Seconda stella a destra, questo è il cammino e
poi diritto fino al mattino poi la strada la trovi da te porta
all'isola che non c'è Edoardo Bennato
"Verso l'isola che non c'è: sentieri verso
un'economia alternativa o per un'alternativa all'economia?"
è il titolo del convegno promosso dalla Cooperativa Mutua
AutoGestione - MAG 6 - di Reggio Emilia che come le altre del circuito
Intermag si occupa di "risparmio etico": è insomma
una sorta di banca alternativa impegnata a finanziare imprese le cui
attività diano garanzie non solo sul piano finanziario ma
anche e soprattutto sulla qualità ecologica e sociale
dei prodotti e dei servizi. Come ha sottolineato Alberto Paini
del gruppo Intermag arricchirsi di "senso" è quello
cui mirano i soci MAG. Il convegno, tenutosi a Reggio Emilia
nell'ultimo fine settimana di ottobre si è avvalso
della collaborazione di varie realtà pacifiste ed
ecologiste reggiane nonché dell'apporto del circolo
anarchico "Assemblea Generale".
E' quasi impossibile fare la cronaca della grande varietà di
tematiche, spunti, riflessioni che hanno caratterizzato due
giornate densissime anche grazie alla partecipazione di un pubblico
folto ed attento: ci limiteremo pertanto a sottolineare i punti
più salienti ed a nostro avviso intriganti di un dibattito
che a Reggio Emilia come già in altre occasioni vede
impegnato sul piano della riflessione così come
nell'ambito delle concrete sperimentazioni un vasto e variegato
arcipelago di gruppi, movimenti, associazioni che tentano di
definire e creare una pratica di economia alternativa. Il tema
dei rapporti tra Nord e Sud ha aperto il convegno. Le accurate
analisi di Alberto Castagnola, economista impegnato in ambito
ecologista e pacifista e di Giorgio Cingolani, economista
agricolo che si dedica a progetti di cooperazione nel Terzo Mondo,
hanno evidenziato come vecchi e nuovi meccanismi di sottosviluppo
creino un quadro di devastazione ed impoverimento tali da rendere
impensabile non solo un'inversione di tendenza ma persino
un contenimento della situazione all'interno dell'attuale sistema
di rapporti tra Nord e Sud. Ogni tentativo di stabilizzare il
prezzo delle materie prime è fallito tanto da registrare
negli ultimi anni un calo del 40%, riducendo così
drasticamente le possibilità di investimenti produttivi
nei paesi poveri. A ciò si aggiunge il meccanismo perverso
del debito che fa sì che oltre il 60% del reddito dei
paesi sottosviluppati sia destinato a pagare interessi calcolati in
dollari artificialmente sopravvalutati. Se ciò non
bastasse il 30% dei crediti concessi è destinato
all'acquisto di armi. Persino i cosiddetti aiuti al terzo
mondo poco fanno per i paesi cui sono indirizzati ma
costituiscono un autentico business per l'occidente
industrializzato. Negli Stati Uniti v'è persino una legge che
regolamenta tali aiuti: in base a tale legge le eccedenze alimentari
(ad es. i cereali) che andrebbero distrutte per impedire un crollo
dei prezzi, vengono regalate a paesi amici degli USA ed ivi
trasportate su navi americane il cui nolo non è certo
gratuito ed infine cedute a governi che riescono in tal modo a
rafforzare la propria posizione politica ed economica.
Il dibattito si è fatto più serrato nella seconda
parte in cui intorno alla tematica dei bisogni v'è stata la
contrapposizione tra le posizioni di Franco La Cecla e Nanni
Salio. La Cecla si è cimentato in una serrata critica delle più
ricorrenti teorie sul consumismo, considerate banali ed incapaci
di cogliere la pregnanza simbolica nella base motivazionale
dell'acquirente. Egli considera il consumo una grande attività
culturale, lo scambio di oggetti quale elemento fondamentale della
comunicazione interculturale. La Cecla riprende, mutandole di segno,
le analisi di Marx e Benjamin sulla trasformazione che un oggetto
subisce allorché diviene merce. La mercificazione, la
feticizzazione degli oggetti viene investita di senso positivo, per
cui il ridurre gli oggetti al loro valore d'uso implica un
annullamento della grande ricchezza di sensi e significazioni con
cui le culture definiscono i loro rapporti con le cose. Il termine
feticcio (dal portoghese fetis) veniva usato tra il '500 ed il '700
lungo le coste della Guinea per designare le cose che gli indigeni
non volevano vendere. Feticci sono tutti gli oggetti che non sono
scambiabili. Il capitalismo nasce come laicizzazione dei rapporti
con le cose, che sono valutate e scambiate in base
alla razionalizzazione del denaro. La nostra cultura tende a
rifiutare l'affezione per gli oggetti, devono essere
costantemente rinnovati. Tuttavia - insiste La Cecla - spesso la
gente ha con le cose rapporti più complessi di quelli di
semplice uso. Accade che persone si affezionino a quartieri
bruttissimi con pessime condizioni di vita ma in cui riescono a
ravvisare i segni di una storia collettiva e personale che per
loro è importante. Egli si dice convinto che l'alternativa
economica sia una società in cui è consentito
avvicinarsi agli oggetti ed affezionarsi ad essi ed individua nel
rapporto con le cose la chiave della relazione con culture
diverse, poiché ogni cultura ha la capacità di ridefinire
le intrusioni di cose esterne nei termini della propria. Salio,
pur concordando con La Cecla sulla necessità di comunicazione
interculturale, rimarca gli effetti di devastazione che
l'intromissione della cultura occidentale ha prodotto nei paesi del
terzo mondo; egli ritiene che tutti abbiano il dovere di dar conto
degli effetti della propria intrusione in culture altre. Per Salio
occorre spostare l'accento dalla dimensione degli oggetti a quella
dei bisogni. Egli riprende la teoria dei bisogni di Galtung, il
quale distingue tra bisogni materiali (sicurezza e benessere) e
bisogni non-materiali (libertà ed identità) ed
asserisce che al di là di una certa soglia la felicità
individuale non dipende più dai consumi. Facendo proprio
l'approccio Gandhiano, Salio ritiene che l'alternativa si debba
costruire sulla scelta etica di semplicità volontaria.
Fatta salva la libertà di ciascuno di auto-definizione
della propria "soglia" di bisogni da soddisfare per essere
felice, tuttavia è dovere di ogni individuo il valutare le
conseguenze per gli altri delle proprie scelte. Un approccio
razionale impone che la possibilità di errore sia limitata ad
una piccola scala in modo che le eventuali conseguenze negative del
nostro agire siano sempre reversibili. Nell'epilogo del convegno,
dedicato alle prospettive per l'alternativa i maggiori spunti per
la riflessione sono venuti da Luciano Lanza del Centro Studi
Libertari di Milano. Lanza asserisce che l'alternativa
all'economico passa attraverso la definizione di quel che si vuole
superare: l'economico appunto. L'economia oggi è divenuta
fattore pervasivo dello spazio sociale, sì che le sue regole,
la sua razionalità informano ogni manifestazione della
nostra cultura. L'economia è una rappresentazione del mondo,
l'immaginario in cui siamo calati, che, pur essendosi costituito
lungo l'arco di parecchi secoli trova la propria definitiva
codificazione con la caduta dell'ancient regime. La pervasività
dell'economia è tale da renderci incapaci di pensare
globalmente l'alternativa, di uscire dall'economico.
Richiamandosi a Muhlmann, Lanza sottolinea come l'alternativa -
il momento istituente - allorché riesce ad estendersi
finisca con l'assumere le forme dell'istituito che pretende di
negare. L'economia "altra", quindi, rischia di vedere
vanificati i propri sforzi se dimentica che più importante
di quel che si produce è il modo in cui si produce, il tipo
di rapporti tra le persone che si riescono a costruire, al di là
di ogni logica gerarchica. La critica di Lanza assume grande
rilievo in un momento che vede ampi settori
dell'economia alternativa - se n'è avuta eco anche in
questo incontro - rivalutare acriticamente il mercato,
la professionalità ed il denaro.