rivista anarchica anno 21 nr. 187 dicembre 1991 - gennaio 1992
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La lotta per la libertà di Filippo Trasatti
Stig Dagerman è ancora un autore poco noto in Italia,
nonostante siano ormai disponibili in italiano cinque suoi libri.
Fin da giovane si dedicò attivamente alla politica del
movimento anarchico svedese; diresse varie riviste, scrisse
commedie, racconti, romanzi, poesie. Genio precoce, diventato
simbolo di una generazione di giovani che lottarono contro la
sopraffazione dello stato sull'individuo, è morto suicida
giovanissimo, a soli 3l anni nel 1954. E' difficile commentare un
testo come il nostro bisogno di consolazione (Iperborea,
Milano, l99l ), che è un tentativo di esporre la propria
interna disperazione sotto i riflettori di una coscienza lucida e
disincantata, accecante per il lettore. Testo con rapide
impennate poetiche, alternate a meditazioni tese, ha un ritmo rapido
che non si lascia contenere nella forma della chiosa critica.
Perciò quello che tento è un breve viaggio che
ripercorre con altre parole i temi di Dagerman, che cerca di
tradurre quella lucida disperazione in attimi di consapevolezza con
l'aiuto dei poeti.
Viene il giorno in cui prostrati dalla malattia, o da una
depressione schiacciante, o semplicemente presi dalla stanchezza di
vivere, ci troviamo faccia a faccia con ciò che da sempre ci
accompagna e a cui neghiamo lo sguardo: la consapevolezza estrema
della morte. Il tempo allora si fa più denso e perde la
verve scintillante degli strumenti di misura precisi: diventa il
sangue della mia carne che scorre rapidamente e dolorosamente fuori
dalle mie vene, inarrestabile. So, e qui il peso della coscienza
davvero mi schiaccia, che non potrò liberarmi da questa
immagine, che la morte mi dà la caccia come a una preda.
Scopro la paura e con la paura la disperazione di vivere. Le
immagini si stringono, le parole si dileguano per lasciare posto
solo a questa arena in cui arde la lotta tra speranza e
disperazione. In questo fondo dolente dell'umano nasce il
bisogno di consolazione. In questa lotta impari, grande è la
tentazione di abbandonarsi, di negare, di tornare di gran carriera
alla fretta della vita: la coscienza è questo spazio
aperto ardente che libera e incatena (E. Dickinson). L'essere
arrivati come pare alle soglie della vita, al limite di questo
processo di arretramento e fuga, fa scoccare la scintilla che per un
istante illumina lo spazio estremo della propria libertà,
della propria libera individualità, indifesa oppressa e
sanguinante: il cuore della libertà umana, mai definita,
fissata, sempre cangiante. "Non possiedo una filosofia in cui
potermi muovere come l'uccello nell'aria e il pesce nell'acqua.
Tutto quello che possiedo è un duello" (Dagerman).
Una lotta che è mia, che mi sbrana pezzo a pezzo che nel
dolore mi riporta all'esistenza. "Abbiamo censito tutto il
dolore che il boia avrebbe potuto cavare da ogni fibra del nostro
corpo; poi col cuore nella morsa, ci siamo mossi e schierati"
(R. Char). E quando la febbre s'attenua, lo sguardo si schiarisce
e si rinsalda la presa sul mondo, dal silenzio ritorno ad essere
vivente, a sentire la vita che scorre. Scopro che "nessuno,
nessuna potenza e nessun essere umano ha il diritto di esigere da me
tanto da far dileguare la mia voglia di vivere ". (Dagerman). Il tempo
e le misure umane stringono steccati - ricorda il vecchio Thoreau -
intrecciano trame di doveri e obbligazioni oltre ogni umana
sopportabilità. Non posso non vedere - e non voglio
condannarmi alla cecità - la foresta di Walden ormai
pietrificata; lì torno a muovere passi di libertà, da
quello spazio dileguante di vita, unicamente mio, che ho incontrato
e abbracciato nel dolore. "Se potrò impedire a un
cuore di spezzarsi non avrò vissuto invano"
(Dickinson) "Non verremo alla meta ad uno ad uno
Ma a due a due. Se ci conosceremo
A due a due, noi ci conosceremo tutti, noi ci ameremo tutti e i
figli Un giorno rideranno Della leggenda nera dove un
uomo Lacrima in solitudine" (Eluard)