Rivista Anarchica Online
Portogallo venti anni dopo
di A Ideia
Uscita dapprima in Francia - terra d'esilio - nei primi anni
'70, la rivista A Ideia («L'Idea») è stata una voce
equilibrata e stimolante dell'anarchismo di lingua portoghese, fino alla definitiva chiusura tre anni
fa. Ogni
tanto, però, gli editori danno vita a un foglio dedicato ad un tema. Ecco il testo da loro
diffuso lo scorso aprile,
in occasione del ventennale della «rivoluzione dei garofani».
Vent'anni fa scoppiava il tumulto del 25 aprile e qualche giorno dopo vedeva la luce per la prima volta
questa
pubblicazione. Con essa riprendeva fiato anche, in modo simbolico, il movimento anarchico e libertario, molto
vivace e importante ai primi del secolo ma del quale le generazioni dell'ultimo dopoguerra non hanno neanche
sentito parlare. Questa tripla coincidenza di fatti testimonia degli stretti legami esistenti tra di loro, anche
se di natura diversa.
Alcuni di questi legami sono stati di tipo episodico, altri non sono mai venuti meno, anche se con gradi diversi
di tensione. Dopo vent'anni, quali di questi legami sono rimasti in piedi? È indubbio che le
trasformazioni cominciate il 25 aprile del 1974 sono state le più significative degli ultimi
decenni in seno alla società portoghese, paragonabili a quelle del 5 ottobre del 1910 o del 28 maggio
del 1926.
Se ciò è innegabile dal punto di vista strettamente politico, oseremmo dire che, dal punto di
vista dei rapporti
sociali, della vita economica e della posizione del Portogallo nel contesto internazionale, il 25 aprile diede
l'avvio a un processo di modifiche senza precedenti per la sua importanza e per le conseguenze che tali
trasformazioni hanno avuto in seguito. Molti dei protagonisti della politica rivoluzionaria degli anni '70
sono stati amaramente delusi nei loro sogni
e ambizioni a causa di una routine costituzionale che li ha esclusi. Gran parte delle classi popolari che all'epoca
s'impegnarono «per il socialismo» oppure reagirono contro gli eccessi dei comunisti e della sinistra tornano
oggi
a preoccuparsi della disoccupazione e della crisi, dopo i suffragi che hanno consacrato il partito e l'uomo che
incarnavano la ricchezza, lo sviluppo e le prospettive europee degli anni '80. Tuttavia, si tratta di moti
congiunturali, momenti di esaltazione o di smarrimento decisivi da un punto di vista elettorale ma che non
hanno nessuna incidenza sul senso più profondo di certi orientamenti e tendenze. Il 25 aprile
liquidò il fardello coloniale e la mitologia dell'impero, ci indirizzò verso l'Europa, modello di
ricchezza e sviluppo ma anche di diritto repubblicano in cui vige il concetto d'uguaglianza degli individui
davanti alla legge e una forma democratica di governo. Inversioni di rotta che non possono essere mutate
cambiando semplicemente politica o politici e non soggette alle congiunture economiche o agli spostamenti
dell'opinione pubblica. Tutto ciò grazie al 25 aprile, con l'orgoglio legittimo di tutti quelli che
sinceramente vi
hanno contribuito o aderito. Decisamente, quelli che oggi gridano contro «il tradimento degli ideali di aprile»
non hanno ragione. O sono degli ingenui - e non è il caso dei politici - oppure vorrebbero
semplicemente
imporre la propria idea di governo e di società e non sopportano di essere sostituiti democraticamente
al potere
da tecnocrati o politici novelli. Ma non son tutti fiori né conquiste definitive in questa inversione
di rotta. Tutti gli osservatori concordano
nell'affermare che l'Europa e il mondo post guerra fredda si trovino nella peggiore delle congiunture economiche
e nella situazione sociale più conflittuale che si ricordi dalla «grande depressione». Le conseguenze
dell'inquinamento, dell'urbanizzazione, del turismo e del miglioramento del livello di vita delle popolazioni
cominciano a essere allarmanti. Lo stesso sistema strategico che vede al suo centro l'Europa (uno dei punti
chiave che il nostro 25 aprile non osò toccare, proseguendo la politica di Salazar e Caetano) presenta
incrinature
a proposito della posizione da prendere nei confronti della Russia e degli altri nuovi paesi dell'Est, a proposito
della crisi dei Balcani, della minaccia integralista islamica, della creazione di un'entità politica e di
difesa
europea che riveda necessariamente il suo rapporto con l'alleato americano. Sono problemi troppo gravi che si
ripercuotono per forza sulla vita di un piccolo paese come il Portogallo. Ciononostante, l'attenzione concessa
loro è purtroppo minima, lasciati quasi esclusivamente agli specialisti e al dibattito interno ai partiti e
ai media. È vero che le soluzioni a questi problemi appartengono al futuro e alle decisioni del
presente e che non serve
a niente «piangere sul latte versato». Ma non sarebbe comunque più realista e rigoroso riconoscere che,
insieme
agli aspetti benefici e auspicabili delle grandi trasformazioni e delle nuove strade, ci sono altri aspetti soggetti
a involuzioni, distruzioni, e che ciò rappresenta un costo o una perdita, forse irreparabile, del nostro
patrimonio
umano collettivo? Si tratta, in fondo, di concedere dignità e una parte di ragione ai «vinti della storia»
e, d'altra
parte, di accettare le conseguenze negative di questa storia. Se chiedere o aspettarsi un tale atteggiamento dai
politici e dagli organi di potere sarebbe troppo, esso ci sembra indispensabile sul piano intellettuale, personale
e sociale. Così, il 25 aprile compie vent'anni e il Portogallo si trova uguale a sé stesso e
molto cambiato rispetto al 1974.
Con più macchine e televisori, con giovani che non devono combattere contro tradizioni apparentemente
assurde, con nuovi problemi di salute e d'identità personale, e anche con contadini avviliti (e più
soli) e
bidonville. Con un sistema costituzionale, di partiti e di rapporti professionali, che funzionano e non ci
costringono alle crociate delle grandi cause. Con un'età, una solidità, un'efficacia e una
legittimazione che hanno
superato il paragone con la repubblica democratica del 1910-1926. Tanti di questi anni! Nei primi tempi
dopo il 25 aprile, gli anarcosindacalisti superstiti della vecchia CGT, dei gruppi anarchici, del
18 gennaio, del Tarrafal e della guerra di Spagna poterono ricomparire pubblicamente e, con alcuni giovani,
sognarono di poter ricostruire un movimento libertario all'interno del Portogallo libero che stava rinascendo.
In realtà, sebbene alcune delle loro intuizioni e certezze si mostrarono tempestivamente - l'atmosfera
che si
respirava allora era fortemente segnata dall'idea di libertà -, la loro strategia si rivelò
completamente inadeguata,
lasciandoli ancora una volta «fuori dalla storia». A Ideia, pubblicazione di un piccolo gruppo allora
fondato, rifletté parzialmente questo percorso, ma se ne
discostò più tardi. In un primo momento, a partire dal 1978/79, orientandosi
chiaramente verso un'attività
politico-culturale di tipo sociale e cercando di rinnovare e riformare alcuni aspetti dottrinari e politici del
libertarismo. Più tardi, nel 1991 , dopo diciotto anni di lotta continua, dissolvendosi come gruppo, ma
facendolo
in modo oculato ed esemplare. Questa pubblicazione ne è una prova. Tanti di questi anni!
(traduzione di Enrique Santos Unamuno)
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