Rivista Anarchica Online
Nel corso del tempo
di Stefano Giaccone
Quasi-recensioni in salsa fanta-cronaca
Inizia la sua collaborazione, con questa rubrica, Stefano Giaccone (Los
Angeles, 1959), da anni impegnato nel
campo delle autoproduzioni musicali e della cultura «altra». Ha vissuto, tra l'altro, l'esperienza
dei «Franti»
e degli «Environs».
La situazione era ben peggiore di quella che Demetrio Stratos stava urlando nel mio walkman: «Abbiamo
perso
la memoria del 15° secolo!!». Stavo ascoltando la ristampa in CD di «Maledetti» degli Area, 1977. Una storia
di fantapolitica, quasi: tutta la memoria degli uomini, custodita in computer. Guasto. Nel marasma della perdita
dei dati, si affacciano tre ipotesi: il potere agli anziani («gerontocrazia»), il potere alle donne («scum»), il
potere
ai bambini («giro girotondo»). Nessuno sapeva più dove stare, stavano saltando tutti i ruoli, legami,
gerarchie:
stavamo perdendo la memoria del mondo (comunque oltre a «Maledetti», io avevo con me anche i CD di
«Arbeit macht frei» e «Gli dei se ne vanno»: ascoltare Stratos mi faceva sentire meno solo ... ). All'indomani
dell'incidente al cervellone avevano convocato centinaia di noi informatici; eravamo poi stati selezionati in base
a dei questionari, utili, ci avevano detto, a scoprire le nostre attitudini. Da mesi lavoravo nella confusione
più
totale, per cercare di sistemare i file mescolati, cancellati, tamponare l'emorragia di nomi, date, programmi. Il
mio ufficio è nel Palazzo Agnelli, quello tutto nero che occupa l'ex-area Lingotto. Chissà se
mi pagheranno:
mentre noi copiavamo a mano brani di storie, ricordi che riuscivamo a strappare dal guasto del Cervello Europa
1 (la «grande evaporazione» come l'hanno chiamata i posteri), si perdevano anche registri, funzionari, ministeri,
governi. Ma noi tecnici, si sa, viviamo un po' fuori da queste cose, e ogni mattina, passando dal campo nomadi
(che occupa tutto il centro di Torino, la zona ovest di MI.TO) me ne andavo al Palazzo, accendevo il mio Zen
(ho dato un nome al mio computer. A proposito, io mi chiamo Stefano), e cercavo di capirci qualcosa. Si tratta
di cercare nella memoria centrale dei riferimenti e sperare che qualcosa possa completare frasi, disegni, ricordi
che stiamo perdendo. Come ricostruire una canzone popolare dimenticata, in piazza con tutti gli anziani e i
bambini. Uno dice «officina» e dal gruppo una voce aggiunge «figli dell'officina, o figli della terra ... » e poi
«già l'ora s'avvicina della più giusta guerra, la guerra proletaria ... » e poi su « ... bandiere rosse
e nere ... »
magari qualcuno fa confusione. Vabbè, si perde la memoria del Cervello Europa 1, potremo fare dei
casini
anche noi, no? A me sono toccati un paio di file da riordinare, nei quali ci sono le memorie di due persone ormai
mescolate a quella del... Mondo. Non so perché proprio a me questi due. Ma forse è
così: mentre ti chiedi chi
sei, diventi qualcuno o qualcosa per gli altri. ESTRATTO RITROVAMENTO « ... e chissà chi
siamo? che diranno li miei figlioli? Sono solo, alla macchia.
Sono fuggito dalla Valsesia triste. Per tre anni abbiamo resistito noi fratres di Dolcino, e molti eravamo colle
armi in pugno. Io da sempre sto contro preti e li mali omini potenti che difendono. Perché s'ingrassano
del
nostro lavoro e della nostra ignoranza. Così ascoltai il Segarelli: gli apostolici si facevano chiamare.
Poi, morto
che fu, è venuto il profeta di Novara, Dolcino. Ci diceva che l'attesa era finita, che i signa erano chiari
sotto il
cielo, che potenti, tiranni e falsi cristiani sarebbero stati cancellati dalla volontà di Dio. Ma che
potevamo,
rispettosamente, dare a Lui una mano. E siamo saliti in Valsesia inseguiti dai cani da guardia di Clemente V,
con le armi. Voi, figlioli che leggete, non credete ai falsi libri: l'Historia fratris Dulcini heresiarche nessuno dice
chi l'ha scritta, ma viene di certo dalla diocesi di Vercelli. Perché a loro, direttamente abbiamo preso
la terra e
la cosa più preziosa, la fiducia dei loro contadini. In molti ci aiutarono, ma il ricatto del terrore, della
fame, delle
menzogne li fece fuggire. Così, il vescovo fa scrivere al cronista che Dolcino era un brigante, un
violento. Come
potete sapere voi, figlioli che fu la vita dei Dolciniani, dei tanti eretici raccolti su quella montagna, se nessuno
ha conservato i nostri scritti ma solo, negli archivi della chiesa le parole dei potenti che combattevamo? Cosa
saprete mai della vita mia, Arialdo, se non potrò parlarvi? Qui, nella fuga solitaria che m'attende, mi
chiedo
cosa siamo stati? Vi canterò: scuotersi dal terrore / creare nuove parole / stravolgendo la logica delle
cose /
distruggere il linguaggio barricante / del dominio / correre dove non ti è mai stato concesso di andare
/ aprendo
nuove emozioni / per cancellare una staticità malata / solo allora potersi capire / farsi contagiare
dall'indefinito
/ non più codici della mente e / i dogmi cadono uno a uno / senti, sei quasi te stesso / sta andando
così fuori
strada / finalmente una nuova strada / e pensare che è solo l'inizio / della tua libertà. Questo
canto dei Teatro
Quotidiano ... ». Merda. Si deve essere inserito un altro file. Teatro Quotidiano è un gruppo di Rovereto
(TN),
che partecipa ad un disco 45 giri dal nome «LUNA NERA», con altri (FATMA, DETRITI, DNE) in benefit
per
la rivista gratuita LAME DI LUNA. Mi è difficile capire cosa cercassero veramente Arialdo e i suoi.
Ripristinare la gloria di Dio oppure sovvertire l'ordine sociale: o forse le due cose assieme. Come cercare una
«naturalità» delle cose, un ordine celeste, sconvolto dai potenti coi loro soldi e le loro armi. Passare
dalla la
chiesa di Pietro alla 2a. Certo da allora, di chiese ne sono passate a decine eppure tutto è mutato ... senza
cambiare nulla! Vediamo se ... «la drammatica conclusione di un sogno di palingenesi spirituale (non di
un'utopia socio-politica) segna simbolicamente il tramonto della vicenda di eretici ed eresie del medioevo. Si
chiudeva così una parabola che aveva lasciato nel suo cammino ferite di morte e di speranza. Avevano
costretto
la chiesa cattolico-romana a modificarsi: ed essa, modificata, era riuscita a eliminare tutti, a togliere ogni spazio
di sperimentazione, di certo sogno evangelico anche» (da «Eretici ed eresie medievali» di G. Merlo). Un po'
drastico, forse. Aggiungiamo quest'altra nota, magari succede qualcosa: «Storia di GRONGE, pugile quasi
intronato che riuscì ad alzare le braccia al cielo proprio nell'istante che i suoi sostenitori cominciavano
a
disperare. GRONGE scese dal ring per camminare in mezzo alla sua gente ... per ogni pugile che smette o muore
un altro pugile lo sostituisce ... ». Stacco un attimo con gli Area e mi ascolto 'sti GRONGE, il CD
«tecnopunkcabaret». Musica che attraversa la nostra Italia come un lupo braccato. ESTRATTO
RITROVAMENTO: «cazzo, per un pelo! Speriamo che non salgano in solaio, gli sbirri. Chissà
perché sto parlando dentro 'sta cassetta, ma è l'unica cosa che sono riuscito a prendere mentre
la polizia
occupava Radio Alice. Sono un compagno della radio, mi chiamo Angelo, ma gli altri mi chiamano Spino. Ho
preso il registratore, quello per fare le interviste ai cortei, davanti alle scuole, al limite agli operai, alla gente nei
quartieri, no? E pensare che io ho sempre parlato pochissimo: invece mi sono ritrovato a fare il compagno
giornalista. Ma forse è così: mentre ti chiedi chi sei, diventi qualcuno o qualcosa per gli altri.
Stiamo facendo
uno sforzo enorme per documentare questo movimento, 'sto 77 benedetto. Perché sta venendo il tempo
che si
deve decidere: le strade sono piene e la consapevolezza del proletariato è alta. Anche i poeti, gli
scrittori, i
musicisti vengono quasi a gratis per aiutarci: c'è un mondo nuovo da costruire. L'altro giorno, al
concerto per
decidere chi doveva suonare hanno tirato a sorte, Claudio Lolli, Franco Battiato, gli Area insieme a gente di qua,
il Laboratorio Permanente di Cultura Operaia, i Fettecchias e Ciro Lo Cascio, un operaio cantautore. Va
bé che
poi quello della Polygram e Mario, il capo dell'organizzazione hanno fatto suonare chi volevano loro,
però per
tutti ci sarà spazio. Del resto, la radio, il giornale, costano un occhio; pure gli Stalin! (ma noi li abbiamo
ri/presi
al magazzino di un fascio). Se non chiami il 'nome' chi viene a sentire Ciro? a me però piace ...» poi ci
fu il
rifiuto della musica in grosse pillole, dei concerti che rimbecilliscono, e forse anche la tentazione di rifiutare
tutto il pop e la sua storia in nome di un ritorno a forme ibride e ambigue: e dunque revival non tutti limpidi,
ma significativi di una situazione difficile. Il Movimento, dunque, affinava le sue armi. Rifiutava la logica della
musica come divertimento, ne riaffermava la necessaria e imprescindibile funzione di rispecchiamento.
Femminismo e liberazione sessuale, aborto e droga, condizione giovanile e critica delle istituzioni, si legarono
inscindibilmente e allora la musica cambiò di posto. Non più il rifugio caldo e sciocco di chi
non ha più nulla,
non combatte e non vive, ma una ragione in più per trovarsi insieme, contarsi, vivere momenti, parziali
certo,
di festa. Dagli anni '60 la musica non è poi molto cambiata. Quello che è cambiato è
il modo di viverla e di
ascoltarla. I divi sono caduti inciampando goffamente nei loro piedi d'argilla. Il mercato giustamente ristagna
ed è obsoleto. Zard e Mamone si sono, sembra, definitivamente ritirati. «Ganzo, 'sto Muzak del
settembre 1975.
Certo anche a me piacerebbe suonare, scrivere canzoni o leggere poesie ai compagni, ma dovrei stare con loro,
magari lavorarci, in un posto grande, far girare la gente come noi a suonare, far girare i nostri dischi, magari
anche Ciro e le sue canzoni strampalate, e sbattersene i coglioni del tipo della Polygram che mica è un
compagno. Ci vorrebbe un centro sociale pieno di punk ... ». OK. Alt un attimo, dopo un po' s'ingarbuglia tutto.
Strano come il problema della identità, della memoria sembri attraversare tutto lo specchio della storia
degli
uomini. Sto pensando anche all'identificazione per contrasto: essere, avere un ruolo come riflesso di un nemico.
«Oggi come sempre è dunque necessario non esitare nel combattere il fascismo. Per farlo è
sicuramente utile
conoscerne i tratti, le manifestazioni, la strategia che nella sua forma radicale è incentrata sulla sintesi
fra Destra
e Sinistra. Ma questo non basta. Dobbiamo soprattutto conoscere il nostro progetto, dobbiamo sapere i motivi
che spingono NOI a lottare contro questo mondo. Se non lo facciamo, se non approfondiamo le ragioni della
nostra lotta, se non sondiamo l'abisso che abbiamo dentro, rischiamo di affidare tutto all'ortodossia, all'ideologia.
Nel qual caso non potremo lamentarci se, al primo colpo di vento, ci ritroveremo aggrappati ai nostri nemici».
Ottimo libro, questo «Critica dell'antifascismo», edito da GRATIS, c.p. 2259-50100 Firenze. Un estratto e un
commento li ho pure trovati su Anarres/Senza Patria 65. Che succede? Ah, è la mia amica che mi scrive.
YOU
HAVE NEW MAIL. OUT OF THE BLUE @ FU. DEC. COM. Leggiamo la posta: per oggi basta lavoro.
Amica, strana, Out of the blue. Mi scrive nella mia E-mail da un posto particolare: il futuro. «In rete,
amico, Come va? So che state lavorando sodo, lì alla Grande Evaporazione. Ma farete un bel lavoro:
di più non ti dico, però! Ho ritrovato quel tipo, il vecchietto, Blatto. Quello con tutti quei vecchi
dischi, alcuni
anche veri, di plastica! Che tempi però i vostri: ogni cosa per sentirla, o vederla, leggerla ha bisogno
di una
macchina apposta. Infatti lui ha ancora un GIRADISCO, il tipo! Ci sono cose molto interessanti nei vostri
dischi. Qualcosa che mi dice che c'è stato un grosso cambiamento. Tu dovevi avere circa 35 anni.
C'è un senso
di solitudine, di isolamento, di vuoto pneumatico in cui i vostri giovani cercano di ricostruire un minimo di ...
cosmo. Tu e i tuoi amici siete già oltre questa inquietudine. Loro si cercano: dentro le distanze che
l'Aids,
Cernobyl, la fine dei sogni hanno creato «giorni come giorni / giorni come giorni / da tenere o forse in qualche
modo / spesi / senza forza / giorni come stanze / stanze e non c'è niente fuori / non c'è niente
fuori / credimi /
non c'è niente fuori / tranne i colori che già conosci». Questa te la ricordi? Sta su un disco dei
MASSIMO
VOLUME "prendere una direzione qualsiasi, un'uscita qualsiasi". Ho rivisto anche un vecchissimo film della
vostra epoca, "Sesso, bugie e videotape". Vi parlate attraverso le immagini, siete quello che apparite, muti seduti
in poltrona conoscete il rombo assurdo che può fare una goccia che cade nel lavandino, appena spegnete
il
vostro occhio sul mondo, il televisore. Siete tutti un po' spaventati dal fatto di scomparire dentro ... la
televisione. Era il vostro dio e poi vi siete ritrovati comunque soli e nudi, vi siete accorti quanto l'anima possa
... dolere. I vostri romanzi minimali, il vostro rotolare di pomeriggi di pioggia. Il crepuscolo è il vostro
colore.
Il disco è bello, carico. Salta fuori rispetto alla massa di cretinate che ascoltavate. Il Blatto ha messo
dopo
PANICO, "Scimmie", ma già lo conoscevo. Mentre ascoltavo pensavo ad uno squalo ferito a morte.
E poi ha
messo su DETRITI, ma tu Stefano il15 maggio 1994 non lo avevi ancora sentito. O si? E poi, quell'altro Kobain.
Jim Morrison, Ian Curtis, tutti quei cantanti che parlano della morte e poi s'ammazzano veramente. Ma
perché
prendevate tutto così seriamente? Sono cose, idee che vanno, vengono e qualche volta ritornano. Tutto
questo
parlare del CORPO, il riferimento a insetti, il minuscolo e il cosmico. Va bene, eravate un po' ... spaesati. Noi
oggi diciamo "splanetarsi". Tu che puoi (qui nel 2000 e rotti è introvabile) vatti a rivedere "Fino alla
fine del
mondo", di Wim Wenders. Alla fine lei guarda la Terra da una nave spaziale, facendo discorsi sull'ecosistema,
sui sogni. Per forza a voi non era piaciuto; noi qui lo studiamo a scuola. Come voi studiavate quel vostro libro,
qual'è il nome? Ah, sì! "I promessi sposi". Bella stronzata, tra l'altro. Basta, per oggi (?). Fuori
rete, Out of the
blue». Che palle, mi fa venire questa qui.
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