Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 21 nr. 187
dicembre 1991 - gennaio 1992


Rivista Anarchica Online

Architettura ed ecosistema
di Dario Bernardi (ARK studio)

Se la casa è la terza pelle dell'uomo (la prima è l'epidermide, la seconda sono gli abiti) allora deve essere costituita da materiali che respirino, che in definitiva vivano con chi quella casa l'abita. E' questo il tema conduttore del libro di Karl Ernst Lotz, La casa bioecologica (Edizioni AAM Terra Nuova, Firenze, 1991 , lire 22.000). Un libro che si presenta come un completo manuale per costruire o ristrutturare case che permettano di vivere (per quanto più possibile) in modo equilibrato con l'ambiente, la natura, in definitiva con l'ecosistema. La ricerca di Lotz mette in evidenza come le costruzioni tradizionali oltre a spezzare l'equilibrio naturale, producono inquinamento e soprattutto dispersione intollerabile di energia. Ma non soltanto quello. Le regole con cui vengono costruite le case di tipo tradizionale possono causare malattie, disturbi cronici o addirittura portare alla morte. Lotz in 262 succose pagine di manualistica formula una teoria e pratica bioecologica del costruire. Dalle fondamenta fino al tetto il lettore viene guidato nei percorsi del nuovo modo di poter vivere la casa in modo sano, dopo averla costruita o ristrutturata secondo regole bioecologiche che si riallacciano a una tradizione antica.
Costruire secondo natura è quindi l'intendimento di Lotz, che però circoscrive il suo saggio/manuale soltanto alla dimensione della costruzione (o del costruire). Ma una visione ecologica (o bioecologica) può fermarsi solo alla ricerca e all'assemblaggio di materiali non inquinanti, non dannosi per l'abitante? Certamente no. La domanda che il lettore si può, io direi si deve fare, dopo aver letto il libro di Lotz, è questa: costruire ecologicamente è condizione sufficiente per poter abitare? Abitare è infatti un concetto sociale molto più ampio del semplice occupare una casa.
Dice Ivan Illich: "Abitare è umano. Gli animali selvatici hanno tane, il bestiame stalle, le carrozze tettoie, le automobili garage. Solo gli uomini possono abitare, abitare è un'arte. Abitare è un'attività che è al di fuori della portata degli architetti, non solo perché è un'arte popolare, non solo per una complessità delicata che non può rientrare nell'orizzonte limitato dei biologi o degli analisti di sistemi, ma soprattutto perché non esistono due comunità che abitano nello stesso modo. Il residente ha perso gran parte del suo potere di abitare. La libertà di abitare ha perso significato per lui. Rivendica il diritto di avere uno spazio costruito, sa delle norme che gli garantiscono questo diritto e i modi di usarlo, ma non conosce più l'arte di vivere. L'arte di abitare". (Ivan Illich in Spazio e società, settembre-dicembre, 1985).
Ma le parole di Illich sembrano tanto lontane perché oggi è in discussione anche il concetto e la pratica molto più semplice dell'autocostruzione. Cioè una dimensione sicuramente più modesta, ma propedeutica per quella dell'abitare. Oggi la gente non sa più costruire. Per superare tutto questo dovremo essere in grado di sviluppare tecnologie alternative e anche la progettazione dovrà essere investita dalle nuove problematiche.
L'appropriazione progettuale, come possibilità di una diffusa capacità progettuale, in senso lato a tutti i livelli, quindi non solo di tipo professionale, ma prettamente culturale: appropriazione progettuale come processo rifondativo della cultura del progetto, dal di dentro del corpo sociale. Una nuova cultura del progetto che deve rompere con la tradizionale imposizione del "metodo", con il suo intendimento principalmente gerarchico. Una nuova cultura del progetto deve superare il muro delle differenze disciplinari per entrare a pieno diritto nei problemi di recupero e trasformazione dell'ambiente.
Un progetto libertario risiede soprattutto nella sua aderenza all'interpretazione allargata, intesa come una convergenza di tutte le espressioni: sia nei processi di trasformazione sociale, sia nei processi di trasformazione e innovazione tecnologica. Un libro come quello di Lotz può appunto servire a riscoprire questa dimensione così fondamentale per l'uomo. Come infatti scrive Giancarlo De Carlo in Volontà n.2/1986, l'architettura va intesa come una serie di azioni continue e interdipendenti che tendono a una situazione in cui ciascuno condivide il potere in eguale misura... una situazione in cui è abolito l'esercizio del potere, come strumento di sfruttamento e repressione