Rivista Anarchica Online
A nous la libertè diario a cura di Felice Accame
L'ultimo stadio dell'ideologia turistica
Fra i più tetri e acuti racconti di fantascienza va
annoverato Il magazzino dei mondi di Robert Sheckley- roba di
almeno 25 anni fa. Vi si narra di un mondo derelitto, tra
sopravvissuti topi e detriti, dove a caro prezzo, in una baracca,
viene offerta la breve esperienza che regala all'eventuale
coraggioso cliente l'incontro con i propri desideri più
segreti. Chi supponesse che, per compensazione dello sfascio, il
tapino ambisse allo sfarzo, avrebbe torto: al magazzino dei mondi
disponibili si chiede - più banalmente, più
tragicamente - le noie di tutti i giorni, il corso e ricorso del
tempo senza qualità, quel grigiore di uno stile di vita cui,
senza avvederci di quanto valesse, abbiamo rinunciato. Il sogno
indotto e programmato, dunque, sembrerebbe essere il prossimo
surrogato del turismo di massa - lo specifico più adatto,
come si sa, al sapore delle istanze ribelli e delle individualità
refrattarie. Un'elaborazione di quest'ottima idea è al
centro di Atto di forza (Total recall), di un Paul
Verhoven che, con i soldi degli americani, sforna film non
all'altezza concettuale di quelli sfornati nell'Olanda natia (Il
quarto uomo, 1983 e Flesh and Blood, 1985), ma pur sempre
rispettabili- per spunto narrativo, per coerenza teoretica, per
suggestioni inquietanti, per costruzione di immagini e, perché
no, per la truce irriverenza che persiste a manifestare chiunque sia
il padrone (come Robocop, ad esempio). Al protagonista -
un presunto spaccapietre di un futuro planetariamente autoritario -,
conscio e subconscio impartiscono un desiderio che diventa un
ordine: accettare l'ultima soluzione dell'agenzia turistica
perfetta - un viaggio a Marte, paesaggi avventure emozioni sesso
tutto compreso e previsto, senza i fastidi di andarci davvero, ma
"implementato" nel cervello. Turista, insomma, senza
muoversi da una poltrona: la disperazione degli affittacamere, ma la
gioia del regime - se c'è chi il mondo me lo fa come voglio
io, perché darsi tanto da fare? Cambiare è né
più né meno che sostituire il dischetto nel
computer...guerra ai potenti la dichiaro nel videogame che vado ad
interpretare. Se il turismo del ventesimo secolo contribuisce come
poco alla resa sociale esportando ovunque il mercato di cui è
figlio -, il turismo mentale di Vehroven significa il disarmo
unilaterale dei subordinati. Che poi- visto che pagano gli americani
e che il successo laggiù è pura questione di quantità
- al nostro eroe il viaggio metaforico vada male e gli tocchi
intraprenderlo davvero, e che da lì in poi si trovi a lottare
ed a vincere in nome dell'amore e della libertà (e che a noi
spettatori tocchi di assistere, in definitiva, ad un fumettaccio di
avventure mozzafiato e mozzatutto, dipinte tuttavia sul cupo fondale
di quel che ci attende un domani), è questione di secondaria
importanza. Il film pare complessivamente poca cosa- i tre o quattro
colpi di genio che garantiscono autentica la firma del regista (i
rapporti ambigui fra marito e moglie, alcune sequenze del bordello
marziano, il rifugio simbiotico del capo della resistenza) non
possono da soli conferirgli lo status del capolavoro - e la
presenza di Schwarzenegger costituisce uno scotto non lieve da
pagare in termini di sradicamenti, forzutaggini, sovrumanerie,
schiodamenti, frantumazioni e battutacce di commiato all'ultima
frattaglia del cattivo di turno. E tuttavia Atto di forza va
visto e apprezzato per quel che può dare: nemmeno tanto sotto
sotto c'è lo sberleffo del regista per chi lo paga; il lieto
fine è manifestamente bugiardo e la vena pessimista è
genuina. L'uomo è una macchina, ma a differenza delle tante
altre ha un programma - grazie al quale si duplica ed evolve:
attenti a chi pretende di autolegittimarsi come programmatore.
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