Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 23 nr. 199
aprile 1993


Rivista Anarchica Online

A nous la libertè
diario a cura di Felice Accame

Pistoleri a responsabilità limitata

Chi, utilizzando come Guida Gli spietati di Clint Eastwood, tornasse a quel vecchio West cui tanto cinema lo aveva abituato - compreso, a maggior ragione, il cinema con cui proprio Clint Eastwood, da attore o da regista, aveva avuto a che fare -, troverebbe le cose un po' cambiate. Il giovane killer dagli occhi di ghiaccio, in realtà, non ci vede bene e, dietro le bugie della pubblicità, non ha mai ucciso nessuno; il mitico pistolero con biografo al seguito racconta di duelli epici che mai sono stati epici, bensì piuttosto vili; chi cavalca - sempre che sia riuscito a salirci, sul cavallo - intere giornate e dorme all'addiaccio si busca l'influenza, come una persona normale con i suoi acciacchi dell'età; chi trova la morte, infine, la trova per un ghiribizzo della sorte piuttosto che per piani e volontà altrui ben precisi. Nel vecchio West, insomma, non ci si trova più eroici e infallibili pistoleri, ma gente rosa dai dubbi, da memorie moleste e dalla paura di morire: per passare dal dire al fare, perché la coscienza dell'inettitudine si assopisca e lasci il posto alla pratica animale, nove volte su dieci, ci vuole una buona dose di alcool. Si dirà che in ciò non c'è un granché di nuovo - che tanto cinema di buon livello ci ha saputo esprimere tesi così poco consolatorie -, ma non sempre si potrà dire che ciò sia stato incarnato in una storia con un minimo di originalità, nonché raccontata con vigore e rispetto degli eventi narrati. Senza giungere al formato complessivo di un film come I cancelli del cielo di Cimino, è, comunque, il caso de Gli spietati, prova registica matura di Eastwood, niente a che fare con certi maldestri tentativi che l'avevano preceduta. Non si tratta di pura "rivisitazione" di un contesto storico per correggervi quanto l'ideologia eroica vi aveva iniettato di falso e di spudorato, ma della costituzione di un terreno di riflessione di più ampia portata che la "rivisitazione" ha sarchiato e dissodato. E, se nell'operazione si fa ricorso al Maestro - al Sergio Leone che diresse Eastwood in Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più e ne Il buono il brutto il cattivo -, lo si fa per mera simpatia, ma in piena indipendenza. Certi particolari - come l'acqua che filtra dal tetto, come lo scontro fra la cultura tecnourbana e quella colonica, come, soprattutto, certo spirito antimilitarista e l'elogio dell'inermità - appartengono di sicuro al repertorio di Leone, ma qui non figurano mai come orpelli gratuiti o colti, perfettamente integrati, come sono, nell'unitarietà figurativa e concettuale del film. In gioco è la responsabilità della scelta: perché si fa una cosa, perché già mentre la si fa si vorrebbe essere altrove, perché il se stessi a cui ci si riferisce è cosi dannatamente fluente - perché la costanza é una finzione del rappresentare e del dire. Eastwood sperimenta in un cattivo della vita il filtro dell'amore e trova la vanità delle nostre categorie morali: la vita la si toglie anche in nome dei migliori principi - colpevolezza o innocenza, e tantomeno le redenzioni, non costituiscono garanzie per nessuno. Allo spettatore sono offerti eroi senza qualità della cui sorte si può fremere solo con un briciolo di vergogna: c'è chi muore e chi sopravvive, ma in entrambi i casi non c'è sollievo. La catarsi è lasciata a chi, accontentandosi delle parole, non è sceso sufficientemente nelle oscure e ingannevoli profondità dell'animo umano. È una storia dove "i meriti non c'entrano", come fa dire Eastwood al suo personaggio nello scarno, drastico e conclusivo dialogo con lo sceriffo (interpretato da un memorabile Gene Hackmann) - perché la responsabilità di checchessia può essere attribuita tanto ad una bottiglia di whisky che al cervello di un essere umano. E con ciò, lo spettatore in cerca di emozioni facili a deglutirsi - implicite nelle regole per costruire un buon film di genere, dove il buono, che sopravviva o no, è ben distinguibile dal cattivo - è servito.