Rivista Anarchica Online
L'anarchismo interiore di Cafiero
di Massimo Ortalli
Chi voglia ripercorrere le vicende che hanno visto svilupparsi quelle idee di
emancipazione sociale che tanta
importanza hanno avuto nella storia del nostro paese, deve necessariamente confrontarsi con il percorso
pubblico e privato di chi più di ogni altro ha influenzato il formarsi delle prime esperienze organizzative
del
proletariato italiano. La figura di Carlo Cafiero, infatti, per quella esemplarità che racchiude i tratti
essenziali dell'epoca in cui visse,
ha in sé tutti gli elementi, umani e politici, che caratterizzeranno le forme e la sostanza dell'anarchismo
e del
primo socialismo italiano. Di conseguenza, capire il suo percorso umano, tanto travagliato quanto lineare, tanto
sofferto quanto esaltante, vuol dire anche capire gli aspetti fondanti, e in un certo senso tipici della particolare
situazione italiana, del sorgere e del dipanarsi di un processo storico che attraverserà l'intera storia del
nostro
paese. Un'interessante occasione per tornare a parlare di queste tematiche che, soprattutto da un punto di
vista etico,
riacquistano oggi nuova importanza (e lo dimostra l'ottimo successo di pubblico dell'iniziativa), è stata
offerta
dal pomeriggio di studi organizzato il 13 marzo ad Imola dal Centro Imolese Documentazione Resistenza
Antifascista, in collaborazione col locale Gruppo Malatesta. Al dibattito sono intervenuti Maurizio Antonioli
dell'Università di Milano, Franco Damiani curatore della mostra fotografica su Cafiero, e Luciano
Forlani,
studioso di Costa e della Prima Internazionale. Quello che segue è un sintetico resoconto dei
contributi emersi dalle varie relazioni, alle quali non mi riferirò
con citazioni puntuali, ma attraverso un discorso d'insieme. A Maurizio Antonioli in particolare sono da
ricondurre le coordinate metodologiche del ragionamento. Nell'Italia che vede nascere i primi nuclei di
proletariato urbano, e nella quale diventa soggetto politico quel
ceto artigiano che assume un ruolo centrale anche nell'economia del paese, prende forma al tempo stesso la lenta
ma inarrestabile e dolorosa rimozione delle idee di palingenesi politica e morale di Mazzini e dei suoi seguaci.
La nuova generazione di "cavalieri dell'ideale", che pur si è formata assimilando alcuni degli elementi
tipici
della concezione militante di Mazzini (la profonda fiducia nell'azione, la propaganda del fatto, la guerriglia per
bande), è però sempre più influenzata dalle idee libertarie e socialiste che si stanno
diffondendo in tutta Europa.
Referente politico e piano di intervento si trasformano radicalmente: dalla lotta interclassista per la creazione
di un potere nazionale, alla volontà di distruzione di ogni forma di potere, dal terreno
dell'emancipazione della
nascente borghesia a quello della emancipazione sociale dallo sfruttamento. Con l'affermarsi anche in Italia
dell'Internazionale, di cui Cafiero è uno dei massimi protagonisti, si chiude
definitivamente il periodo risorgimentale e si apre quello che vedrà protagoniste le masse lavoratrici;
e il
doloroso "parricidio" che si dovrà attuare contro Mazzini (per usare la felice espressione di Antonioli)
sarà
agevolato dalle inaccettabili dichiarazioni che il repubblicano farà sulla Comune di Parigi. Ed
è Cafiero principalmente, insieme con Andrea Costa, che guida questo processo di formazione del
nuovo
nucleo di militanti, che ne informa i caratteri, che trasmette la propria impronta, non solo ideologica ma anche,
e soprattutto, etica. E il breve percorso della sua vita, contrassegnato come è dalla dedizione totale alla
causa,
riflette in maniera paradigmatica anche il percorso della vita e della storia dell'Internazionalismo italiano. Si
è già scritto moltissimo su Cafiero, e nulla forse si può aggiungere a quanto si sa di lui
e della sua attività
politica, degli strettissimi rapporti con Costa, della importanza della sua matrice borghese e meridionale,
comune a tanti fra gli Internazionalisti degli anni '70; e altrettanto è stato detto dell'infelice esito
dell'avventura
della Baronata, dei profondi, emozionanti rapporti che il barlettano strinse con Bakunin e col suo entourage
luganese, delle conseguenze non solo umane, ma anche politiche che questi avvenimenti comportarono.
Pertanto il contributo di maggior interesse uscito dal dibattito imolese è stato certamente offerto
dall'attenzione
portata agli aspetti umani, personali, individuali di Carlo Cafiero, alla sua esistenza segnata da profonda
dedizione e profonda sofferenza, da intensa partecipazione ma anche da grande felicità. Maurizio
Antonioli ha
illustrato con suggestiva efficacia l'intreccio così stretto, apparentemente secondario e invece
fondamentale, tra
tensione politica e pulsione umana, tra tenace lotta per l'affermazione del proprio progetto di liberazione e
ricerca spasmodica della felicità in terra, di quello "stato di grazia" per il raggiungimento della
libertà, che fece
scrivere al Michels di una generazione di eroi e mistici e folli. E probabilmente la stessa, altissima, tensione
morale che spinse spesso Cafiero ad estremizzare e a rendere
univoche e profondamente sofferte le sue prese di posizione fu anche fra le cause della follia che lo
colpì, che
fece vacillare la sua sensibile mente e lo spinse a vagare per le campagne imolesi completamente nudo, alla
ricerca dell'abbraccio del sole. E l'affetto, il profondissimo e tenace affetto per "il nostro carissimo Carlo"
(quanti fanciulli si chiameranno
Cafiero) di intere generazioni di proletari (e non solo dei più stretti compagni di lotta che lo conobbero
e tanto
l'amarono) ci dice come il suo travaglio interiore, lungi dal renderlo la vittima ridicola della mostruosità
della
follia, fu fra gli aspetti più importanti, più decisivi, della sua influenza sugli sviluppi del
nascente movimento
proletario organizzato. Per una sintomatica, non casuale, coincidenza della storia, la sua morte, giunta dopo
lunghissime sofferenze non
solo fisiche ma anche e soprattutto morali, corrisponde, nel 1892, alla nascita del Partito Socialista Italiano, al
superamento anche formale, cioè, del periodo storico in cui il movimento di classe era stato
egemonizzato dalle
correnti anarchiche e antiautoritarie dell'internazionalismo italiano. Il profondo dissidio che si viene a
creare fra il suo innato libertarismo e la presupposta necessità di teorizzare
una tattica autoritaria e parlamentarista, nell'ansia spasmodica di "fare presto" nel raggiungimento della
rivoluzione e quindi della felicità, in una parola il suo devastante dramma umano e politico, finalmente
trova
la sua risoluzione, da una parte con la morte liberatrice, dall'altra con la fine dell'"incertezza" sul che fare e in
che modo. Forse l'anarchismo interiore di Cafiero ha dovuto soccombere alle dure leggi
dell'opportunità politica,
schiacciato dalle tante e crudeli lezioni che la vita gli ha voluto infliggere, ma per non doversi annullare e
scomparire, quel suo incoercibile bisogno di libertà si è consumato nello stravolgimento di una
mente tanto
folle, quanto talmente lucida da risultare incapace di farsi essa stessa fonte di autorità e potere.
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