Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 24 nr. 211
estate 1994


Rivista Anarchica Online

Nel corso del tempo
di Stefano Giaccone

Quasi-recensioni in salsa fanta-cronaca

Inizia la sua collaborazione, con questa rubrica, Stefano Giaccone (Los Angeles, 1959), da anni impegnato nel campo delle autoproduzioni musicali e della cultura «altra». Ha vissuto, tra l'altro, l'esperienza dei «Franti» e degli «Environs».

La situazione era ben peggiore di quella che Demetrio Stratos stava urlando nel mio walkman: «Abbiamo perso la memoria del 15° secolo!!». Stavo ascoltando la ristampa in CD di «Maledetti» degli Area, 1977. Una storia di fantapolitica, quasi: tutta la memoria degli uomini, custodita in computer. Guasto. Nel marasma della perdita dei dati, si affacciano tre ipotesi: il potere agli anziani («gerontocrazia»), il potere alle donne («scum»), il potere ai bambini («giro girotondo»). Nessuno sapeva più dove stare, stavano saltando tutti i ruoli, legami, gerarchie: stavamo perdendo la memoria del mondo (comunque oltre a «Maledetti», io avevo con me anche i CD di «Arbeit macht frei» e «Gli dei se ne vanno»: ascoltare Stratos mi faceva sentire meno solo ... ). All'indomani dell'incidente al cervellone avevano convocato centinaia di noi informatici; eravamo poi stati selezionati in base a dei questionari, utili, ci avevano detto, a scoprire le nostre attitudini. Da mesi lavoravo nella confusione più totale, per cercare di sistemare i file mescolati, cancellati, tamponare l'emorragia di nomi, date, programmi. Il mio ufficio è nel Palazzo Agnelli, quello tutto nero che occupa l'ex-area Lingotto. Chissà se mi pagheranno: mentre noi copiavamo a mano brani di storie, ricordi che riuscivamo a strappare dal guasto del Cervello Europa 1 (la «grande evaporazione» come l'hanno chiamata i posteri), si perdevano anche registri, funzionari, ministeri, governi. Ma noi tecnici, si sa, viviamo un po' fuori da queste cose, e ogni mattina, passando dal campo nomadi (che occupa tutto il centro di Torino, la zona ovest di MI.TO) me ne andavo al Palazzo, accendevo il mio Zen (ho dato un nome al mio computer. A proposito, io mi chiamo Stefano), e cercavo di capirci qualcosa. Si tratta di cercare nella memoria centrale dei riferimenti e sperare che qualcosa possa completare frasi, disegni, ricordi che stiamo perdendo. Come ricostruire una canzone popolare dimenticata, in piazza con tutti gli anziani e i bambini. Uno dice «officina» e dal gruppo una voce aggiunge «figli dell'officina, o figli della terra ... » e poi «già l'ora s'avvicina della più giusta guerra, la guerra proletaria ... » e poi su « ... bandiere rosse e nere ... » magari qualcuno fa confusione. Vabbè, si perde la memoria del Cervello Europa 1, potremo fare dei casini anche noi, no? A me sono toccati un paio di file da riordinare, nei quali ci sono le memorie di due persone ormai mescolate a quella del... Mondo. Non so perché proprio a me questi due. Ma forse è così: mentre ti chiedi chi sei, diventi qualcuno o qualcosa per gli altri.
ESTRATTO RITROVAMENTO « ... e chissà chi siamo? che diranno li miei figlioli? Sono solo, alla macchia. Sono fuggito dalla Valsesia triste. Per tre anni abbiamo resistito noi fratres di Dolcino, e molti eravamo colle armi in pugno. Io da sempre sto contro preti e li mali omini potenti che difendono. Perché s'ingrassano del nostro lavoro e della nostra ignoranza. Così ascoltai il Segarelli: gli apostolici si facevano chiamare. Poi, morto che fu, è venuto il profeta di Novara, Dolcino. Ci diceva che l'attesa era finita, che i signa erano chiari sotto il cielo, che potenti, tiranni e falsi cristiani sarebbero stati cancellati dalla volontà di Dio. Ma che potevamo, rispettosamente, dare a Lui una mano. E siamo saliti in Valsesia inseguiti dai cani da guardia di Clemente V, con le armi. Voi, figlioli che leggete, non credete ai falsi libri: l'Historia fratris Dulcini heresiarche nessuno dice chi l'ha scritta, ma viene di certo dalla diocesi di Vercelli. Perché a loro, direttamente abbiamo preso la terra e la cosa più preziosa, la fiducia dei loro contadini. In molti ci aiutarono, ma il ricatto del terrore, della fame, delle menzogne li fece fuggire. Così, il vescovo fa scrivere al cronista che Dolcino era un brigante, un violento. Come potete sapere voi, figlioli che fu la vita dei Dolciniani, dei tanti eretici raccolti su quella montagna, se nessuno ha conservato i nostri scritti ma solo, negli archivi della chiesa le parole dei potenti che combattevamo? Cosa saprete mai della vita mia, Arialdo, se non potrò parlarvi? Qui, nella fuga solitaria che m'attende, mi chiedo cosa siamo stati? Vi canterò: scuotersi dal terrore / creare nuove parole / stravolgendo la logica delle cose / distruggere il linguaggio barricante / del dominio / correre dove non ti è mai stato concesso di andare / aprendo nuove emozioni / per cancellare una staticità malata / solo allora potersi capire / farsi contagiare dall'indefinito / non più codici della mente e / i dogmi cadono uno a uno / senti, sei quasi te stesso / sta andando così fuori strada / finalmente una nuova strada / e pensare che è solo l'inizio / della tua libertà. Questo canto dei Teatro Quotidiano ... ». Merda. Si deve essere inserito un altro file. Teatro Quotidiano è un gruppo di Rovereto (TN), che partecipa ad un disco 45 giri dal nome «LUNA NERA», con altri (FATMA, DETRITI, DNE) in benefit per la rivista gratuita LAME DI LUNA. Mi è difficile capire cosa cercassero veramente Arialdo e i suoi. Ripristinare la gloria di Dio oppure sovvertire l'ordine sociale: o forse le due cose assieme. Come cercare una «naturalità» delle cose, un ordine celeste, sconvolto dai potenti coi loro soldi e le loro armi. Passare dalla la chiesa di Pietro alla 2a. Certo da allora, di chiese ne sono passate a decine eppure tutto è mutato ... senza cambiare nulla! Vediamo se ... «la drammatica conclusione di un sogno di palingenesi spirituale (non di un'utopia socio-politica) segna simbolicamente il tramonto della vicenda di eretici ed eresie del medioevo. Si chiudeva così una parabola che aveva lasciato nel suo cammino ferite di morte e di speranza. Avevano costretto la chiesa cattolico-romana a modificarsi: ed essa, modificata, era riuscita a eliminare tutti, a togliere ogni spazio di sperimentazione, di certo sogno evangelico anche» (da «Eretici ed eresie medievali» di G. Merlo). Un po' drastico, forse. Aggiungiamo quest'altra nota, magari succede qualcosa: «Storia di GRONGE, pugile quasi intronato che riuscì ad alzare le braccia al cielo proprio nell'istante che i suoi sostenitori cominciavano a disperare. GRONGE scese dal ring per camminare in mezzo alla sua gente ... per ogni pugile che smette o muore un altro pugile lo sostituisce ... ». Stacco un attimo con gli Area e mi ascolto 'sti GRONGE, il CD «tecnopunkcabaret». Musica che attraversa la nostra Italia come un lupo braccato.
ESTRATTO RITROVAMENTO: «cazzo, per un pelo! Speriamo che non salgano in solaio, gli sbirri. Chissà perché sto parlando dentro 'sta cassetta, ma è l'unica cosa che sono riuscito a prendere mentre la polizia occupava Radio Alice. Sono un compagno della radio, mi chiamo Angelo, ma gli altri mi chiamano Spino. Ho preso il registratore, quello per fare le interviste ai cortei, davanti alle scuole, al limite agli operai, alla gente nei quartieri, no? E pensare che io ho sempre parlato pochissimo: invece mi sono ritrovato a fare il compagno giornalista. Ma forse è così: mentre ti chiedi chi sei, diventi qualcuno o qualcosa per gli altri. Stiamo facendo uno sforzo enorme per documentare questo movimento, 'sto 77 benedetto. Perché sta venendo il tempo che si deve decidere: le strade sono piene e la consapevolezza del proletariato è alta. Anche i poeti, gli scrittori, i musicisti vengono quasi a gratis per aiutarci: c'è un mondo nuovo da costruire. L'altro giorno, al concerto per decidere chi doveva suonare hanno tirato a sorte, Claudio Lolli, Franco Battiato, gli Area insieme a gente di qua, il Laboratorio Permanente di Cultura Operaia, i Fettecchias e Ciro Lo Cascio, un operaio cantautore. Va bé che poi quello della Polygram e Mario, il capo dell'organizzazione hanno fatto suonare chi volevano loro, però per tutti ci sarà spazio. Del resto, la radio, il giornale, costano un occhio; pure gli Stalin! (ma noi li abbiamo ri/presi al magazzino di un fascio). Se non chiami il 'nome' chi viene a sentire Ciro? a me però piace ...» poi ci fu il rifiuto della musica in grosse pillole, dei concerti che rimbecilliscono, e forse anche la tentazione di rifiutare tutto il pop e la sua storia in nome di un ritorno a forme ibride e ambigue: e dunque revival non tutti limpidi, ma significativi di una situazione difficile. Il Movimento, dunque, affinava le sue armi. Rifiutava la logica della musica come divertimento, ne riaffermava la necessaria e imprescindibile funzione di rispecchiamento. Femminismo e liberazione sessuale, aborto e droga, condizione giovanile e critica delle istituzioni, si legarono inscindibilmente e allora la musica cambiò di posto. Non più il rifugio caldo e sciocco di chi non ha più nulla, non combatte e non vive, ma una ragione in più per trovarsi insieme, contarsi, vivere momenti, parziali certo, di festa. Dagli anni '60 la musica non è poi molto cambiata. Quello che è cambiato è il modo di viverla e di ascoltarla. I divi sono caduti inciampando goffamente nei loro piedi d'argilla. Il mercato giustamente ristagna ed è obsoleto. Zard e Mamone si sono, sembra, definitivamente ritirati. «Ganzo, 'sto Muzak del settembre 1975. Certo anche a me piacerebbe suonare, scrivere canzoni o leggere poesie ai compagni, ma dovrei stare con loro, magari lavorarci, in un posto grande, far girare la gente come noi a suonare, far girare i nostri dischi, magari anche Ciro e le sue canzoni strampalate, e sbattersene i coglioni del tipo della Polygram che mica è un compagno. Ci vorrebbe un centro sociale pieno di punk ... ». OK. Alt un attimo, dopo un po' s'ingarbuglia tutto. Strano come il problema della identità, della memoria sembri attraversare tutto lo specchio della storia degli uomini. Sto pensando anche all'identificazione per contrasto: essere, avere un ruolo come riflesso di un nemico. «Oggi come sempre è dunque necessario non esitare nel combattere il fascismo. Per farlo è sicuramente utile conoscerne i tratti, le manifestazioni, la strategia che nella sua forma radicale è incentrata sulla sintesi fra Destra e Sinistra. Ma questo non basta. Dobbiamo soprattutto conoscere il nostro progetto, dobbiamo sapere i motivi che spingono NOI a lottare contro questo mondo. Se non lo facciamo, se non approfondiamo le ragioni della nostra lotta, se non sondiamo l'abisso che abbiamo dentro, rischiamo di affidare tutto all'ortodossia, all'ideologia. Nel qual caso non potremo lamentarci se, al primo colpo di vento, ci ritroveremo aggrappati ai nostri nemici». Ottimo libro, questo «Critica dell'antifascismo», edito da GRATIS, c.p. 2259-50100 Firenze. Un estratto e un commento li ho pure trovati su Anarres/Senza Patria 65. Che succede? Ah, è la mia amica che mi scrive. YOU HAVE NEW MAIL. OUT OF THE BLUE @ FU. DEC. COM. Leggiamo la posta: per oggi basta lavoro. Amica, strana, Out of the blue. Mi scrive nella mia E-mail da un posto particolare: il futuro.
«In rete, amico, Come va? So che state lavorando sodo, lì alla Grande Evaporazione. Ma farete un bel lavoro: di più non ti dico, però! Ho ritrovato quel tipo, il vecchietto, Blatto. Quello con tutti quei vecchi dischi, alcuni anche veri, di plastica! Che tempi però i vostri: ogni cosa per sentirla, o vederla, leggerla ha bisogno di una macchina apposta. Infatti lui ha ancora un GIRADISCO, il tipo! Ci sono cose molto interessanti nei vostri dischi. Qualcosa che mi dice che c'è stato un grosso cambiamento. Tu dovevi avere circa 35 anni. C'è un senso di solitudine, di isolamento, di vuoto pneumatico in cui i vostri giovani cercano di ricostruire un minimo di ... cosmo. Tu e i tuoi amici siete già oltre questa inquietudine. Loro si cercano: dentro le distanze che l'Aids, Cernobyl, la fine dei sogni hanno creato «giorni come giorni / giorni come giorni / da tenere o forse in qualche modo / spesi / senza forza / giorni come stanze / stanze e non c'è niente fuori / non c'è niente fuori / credimi / non c'è niente fuori / tranne i colori che già conosci». Questa te la ricordi? Sta su un disco dei MASSIMO VOLUME "prendere una direzione qualsiasi, un'uscita qualsiasi". Ho rivisto anche un vecchissimo film della vostra epoca, "Sesso, bugie e videotape". Vi parlate attraverso le immagini, siete quello che apparite, muti seduti in poltrona conoscete il rombo assurdo che può fare una goccia che cade nel lavandino, appena spegnete il vostro occhio sul mondo, il televisore. Siete tutti un po' spaventati dal fatto di scomparire dentro ... la televisione. Era il vostro dio e poi vi siete ritrovati comunque soli e nudi, vi siete accorti quanto l'anima possa ... dolere. I vostri romanzi minimali, il vostro rotolare di pomeriggi di pioggia. Il crepuscolo è il vostro colore. Il disco è bello, carico. Salta fuori rispetto alla massa di cretinate che ascoltavate. Il Blatto ha messo dopo PANICO, "Scimmie", ma già lo conoscevo. Mentre ascoltavo pensavo ad uno squalo ferito a morte. E poi ha messo su DETRITI, ma tu Stefano il15 maggio 1994 non lo avevi ancora sentito. O si? E poi, quell'altro Kobain. Jim Morrison, Ian Curtis, tutti quei cantanti che parlano della morte e poi s'ammazzano veramente. Ma perché prendevate tutto così seriamente? Sono cose, idee che vanno, vengono e qualche volta ritornano. Tutto questo parlare del CORPO, il riferimento a insetti, il minuscolo e il cosmico. Va bene, eravate un po' ... spaesati. Noi oggi diciamo "splanetarsi". Tu che puoi (qui nel 2000 e rotti è introvabile) vatti a rivedere "Fino alla fine del mondo", di Wim Wenders. Alla fine lei guarda la Terra da una nave spaziale, facendo discorsi sull'ecosistema, sui sogni. Per forza a voi non era piaciuto; noi qui lo studiamo a scuola. Come voi studiavate quel vostro libro, qual'è il nome? Ah, sì! "I promessi sposi". Bella stronzata, tra l'altro. Basta, per oggi (?). Fuori rete, Out of the blue». Che palle, mi fa venire questa qui.