Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 22 nr. 194
ottobre 1992


Rivista Anarchica Online

Dopo l'automobile
di Colin Ward

Esce in queste settimane in libreria il volume "Dopo l'automobile" edito da Elèuthera. Ne è autore l'anarchico inglese Colin Ward. Eccone qualche stralcio.

Volevo scrivere un libro anarchico sui trasporti. Non è un'impresa da poco e non è facile collegare una cosa all'altra. Dev'essere per questo che l'ultimo tentativo, intrapreso da George Woodcock, con il suo pamphlet Railways and Society, risale al 1943. L'anarchismo è un'ideologia sociale che si batte per una società senza Stato, autogestita. Sostiene, come scriveva Kropotkin alla voce "anarchismo", dell'undicesima edizione dell'Encyclopaedia Britannica, "che in assenza di un potere stabile, la società si autoregolerebbe mediante un eterno aggiustamento e riaggiustamento di equilibri fra molteplici forze e influenze" che si esprimono in "una rete organica, composta da infinite varietà di gruppi e di federazioni di ogni dimensione e grado, locali, regionali, nazionali e internazionali (temporanei o più o meno permanenti), che si propongono ogni scopo possibile: produzione, consumo e scambio, comunicazione, organizzazione sanitaria, istruzione, protezione reciproca. difesa del territorio e via dicendo...e, ancora, per la soddisfazione di un numero sempre crescente di bisogni scientifici, artistici, letterari e sociali".
I trasporti d'altra parte, nell'accezione corrente di trasferimento di gente e merci da un luogo a un altro, sono un'attività pesantemente regolata dallo Stato. Tale controllo è stato imposto non nell'interesse degli operatori commerciali del ramo, ma anzi contro la loro forte opposizione e quella degli ideologi della "libera" impresa. Ciò valeva per le spedizioni marittime e ferroviarie del XIX secolo. Samuel Plimsoll passò la vita ad ascoltare storie terribili di persone morte su imbarcazioni che non avrebbero mai dovuto prendere il mare, i cui armatori non si facevano nessuno scrupolo nel mettere a repentaglio la vita dei viaggiatori e dell'equipaggio e ammassavano intere fortune grazie al loro cinismo.
Dopo anni di sforzi ottenne l'approvazione del Merchant Shipping Act che imponeva l'ispezione di ogni natante da parte del Ministero del commercio e l'istituzione della "linea Plimsoll" che, dipinta sul fianco della nave, mostrava il limite massimo di carico. Ancora negli anni '80 veniamo a sapere di proprietari che appena possono infrangono le regole per sfruttare al massimo i loro mezzi di trasporto.
Lo stesso accade con la ferrovia. Costruita in un'epoca in cui si credeva che le forze di mercato potessero premiare ciò che era utile e buono, eliminando quanto vi era di cattivo e socialmente inutile, già nel 1840 il ministro del commercio fu costretto a introdurre una regolamentazione e un controllo, per la pura e semplice salvaguardia del pubblico. Non è facile arrivare a conclusioni anarchiche. Parte del problema deriva dal fatto che abbiamo una sola parola per designare il traffico delle merci mondiale, gli spostamenti quotidiani per raggiungere la scuola o il luogo di lavoro, l'industria del turismo di massa, le grandi migrazioni di gente in cerca di una vita migliore e tutta quella serie di motivi quali gli acquisti o i rapporti sociali che spingono le persone ad andare da un posto all'altro.
Nel XX secolo, i veicoli privati a motore hanno completamente trasformato i trasporti. Cinque sono state le conseguenze di questo cambiamento. La prima è la pretesa di tutti noi di muoverci rapidamente, la seconda il mutamento profondo delle strutture architettoniche, la terza l'enorme mortalità, la quarta un massiccio impoverimento delle limitate risorse naturali e l'ultima il contributo all'effetto serra e al consumo dello strato di ozono.
Per quest'ultima conseguenza, non possiamo che affidarci a quanto dicono gli scienziati, anche se tutti possiamo constatare il "normale" inquinamento atmosferico. Quale attenzione presteremo a questo pericolo universale, visto che accettiamo le conseguenze letali dell'era automobilistica come uno dei tanti eventi della nostra vita? C'è forse un adulto che non abbia mai conosciuto qualcuno la cui esistenza è stata distrutta da uno "sfortunato" incidente d'auto?
Quanto a noi, divulgatori più che esperti, abbiamo utilizzato un po' tutti questi dati, uno dopo l'altro, nel tentativo di indurre i nostri concittadini ad adottare mezzi sociali per provvedere alla mobilità personale. Non c'è infatti alcun dubbio che il ricorso a soluzioni individuali abbia distrutto la praticabilità di quelle sociali. Lo scopo di questo libro è solo di offrire un compendio dei dati raccolti dagli specialisti, citando fonti di ogni tipo, nella speranza di modificare il nostro modo di vedere la questione dei trasporti. Ci sono ambiti, come quello aereo e navale, che non ho trattato, consapevole della loro sconfinata complessità, preferendo piuttosto cercare di guidare il lettore in una semplice esplorazione personale di ciò che tutti dovremmo conoscere. (... )

Cavalieri solitari o carovane di carri?
L'economia politica tende a un egoismo consacrato; il socialismo è incline a porre la società davanti a ogni altra cosa... Ora, la critica moderna ha dimostrato che in un conflitto di questo tipo la verità non va ricercata nell'esclusione di uno dei due termini, ma nella loro sintesi...Non potremmo dunque, mentre aspettiamo la chiave che il futuro senza dubbio ci offrirà, prepararci a questo grande cambiamento analizzando le forze opposte e volgendo lo sguardo alle loro qualità, sia positive che negative? Un'impresa simile, condotta con scrupolo e coscienza, se anche non ci portasse diritto alla soluzione, avrebbe almeno l'inestimabile vantaggio di rivelare la natura del problema e quindi di metterci in guardia contro ogni utopia.

Pierre-Joseph Proudhon,
Il sistema delle contraddizioni economiche, 1846.

In ogni filosofia politica, compreso l'anarchismo, esiste una tensione fra soluzioni individuali e comunitarie. Il trasporto, di merci o di persone, costituisce al contempo una parabola e un'epitome di questa tensione. Vogliamo provvedere come collettività a questo bisogno universale o accettare che lo facciano i singoli con le loro forze individuali, "con il proprio vapore", come diceva una metafora rivelatrice del XIX secolo?
È questo precisamente il dilemma del XX secolo, di cui forse i nostri figli, nel XXI, troveranno la soluzione. Il problema nasce da un evento sociale particolare: l'invenzione e la successiva democratizzazione, per quanto riguarda i Paesi ricchi, dell'automobile. Se il XIX secolo è stata l'Era della Ferrovia, il XX è fuor di dubbio quella dell'automobile.
Se per una sorta di svista dell'immaginazione inventiva il motore a combustione interna non fosse mai nato, avremmo ugualmente problemi di trasporto, ma sarebbero molto diversi e molto più facili da affrontare. Economicamente non ci sarebbero state difficoltà a creare una vasta rete ferroviaria, che si sarebbe potuta ramificare così da collegare ogni centro abitato; al loro interno poi le comunicazioni locali sarebbero state assicurate da un fitto sistema di tram, quelle "gondole del popolo" di cui parlava Richard Hoggart. Lo smistamento delle merci dalle stazioni di arrivo sarebbe rimasto affidato a compagnie di carri a cavallo di proprietà delle ferrovie (nel 1947 le scuderie di King's Cross erano ancora in uso), di mezzi a vapore e chiatte elettriche.
Invece il motore a combustione interna aspettava solo la nascita del suo inventore. Tutti volevano una carrozza senza cavalli e nel 1884 sia Daimler che Benz contemporaneamente furono i primi ad arrivare a una soluzione funzionante. Fu la scintilla che dette il via alla progettazione di piccole auto a vapore (gli appassionati di vetture d'epoca non finiscono di ammirare l'accelerazione rapida e silenziosa della Stanley Steamer del 1904) e di quelle elettriche che stranamente, a dispetto di tutti i progressi compiuti nel XX secolo nel campo dell'ingegneria elettrotecnica, non sono mai riuscite a superare il problema del peso e della ricarica della batteria.
Solo in questi ultimi decenni del nostro secolo gli effetti ambientali delle automobili hanno cominciato a ricevere una seria considerazione da parte del pubblico. Negli anni '70, quelli che parlavano delle conseguenze degli additivi a base di piombo nella benzina venivano trattati da eccentrici e allarmisti. Dal 1980, iniziarono ad avere un certo peso sulle legislazioni nazionali. A quel tempo si manifestò una certa preoccupazione attiva
per gli effetti degli idrocarburi incombusti, del monossido di carbonio, degli ossidi di azoto e via dicendo, prodotti in enorme quantità dalle automobili. I fabbricanti ebbero l'occasione di ammantarsi in virtù osservando leggi tardive e mettendo in produzione modelli con o senza marmitta catalitica, a seconda del mercato su cui dovevano essere venduti.
Ma i nefasti effetti sull'ambiente della proliferazione delle auto, non vennero rilevati se non quando ormai troppe persone erano completamente dipendenti dalle macchine. La rivoluzione dei trasporti e la trasformazione dell'ambiente fisico risalivano a molto prima che qualcuno cominciasse a preoccuparsi delle conseguenze sull'atmosfera, e nel frattempo tutti noi eravamo diventati meno sensibili al prezzo di vite umane. E' il trionfo finale di quello che Proudhon chiama la consacrazione dell'egoismo, di quanto cioè ha sistematicamente minato ovunque la possibilità economica di sistemi di trasporto pubblico (...).

Quell'autobus mezzo vuoto
Il contributo più interessante alla reazione individualistica è quello di Peter Neville, collaboratore della stampa anarchica. Dovendo andare a un incontro degli Amici della Terra, che si teneva in un luogo piuttosto distante dalla linea ferroviaria, prese la propria automobile.

Pioveva molto forte e quando arrivai alla riunione incredibilmente non trovai un posto dove mettere la macchina, perché il parcheggio era stracolmo. Quando entrai, vidi che tutti erano belli asciutti. Solo dopo un po' ne capii la ragione: ognuno era arrivato in automobile. Incontro spesso compagni cosi, che pontificano senza sosta su ciò che secondo loro bisognerebbe fare della propria vita, delle risorse economiche e dei propri beni aspettandosi di veder accolti tutti i loro atteggiamenti e le loro prescrizioni, pronti a insulti rabbiosi in caso contrario. Se poi però vai a scavare più a fondo nella loro vita scopri talvolta che su ciò che li riguarda non sono poi così onesti.

Continuava poi spiegando come fosse convinto che non sarebbe riuscito a salire sull'autobus al ritorno dalle ex officine Austin di Longbridge negli anni '60, finché non scoprì che era mezzo vuoto perché tutti i lavoratori tornavano a casa in macchina. Diceva inoltre che contrariamente alle immagini retoriche, "la gran parte dei membri della classe operaia in Gran Bretagna oggi possiede una casa, un'automobile, vive in famiglie monogame ed è assai poco convinta delle proteste di coloro che considera appartenenti alla "classe media"," concludendo che

Allo stato attuale delle cose, una società anarchica è una società che estende la libertà dell'individuo e uno dei modi migliori di farlo è avere un autoveicolo. Molti compagni a quanto pare vedono l'anarchismo nell'ottica restrittiva di una specie di Stato assistenziale. Sicuramente dovremmo cercare altri sistemi per estendere la nostra libertà, invece che altri modi per circondarci di restrizioni.

Uscite di sicurezza
II movimento anarchico non può sfuggire a quella contraddizione che è la rovina di ogni movimento rivoluzionario, politico o sociale, minoritario: privo di potere politico, qualunque soluzione formuli per risolvere i mali della società, può essere messa in pratica solo da quella stessa struttura politica che vorrebbe distruggere. Proprio perché, giustamente, rifiutiamo qualsiasi potere politico, saremo sempre inefficaci poiché, per quanto si sia ben riflettuto sulle questioni del momento, è la corrotta amministrazione della specifica società esistente che bisogna forzare ad accettare le soluzioni ai loro problemi da noi proposte e a renderle operative....
Possiamo fare opera di propaganda, portare degli esempi... ma nel campo delle riforme sociali possiamo solo promuovere idee e azioni tra i militanti politici fino a quando la burocrazia politica decide di accettarle nel suo stesso interesse".

Arthur Moyse: Prophets without honour, "Freedom", 27 novembre 1971.

Riusciremo, nel XXI secolo, a sfuggire all'era automobilistica del XX? L'automobile vi si è insinuata come giocattolo da ricchi, condannata dalla gente normale come un'arma letale sguinzagliata per le strade. Man mano che il secolo procedeva, è stata considerata sempre più una necessità per tutte le famiglie, distruggendo l'economicità di altre forme di traffico, trasformando l'ambiente e facendo sì che le sue vittime fra gli altri utenti della strada venissero considerate responsabili della propria stessa vulnerabilità. Grosse industrie sono sorte per soddisfare le sue esigenze.
Le idee della gente possono cambiare, mentre invece è difficilissimo cambiarne le abitudini. Eppure, milioni di decisioni individuali hanno portato al nostro asservimento alla macchina.
Riusciranno milioni di libere scelte a liberarcene?
Se non è un deterrente la perdita di vite provocate dalla motorizzazione, si può pensare che le previsioni degli scienziati sull'innalzamento della temperatura del pianeta e l'effetto serra basteranno a far mutare le abitudini? Tutte le informazioni sulle varie emissioni tossiche dei veicoli sono state pubblicate vent'anni fa, ottenendo come unico effetto un abbassamento delle tasse sulla benzina "verde" e la prospettiva di marmitte catalitiche obbligatorie, misure entrambe che non hanno niente a che fare con l'effetto serra. Dobbiamo riconquistare l'indipendenza dall'auto. In una società dominata da un governo centrale, questo significa una politica che invogli la gente a tornare a un sistema di trasporto pubblico migliorato intervenendo sulle tariffe. L'alternativa, di intervenire a livello fiscale sul possesso della macchina o sul carburante, o di sofisticati dispositivi per far pagare la strada, si limiterebbe a penalizzare i poveri, lasciando le arterie di comunicazione in mano ai ricchi, a coloro che amano l'ostentazione e ai guidatori con la nota spese in tasca. Alcuni di noi da anni invocano la
gratuità dei mezzi pubblici nelle città e nei paesi, sia per ragioni ideologiche che come soluzione, la meno costosa di tutte, al problema di tirare la gente fuori dalle automobili. Il pendolo dell'opinione pubblica in questo momento è lontano da questa ipotesi, ma tornerà ad avvicinarvisi quando gli ineludibili dilemmi di una società di individui motorizzati costringeranno il governo a tornare sui suoi passi.

L'INCIDENTE di Carlo Capuano (da "Il Mecenate")

Il paesaggio scorreva morbido e ordinato attorno ai finestrini, reso più vario dalla velocità dell'auto. Anche lo scambio di affettuosità tra i due aiutava a rendere più gradevole la gita.
A un tratto, per un'incauta manovra, il giovane alla guida investì un cane e lo scaraventò violentemente oltre il ciglio della strada.
Fu un agghiacciante stridore di freni. L'auto si fermò.
La ragazza ebbe un sobbalzo, si nascose istintivamente il viso fra le mani, mentre presa ancora dallo spavento, esclamò: - Che hai fatto? - Col capo chimo incapace di guardarsi attorno, il giovane rispose con sconforto: - E' terribile, non riesco a spiegare, è stata una disgrazia. -
Sembravano impietriti da una colpa che impediva qualsiasi movimento, finché fu la ragazza a riprendersi e a ritrovare per prima una naturale sicurezza.
- Bisogna scendere, - disse abbassando il finestrino, - bisogna che qualcuno vada a vedere. -
Il giovane scese e si portò dalla parte che aveva colpito il cane. Controllò il cristallo delle luci, la cromatura, ispezionò l'intero parafango e ripassò più volte la vernice con i polpastrelli.
Dal finestrino aperto la ragazza chiese con impazienza: - E' successo niente? -
- Niente, neppure un graffio, neppure un piccolo segno, - rispose l'amico con incredula soddisfazione, continuando a lucidare la vernice con la manica della giacca. - E' andata bene, - osservò felice la ragazza, - allora torna subito alla guida che dobbiamo ripartire. -
Il giovane rimise in moto, sorrise e si allontanò veloce, mentre il cane guaiva ancora offrendo il suo lamento dal fondo del fosso per un dolore che non interessava nessuno.