Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 23 nr. 203
ottobre 1993


Rivista Anarchica Online

Sensibili alla guerra
di Paolo Lanzi - Dario Sabbadini

Un gruppo di milanesi decide di seguire l'azione di interposizione nonviolenta «pace ora» (Mir Sada) in Bosnia, questa estate. Mir Sada ha svelato i problemi e le potenzialità di un pacifismo di azione diretta (e non di parole) di respiro internazionale. «Noi l'abbiamo cavalcata come una grossa esperienza politica e insieme con il ritmo, il respiro, l'entusiasmo di un viaggio».

Conosciamo Mir Sada attraverso il «training» (una specie di mini-campo non-violento), a Milano, proposto come mezzo fondamentale sia per la costruzione della fiducia tra i singoli, che per formare Gruppi di Affinità (G.d.A.) di 20/30 persone, visti come struttura base della manifestazione. Per i «Beati i Costruttori di Pace» (organizzatori insieme ad «Equilibre» dell'azione Mir Sada) questa struttura, già sperimentata in «Sarayevo 1» marcia dei 500 a dicembre, garantiva la continua verifica delle volontà dei singoli attraverso il confronto consensuale all'interno dei G.d.A.
Il training e l'affiatamento del gruppo ci convince, il metodo sembra garantire democrazia, inoltre incontriamo grande solidarietà anche da parte di gente sconosciuta per un progetto che sembrava utopia: entrare in tanti (allora le cifre parlavano di 10.000 partecipanti!!) in zone di guerra per imporre il cessate il fuoco e creare un corridoio di pace verso Sarayevo, simbolo della convivenza multietnica, all'epoca completamente assediata. La nostra partenza, come praticamente tutto il viaggio, è caratterizzata da un grande entusiasmo che travolge immediatamente la piazza antistante il carcere militare di Peschiera del Garda provocando una sinfonia improvvisata da una banda austriaca fino a un attimo prima al soldo di un pingue assessorato al turismo del loco: era la nostra serenata all'amico Dino Taddei rinchiuso come obiettore totale da due mesi. Siamo partiti con due furgoni carichi di cibo e medicinali con l'intento di costeggiare l'ex-Yugoslavia fino a Spalato, e di proseguire verso Sarajevo con un solo mezzo. Già a Fiume invece riusciamo ad incendiare il motore di un furgone, vivendo forse i momenti di maggiore panico durante il viaggio, per cui si prosegue stracarichi con un solo mezzo. Nel tragitto verso Spalato incontriamo alcuni mezzi di Equilibre provenienti dalla manifestazione di Ginevra, primo passo della carovana internazionale di Mir Sada; da subito capiamo che le previste migliaia di persone in realtà saranno nell'ordine delle centinaia.
Il primo impatto con l'organizzazione e con le sue lacune è al campo di Spalato il 2 agosto; una decina di pullman italiani promessi per il convoglio non giungono (disdetta politica?), così come quelli promessi dall'assessore di Spalato (autisti croati... ) vengono disdetti per motivi di sicurezza. Captata immediatamente l'atmosfera di confusione, i circa 700 italiani organizzati in G.d.A. iniziano a muoversi autonomamente in aiuto dell'organizzazione decisamente in crisi. Partono una serie di iniziative: un ufficio stampa interno al campo per informare i partecipanti sugli sviluppi del conflitto, una commissione mezzi per il recupero di pullman in Italia e in Croazia, un gruppo di supporto informatico per il censimento dei partecipanti e, soprattutto, un gruppo prepara un corteo per le vie di Spalato che si conclude in un festa in piazza con grande coinvolgimento dei cittadini. Ma la partenza della prima carovana verso Sarajevo determina una spaccatura che non si sanerà più: soltanto la metà dei pacifisti trova posto sui pochi pullman o sui propri mezzi, quasi tutti i G.d.A. compreso il nostro vengono divisi.
Nel viaggio verso Prozor è impossibile non impressionarsi della dimensione del convoglio, tanto da rendere credibile la parola chiave della manifestazione, «interposizione al conflitto»: migliaia di non-violenti in mezzo ad un territorio di guerra, fermano le armi! Gli spettatori increduli di questa colonna di mezzi variopinti, strapieni di adesivi, bandiere e striscioni che parlano di pace non sono molti, ma ci salutano incuriositi. Nel villaggio di Rama (vicino a Prozor), nostra prima tappa, che poi scopriremo anche ultima, il clima si raffredda; la gente si dimostra scettica sul nostro obiettivo di portare aiuto a Sarajevo e quindi al «nemico mussulmano»: la nostra imparzialità è veramente difficile da gestire e da spiegare, così come il continuo pericolo di venire strumentalizzati da una delle parti in guerra (genericamente intese come croati, musulmani, serbi e ONU) ci ha accompagnato per tutto il tempo, specialmente nel momento di decidere se proseguire anche in caso di mancati accordi preventivi con le parti in guerra nel territorio da passare. Dalla situazione internazionale si era capito che questa guerra avrebbe avuto entro breve tempo una conclusione almeno provvisoria attraverso una diplomatica suddivisione del territorio bosniaco, per cui la furia delle bande irregolari si accompagnava alla tensione dei vari eserciti per conquistare militarmente posizioni di forza contrattuale. Inoltre proprio in quel periodo la minaccia di un bombardamento NATO su Sarajevo si faceva sempre più insistente. La situazione era in effetti molto peggiorata, e la scelta di partenza di una politica del «passo-passo» ci ha suggerito di fermarci a pochi chilometri dalla linea di fuoco, in un campo sulle rive del lago. Il primo approccio con la popolazione è con degli anziani che non capiscono e non si fanno capire, poi giunge un militare su una grossa auto che strappa una delle tante bandiere bianche con il logo Mir Sada, e la butta per terra, poi tira con veemenza la barbetta di un imbarazzato prete in borghese accusandolo di islamismo.
Ma il campo si rivela tutto sommato tranquillo.
Il mattino presto si iniziano a sentire molto forti le bombe a pochi chilometri di distanza, e questo cupo suono ci accompagnerà con frequenza indecifrabile per tutto il «soggiorno»; più tardi un elicottero sorvola bassissimo il campo destando notevoli preoccupazioni. In realtà è solo un elicottero dell'esercito regolare croato (HVO) che trasporta i miliziani feriti dal fronte all'ospedale poco sopra il nostro accampamento. La vista degli uomini feriti come solo la guerra può ferire è un breve choc che risveglia subito l'attività: auto civetta verso Prozor per l'agibilità della strada, contatto con i due eserciti (croato e musulmano) per la garanzia di un cessate il fuoco al nostro passaggio e attivazione delle assemblee degli speaker e delle riunioni dei G.d.A. (anche gli stranieri si erano organizzati a Spalato allo stesso modo). Questo metodo organizzativo era basato appunto sulle riunioni dei G.d.A., funzionanti a consenso, e sul legame con l'organizzazione di Mir Sada attraverso dei portavoce (gli speaker), che avevano il compito di riportare l'opinione del gruppo al ristretto gruppo decisionale e di riportare al G.d.A. le informazioni e le decisioni prese.
Quei due giorni al campo di Prozor sono stati per noi un concentrato di stimoli incredibile. Più si susseguivano assemblee generali o di speaker, lunghe (quattro lingue: italiano, francese, inglese, spagnolo) e mal gestite, più' le credenziali di un metodo assembleare decadevano. Parallelamente la sfiducia nell'organizzazione precipitava: la rinuncia di Equilibre, l'impreparazione e il disorientamento logistico dei Beati, la pessima gestione dell'informazione proveniente dai mass-media unita ad una poca determinazione e una ingiustificata paura di responsabilità hanno prodotto da una parte un aumento degli ostacoli verso l'obiettivo e dall'altra uno stimolo a cercare di organizzarsi autonomamente. Ci siamo accorti che le persone erano molto eterogenee tra loro. C'erano bigotti preoccupati che nessuno facesse il bagno per non dare l'impressione di «turisti», mentre noi giocavamo a calcio con ragazzini e militari croati per un raro contatto con la gente del luogo. C'erano stranieri talmente incazzati con Equilibre e i Beati da proporre continuamente partenze di piccoli gruppi autonomi, mentre altri pretendevano dei capi che dessero ordini sul da farsi. Noi stessi passavamo da visioni di poteri occulti che ci stavano manipolando la testa, a tentativi dilettantistici di autorganizzazione. Su alcune cose eravamo sicuramente d'accordo: rimanere fermi lì, in un campo nelle retrovie era la cosa più pericolosa da fare, le scelte possibili si riducevano a due: proseguire verso Sarajevo o tornare a Spalato per trovare altri obiettivi; le persone presenti si riconoscevano come molto in gamba e molto decise, era impressionante scoprire come ad ogni tentativo di dissuasione da parte dei Beati, gran parte dei partecipanti rispondeva insistentemente con l'obiettivo Sarajevo».
Il campo di Prozor per tutto questo ha permesso concretamente di sperimentare l'internazionalismo dell'ideale. Le difficoltà di interrelazione sono diventate trampolino per la comunicazione e un rafforzamento della tensione verso l'unità, che ci fa credere oggi nella possibilità di un collegamento con realtà di tutto il mondo. Coltiviamo sempre più la possibilità di convogliare persone di tutte le nazionalità in un'azione nonviolenta di grande portata. Gli stimoli sono serviti per considerare un nuovo modo di pensare l'organizzazione, attenta alle difficoltà di gestione dei poteri (informazione, pressioni politiche, contatti diplomatici, metodo decisionale...), ma nello stesso tempo capaci di rilanciare la sfida a più alti livelli. Oltre a questo grosso stimolo è rimasto un dubbio nelle nostre decisioni; l'impressione era di essere costantemente davanti ad un bivio; da una parte l'unità, che abbiamo scelto di perseguire anche con mediazioni acrobatiche, dall'altra la grande spinta etica di un gesto inequivocabile ed estremo, quale quello degli otto americani, partiti a piedi verso Sarajevo, mossi da una tensione interiore che non lascia spazio a considerazioni di adattamento al gruppo. La solita dicotomia tra individuo e collettività vissuta da noi in termini di bivio, di dubbio, di scelta morale ma aperta. Rimane comunque l'impressione che le due spinte non si possano disgiungere in azioni di grande portata e coinvolgimento... Ma non è sempre pensabile scegliere la stessa direzione ad ogni bivio; è il caso dei 58 che sono partiti e poi giunti a Sarajevo; se da una parte è stata una frattura, dall'altra è stata una piccola creazione e uno stimolo verso la decisione.

CRONACA DI UNA MARCIA SCOMODA
I primi 800 pacifisti e non violenti aderenti all'operazione «Mir Sada» (Pace Ora) We share one peace, giungono a Spalato il 2.8.93, alcuni di loro hanno presenziato alla manifestazione di Ginevra due giorni prima.
Li accoglie un campo vicino allo stadio di Split dove rimarranno fino al 4 agosto.
Il primo convoglio parte il 4 mattina; solo 500 persone riescono ad accodarsi al gruppo grazie a mezzi propri o sui pochi pullman affittati dall'organizzazione italiana dei «Beati i costruttori di pace». L'organizzazione francese curata da «Equilibre» si occupa invece di accogliere i partecipanti con un bollettino d'informazione e di guidare il convoglio carico di persone e aiuti umanitari con l'ausilio di attrezzature ed esperienza.
La colonna muove lenta attraverso numerosi check point croati, fino ad entrare in Bosnia Erzegovina, e per giungere a notte (nonostante il coprifuoco), percorsi 130 Km, a Rama, sul lago Ramsko, a 10 chilometri da Prozor. Il mattino del 5 agosto gli speaker si riuniscono con i portavoce dell'organizzazione per ricevere informazioni e concordare le modalità per la partenza.
In seguito si riunirà l'assemblea generale, tradotta, come tutte, in quattro lingue per informare tutti sulle condizioni del conflitto, ma soprattutto per rendere noti alcuni comportamenti in caso di pericolosità.
E' presto evidente che non sarà possibile ripartire in giornata.
Il corteo è dotato di un doppio sistema di ponte radio italiano e francese, per i contatti con Spalato, con il secondo convoglio (composto da italiani, francesi, spagnoli, circa 400 persone) dovrebbe salire un generatore di elettricità (poi non succederà, tanto che l'organizzazione italiana dei Beati avrà problemi di alimentazione per l'unica radio esistente).
Tutte le auto del convoglio, 115 mezzi di cui 15 bus sono arrivate senza problemi a parte 3 che per guasti tecnici sono tornate a Split.
827 persone sono sul campo di Prozor il mattino del 5.
I polacchi che avrebbero dovuto raggiungerci con il secondo convoglio sono stati bloccati al primo check point. Ci viene comunicato che i pacchi di medicinali che a Split molti del gruppo avevano affidato all'UNCHR sono arrivati questa mattina in Sarajevo, privi però di qualsiasi rappresentazione Mir Sada.
II 6 agosto Equilibre rende ufficiale la sua dichiarazione di sciogliere la manifestazione e comunque di non voler accompagnare né fornire mezzi tecnici a chi intende proseguire.
II motivo è che il conflitto va facendosi più grave e la possibilità di un intervento NATO ne è la certificazione.
Due ore dopo il corteo di Equilibre muove verso Split seguito da 6 pullman (3 italiani e 3 stranieri) più un imprecisato numero di persone con mezzi propri.
Scendendo incontrerà il secondo convoglio partito in mattinata da Split per raggiungere lo stesso campo di Prozor dove giungerà alle 19.30 del giorno stesso, subendo peraltro il furto di un automobile da parte di milizie croate.
Intanto, al campo, i pacifisti rimasti vincono il disorientamento improvviso e decidono di continuare a perseguire l'obbiettivo Sarajevo, i Beati si faranno carico della gestione anche tecnico-logistica del viaggio pur non essendo assolutamente preparati a farlo, l'entusiasmo dei partecipanti rende secondario il problema per quanto delicato.
L'assemblea generale del 7 mattina è animata soprattutto da francesi, greci e americani (nonostante siano in minoranza rispetto al numero dei partecipanti italiani). La prima proposta, greco-americana, è di partire a piedi nel più classico stile della marcia pacifista; la proposta francese è di precedere il convoglio O.N.U. di aiuti umanitari, il passaggio del quale è previsto entro le 13.
I Beati escono con una proposta/mediazione che l'assemblea accetta in maggioranza per il principio comune dell'unità: retrocedere di 27 Km, sulla strada sterrata che porta fino alla base O.N.U. canadese, sulla strada per Duvno (Tomislavgrad), dando però garanzie formali come organizzazione della volontà di proseguire verso Sarajevo.
Don Albino, padre Fabrizio e Giovanni Bianchi, che nel frattempo sono stati identificati come «Decisori Veloci» per necessità di fluidificare l'azione del convoglio, stendono un comunicato stampa che verrà inviato a Ginevra alla sede di Mir Sada International, dove verrà citato il disappunto dei partecipanti per il precipitare del conflitto e con la dichiarazione di volersi instaurare presso la base ONU come rifugiati politici in favore dei diritti dei popoli.
La mediazione riesce e il gruppo di circa 550 persone lascia il campo di Prozor e si incolonna verso Duvno.
Verso le 18.30 la carovana giunge alla base dopo aver incontrato parecchi suoi mezzi durante il percorso.
Dopo il sit-in, la serata vede una concitata assemblea per gli speaker e la formazione di un gruppo spontaneo (circa 60 persone) che propone di organizzare un censimento di uomini e mezzi, gommati e di comunicazione, che renda possibile il muoversi verso Sarajevo il giorno dopo.
L'indomani, don Albino Bizzotto dichiara l'impossibilità di continuare, da parte sua e del progetto We share one peace, verso Sarajevo.
Il suo discorso parla della più grossa sconfitta della sua vita e commuove gran parte degli italiani legati alla sua figura carismatica; trapela comunque la possibilità di perseguire l'obiettivo Sarajevo sulla strada più a sud che porta a Mostar, città divisa dal fiume Neretva che attualmente rappresenta il confine tra miliziani croati (HVO sulla sponda ovest) e esercito musulmano (BIH sulla sponda est).
In seguito, passare per Mostar si rivelerà impossibile causa la distruzione dei ponti che garantivano la comunicazione fra le due parti della città. Il grosso del convoglio di Mir Sada parte la mattina stessa in direzione Mostar con l'intento di ricongiungersi a metà strada con i superstiti del campo di Spalato.
Un gruppo di irriducibili non violenti decidono, invece, di staccarsi dal convoglio per recarsi verso Sarajevo via Gornji Vakuf.
Sono 58, in buona parte francesi che lasciano il campo di fronte alla base ONU con mezzi propri verso le 13 del 7 agosto.
Di loro si avranno notizie solo due giorni dopo.
Attraversata la linea di fuoco, da Gornji Vakuf giungereanno a Kiseljiak dove verranno intercettati dai militari della base ONU multinazionale e retrocessi sotto scorta a Zenica.
Il giorno dopo muoveranno nuovamente verso Sarajevo dove faranno ingresso senza gravi danni.
Intanto da Spalato, grazie ad una commissione mezzi auto gestita da alcuni partecipanti, sono stati recuperati una dozzina di pullman, che stanno già convergendo verso i due campi di Posuje e Medjugorie dove dormiranno per poi riunirsi il mattino dell'8 agosto a Listica e dare inizio alla marcia finale verso Mostar.
L'ingresso a Mostar sarà consentito, però, a soli 10 pullman nella sola parte ovest della città e la manifestazione di carattere ecumenico tenuta sul sagrato della cattedrale non vedrà alcuna rappresentanza musulmana e solo uno sparuto gruppo di cittadini come pubblico.

GLI ORGANIZZATORI

Beati i costruttori di pace
I Beati i costruttori di pace, con sede a Padova, hanno alle spalle azioni di vario tipo sul territorio, da Comiso ad oggi, con scelte molto radicali che li hanno portati ad incrociarsi più di una volta con l'extra-sinistra. Il "conducator" carismatico e politico è indubbiamente don Albino Bizzotto, prete con grossi problemi di comprensione col Vaticano, dati dall'oltranzismo delle scelte (lo stile Mir Sada) che attua in politica.
Pro:
- osare grandi respiri;
- focalizzare principi forti e condivisibili insieme ad obiettivi chiari.
Contro:
- subdoli con l'informazione;
- autoritari ed accentratori;
- a braccia aperte...per stringere l'abbraccio.

Equilibre
E' una ONG (Organizzazione Non Governativa) francese con sede a Lyon, un'associazione umanitaria che già tre mesi prima della manifestazione era attiva in Bosnia con convogli umanitari guidati verso Sarajevo. Ha una struttura logistica decisamente attrezzata grazie anche alle sovvenzioni di cui gode da parte dello Stato francese, che le permette di pagare profumatamente i suoi "volontari". Il leader dell'organizzazione è Alain Michell.
Pro:
- struttura efficiente;
- grande tecnologia della pace.
Contro:
- assistenzialismo più che solidarietà;
i pacifisti in uniforme;
- politicamente...mani legate.

LE GRANDI FRASI DEL PANICO (abbiamo sentito anche queste)

Assemblea notturna al campo di Prozor: "Spegnete quelle lampade, è pericoloso, possono prenderci come bersaglio".
"Ehii, c'è un goccio di vino? Serve per fare la messa!".
Radio Montecarlo: "I pacifisti si sono trovati sotto i bombardamenti e il tiro incrociato di musulmani e croati, si sono sdraiati per terra e ora dormono dentro i pullman; chi intende proseguire è un provocatore".
Dopo i salutoni ai nuovi arrivati da Spalato, al campo di Prozor un militare croato ci viene a dire che abbiamo fatto "troppo rumore".
"I croati ci usano come scudo: loro possono sparare contro i musulmani, i quali non possono rispondere perchè ci siamo noi".
"Chi prosegue comunque per Sarajevo può mettere la maglietta di Mir Sada?".
In colonna, alla richiesta di adesivi da attaccare sulla macchina: "Sono in vendita sulla jeep di testa".
Bambino dalla strada: "Mir, Mir, Chocolad".
Un autista dell'organizzazione davanti ad un cartello di controsenso messo dalle UNPROFOR: "Siamo in guerra, i cartelli civili non sono più validi".
Il terzo convoglio in partenza da Spalato aveva due pullman...della polizia croata.
Il simbolo di Mir Sada sembra...la mezzaluna musulmana.