rivista anarchica anno 21 nr. 187 dicembre 1991 - gennaio 1992
Rivista Anarchica Online
Nomadi e scomodi di Gianni Sartori
A quattro di distanza dalla morte di Paolo Floriani, il vicentino torna alla ribalta per un nuovo episodio di
razzismo contro i Sinti
In un volantino (che è poco definire infame) il
"Movimento Fascismo e Libertà", fondato dal
senatore Giorgio Pisanò e presentato a settembre a Vicenza,
attacca duramente perfino il diritto all'esistenza (non parliamo
dell'autodeterminazione) dei Popoli Sinti e Rom (quelli chiamati con
malcelato disprezzo "zingari" ). Ironizza poi sulla
loro cultura, chiedendosi se si possa considerare cultura chiedere
l'elemosina, rubacchiare, ecc.. Come se la necessità, le
circostanze, l'emarginazione e le persecuzioni subite non potessero
almeno in parte non spiegare il "crollo dei valori"
anche all'interno delle comuni nomadi. È quasi
inutile chiedere a Pisanò e seguaci se da parte loro
considerano "cultura" il degrado ambientale, le
distruzioni delle risorse, le produzioni di morte, la guerra... e
tante altre amenità che ci riserva l'evoluto (e stanziale)
mondo occidentale... O forse questi fascisti hanno nostalgia
delle prodezze imperiali e genocide del ventennio? Non è
bastata una Risiera di San Sabba? Sul volantino sono intervenuti
molti esponenti democratici vicentini. Lino Bettin, presidente
dell'Associazione nazionale partigiani, dice che il Pisanò è
una sua vecchia conoscenza (sembra siano stati per qualche anno
compagni di scuola) e che esistono norme precise contro la
ricostituzione del partito fascista. Da anni è consapevole
del pericolo di un ritorno della Destra fascista, ne parlano spesso
anche alle riunioni dell'ANPI. Minimizza invece Giorgio Marenghi,
giornalista: "In fondo questi sono dei legalitari, hanno il
senso dello stato. Non dimentichiamo che il Movimento Sociale
Italiano ha fatto da contenitore nei confronti delle spinte
eversive...". A parte il fatto che qualcuno potrebbe parlare
piuttosto di "vivaio" vien da ricordare come il
legalitarismo non sia una garanzia assoluta nei confronti del
razzismo. Per es. in Ungheria le leggi antisemite non furono
un prodotto della dittatura. Sono state discusse dal Parlamento
ungherese per anni. Le prime norme antisemite vennero emesse nel
'36, "democraticamente". Le ultime, genocide, nel'
42. Figuriamoci se con le arie di restaurazione che tirano non
sarebbe possibile far passare qualche decreto razzista contro quei
quattro gatti di Sinti e Rom (magari "per il loro stesso bene",
tipo riserva indiana). E poi comunque questi proclami neofascisti
fanno da supporto ideologico alle azioni squadriste, all'operato
delle squadre della morte tipo "Falange Armata". Per
Domenico Buffarini, ex-comunista passato recentemente al PSI,
auto-nominatosi portavoce degli "zingari " del vicentino, "la
cultura dei Rom non esiste più. Andrebbe favorita la loro
disponibilità ad insediarsi, a lavorare". Precisa:
"insediarli e assumerli per gruppi, non individualmente". A
parte il fatto che è sempre opinabile decretare la fine,
l'estinzione di una cultura, almeno finché qualcuno dei
diretti interessati è intenzionato a mantenerla in vita
(pensiamo alla conservazione dell'idioma tradizionale), la
proposta del Buffarini sa tanto di omologazione delle Nazioni Sinti
e Rom.
"Popolo" e "nazione"
E colgo l'occasione per ricordare che per parlare di Popolo e
anche di Nazione non è indispensabile la stanzialità,
il riferimento ad un territorio preciso (come sostengono i fautori
dell'autodeterminazione intesa come "sangue e suolo" e non
come processo di liberazione). Tantomeno è indispensabile uno
stato. Un popolo si può considerare "Nazione"
se si autodefinisce come tale: non ha bisogno, per esserlo o non
esserlo, del riconoscimento, del permesso di altri. Tanto meno dei
presunti depositari del Diritto dei Popoli. Don Antonio
Fioravanzo, responsabile vicentino della Caritas, riconosce che
anche la comunità cristiana nutre la stessa diffidenza
(eufemismo?) degli altri nei confronti degli zingari. Per lui la
cultura degli zingari esiste e va conosciuta, rispettata. Bisogna
cercare di recuperare i lavori che facevano una volta (il ferro, il
rame, i cavalli...) . Solo in questo modo si può arginare
il razzismo che si va espandendo a macchia d'olio nel
vicentino. Sostanzialmente d'accordo anche don Piero Dal Lin,
"Costruttore di Pace" e parroco del quartiere di San
Pio X. A Vicenza i nomadi cosiddetti "stanziali" (nati
e cresciuti in città) sono circa un centinaio. Altri
200 circa transitano più o meno regolarmente e sono
comunque collegati ai clan fissi. Come è noto il capo clan è
della famiglia Dori. Molti, fino a che non è stato
introdotto l'obbligo della licenza media per gli ambulanti, si
dedicavano appunto a questa attività. Oggi da più
parti si propongono corsi professionali, addirittura l'istituzione
di scuole apposite (è questa la proposta sia della sezione
locale della Liga Veneta che di Buffarini)... Chi non fa
apparentemente proposte esplicite sono invece i razzisti perbenisti
di "Fascismo e Libertà", anche se fra le righe si
intravede fumo di forni crematori. Per una strana combinazione il
volantino fascista è stato messo in circolazione a quattro
anni esatti dalla morte di Paolo Floriani, il 4 novembre.
Osservo che in quella occasione i benpensanti che si indignano
(o mostrano di indignarsi) per il lezzo da fosse comuni che emana
dal miserabile foglio, non mostrarono lo stesso rispetto per i
diritti umani delle minoranze emarginate. Forse, magari
inconsciamente, approvavano che un ladruncolo minorenne venisse
lasciato (fatto?) annegare dalle forze dell'ordine. In fondo "era
morto soltanto uno zingaro". Dichiararlo esplicitamente è
un altro paio di maniche: i soliti sepolcri imbiancati.
Chi ha ucciso Paolo Floriani?
Paolo Floriani era un ragazzino sedicenne, del campo dei Sinti
di via Cricoli (Vicenza) . Il 4 novembre 1987 venne intercettato
da un'auto della polizia, alla ricerca degli autori di un
furtarello, nei pressi di Debba. Paolo si trovava a bordo di una
moto con un compagno, Davide. Riconosciuti come Sinti (e quindi
presunti colpevoli) vengono inseguiti. Subito dopo il bar Tom
e Jerry lasciano l'asfalto, attraversano il cortile di una
fattoria e si allontanano per i campi lungo un vignale, in direzione
del fiume Bacchiglione. La polizia prosegue la caccia ed esplode
vari colpi di arma da fuoco, presumibilmente in aria. Ma è probabile
che Paolo e Davide non si siano voltati a controllare. Ricordo
che nei giorni successivi a Debba e dintorni si parlava
insistentemente di "numerosi colpi di arma da fuoco".
Una conferma mi fu data da Matteo, il contadino che se li era visti
piombare come disperati nella "corte" e proseguire per i
campi. Arrivati al fiume, nonostante il freddo e la corrente,
ovviamente terrorizzati dai colpi e dalla prospettiva
dell'inevitabile pestaggio, i due si tuffano. Paolo è già
sull'altra riva, in salvo, quando si accorge che Davide, che non si
era levato il casco, sta annegando. Torna indietro e 1o riporta
sulla riva da cui si erano tuffati (orograficamente la sinistra).
Poi riprende ad attraversare il fiume ma giunto di nuovo sull'altra
sponda trova ad attenderlo uno dei tre poliziotti che nel frattempo
avevano superato il Bacchiglione sul ponte di Debba. Praticamente
circondato, tenta ancora di allontanarsi a nuoto ma scompare a poca
distanza dalla riva sinistra. Almeno ad una cinquantina di
metri dal punto dove si erano tuffati. L'osservazione non è
fuori luogo dato che poi in sede processuale (Davide, il
sopravvissuto venne arrestato, processato e assolto) si sostenne che
Paolo era affondato e annegato subito, appena saltato in acqua,
"dimenticandosi" della triplice attraversata compiuta dal
ragazzo braccato e dell'accanimento degli sbirri. Il luogo venne
a suo tempo ben identificato dal sottoscritto. Sull'erba bagnata
c'erano ancora le orme evidenti e i segni della fuga.
Scomparivano in riva al fiume una cinquantina di metri prima
del punto dove Paolo era affondato ( e dove adesso c'è una
croce con lapide posta dai Sinti). Della cosa, come ho detto,
l'opinione pubblica non si preoccupò più di tanto. Il
giornale "progressista" del vicentino, Nuova Vicenza,
ignorò semplicemente il fatto per quanto clamoroso
(nonostante fosse stato debitamente informato dal sottoscritto),
mentre quello "conservatore" ("Il giornale di
Vicenza") preferì chiedersi ipocritamente da dove
potesse mai provenire tanta disperata determinazione a non voler
cadere nelle mani della polizia da parte di un ragazzo "...che
se si fosse lasciato prendere, in quanto minorenne, se la sarebbe
cavata solo con qualche giorno d'arresto". Evidentemente,
come ogni suo coetaneo Sinti o Rom, Paolo aveva già imparato
a sue spese che le garanzie costituzionali valgono "con
riserva" nel caso che il fermato o l'arrestato siano "zingari".
In sostanza temeva di subire un pestaggio, di cui proprio
quell'anno si erano registrati esempi clamorosi (v. quello al
Villaggio del Sole, ad opera, guarda la combinazione, della stessa
pattuglia). Certo, se la vittima fosse stata un cittadino
italiano a tutti gli effetti, non sarebbero mancati sacrosanti
interrogativi e polemiche. Ma soltanto avanzare delle perplessità
sulla dinamica dell'"incidente" risultava provocatorio e
"destabilizzante" nel caso di Paolo. Personalmente
invece mi chiedevo, e mi chiedo tuttora, come sia possibile che un
giovane capace del gesto tanto generoso e altruista come quello
di salvare a proprio rischio l'amico dall'annegamento, possa
ridursi a compiere i furtarelli e le scorribande di cui era stato
accusato. La risposta, forse, è da ricercare nella reazione
dei Popoli nomadi alla situazione di emarginazione e disgregazione a
cui sono sottoposte le loro tradizioni culturali e sociali. Le
modalità stesse con cui alcuni di questi ragazzi si dedicano
a saltuarie attività illegali (spesso assai modeste se
confrontate con quelle della delinquenza organizzata) esprimono il
senso di una sfida, di una ribellione individuale da parte di chi si
riconosce come parte di un popolo da sempre braccato, di una cultura
assediata e la cui stessa identità viene quotidianamente
negata. Se, come succede spesso nel vicentino, ti negano anche
l'acqua, è comprensibile reagire con l'aggressività
all'ostilità. Una ulteriore conferma, in sostanza, che
essendo gli "zingari" i più lontani e diversi dalla
cultura dominante ogni loro incontro con questa si traduce in
scontro, soprattutto per l'ignoranza e l'arroganza della "comunità
maggioritaria" (e del suo apparato statale) nei confronti dei
"diversi". Non è una gran scoperta affermare che
nello zingaro non si persegue solo il ladruncolo, reale o
presunto, ma l'"Altro" (così come nell'Ebreo si
perseguitava ben altro che l'"usuraio"). Con tali
premesse non si può certo escludere che talvolta si passi più
o meno impercettibilmente dalla lotta contro la piccola delinquenza,
spesso minorile, alla pura e semplice repressione delle minoranze
non integrate o che, addirittura, si sconfini nel razzismo. Non solo
a Vicenza, naturalmente. Qualche esempio pro-memoria: - Il
massacro, previo agguato, di quattro zingari dalle parti di Udine,
qualche anno fa. - I bambini zingari rinchiusi "per errore"
a Poggioreale e a Rebibbia. - I numerosi pestaggi, a scopo
intimidatorio, subiti da giovani zingari. - I campi nomadi
distrutti (alcuni addirittura dati alle fiamme) a Roma e dintorni
per convincere i Rom a "sloggiare"... ecc.., ecc...
Centomila zingari
D'altra parte i precedenti "illustri" qui da noi non
mancano se la Serenissima Repubblica di Venezia, con decreto del
1558, premiava con dieci ducati chiunque consegnasse uno zingaro
vivo o morto. Basta pensare poi alla sanguinaria persecuzione
nazista (circa un milione di morti). Pur riconosciuti come
"ariani puri" gli zingari vennero identificati come
portatori di una pericolosa ed ereditaria propensione al
"vagabondaggio" (esempio evidentemente contagioso di come
una comunità possa autorganizzarsi senza bisogno di apparato
statale). In Italia vennero rinchiusi nei campi di concentramento a
Tossiccia (Abruzzo), a Perdazdefogu (Sardegna), a Campobasso...
Per molti la fine del viaggio fu la "Soluzione Finale"
nella Risara di S. Sabba (Trieste). Attualmente in Italia, tra
Sinti e Rom, sopravvivono circa 100.000 zingari: un numero troppo
esiguo per suscitare l'interessamento dei partiti. Come gesto di
solidarietà con gli oppressi va richiesto che il pieno
esercizio dei diritti costituzionali, in particolare dell'art 3
("Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono
uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di
lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali
e sociali".) e dell'art. 6 ("La Repubblica tutela
con apposite norme le minoranze linguistiche"), sia
garantito a Sinti, Rom o a tutti i popoli oppressi e/o
minoritari. Inoltre che l'art. l6 della Costituzione ("ogni
cittadino può circolare liberamente in qualsiasi parte del
territorio nazionale...") non venga continuamente invalidato
dall'uso strumentale della legge 27.12.1956 n. 1423 (provvedimenti a
carico di persone pericolose per la sicurezza e la moralità
pubblica quali malati di mente, intossicati, mendicanti, oziosi e
vagabondi...).
La nuova legge regionale
Auspico poi che non si tenti di risolvere il "problema"
applicando la nuova Legge Regionale ("Interventi a tutela della
cultura dei Rom") come un mero strumento di genocidio
culturale. Tale sarebbe infatti se i famosi "campi sosta
attrezzati" diventassero l'equivalente delle riserve indiane
dove tenere "al sicuro", sotto tutela e ben controllati
questi nomadi incorreggibili, "educandoli" per amore o per
forza a cambiare il loro modo di vivere con il nostro. Mi auguro
invece che possano garantire ai Sinti e ai Rom di vivere in piena
dignità la loro cultura, che è espressione di una
diversa interpretazione della vita. Per finire devo ricordare
che, soltanto qualche prete si interessò e denunciò il
caso di Paolo Floriani. Don Lucio Mozzo, direttore della "Voce
dei Berici" che ospitò una lettera di denunce e don
Mario Costalunga., fondatore dei "Costruttori di Pace" e,
all'epoca, parroco di Debba che ne ricordò il martirio nella
predica domenicale. Dai laici progressisti meno che niente. Il
7 novembre 1987 Paolo venne sepolto a Padova. Al suo funerale erano
presenti 6/7.000 persone. La bara venne portata a spalla per un
lungo tratto, sul viale ricoperto da innumerevoli fiori tolti alle
decine di corone che la precedevano. Simbolicamente al momento della
sepoltura le corone sono state abbandonate completamente spoglie:
come dicono i Sinti "quando si muore si lascia tutto: un
misero carrozzone come un grande impero". A Debba, sulla
riva sinistra del Bacchiglione, è rimasta una piccola croce
bianca che nessuna "brentana" potrà mai spazzare
via.