Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 22 nr. 190
aprile 1992


Rivista Anarchica Online

Dietro al voto
di Andrea Papi

Questo numero è stato stampato prima delle elezioni politiche del 4-5 aprile. L'analisi del nostro collaboratore Andrea Papi riguarda più in generale il meccanismo-base del sistema democratico

Che cosa assicura immunità e perpetua il complesso del sistema politico vigente? Possiamo vedere in esso una specie di autarchia politica che, per il modo in cui è costituito, gli permette praticamente di fare tutto da sé. Intendiamoci bene, non ho intenzione di sostenere che l'Italia o l'Europa vivono in un'isola autarchica separati dal resto del mondo, completamente autosufficienti in tutto e per tutto, nel bene come nel male. Una simile affermazione, evidentemente e ragionevolmente, sarebbe priva del minimo fondamento e si annullerebbe da sé. Oggi sono troppi, continui e strutturali i contatti internazionali a tutti i livelli tra i vari paesi, da quello politico, a quello economico, a quello militare, per poter anche solo supporre che uno qualsiasi di essi, o anche una vasta zona geografica quale l'Europa, possa essere in grado di sopravvivere, anche per poco, facendo a meno di rapporti di ogni tipo con le altre parti del pianeta.
Il problema cui faccio riferimento è ben altro e non si riferisce in alcun modo a parti geografiche prese separatamente. Mi riferisco invece al rapporto ineludibile tra cittadini e stato, tra governati e governanti, tra sudditi e potenti. Un rapporto che mi appare tronco perché, seppur definito capillarmente, si ferma a un dato punto della sua costituzione che, grosso modo, corrisponde all'abbozzo. Tra queste due componenti fondamentali della società, praticamente c'è un solo contatto iniziale, il voto, dopodiché c'è una separazione netta, in seguito alla quale stato, potenti e governanti si prendono tutto, mentre cittadini governati e sudditi nulla. Dopo questa separazione rimane soltanto una relazione necessaria, impostata sulla completa sottomissione dei subordinati.

Mandato in bianco
Ma vediamo di capirci meglio. I sistemi politici occidentali si definiscono su una base innegabilmente democratica, cioè la costituzione di assemblee parlamentari elette periodicamente da tutti i cittadini indistintamente, detti altrimenti popolo. A garanzia di democraticità, gli eletti con voto segreto debbono rinnovare il loro mandato ogniqualvolta scade il termine, stabilito da ogni singola costituzione, con rinnovate e successive elezioni, in seguito alle quali possono sia essere rieletti, sia no. Con questo meccanismo, semplice all'atto della definizione, i delegati si trovano costretti ad assicurarsi continuamente il consenso degli elettori e a mantenere la loro fiducia durante tutto il percorso del loro mandato. Teoricamente, tutto ciò dovrebbe garantire un rapporto permanente tra il vertice e la base, anche se, a mio avviso, le cose non stanno esattamente così.
Ci sono infatti almeno due momenti fondamentali che contraddicono e annullano la democraticità del rapporto tra eletti ed elettori, su cui si fondano le istituzioni parlamentari. Il votante, qualunque esso sia, dall'uomo comune della strada all'industriale, fino agli stessi professionisti della politica, può fare un'unica cosa: esprimere con una crocetta la sua preferenza sulla scheda. Il suo intervento, quindi la sua possibilità di essere fattivamente partecipe della grande e complessa rete di intrecci sofisticati di cui è composta la determinazione politica, si ferma, secondo costituzione, a questo punto. Altro non può e, se per caso, per un qualsiasi motivo, sceglie di non esprimere nessuna preferenza né partitica né nominale, perché per esempio non si riconosce in nessuna forza e in nessun candidato, automaticamente viene escluso in modo definitivo fino alla successiva tornata elettorale.
All'interno di questa logica, i due elementi che nei fatti annullano la democraticità del rapporto tra votanti e votati sono così individuabili non tanto nel momento in cui si esercita l'atto della scelta, bensì durante tutto il periodo che separa il votante dalla successiva elezione.
Per prima cosa, dal momento che l'unico e reale intervento diretto dell'elettore si formalizza e si ferma al suo voto su una scheda anonima, egli non fa altro che attribuire un mandato in bianco a un componente di partito, quindi al partito stesso. Non sa, né può sapere veramente, che cosa verrà fatto del suo mandato; bensì può soltanto supporlo. Baserà questa sua supposizione o sulle cose sentite durante la campagna elettorale, o sull'informazione costruitasi nel tempo attraverso ciò che propinano quotidianamente i mass-media, o ancora perché vive un rapporto di fiducia, in alcuni casi addirittura religioso, col partito di appartenenza. Sta di fatto che, una volta posta segretamente nell'urna la fatidica crocetta sul simbolo prescelto, accompagnandola, se vuole, col nome di uno dei candidati in lista, non potrà più far nient'altro che guardare cosa succederà durante tutti gli anni che lo separano dalla successiva elezione. Potrà poi anche imprecare se, come succede quasi sempre, coloro su cui ha posto la sua fiducia faranno cose a lui poco gradite, se non addirittura contrarie alle sue aspettative.
Il secondo momento, collegato direttamente al primo, ma che merita una piccola riflessione a parte, si riferisce a tutto l'arco di tempo che separa l'elettore dalla votazione successiva. Fino ad allora, il cittadino non eletto non avrà la benché minima possibilità di intervenire in qualche modo all'interno dei complicati meccanismi burocratici di decisione, che compongono la fattiva vita politica da cui i cittadini stessi dipendono. Non potrà né esercitare un controllo reale, né porre un veto, né tantomeno esprimere un'opinione con una qualche possibilità di incidenza istituzionale. Non può, semplicemente perché tutto ciò non è previsto dall'assetto strutturale di cui è composta la macchina politica. Anzi! guardando bene le strutture preposte al funzionamento della macchina statale, comprendenti i poteri legislativo ed esecutivo con tutte le loro branche e le loro affiliazioni, si può a ragione sostenere che al contrario è prevista la più completa assenza dell'intervento diretto dei cittadini ad un livello in qualche modo decisionale. Dunque non sono previste strutture atte all'esercizio popolare. Da cui si induce che le istituzioni vigenti si fondano sul mandato di delega popolare, ma al contempo prevedono l'assenza di una vera decisionalità popolare.

Impenetrabile barriera
Questa impostazione costituzionale del rapporto tra il popolo e le istituzioni che dovrebbero rappresentarlo, comporta una conseguenza in particolare che, ai miei occhi, è di estrema gravità. Cioè che tutto l'esercizio e il controllo del potere istituito si svolge esclusivamente all'interno degli apparati preposti al potere stesso. All'uopo è stata eretta una impenetrabile barriera istituzionale in grado di non subire infiltrazioni di nessun tipo, men che meno di carattere popolare. Non solo quindi tutto viene deciso da strutture separate ma, soprattutto, ogni forma di controllo e di intervento sul fattivo, ma anche di verifica sulle ipotesi, viene svolta da enti specifici. E' un macchinoso impianto di interrelazioni istituzionali spesso estremamente complesse e, cosa non sottovalutabile, molto costose, che esclude ogni intervento popolare diretto.
Non ci sono commissioni o organismi di cittadini, diretti esclusivamente dai cittadini stessi, che in qualche modo abbiano il potere di interferire, controllare, vietare o, al limite, proporre. No! Una simile possibilità è accuratamente esclusa sia dai fatti, sia anche teoricamente dall'istituito e dall'istituente. Se un assessore, o un dirigente, o al limite un ministro, o un qualsiasi altro che abbia responsabilità all'interno dell'apparato pubblico, commette errori, fa illeciti, è inadempiente, o inefficiente, o ancora assente, ecc., può essere stabilito e giudicato soltanto dagli organi istituzionali, fra l'altro, preposti dagli organismi decisionali governativi. Il potere si svolge e si definisce tutto solo all'interno degli apparati di potere, strutturalmente e istituzionalmente separati dal contesto della società la quale, secondo la costituzione e la teoria più generale che giustifica le democrazie contemporanee, dovrebbe essere la vera depositaria del potere e ne avrebbe la sovranità. La sovranità, si sa, non può appartenere che al sovrano, il quale logicamente la esercita. Checché se ne possa dire, in questo caso il sovrano è identificabile solo negli apparati che detengono il potere, non certamente nella società. Questa non ha altro compito che di esprimere un mandato a un certo numero di delegati al fine di costituire il parlamento; mentre non può esprimere mandati su quello che dovrebbero fare. In definitiva vengono solo mandati lassù, per poi, lassù, fare ciò che più loro aggrada.
In conclusione, mi sembra di poter tranquillamente affermare che l'istituto vigente non è altro che un assoluto dominio autarchico del potere delegato.