingenti, è un esterno che va nella stessa direzione sociale del centro educativo libertario, e che sviluppa valori e principi, se non proprio identici ai propri, almeno molto affini.
La ricerca in termini di scambi reversibili con la realtà sociale circostante testimonia il rifiuto di Bonaventure di rinchiudersi nell'illusione pedagogica o nel piacere solitario, e la volontà di agire e concretizzare una alternativa sociale (che dà senso ad ogni apprendimento scolastico, sociale e istituzionale che derivano da e dentro Bonaventure).
Il gruppo di bambini, dal suo canto, intratterrà, senza disperdersi, relazioni dirette con altri gruppi o classi alternative solamente in funzione di progetti definiti.

Bonaventure: a chi appartiene
L'esperienza educativa appartiene a coloro che la vivono. I beni mobili ed immobili del centro sono di proprietà collettiva degli attori del progetto, ed ogni decisione relativa a tali beni dovrà essere oggetto di consenso in occasione del congresso.

Bonaventure: come si finanzia
I locali e la loro gestione sono finanziati per sottoscrizioni (a tele proposito si vendono quote di 500 franchi). Il funzionamento del centro (spese per materiali pedagogici, salari, luce, ecc.) È assicurato, per un terzo, da sottoscrizioni (si è attivata una catena di prelievi bancari automatici che consente a chi lo vuole di versare mese dopo mese una certa somma a Bonaventure), per un terzo dall'associazione Bout d'Ficelle, e per l'ultimo terzo da attività tipo feste di sostegno organizzate dai genitori.
Bonaventure: quanto costa
Progetto collettivo, a finanziamento collettivo, l'educazione e l'istruzione scolare a Bonaventure sono gratuiti.

Bonaventure: a chi si rivolge
Bonaventure, centro di educazione libertaria e dunque laica, è aperta a tutti coloro che sono concordi a tentare l'avventura.

MANIFESTO DI BONAVENTURE

Preambolo
Che siano "frutto" del caso, dell'abitudine, dell'errore, dell'ignoranza o dell'amore, i bambini non scelgono mai di vivere.
In tali condizioni, giustizia sarebbe che tutti coloro che "danno" loro la vita o che si gloriano di gestirla, diano loro almeno gli strumenti per scegliere la loro vita. Amandoli, certamente. Ma anche rispettandoli come individui distinti interamente appartenenti a nessun altro se non a loro stessi. E anche accompagnandoli nella scoperta, sempre rischiosa, della vita. Nella formazione, lunga e difficile, della loro personalità.
Di ciò, purtroppo, troppo raramente se ne fa un problema, ed è poco dire che si tratti di un caso.
La famiglia patriarcale ed il suo triangolo delle Bermude edipico, lo stato e le sue solide certezze, le chiese e gli assegni in bianco sull'aldilà, la scuola e le sue promesse d'uguaglianza di opportunità mai mantenute, la divisione sociale e il suo zoo di lupi e di agnelli, lo sfruttamento e l'oppressione dell'uomo dalle forche nere sull'uomo, da cui penzolano a mucchi i numerosi viaggiatori senza bagagli del capitalismo...tutto ciò (e ben altro ancora) concorre in effetti a fare del bambino un oggetto di educazione e dell'educazione un addestramento, contrapponendosi (esplicitamente o implicitamente) a quel che può diventare liberamente soggetto e attore della propria educazione.
Così è la vita! E così è sempre andata! E purtroppo corre il rischio di andare così per tanto tempo ancora!
Bonaventure, al pari di tanti altri piccoli bucaneve ostinati che rodono instancabilmente la gran coltre bianca di questo inverno educativo, è nata da una rivolta contro questo "fato".
Grido spontaneo levato contro il massacro, a piccoli colpi di spillo o a grandi colpi di clava, del bambino.
Rivolta rabbiosa contro tutte le logiche della rassegnazione all'inaccettabile e all'intollerabile. Insurrezione che afferma a chiare lettere che, educando i bambini alla libertà, all'eguaglianza, alla solidarietà, all'autogestione e dando loro gli strumenti (giuridici, materiali, educativi, ecc.) per essere cittadini a sé di una piccola repubblica educativa, essi immetteranno tanto desiderio e significato nella vita e nello studio che nulla e nessuno potrà più derubarli.
Bonaventure appartiene pertanto anima e corpo alla piccola tribù eretica di coloro che non disperano mai di mutare l'educazione, la scuola e la vita. Ponendosi quindi in modo evidente quale alternativa educativa e scolastica (tra altre, beninteso), pur non ignorando che, se i dire ed i fare pedagogici antiautoritari potessero da soli cambiare incisivamente la realtà pedagogica, scolastica ed educativa già lo si sarebbe saputo, Bonaventure intende essere altro da una ennesima "esperienza" educativa libertaria che si evolve al ritmo sincopato dell'illusione pedagogica o/e del piacere solitario.
Pur essendo espressione di un'avventura personale (di alcuni individui) e svolgendosi nel campo pedagogico, scolastico ed educativo, Bonaventure intende essere parte pregnante di un'altra avventura: quella, collettiva e sociale, di tutti coloro che sono determinati - là dove è possibile - a mettere immediatamente in atto alternative libertarie, ben sapendo, però, che soltanto nell'evenienza di una rottura con il sistema sociale esistente l'avventura potrà realmente iniziare ed avere senso.
Da questo punto di vista - e ciò spiega la scelta di proprietà e gestione collettiva, di laicità, di non onerosità, di finanziamento sociale, di ricerca di convergenza con altre alternative antiautoritarie di ogni genere che si sviluppano entro e fuori le istituzioni - Bonaventure è chiaramente membro attivo di un movimento sociale libertario.
In tal senso, al di là delle conclusioni pedagogiche ed educative che nasceranno in pratica (elaborazione di tecniche e di metodologie pedagogiche), Bonaventure si colloca in maniera deliberata sotto il segno di approccio introduttivo a una trasformazione sociale!



PAROLE CHIAVE

CITTADINANZA
E' la relazione esistente, nel contesto di una repubblica, tra individuo e tutto ciò che è pertinente alla città ed alla cosa pubblica. E' altresì la relazione che intrattiene il cittadino con l'esterno della repubblica. E' quindi, ad un tempo, una cornice giuridica, una pratica ed un'etica che si articolano intorno ad una ricerca permanente di equilibrio tra libertà individuale e libertà pubbliche, tra diritti e doveri del/la cittadino/a, tra singolare e collettivo, tra autonomie e complementarità, tra volontà di eguaglianza e rispetto delle specificità. E' il principio unitario di una vita sociale libertaria. E' la cornice al cui interno si evolve e ha senso l'autogestione. E' la lotta quotidiana contro se stessi (occorre spesso fare uno sforzo per essere cittadino/a nella libertà e nell'eguaglianza) e contro gli altri (occorre spesso battersi contro individui, gruppi e logiche tese a sopprimere o a smorzare la cittadinanza). E' perciò un apprendimento permanente nella pratica.

AUTOGESTIONE
E' una relazione di potere consistente nell'esercizio e nel controllo diretto che si esprime in base alla libertà e all'eguaglianza. E' una modalità di gestione di rapporti tra gli individui che acquistano senso nel contesto di una cittadinanza piena e totale. E' un principio ma anche e soprattutto una pratica. E ancora, dato che l'autogestione comporta sempre conflitti, negoziazioni, contratti, è un apprendimento permanente.

AUTONOMIA
La cittadinanza e l'autogestione, che sono fondamentalmente ricerche di consenso sociale, non sono praticabili se non nella loro coesistenza con spazi di autonomia in cui individui e gruppi specifici possono liberamente svilupparsi.
Per quanto concerne il bambino (e certamente i bambini), il rispetto della sua autonomia è fondamentale in un processo di educazione libertaria poiché, oltre ad ammettere il fatto che il bambino non è un adulto in miniatura e che molte cose sfuggono e devono sfuggire agli adulti, ciò consente al bambino di riconoscersi come soggetto desiderante.
Come non esiste apprendimento libertario senza desiderio, solo nel quadro di autonomia che costituisce la base sulla quale poggeranno tutti i desideri ulteriori, nasceranno successivamente condizioni di autogestione e cittadinanza. Al pari di queste ultime, l'autonomia, che reca in sé un conflitto con se stessi (occorre spesso fare sforzi per essere autonomo) e con gli altri (una autonomia può facilmente scontrarsi con un'altra), è un apprendimento permanente.

EGUAGLIANZA
L'eguaglianza è un principio d'enunciazione secondo il quale nessuno è superiore a nessuno e nessuno ha il diritto di sfruttare od opprimere nessuno. E' un principio che si esplica fondamentalmente nel campo giuridico (un diritto) ed in quello del potere e della decisionalità. Su tali basi, è una pratica di ascolto dell'altro e di rispetto delle specificità sin quando ovviamente queste specificità non producono oppressione. E come le differenze (di età, sesso, ecc.) recano spesso in sé il rischio di chiusura (di sé e degli altri) in un ruolo o in una funzione, anche l'eguaglianza è un apprendimento permanente.

LIBERTA'
La libertà è un principio d'enunciazione del diritto di ciascuno a vivere come gli/le pare. E' un principio che, per avere un significato sociale, deve coniugarsi al contempo con la cittadinanza, l'autogestione, l'autonomia e l'eguaglianza. E al pari di questi, è un principio che reca in sé un conflitto con se stessi (occorre sforzarsi per divenire e rimanere libero) e con gli altri (una libertà può ben scontrarsi con un'altra) e che ha bisogno di un apprendimento permanente.

SOLIDARIETA'
La solidarietà è un principio che afferma che ciascun/a cittadino/a è cittadino/a del mondo: che si senta coinvolto da tutto ciò che succede nel mondo. E che tra tutti i cittadini del mondo le uniche relazioni che abbiano valore siano fondate sull'autogestione, l'autonomia, l'eguaglianza, la libertà, lo scambio e la solidarietà. Per l'interesse supremo di ciascuno e di tutti.