Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 21 nr. 186
novembre 1991


Rivista Anarchica Online

Living Theatre 1991
di Cristina Valenti

Un'importante esperienza di auto-produzione è stata la tournée italiana del Living Theatre con il loro ultimo spettacolo "Mysteries 91", organizzato dal Circolo anarchico "Ponte della Ghisolfa" di Milano. Cristina Valenti ripercorre la storia di quest'opera teatrale la cui prima versione, datata 1964, scandalizzò e sconcertò saldando identità artistica e pratica politica

È capitato a più di un gruppo di teatro di (o forse a tutti) che in situazioni di particolare difficoltà (esilio, emigrazione, nomadismo, chiusura degli spazi o delle fonti di sostentamento) sia stata la condizione di povertà e di sradicamento a suggerire le nuove forme di sopravvivenza creative e che, in quei casi, la cultura materiale della comunità si sia fatta essa stessa oggetto di spettacolo. Così è stato per Mysteries and Smaller Pieces, che il Living Theatre creò collettivamente nel 1964 a Parigi, dove si trovava esule in seguito alla chiusura del teatro americano da parte degli agenti del fisco. Lo spettacolo faceva della povertà necessaria - di mezzi e tecnologie - la virtù di un linguaggio comunicativo che azzerava il livello delle convenzioni a teatro e intanto scopriva la ricchezza inalienabile a disposizione dell'individuo attore: ossia la possibilità di elaborare e montare i molti materiali provenienti dalle pratiche di allenamento, dagli esercizi di improvvisazione, dalle tecniche di meditazione e concentrazione, dai moduli processuali del lavoro di gruppo.
Il Living metteva in scena se stesso, saldava identità artistica (ossia formazione antiaccademica e autopedagogica) e pratica politica (ossia dimensione anarchico-comunitaria di vita e di lavoro) nella riflessione sui significati e le possibilità del rapporto teatrale. Lo spettacolo scandalizzò e sconcertò. Nessun testo drammatico, il palcoscenico pressoché vuoto, eliminati i costumi e gli orpelli di scena, la negazione totale di ogni codice di sviluppo narrativo. L'azione procedeva per quadri, alcuni dei quali desunti dal repertorio delle produzioni artistiche (come il primo, The brig dollar, dove gli attori "fuggiti" dal Brig riproducevano il passo cadenzato, dl marionette meccaniche, dei reclusi nella prigione per marines) altri derivati dalle pratiche di training (come l'Accordo, i Tableaux Vivants e Suono e movimento, ossia il coro senza parole del cerchio di attori e spettatori e le invenzioni plastiche e sonoro-gestuali improvvisate secondo i principi della libera associazione e dell'automatismo), altri ancora tratti dai repertori personali di singoli attori (il Raga, ossia il canto indù, e le Street songs, canzoni di strada dell'amico poeta Jackson MacLow), oppure ispirati a brani e pratiche di vita quotidiana (le Odiferie, ossia i bastoncini d'incenso, il Respiro, il Leone e lo Zh-Zh-Zh, vale a dire le tecniche della meditazione yoga) e infine l'ultimo quadro, cioè la materializzazione della visione artaudiana della peste: il flagello sotto il quale "si disintegrano tutte le forme sociali". Il cerchio si chiude nel nome di Artaud, la "folle musa" già ispiratrice del Brig, e gli attori che compongono la piramide dei cadaveri sono le vittime bruciate sul rogo del teatro: "che lanciano segnali tra le fiamme", come voleva il grande visionario francese. Quali segnali? Immagini di morte, campi di concentramento, guerra sono evocate nella mente dello spettatore, direttamente chiamato in causa dall'agonia degli attori che sono andati a morire ai suoi piedi. "Sfido un qualsiasi spettatore al quale simili scene violente abbiano trasmesso il proprio sangue - la violenza del sangue essendo posta al servizio della violenza del pensiero - sfido quello spettatore ad abbandonarsi, una volta uscito di teatro, alle idee della guerra, della rivolta, dello sfacciato assassinio", scriveva Judith Malina citando Artaud.
Il richiamo alla responsabilità individuale chiudeva l'itinerario dei Mysteries, iniziato con l'immagine della spersonalizzazione più totale, quella dei prigionieri del Brig.
In seguito alla prima parigina di ventisette anni fa, i Mysteries hanno vissuto una lunga esistenza, fatta di una prolungata permanenza in repertorio e di alcune riprese (le ultime delle quali, sotto forma di seminario, a Parigi nel 1983 e a Sant'Arcangelo nel 1986): un'esistenza garantita dalla condizione di immortalità che non cessa di animare gli spettacoli nei quali la memoria teatrale riconosce fonti di ispirazione e significati duraturi. Tutte queste componenti: dello spettacolo di repertorio (e quindi in qualche modo di presentazione del gruppo), dell'esperienza teatrale di contenuto didattico e anche dello spettacolo-tributo da rendere alla storia del Living, tutte queste componenti erano presenti in Mysteries 91, recentemente realizzato a Milano. Ma anche di alcune altre componenti occorre tener conto, legate all'anomalia del progetto.

Organizzazione autogestita e autofinanziata
Mysteries 91, che è andato in scena al teatro di Porta Romana dal 1° al 6 di ottobre, ha rappresentato un'autentica stranezza nel panorama della produzione e della distribuzione teatrale italiana, ma ha anche segnato una significativa continuità nella storia dei rapporti fra il Living Theatre e il movimento anarchico del nostro paese. A permettere la realizzazione e la messa in scena dello spettacolo non è stato un centro di produzione, non hanno concorso finanziamenti pubblici né sponsor privati, non è intervenuta alcuna rete di distribuzione. Piuttosto, si è attivata quella forma di organizzazione alternativa, autogestita e autofinanziata, che ha conosciuto negli anni '70 momenti di fantasiosa, creativa fortuna, ma che la burocratizzazione del mondo dello spettacolo farebbe considerare oggi del tutto impraticabile, oltre che un po' romantica e desueta.
Tutto questo l'ha reso possibile l'ostinazione del Circolo Anarchico Ponte della Ghisolfa, organizzatore insieme alla Libreria Utopia (che ne ha firmato anche la coproduzione) di questa tournée alternativa del Living Theatre, dopo la cancellazione di quella "ufficiale", che avrebbe dovuto portare le ultime due produzioni americane del gruppo. In realtà, all'origine di Mysteries 91 c'è stato qualcosa di diverso o di più rispetto a un'organizzazione di soccorso: si è trattato di un progetto originale e un po' utopico di cui sono stati protagonisti gli attori della diaspora del Living che, chiamata a raccolta da Serena Urbani (responsabile e curatrice in Italia dell'Archivio del Living Theatre) sono arrivati dalla Germania, dalla Francia, dall'Olanda o dagli Stati Uniti per dare vita alla nuova versione dello spettacolo. In questo senso, Mysteries 91 ha molto a che fare con le modalità produttive dei primi Mysteries. La diaspora ha oggi il valore necessitante dell'esilio di allora e i contenuti teatrali sono ancora quelli dell'offerta autobiografica in forma di spettacolo. Nel 1964 il Living lottava, come Judith e Julian, per affermare la propria presenza all'interno del territorio teatrale. E coi Mysteries metteva in scena se stesso, le proprie tecniche e la propria storia, i propri obiettivi di cambiamento e la straordinaria capacità di aggregare attorno a tali obiettivi i singoli spettatori, e quindi la comunità del pubblico. Oggi l'operazione degli attori della diaspora del Living ha piuttosto il sapore di un atto di rivendicazione e di devozione insieme: di rivendicazione di un ruolo e di una storia ormai conquistati (a dispetto dei tentativi di rimozione operati dalla cultura ufficiale) e di devozione rispetto alle proprie radici (nel senso alto del termine: "il teatro come la sinagoga" scriveva Julian Beck, "luogo in cui venerare" e dar corpo ai propri ideali).
Pur componendosi in gran parte dei quadri originali, che si susseguono, con alcune variazioni, nello stesso ordine, Mysteries 91 sembra però derivare da un lavoro di collage più che di montaggio: sembra aver usato il bisturi piuttosto che il collante delle attrazioni; e la produzione di senso non appare cercata nell'insieme delle parti, ma piuttosto nelle parti che compongono l'insieme: lavoro di sforzi particolari, più che collettivi, fatto di tanti ritmi discontinui piuttosto che di un unico respiro. Così il Collage può ospitare atti di devozione personali, che riflettono più la storia dei singoli attori che non quella dello spettacolo che ha ospitato negli anni le storie di tanti attori e quella del gruppo nel suo insieme. All'inizio la scena della tortura, il corpo nudo appeso per i piedi, è un'immagine molto forte, in grado di richiamare agli spettatori più anziani i temi dell'Eredità di Caino, ossia del ciclo di spettacoli che il Living ha realizzato a partire dagli anni '70, e che un'attrice ha inserito perché in sintonia con la fase che lei ha vissuto dentro il Living. Tanti attori, tante storie, e uno spettacolo che nel ridar vita al passato ricorda (o anticipa, che in questo caso fa lo stesso) quel che sarebbe avvenuto in seguito.

Devozione e documentazione
I Mysteries si sono rivelati ancora in grado di mettere in scena il Living, ma piuttosto sotto forma di racconti individuali, un po' più frastagliati di quelli che componevano la prima versione, perché tale è oggi la comunità del Living. Così il viaggio che conduce gli spettatori ad esplorare l'intero mondo delle percezioni sensoriali, dei suoni e degli odori, del contatto e delle visioni, inoltrandosi fino alle sorgenti dell'esperienza relazionale: dell'accordo e della disarmonia, della libera scelta e del rigore combinatorio, dell'unione e della meditazione, questo viaggio non si chiude nel cerchio artaudiano della violenza e della peste (e del loro doppio), ma resta aperto fra un'immagine postuma messa all'inizio e una non-conclusione in forma di happening collettivo alla fine. L'insieme di queste considerazioni non vuole essere un giudizio estetico né una considerazione di valore. Nella ripresa di uno spettacolo di 27 anni prima c'è una parte di devozione e una parte di documentazione; non c'è più lo sconcerto e lo scandalo, ma c'è, negli interpreti, il gusto del mostrarne le primitive ragioni e, nel pubblico, l'attesa e la nostalgia, oppure l'attesa di provar nostalgia: un sentimento che si può rivelare un'utile palestra di pulsioni positive. In più c'è la sensazione che si prova solitamente di fronte alle riproduzioni teatrali (filmate o videoregistrate): quel misto di gratitudine e di rimpianto, per cui siamo grati all'illusione della memoria, ma rimpiangiamo l'esistenza effimera dello spettacolo consumata in un tempo lontano dal nostro.
Non me ne vogliano organizzatori e protagonisti. Il mio ragionamento (contro, forse, qualche apparenza) non vuole essere riduttivo. Lo scopo di accrescere il rimpianto può essere straordinariamente alto e il risultato ottenuto in questo senso è in piena sintonia con lo spirito degli spettacoli storici del Living quando va ad attivare un utile processo di autoanalisi nello spettatore che sperimenta i processi auto-rappresentativi della formula "de la fabula narratur".
Molto di noi ci hanno raccontato questi Mysteries 91. Le rappresentazioni milanesi sono sempre iniziate fra l'imbarazzo del pubblico per poi concludersi con grandi manifestazioni di partecipazione collettiva. Con diversi contenuti e significati, si sono ripresentati gli elementi che hanno caratterizzato il rapporto attore-spettatore nella storia del Living: la sfida dell'imbarazzo e la capacità di parlare ad personam, guardando negli occhi l'interlocutore, o andandogli a morire ai piedi, come nella scena già ricordata della peste. A questa scena accennava Judith Malina in una poesia, con un significativo, repentino passaggio dalla terza alla seconda persona, in fine: "Nella peste sentiamo tutto questo / E fra gli spettatori / In platea, / Che mormorano idiozie, mentre noi / Gioiosamente soffriamo per loro, / Moriamo per te mentre / Tu mi deridi".



I primi Mysteries a Parigi, ottobre 1964


Creazione collettiva: I primi Mysteries a Parigi, ottobre 1964, furono la nostra prima esperienza con questo procedimento. Avvennero naturalmente, senza sforzo. (...)
Judith chiamò la serata Mysteries and Smaller Pieces. In quel momento il significato diventò un po' più chiaro.
Avevamo creato dei misteri senza sapere cosa fossero. Avevamo eseguito il nostro primo esperimento di creazione collettiva senza saperlo. Il modo di lavorare ci risultò organico.
Creazione collettiva: Un gruppo di persone che viene insieme. Non c'è l'autore cui adeguarsi che ti strappa l'impulso creativo. Distruzione delle soprastrutture della mente. Così arriva la realtà. Seduti in circolo a parlare per mesi, assorbendo, rigettando, creando un'atmosfera in cui non solo ci ispiriamo a vicenda, ma dove ogni singolo si sente libero di dire qualunque cosa voglia. Enorme palude giungla, un paesaggio di concetti, anime, suoni, movimenti, teorie, fronde di poesia, stato selvaggio, deserto, vagare. Quindi raccogli e riordini. Nel corso del procedimento si presenterà una forma. La persona che parla di meno può essere quella che ispira chi parla di più. Alla fine nessuno sa più chi in realtà sia responsabile di che cosa, l'io individuale scivola nell'oscurità, ognuno è soddisfatto, ognuno prova una soddisfazione personale maggiore del piacere solitario dell'"io". Una volta che l'hai provato - il procedimento di creazione artistica in collettivo - il ritorno al vecchio ordine sembra una retrocessione.
La Creazione collettiva è un esempio di Procedimento di Autogestione Anarchico-Comunista che per il popolo ha maggior valore di un lavoro teatrale. Creazione collettiva come arma segreta del popolo.
Nel collettivo crei sia attraverso te stesso che attraverso gli altri: inter-ispirazione. Superflash.
Allo stesso tempo il processo è tedioso, noioso, un lavoro duro. Devi penetrare attraverso la noia. La noia, le difficoltà sono le leve. Crea la noia. Crea la difficoltà. Creiamo uno spazio in cui diventare così pazzi da dover trovare la porta, la via d'uscita. Questa è una tecnica. Provare una noia così profonda da uscirne fuori in un altro luogo. Cage.
Noia, degradazione, oppressione, monotonia, privazione: le masse stanno ora passando attraverso la noia, la sofferenza.
Creare un ambiente che attragga l'ispirazione. La Musa. Può anche accadere facilmente, come per Mysteries. O a Kronstad.
Queste sono le tecniche di creazione collettiva.

Julian Beck
La vita del teatro,
Torino, Einaudi, 1975, pp. 95-97.