Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 21 nr. 186
novembre 1991


Rivista Anarchica Online

A nous la libertè
diario a cura di Felice Accame

Destino del comico

L'umorismo televisivo, nella sua storia evolutiva, ha gradualmente assunto il carattere dell'autoreferenzialità. Mi spiego: come gli sketch degli anni cinquanta si riferivano alla vita quotidiana ed ivi attingevano per produrre sghignazzi e cachinni, così, già dagli anni ottanta, si è finito con il rivolgersi alla televisione stessa ed al suo monotono universo. Il modello è quello di Drive In e dei suoi numerosi tentativi di imitazione: la battuta ha come referente privilegiato il già televisivizzato, presentatori, cantanti, giornalisti di bel busto, critici-spazzatura, eroi della telenovela sportiva - foss'anche un "uomo politico", ci si riferisce a lui solo in quanto "filtrato" di una miscela essenzialmente televisiva. Un sistema di valori, insomma, che - anche nel rovesciamento tipico del comico - si auto-ricicla. Anche al cinema è toccato simile destino. Me ne sono reso conto andando a vedere Una pallottola spuntata due e mezzo (una frazione, diciamo, minore, dopo Fellini otto e mezzo e dopo Nove settimane e mezza), che viene al seguito, ovviamente, di Una pallottola spuntata. Stessi attori (Leslie Nielsen nei panni del poliziotto sbadato e fortunato Frank Drebin), stessi impresari (la compagnia Zucker, Abrahams & ancora Zucker, produttori, sceneggiatori e registi, come in L'aereo più pazzo del mondo e cose del genere).
Non è che si rida poi molto, ma, se uno non è mai stato al cinema, riderà ancor meno. La morale potrebbe star tutta qua. Il meccanismo con cui si cerca il nostro riso più o meno compiacente è tutto affidato all'arte della citazione, sia essa individuale - la scena del tal film -, o collettiva - la scena tipica del tal genere: dalla contraddizione improvvisa della citazione, dallo scarto sorprendente rispetto all'usualità del paradigma narrativo, si innesca la nostra partecipazione ridanciana di spettatori (spettatori, comunque, colti, perché se privi del modello di riferimento non possiamo neppure apprezzare la trasgressione). In questi usi ed abusi tutti interni al cinema, poi, è anche interessante notare come vengano metabolizzati non solo i luoghi narrativi, ma anche le modalità stesse canonizzate per la narrazione. Per cui si ride sia per la soluzione diversa conferita ad una situazione nota, e sia per gli impliciti percettivi impostici dalla tradizione cinematografica e sistematicamente disattesi. Beninteso: se si ride. Perché, a dire il vero, il marchingegno è di quelli di poca durata: funziona fino a che la gag spadroneggia sulla storia, ma quando - come nel secondo tempo - la storia prende finalmente il sopravvento sulla gag, anche sullo spettatore più ben disposto, cala la noia. Sulla crisi da "secondo tempo" dei film comici, peraltro, si potrebbe scrivere un intero trattato con il supporto di una ricchissima documentazione: il successo della battuta o l'effetto della "trovata" reggono fino a che il regista può disporne senza vincoli di sorta (il riso, potremmo dire, ha qualcosa di anarchico che lo anima), ma quando i fili debbono essere tirati al pettine e ad una qualche vicenda si pretende di assegnare valori di verosimiglianza e plausibilità - quando più emerge la trama -, ecco che vengono a mancare le gag o se ne ricicla qualcuna già usata, con le opprimenti conseguenze che tutti possiamo immaginare. Non a caso, il film comico di qualità è merce rara, forse addirittura incompatibile con il sistema produttivo di cui il film fa parte: per azzeccarne uno occorre, presumibilmente, essere poveri e vilipesi a sufficienza da averne le tasche piene. Questa nuova Pallottola spuntata non fa eccezione: ci regala qualche esilarante cattiveria nei confronti della signora Bush, qualche saggio di irriverenza e di humor nero non privi di una loro intelligenza, qualche sbeffeggiata acuta a destra e a manca, e tuttavia non sa andare al di là del cinema stesso per nutrirsi d'idee, non rinuncia a rimestare nel calderone del sesso americano per ottenere la risata di grana grossa e triviale, franando infine, come esige la regola del film mediocre e comico, allorquando la rappresentazione dell'evento viene a sostituire gli artifici del linguaggio.

P.S.: La pubblicità lo ha presentato garantendo "due ore di risate". Si affida, evidentemente, alla buona volontà ed alla carità cristiana di tutti noi - visto e cronometrato che il film dura un'ora emezzo suppergiù.