Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 21 nr. 187
dicembre 1991 - gennaio 1992


Rivista Anarchica Online

Michail Osorgin in Italia
di Alessio Vivo

Il rapporto fra pensiero rivoluzionario russo e italiano, in particolare anarchico, in un periodo come quello che va dalla prima rivoluzione russa (del 1905) alla seconda (del 1917), nel quale l'Italia si presentava come il Paese più vicino alla Russia per le sue potenzialità rivoluzionarie, presenta ancora notevoli problemi e interessanti questioni di interpretazione storiografica. Singole figure possono però essere di notevole aiuto nello sciogliere le nebbie che avvolgono gli intricati nodi dottrinali e di azione convergente in quel periodo.
E' il caso della vicenda di Michail Osorgin, giornalista e rivoluzionario russo esule in Italia dal 1908 al 1918, che in quel decennio ha espresso interessanti concordanze con i principi e gli atteggiamenti del movimento anarchico italiano. Gli unici studi di storici italiani sulla sua figura sono quelli di Anastasia B. Pasquinelli (il primo risale al 1986), che recentemente ha pubblicato nel numero 9 di "Europa Orientalis" un dettagliato articolo dal titolo: "M. Osorgin giornalista russo in Italia / tra socialismo e anarchia".
Il periodo fra queste due rivoluzioni russe vede questo avvocato, nato a Pern negli Urali nel 1878, rinchiuso nella prigione di Takanga di Mosca dopo la fallita insurrezione del 1905, dapprima fuggire in Finlandia e poi con altri compatrioti in Italia, inizialmente sulla riviera ligure e in seguito a Roma, dove lavora come corrispondente di due importanti giornali russi. Molti rivoluzionari russi dopo il 1905 si rifugiarono in Italia e si formarono vere e proprie colonie di persone che avevano sempre oltre al cuore anche gli occhi rivolti alle tormentate vicende russe, pur sviluppando fecondi contatti con gli ambienti anarchici e socialisti italiani.
Del resto, nel giornalismo anarchico italiano i riferimenti alla Russia erano in quel periodo frequentissimi, come quelli ai suoi rivoluzionari, visti come figure leggendarie ed esempi di lotta libertaria: veri e propri punti di riferimento nei quali si riconosceva soprattutto la cultura anarchica. La stampa anarchica spesso ospitava articoli dell'intellighenzia russa dell'emigrazione, lettere di condannati a morte, figure romantiche di rivoluzionari (a volte proprio esuli in Italia che al rientro in Russia subivano l'arresto).
Si susseguivano gli studi, le interpretazioni e le riflessioni, condotte ad esempio da Luigi Fabbri e da Pietro Gori sulle cause della crisi di quegli anni del movimento anarchico russo, uscito polverizzato dalla prima rivoluzione per molteplici cause, non ultima quella dell'infiltrazione di spie zariste.
In Russia rimanevano molti fogli anarchici, ma avveniva una sorta di osmosi fra il movimento anarchico e il movimento social-rivoluzionario, dalla militanza fortemente individualista e più organicamente strutturata, capace di coordinare meglio iniziativa e programma dopo la prima rivoluzione.
D'altra parte, i problemi del movimento italiano erano simili a quelli del movimento anarchico russo: il rapporto minoranze-masse, quello della tattica e della strategia. Problemi simili anche se per ragioni opposte, perché in Italia il movimento era impantanato nelle sabbie mobili dell'età giolittiana, caratterizzata dai viscosi compromessi con i socialisti, mentre in Russia gli anarchici erano stati inchiodati dalla repressione. Certo un ruolo giocava anche lo spiccato individualismo russo, che frantumava il movimento anarchico, anche in collegamento alla questione del terrorismo, ma in misura minore all'influenza da esso esercitata secondo la tesi di Paul Avrich (si veda P. Avrich in "L'altra anima della rivoluzione", Milano, Antistato, 1978). Infatti, anche fra i socialisti rivoluzionari c'erano elementi terroristi (come Ivan Kaljaev, che nel 1905 uccise il granduca Sergio, definito dai periodici anarchici russi e italiani un "feroce aguzzino del militarismo") e il problema in Russia per l'intellighenzia rimaneva quello di distinguere fra rivoluzione e terrorismo, come del resto in Italia, negli anni successivi al 1905. Nella cultura russa veniva alla luce il vecchio rapporto fra trasgressione e legalità.
Nikolaj Michajlovskij, maestro del populismo, parlava della necessità di una fase preparata dalla lotta terroristica per scuotere le fondamenta dell'autocrazia coinvolgendo il popolo, cui doveva seguire la richiesta di uno "stato di diritto". In questo quadro Michail Osorgin rappresenta il punto di contatto fra intellighenzia russa e cultura rivoluzionaria anarchica italiana. Amico di terroristi social-rivoluzionari, a Mosca aveva tenuto nascosti nel suo appartamento manoscritti rivoluzionari, vede sempre più il sovrapporsi dell'area anarchica italiana e di quella social-rivoluzionaria russa di quegli anni. La lotta in queste due aree viene concepita in modo sempre più simile (d'altra parte gli stessi esuli social-rivoluzionari russi erano di cultura prevalentemente anarchica: uno di loro, che sarà poi giustiziato in Russia ed amico di Osorgin, Lebedintsev, diceva: "In Italia sono un anarchico, in Russia per ora posso essere un social-rivoluzionario). Osorgin però tenta sempre più di spostare la lotta politica dal piano rivoluzionario a quello legale e nella sua pubblicistica i motivi anarchici venivano spesso a coincidere con quelli social-rivoluzionari. In Russia dopo il 1905 la giovane intellighenzia tentava un riaggancio con l'area neo-liberale russa recentemente rifiorita, anche se in modo insufficiente. Osorgin comunque non abbandonava la sua natura profonda, oscillante fra populismo ed anarchismo e se propendeva per l'area legale, forniva comunque sempre all'opinione pubblica russa nei suoi articoli, punti di riferimento con la matrice anarchica nei suoi connotati radicalmente libertari. Osorgin era nemico dei compromessi e della conciliazione e non sopportava la politica giolittiana. Nella sua pubblicistica rispecchia lo scontento degli anarchici italiani per quella politica, espresso ad esempio chiaramente negli scritti di Luigi Fabbri di quel periodo.
Osorgin si colloca idealmente accanto agli anarchici italiani, che nella loro stampa denunciavano le inumane condizioni dei patrioti russi e il continuo ricorso alla pena di morte, ospitando anche articoli di Kropotkin sul terrore in Russia.
Osorgin vedeva inoltre in alcune figure dell'area anarchica italiana esempi di libertà individuale e di coraggio, proponendola come esempio ai lettori russi. Tipico è il suo commosso necrologio a Pietro Gori, la figura a lui più simile (avvocato, giornalista, esule) e con il quale si era identificato.
Un unico articolo isolato di Osorgin apparirà sulla stampa anarchica italiana e contiene una proposta politica rivoluzionaria che conferma il legame italo-russo sul piano della solidarietà internazionale anti-istituzionale e antimilitarista. Le sue vedute in questo caso coincidevano pienamente con quelle di Amilcare Cipriani, allora definito "l'uomo più rosso d'Italia".
Sul tema dell'intervento italiano in Libia (1911), Osorgin esprimerà un netto rifiuto del crescente nazionalismo. Per lui esistevano due Italie: quella autentica (del popolo) e quella "finta", ufficiale (del potere), coerentemente con l'idea anarchica russa. Osorgin tornerà sul tema dell'azione individuale in occasione del fallito attentato a Vittorio Emanuele III nel 1912, condotto da Antonio D'Alba.
Anche allora egli rispecchierà le posizioni proprie degli anarchici italiani. Sarà testimone della Settimana Rossa del 1912, il vero inizio di quella che avrebbe dovuto essere la rivoluzione italiana. Osorgin sostiene le ragioni che ad Ancona hanno fatto scoppiare la rivolta, dedicando articoli a quegli avvenimenti. Tace la matrice anarchica, il fatto che Malatesta avesse organizzato là il suo quartier generale, le proteste per Masetti. Però sono vive e in spirito autenticamente bakuniniano le sue descrizioni delle barricate a Roma, delle quali fu testimone oculare. Osorgin era un pacifista, ma non un pacifista assoluto. Sosteneva infatti gli interventi militari necessari per ragioni di difesa contro aggressioni esterne, ponendosi sulla stessa linea del giornale antimilitarista anarchico di quegli anni "La Pace".
Nel 1918 Osorgin torna in Russia senza essere stato amnistiato. Protesta contro gli eccessi della Rivoluzione d'Ottobre.
Viene arrestato nel '19 e poi nel '21 e nel '22 viene espulso dalla Russia con altri intellettuali e si rifugia a Parigi.
Collabora con giornali dell'emigrazione, con articoli spesso scomodi anche per l'emigrazione (era un intellettuale in costante opposizione con la sua epoca e anticonformista). Ormai Osorgin si è definitivamente trasformato in un anarchico che sogna di tornare in Patria per opporsi al regime vigente, quello bolscevico, ignorandolo, barricandosi contro ogni ingerenza autoritaria del governo, con la resistenza passiva, che può trasformarsi in attiva solo quando si è ormai largamente estesa. "La volontà del popolo" - dice - "deve consistere non in una presa del potere, ma in una difesa permanente contro di esso".
Se Osorgin avesse visto la crescita della resistenza al regime avvenuta in Russia l'estate scorsa in occasione del colpo di Stato militare, trasformandosi rapidamente da passiva in attiva, con la corrispondente rinascita del movimento anarchico sulla base propria di un'autodifesa permanente, avrebbe trovato, a cinquant'anni dalla sua morte (avvenuta in Francia nel 1942), una conferma lampante alle sue idee.