Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 22 nr. 194
ottobre 1992


Rivista Anarchica Online

Berneri federalista
di Alessio Vivo

Un libro più attuale di quello che raccoglie numerosi scritti di Camillo Berneri sul federalismo, curato da Patrizio Mauti e proposto con intelligenza dalla Edizioni La Fiaccola di Ragusa (Camillo Berneri - Il federalismo
libertario
, Edizioni La Fiaccola, Ragusa, luglio 1992) è oggi difficile da trovare nel fiume cronicamente lento dell'editoria italiana.
La lucidità della visione del problema storico e politico costituito dalla concezione federale, la capacità berneriana di sondare in profondità questioni teoriche (che oggi nel mondo e in Italia sono ancora quantomai aperte, per il riapparire scottante di rivendicazioni di autonomia da parte di regioni ed etnie) collegandole a possibili soluzioni pratiche, non possono lasciare indifferente chiunque tenti di comprendere il presente, pur non condividendo quell'impostazione, e si sforzi di prevedere e di essere partecipe del futuro. Infatti i saggi di Berneri raccolti nel volume e pubblicati su varie riviste libertarie, vanno al cuore del problema costituito dallo Stato sovrano nazionale accentrato, della sua storia, che non è molto lunga, (soprattutto in Italia), ma ben definita nell'arco del suo ciclo di vita, del quale noi oggi abbiamo il privilegio di vedere la fine imminente.
Questo testimonia quanto Berneri andasse oltre i suoi tempi. Berneri sentiva già allora, quando scriveva quegli articoli-saggio, quella puzza di cadavere dell'idea dello Stato nazionale unitario che noi sentiamo oggi. Egli dimostra in quegli scritti che lo Stato nazionale unitario e accentrato è condannato alla paralisi, sovraccaricato di funzioni com'è, che lo portano a diventare inevitabilmente autoritario, incapace di soddisfare le esigenze diverse di regioni ed etnie, ed è tendenzialmente totalitario, perché omogeneizzatore. Per sua natura esso soffoca la particolarità dell'autonomia e delle scelte, nega il diritto alla diversità, macina la vita delle popolazioni, imponendo l'uniformità legislativa e amministrativa a territori che hanno una storia e spesso una cultura diversa, crea una burocrazia mastodontica e incompetente, perché pretende di occuparsi di tutto.
L'amministrazione di questo Stato si carica di parassiti che non conoscono le esigenze locali, che avendo tante responsabilità finiscono per non averne nessuna, permettendo loro di spadroneggiare impunemente generando solo oppressione per i sottomessi. Già ai suoi tempi la propaganda unitarista sosteneva che l'accentramento è inevitabile in una società moderna (oggi gli statolatri unitaristi dicono "complessa") ed urbana. Berneri invece denunciava la loro ignoranza della realtà storica e politica, dimostrando che il decentramento ha ragione di essere ancor più in una metropoli che in un paese, confrontando le disfunzioni esistenti in città senza autonomia amministrativa e metropoli autonome, con amministrazioni piccole, competenti e controllabili. Solo oggi (dopo la crescita economica) sappiamo, ma Berneri l'aveva intuito, che la tesi unitarista va contro la realtà: perché la crescita dei bisogni sovraccarica lo Stato di funzioni che non può svolgere, lo ingigantisce aumentando anche la sua corruzione, l'oppressione delle funzioni produttive. In pagine bellissime ed oltremodo attuali, Berneri descrive il ruolo degli scandali che derivano dal complicato e parassitario meccanismo sul quale si basa l'accentramento statale, tanto più camorristico, dedito a sperperi e ladrocini quanto più ci si avvicina ai livelli superiori dell'amministrazione.
Anticipando addirittura temi scientifici dell'odierna scienza politica, Berneri collega burocrazia e accentramento al parlamentarismo. Anche il parlamento unico nazionale finisce per calpestare le particolarità e le esigenze delle popolazioni dislocate sul territorio, perché non può avere né il tempo né la competenza per risolvere i complessi problemi amministrativi, economici e giuridici delle diverse regioni e dei comuni. La prova di queste tendenze Berneri la trova soprattutto nella storia italiana, della quale dimostra un'approfondita conoscenza. L'Unità nazionale in Italia è avvenuta sotto la bandiera dell'accentramento monarchico-unitario che stava alla base della conquista piemontese. L'enorme potere del governo centrale si è conservato prima nel regime liberale e poi in quello fascista (oggi sappiamo che non è mutato nemmeno nel secondo dopoguerra) e Berneri individua giustamente in esso una continuità ininterrotta. Anche il fascismo è arrivato a Roma per l'assenza di autonomie locali e comunali dotate di milizie proprie che avrebbero potuto opporvisi. Gli attacchi ai municipi furono possibili solo per la complicità dei prefetti, emanazione del governo. Lo Stato Nazionale accentrato ha prodotto (come previsto da Proudhon) i massacri di massa dei conflitti mondiali, ma anche il Fascismo e il regime burocratico che ancora oggi subiamo. Come già Gaetano Salvemini, anche Berneri descrive il disastro economico, della corruzione, provocato nel Meridione dall'unità amministrativa.
Si è trattato di una vera annessione operata con le armi, alla burocrazia e ai ministeri di Roma. Se Berneri avesse potuto vedere la repressione del movimento separatista siciliano dopo il secondo Conflitto mondiale, avrebbe trovato conferme alle sue analisi. Per lui i problemi della vita economica e sociale del popolo italiano hanno una fisionomia propria, a seconda delle regioni, che decenni di tentata omogeneizzazione (a cui va aggiunta, come sappiamo oggi, quella culturale dell'espansione economica, il sacrificio dei dialetti, ecc.) non sono riusciti a sopprimere. La pretesa di soffocare, tipica dello stato nazionale, l'aspirazione decentratrice ed autonomista del popolo italiano, legata alle sue condizioni storiche ed etnografiche, è una violenza che secondo lui non avrebbe potuto aver successo nel tempo. La sua critica antistatale e anarchica presenta molti punti di contatto con quella del federalismo repubblicano della tradizione di Ferrari, Cattaneo, emarginati nella cultura politica italiana da una fobia antiautonomista feroce. Le critiche mosse a Berneri nell'ambito dell'anarchismo italiano per questa sua vicinanza teorica, appaiono però oggi del tutto ingiustificate. Egli infatti non abbandona certo la sua concezione federale integrale che deriva dalla tradizione proudhoniana- bakuniniana- pisacaniana e dall'esperienza della Comune di Parigi, ma pensa che la realizzazione degli ideali di Cattaneo sia il primo passo realistico e necessario sul quale può trovare un innesto il programma del federalismo libertario. Quest'ultimo non si accontenta certo della restaurazione dell'indipendenza regionale, ma vede l'autonomia amministrativa e soprattutto legislativa delle varie regioni (in possesso anche di milizie popolari proprie) come atta a favorire quella dei singoli comuni, dei loro consigli autonomi, nonché la loro volontà di reciproca associazione e aiuto. Il comune che non è più una succursale dello Stato.
Il comunalismo allora, come in Kropotkin (al quale dedica quella autentica perla tradotta in varie lingue contenuta al centro della raccolta), ma con significativi aggiornamenti del suo pensiero, diventa il fulcro del federalismo libertario. Solo in esso si realizza pienamente l'eliminazione dell'alienazione politica. Il cittadino, come diceva Salvemini, si abitua a contare solo sulla propria iniziativa e non su quella di lontani e irresponsabili rappresentanti. L' uomo riacquista la propria individualità perché riesce a decidere del proprio destino e può tornare a collaborare con altri uomini solo ora che il suo rapporto con l'altro non passa più solo attraverso il decisore centrale che regola tutti i suoi rapporti con i suoi vicini. ll governo centralizzalo dello Stato nazionale si basa infatti, usurpando tutte le decisioni, sulla reciproca estraneità fra i cittadini. Questa è la più straordinaria risposta che Berneri può dare ancora oggi, a quarantacinque anni dalla sua morte, a quei paladini dello Stato unitario accentrato che parlano di "solidarietà" con le regioni meridionali in Italia: una solidarietà che non potrà mai esistere con questa struttura politica.
"Congresso comune per le cose comuni, ma ogni fratello padrone in casa sua" dice Berneri. Solo in seguito potrà agire la solidarietà sociale, in libere federazioni e con liberi accordi, dai più vicini fino ai più lontani. L'idea di patto rinnovabile periodicamente fra comuni avvicina Berneri alle modernissime concezioni del neo federalismo (i patti federali vanno rinegoziati in continuazione e volontariamente dalle comunità, data la morte delle "federazioni coatte" che non ponevano alcun limite di tempo allo "stare insieme", e l'invecchiamento di formule come quella statunitense). La sua continua insistenza sulla necessità di studiare nuove forme, di non fermarsi alle dottrine del passato, anche a quelle dell'anarchismo, lo pone ad un livello altissimo nel dibattito politico dei nostri giorni, sebbene pochi se ne accorgano.
Berneri non ha potuto vedere il secondo Dopoguerra perché la sua vita e la sua intelligenza sono state spezzate dai più feroci fra quei "conservatori di ogni colore" (come li definiva), che difendono il principio di unità politica e di totale, esasperato e totalitario accentramento (gli staliniani). Avrebbe però certamente plaudito al risorgere di quelle forze autonomiste e federaliste, ispirate al federalismo repubblicano e liberale, che oggi si vanno organizzando nella vita politica italiana. "Seguiamo le correnti autonomiste che vanno determinandosi nella vita politica odierna, con attenzione e spirito critico", diceva. E anche alle forze libertarie assegnerebbe il compito di affiancare quelle forze federaliste, per decenni emarginate, per "creare in ogni comune un centro di resistenza contro le forze tendenti all'accentramento statale". Da poche parole il regalo di un insegnamento e di un'eredità limpide come il suo pensiero.